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di Paolo Bancale   indice articoli

 

Le scuole pittoriche e il senso del sacro

Di Dario Lodi - Saggista
Novembre 2013

 

  • Il tardo Medio evo

  • Dall’Umanesimo all’Illuminismo

  • Il grande ‘800 romantico

  • E venne il ‘900 laico

 

Il tardo Medio evo

La pittura, come mediazione del sacro, è stata determinante. Quando, contro l’opinione di Bisanzio, si decise per l’iconografia, la chiesa romana ebbe un impulso popolare straordinario: il cristianesimo guadagnò credibilità assoluta in tutta Europa e presso tutti i ceti. Particolare richiamo ebbe presso gli intellettuali dell’epoca, una formazione aristocratica impareggiabile rispetto agli intellettuali moderni. Questa impareggiabilità, va riconosciuto, scaturiva dal concetto di fede che allora permeava l’intera vita sociale. La chiesa era ancora lontana dal potere temporale. L’opera religiosa avveniva tramite i monasteri, espressione più genuina della fede, di chiara ispirazione orientale, laddove la spiritualità aveva un significato certo superiore al successivo dogmatismo romano. Il meglio avviene in Italia, terra storica per eccellenza a causa di Roma imperiale.

Nei primi secoli del Medioevo, la pittura è devozionale più che partecipativa. L’artista, che è essenzialmente un illustratore e decoratore al servizio della Bibbia, “trema” di fronte al tema che è chiamato a riprodurre: non sarà così per Giotto, che arriva ad esprimere una pietas virile che è commovente, ma che allo stesso tempo fa riflettere. Non c’è in lui fede cieca.

L’artista toscano apre due buoni secoli di grande avventura espressiva, caratterizzata dalla presenza, nel ‘400, degli Umanisti, i quali, attenti anche alle lezioni ermetiche (di Ermete Trismegisto, neoplatoniche) tenteranno l’ umanizzazione del dettato religioso, così in letteratura come in pittura (basti pensare a Piero della Francesca). L’Umanesimo creerà il Rinascimento: Raffaello, Leonardo (specialmente quest'ultimo) lo esalteranno, rimanendo nell’ambito della mentalità umanistica, che Michelangelo porta al massimo dell’espressività.

 

Dall’Umanesimo all’Illuminismo

La chiesa, con gli Umanisti, perde una grande occasione. Non dà loro credito (una delle ragioni della nascita della Scienza), si irrigidisce sulle sue posizioni ultra conservatrici, diviene un potentato qualunque, provoca la Riforma. La caduta di Roma (che non crede alla propria caduta) fa nascere prima il Manierismo (Caravaggio), poi il Barocco (Rubens), tentando recuperi esaltanti della fede romana (più che di quella cristiana) che s’infrangeranno contro l’avanzata, in realtà laica, dei Protestanti. In Paesi come l’Olanda (rigida nell’applicazione dell’iconoclastia protestante) trionfa la società civile (Vermeer, Rembrandt), lo scienziato, l’esploratore, il commerciante: l’uomo sicuro di sé, insomma, responsabile di sé, sempre più lontano dalla trascendenza.

È la rivoluzione industriale a dare maggiore sicurezza all’umanità. È la produzione in serie delle merci a far pendere la bilancia dalla parte dell’uomo: dio comincia seriamente a morire. L’uomo è pronto – o si ritiene tale – a prenderne il posto. L’arte neoclassica è lo specchio di questa ambizione finalmente a portata di mano, anzi in via di realizzazione. È un’arte euforica, rappresenta il trionfo della borghesia, ma è anche la risposta alla vaghezza, a volte sin troppo malinconica (Watteau) del Rococò.

È ben noto il progresso intellettuale portato dall’Illuminismo, prima vera protesta contro il sistema monarchico ed ecclesiastico, il secondo sempre più compromesso con il primo. Ma non sarà tanto l’Illuminismo speculativo ad avere uno sviluppo, quanto quello pratico. Sarà il Positivismo di Comte a ricevere gli applausi. Un disinvolto sistema industriale renderà schiavi milioni di europei, li legherà alla macchina dopo averli strappati dai campi. Intellettuali sensibili e avveduti si opporranno al materialismo sin dal primo momento (facendo sorgere il Romanticismo) per incitare, poi, ad una vera e propria ribellione al sistema (Marx, Engels): sognatori e utopisti traditi dai fatti, nel cui esempio, tuttavia, l’uomo moderno riuscì  ad ottenere almeno un minimo di dignità.

 

Il grande ‘800 romantico

L’adeguamento artistico, pittorico specialmente, avviene verso la fine dell’800 con la nascita dell’Impressionismo, sempre nell’alveo romantico. Gli Impressionisti ebbero il coraggio e la sensibilità di battersi contro l’accademismo, contro il potere borghese, cercando di salvare il più profondo animo umano, debitore sì della religione, ma in sostanza consapevole delle proprie risorse emotive e sentimentali, nonché del loro valore, della loro importanza esistenziale. Questo il programma iniziale; seguirà, invece, un’accentuazione espressiva fatta più di volere che di ispirazione, nella logica di un protagonismo in linea con il clima culturale dell’epoca. A questo punto, non poteva non seguire l’Espressionismo, dove la libertà espressiva umana è ancora più marcata: siamo in un’ottica di disperazione per una certa presa di coscienza dell’uomo (Munch) già cosciente delle limitazioni del materialismo, in un mondo privo ormai del sostegno fideistico e semi orfano del Romanticismo. La critica al materialismo diviene tuttavia e man mano funzionale all’attività artistica, nel senso che il sistema si impadronisce anche di questo operare, come fosse una merce, consentendo, allo stesso tempo, l’elevazione dell’artista ad icona commerciale (Picasso ad esempio) più che ad artista vero e proprio. In effetti, vengono a mancare i punti di riferimento e il vuoto viene riempito da Prometeo, che è principalmente un prometeo materiale e il mondo intero gli deve obbedire. Nascono le proteste (false) e le sperimentazioni, nascono infiniti “-ismi” (cubismo, astrattismo etc. ) nasce l’artista-vate: tutto ciò che fa, tutto ciò che tocca è arte. Il fenomeno travolge anche l’interessantissimo Surrealismo (Dalì, Magritte), figlio artistico di Freud (estremo campione dell’anti positivismo).

 

E venne il ‘900 laico

Il “dada” vorrebbe rompere il giocattolo. La provocazione verso il sistema diventa insulto (Duchamp), ma l’artista non esce dal sistema, perché viene divinizzato, viene riempito di denaro.
Esalta il suo estro momentaneo, rifugge dalla riflessione perché il mondo che gli sta intorno chiede di agire, non di pensare. Il “dada” giustifica le avventure artistiche estreme, dà linfa persino alla “Pop-art” e sostiene le “Performance”, veri e propri labirinti intellettuali, imprigionati in retoriche estenuanti, superficiali e compiaciute, fatte di presunzione (e di disperazione per l’impossibilità di ottenere l’appagamento anelato).

Ma l’umanità, toltasi l’armatura religiosa, non si ferma certo a forme di autocompiacimento irrazionale, non si perde in fenomeni di costume più che di cultura, non insiste sui propri errori, per lo meno non lo fa a certi livelli-guida del sistema-uomo. Ecco la grandezza laica: sta nella sua autocritica. Il senso di povertà del materialismo e della mentalità che ne deriva, attraversa tutto il ‘900 e si materializza negli ultimi decenni del secolo attraverso ponderate prese di posizione intellettuale (vanno citati almeno Feynman, Lyotard, il nostro Vattimo) che hanno dato vita al concetto di “postmodernismo” (invito fermo e circostanziato a riflettere sulla modernità, non certo sviluppo della stessa). L’arte è finalmente dialettica ed è pronta ad assumersi le sue responsabilità concettuali, lasciando da parte qualsiasi forma di fanatismo.

Ergo, l’uomo ha ancora molto da imparare e da scoprire, con la mente e con il cuore. Ma lo sa, in fin dei conti: non lo sapeva quando la sua mente era piena zeppa di fede, zavorrata di religione. È sapendolo bene che dà vita anche ad una pubblicazione come NonCredo.

 

Dario Lodi
Dalla rivista NonCredo

 


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