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di Paolo Bancale   indice articoli

 

La noncredenza non è nichilismo, né cinismo, né scetticismo

Di Carlo Tamagnone

Giugno 2012

 

Il “non credere” va definito nei suoi confini filosofici per liberarlo da superficiali, incaute o volute mistificazioni.

 

Ho cercato, nel n°1 di questa rivista (pp. 12-13) [N.d.r. NonCredo], di definire il significato di noncredenza; ma allora mi ponevo il problema di che cosa essa sia, mentre ora voglio occuparmi di ciò-che-non-è. Come saprete o avrete capito il sottoscritto è ateo, e quindi qualcosa di più che noncredente, ma rimane comunque tale in virtù dell’inclusività del concetto di noncredenza, ed è come noncredente che analizzerà ciò che essa esclude.

Una precisazione cronologica è d’obbligo in relazione al titolo che mette assieme tre atteggiamenti differenti: il termine nichilismo è molto recente e concerne la modernità (nasce solo nel XIX secolo), mentre gli altri due risalgono all’antichità greca (IV-III secolo a.C.). Ma nel passaggio dalla cultura pagana a quella cristiana la loro significanza è stata stravolta, e da un certo momento in poi con cinismo e scetticismo si è alluso a fattori estranei ai significati originari. Ne vedo la ragione nel fatto che l’uno e l’altro erano materialisti, ma mentre il primo è rigettato come sconveniente, il secondo è “reinterpretato” in chiave cristiana. L’analisi che intendo condurre è abbastanza vischiosa poiché a significati filosofici spuri si affiancano quelli, ancora più svianti, del linguaggio corrente.

 

Il nichilismo

Iniziamo con il nichilismo, di cui ho già trattato nel n°2 (pp. 31-33), ricordando che esso si qualifica come “annichilazione dei valori istituzionali”; ma siccome i valori istituzionali sono per definizione storica quelli religiosi, va da sé che il “nulla dei valori religiosi” sia anche un “nulla di dio”. Ora, se dio è fonte di tutti i valori, il nulla di dio significa “nessun valore”. Conclusione arbitraria, perché anche nel nulla-di-dio, se non accompagnato dal disprezzo dei propri simili, il nichilista può porre valori come l’eguaglianza e la libertà. Ad ogni modo, il nichilismo non ha una bella storia dietro di sé, poiché accanto all’annichilazione dei poteri costituiti della trinità Dio-Re-Patria ci sono elementi ambigui e persino criminogeni. Si aggiunga che il nichilismo è stato molto spesso tangente al peggiore anarchismo, al punto che in qualche caso è difficile distinguerli. Il noncredente, dunque, non è nichilista, poiché la noncredenza non include il nichilismo, facile a derive fanatico-irrazionalistiche.

 

Il cinismo

Per quanto riguarda gli altri due indirizzi, per ragioni differenti sono entrambi degli aborti linguistici, poiché i significati moderni sia filosofici sia correnti sono privi di rapporto con quelli originari. In quanto al cinismo è nel linguaggio comune che si coglie la distorsione di senso, mentre per quella dello scetticismo è perlopiù responsabile la filosofalità cristiana. L’uno e l’altro, comunque, due tra gli innumerevoli esempi di “significati falsati”.

Cominciamo col primo, che letteralmente significa “vivere da cani” e che nasce con l’ateniese Antistene (436-366 a.C.), allievo sia di Gorgia sia di Socrate. Egli vedeva nella semplicità ed elementarità di vita degli animali un modello valido anche per gli umani; era materialista e sensista, quindi avversario di Platone. Dopo di lui Diogene di Sinope (413-323 a.C.), grazie ai suoi atteggiamenti stravaganti e provocatori e per il disprezzo delle convenzioni e dei potenti, ne è diventato il paradigma. Fine ultimo del cinico era l’autarchia, attraverso la sistematica eliminazione del superfluo e il disprezzo dell’attaccamento alla vita comoda, ai comfort, al decoro, alla buona tavola, ai comodi giacigli e anche all’igiene. I cinici veri vivevano in casse di legno come i cani e si narra che usassero defecare per strada motteggiando i passanti.

Possiamo sintetizzare il cinismo antico nell’essere: 1) contro il potere e per l’eguaglianza, 2) contro la tradizione e le “buone usanze” e per la semplicità, 3) contro il danaro e il decoro, le agiatezze e le comodità, 4) contro la socializzazione forzata e i vincoli dello “stare assieme”. Non si fa fatica a capire di quanto la traslazione semantica che ha portato al significato corrente di cinismo sia incoerente con esso, poiché oggi “cinico” è l’arido e l’insensibile ai limiti della spietatezza. Vi sono correlati l’avidità di possesso, il disprezzo dei diritti altrui in funzione dell’ineguaglianza, il desiderio di stima, onori e prebende in spregio dei valori reali; infine arroganza e indifferenza alla sofferenza, spesso sotto un’immagine falsa di “socialità” formale. Siccome i cinici erano materialisti, nasce il sospetto che la semantica del termine nella cultura cristiana sia più rivolta al materialismo in chiave demonologica che al “vivere da cani”.

 

Lo scetticismo

Il caso terminologico più equivoco, ma interessante in negativo, concerne lo scetticismo. Di esso noi abbiamo un’enunciazione originaria, un’evoluzione in senso probabilistico, un capovolgimento in senso cristiano, tutti interni al filosofare; infine un quarto significato corrivo, usato anche oggi. Dovrò soffermarmi un poco sulla storia della filosofia iniziando dal fondatore dello scetticismo, Pirrone di Elide (365-275 a.C.), il quale sosteneva che la realtà è mutevole e sfuggente, che i sensi ingannano e che la vera conoscenza non è possibile o è falsata, sicché bisogna adottare l’epoché (la sospensione) del giudizio sensibile, in quanto inattendibile. Se la verità non è conseguibile, con grossi rischi di falsarla, bisogna rinunciarvi e dedicarsi al “ben vivere”, sicché, con l’abbandono della gnoseologia, l’etica diviene l’essenza del filosofare scettico. Pirrone, che del ragionamento astratto si fidava ancor meno dei sensi, rinunciava a un'impossibile conoscenza della realtà, ma non ne svalutava affatto l’oggetto: la natura. L’astensione dal giudizio, in ragione del non poter dirimere la dicotomia vero/falso, era un atteggiamento relativista e più tardi probabilista.

La tesi di Platone che la natura fosse “seconda” e volgare rispetto all’idea, in quanto le cose (tutti gli enti reali escluso l’uomo) sono copie delle idee divine, era combattuta da Pirrone, infatti la scepsi sul conoscere la natura da lui posta non autorizzava affatto il gettarsi nelle braccia del divino. Egli invitava in realtà a fare un passo indietro nella presunzione umana di pretendere di “sapere” ciò che non è conoscibile. Due secoli dopo Pirrone ha luogo un’interessante evoluzione dello scetticismo antico (e pagano) col probabilismo pragmatico di Carneade (219-129 a.C.), paradossalmente nell’ambito di una Media Accademia ormai avviata all’abbandono del platonismo. Con lui il Sommo Bene cessa di essere cosa divina per diventare un “vivere bene in accordo con la natura” alquanto anti-platonico.

 

Lo scetticismo moderno

Lo stravolgimento di senso dello scetticismo antico ha un’origine strisciante nelle tre grandi metafisiche barocche (Cartesio, Spinoza, Leibniz), che in diversa forma radicalizzano il concetto di verità come intrinseco del cogito, a portata di questo come dono divino o parte della divinità stessa. La suprema verità monoteista (del Dio-Volontà) e quella panteista (del Dio-Necessità) sono associate nell’esecrazione del relativismo materialista scettico. Il vero apripista dello scetticismo cristiano è il vescovo anglicano George Berkeley (1685-1753) e suo formulatore David Hume (1711-1776), per quanto questi, pensando a Pirrone, si rifiutasse di dirsi scettico. Berkeley è teorico dell’insussistenza dell’essere materiale, apparentemente per ragioni empiriste, in realtà per ragioni spiritualiste. Il suo esse est percipi non è altro che la dichiarazione d’insussistenza del materiale (nient’altro che un “percepito”) a cui contrappone la sostanza-essenza dello spirituale, unica vera realtà. Un immaterialismo che mina alla base il pirronismo, diventando fonte alla quale Hume si abbevererà abbondantemente da estimatore di Berkeley, negando poi ogni “causa seconda” (materiale) per riaffermare la realtà dell’unica “Causa Prima” (dio).

Hume in sostanza toglie valore alla conoscenza scientifica e nega legittimità al concetto di causa fenomenica, vedendola come frutto di mera soggettività d’abitudine all’antecedenza-susseguenza. Ma se nessuna certezza è possibile circa le cose del mondo, del tutto certa resta la realtà di dio e la verità del messaggio delle sacre scritture. Alla fine Hume è riuscito a distruggere tutte le certezze conoscitive, salvo una: quella dell’esistenza di dio. Un atteggiamento antiscientifico che ha in Edmund Husserl (1859-1938) il suo paladino novecentesco, con uno stuolo di seguaci all’interno di un riflusso metafisico-spiritualistico nel quale siamo tuttora immersi. Che ne farà questo guru della fenomenologia eidetica (l’idealismo dell’essenza) del concetto di epoché? Un ectoplasma platonico “di ritorno” passando per Cartesio, poiché per lui è “sospensione del giudizio scientifico”, ma non del giudizio logico astratto. Lo scetticismo, nelle mani di teologi espliciti o camuffati, è diventato inaffidabilità del conoscere per via osservativa e sperimentale a favore del trionfo del logicismo mistico.

 

Conclusioni

Ovvio concludere che la noncredenza è priva di relazioni col nichilismo per il suo forte connotato antisociale e antigerarchico, il che però non esclude che il noncredente condivida libertarismo e anticonvenzionalismo. Per quanto concerne il cinismo possiamo dire che l’elemento che più lo caratterizza, il disprezzo della socialità e delle buone usanze, non ha attinenza diretta con la noncredenza, per quanto al riguardo il non credente possa condividere atteggiamenti etici come l’autosufficienza, la semplicità e la frugalità. Relativamente allo scetticismo, direi piena adesione a quello pagano ed estraneità totale o contrapposizione a quello cristiano, espressione di forte e radicata credenza. Ma nessun rapporto anche coi significati corrivi del linguaggio comune per entrambi i termini, poiché con l’aggettivo scettico si allude a diffidenza, indifferenza, disincanto, ignavia, talvolta misantropia. Il noncredente non è quindi nichilista né cinico, è favorevole allo scetticismo antico ma oppositivo allo scetticismo cristiano, fiorente da Hume in poi con epigoni teoricisti-logicisti tipo Pierre Duhem (1861-1916) e Imre Lakatos (1922-1974), due tra i più noti profeti dell’epistemologia antiscientifica.

 

Carlo Tamagnone
Dalla rivista NonCredo numero 5.

 


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Carlo Tamagnone è probabilmente il più originale teorico contemporaneo della filosofia atea ed il più attento e analitico cultore e conoscitore dell'ateismo filosofico dalle origini ai nostri giorni. Con alle spalle molti anni di studio e di riflessione in vari campi della cultura è pensatore dotato di un solido background sia umanistico che scientifico. La coniugazione della conoscenza scientifica con quelle antropologica e filosofica dà luogo a una speculazione di tipo nuovo con orizzonti vasti, il cui risultato è una sintesi cognitiva complessa e profonda. Una singolarità che lo rende quasi unico nello stantio panorama culturale italiano, ripetitivo e autoreferenziale.

Pagina web personale: digilander.libero.it/CarloTamagnone/

 

 

 

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