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Riflessioni Iniziatiche

Riflessioni Iniziatiche
Sull'Uomo, lo Spirito e l'Infinito

di Gianmichele Galassi

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Ofiuco: la XIII costellazione dello Zodiaco.

Agosto 2011

  • Introduzione

  • Lo zodiaco

  • Costellazioni nello Zodiaco

  • La costellazione del Serpentario

  • La simbologia legata al serpente

  • Conclusioni

OfiucoL’osservazione del cielo ha da sempre ricoperto un ruolo fondamentale per l’uomo, sin dai primordi ha rappresentato ciò che c’è di superiore, di ignoto. Guardando alla volta celeste, simbolo per eccellenza di ciò che ci è sconosciuto, l’uomo ha cercato di intuire l’ineffabile. Ergendolo a sede delle divinità che governano il mondo, il cielo è divenuto pian piano un punto fermo; cardine e controllore della vita sulla superficie terrestre. Questa pulsione primordiale, atavica ha permesso all’uomo di studiare il cielo, utilizzandolo per misurare il tempo: il calendario astronomico, con ogni probabilità, risulta essere la prima scoperta scientifica rilevante.

 

Introduzione

In migliaia di anni attraverso l’osservazione del cielo, l’uomo ha imparato quindi a prevedere la ciclicità degli eventi, riuscendo finalmente ad orientarsi nello spazio-tempo. In questo senso è inconfutabile l’influsso delle stelle e delle costellazioni sull’uomo; a lungo la sua vita è stata scandita dall’apparente moto celeste: semina, raccolto, transumanza etc., ogni momento della vita umana per millenni ha seguito lo scorrere delle stagioni.

Tutt’oggi studio, osservazione e comprensione dell’universo impegnano l’umanità tutta, man mano che le scoperte scientifiche si susseguono crescono proporzionalmente di numero le domande a cui vorremmo dare risposta.

Tali rivelazioni scientifiche sono continuamente confutate e sostituite da nuove teorie ed, oramai, molte delle antiche credenze sono dimostrate esser prive di qualsiasi fondamento scientifico. Ma non per questo sono da ritenersi di minor valore: interessano un altro ambito umano altrettanto importante, ossia quello spirituale. Richiamando Leibniz, la conoscenza intuitiva è chiara e distinta e nel corso dei millenni precedenti, è innegabile che molte intuizioni ricalcassero in qualche modo la verità, poi a volte dimostrata anche scientificamente, evidentemente mi riferisco sempre a verità intese in senso relativistico, in quanto come detto sopra non esiste alcuna teoria che non venga con il tempo confutata.

Più precisamente, le leggi, comprese quelle di natura, valgono in un determinato intervallo spazio-temporale, e difficilmente possono essere validate universalmente, proprio a causa dell’enorme variabilità intrinseca alla realtà delle cose. Gli unici costrutti umani che reggono a questa varietà sono quelli convenzionali, ovvero quelli che adottiamo per definizione conseguentemente ad un accordo con esclusivo riguardo ad esigenze pratiche o di comodo, naturalmente i calendari astronomici dell’antichità non fanno eccezione.

Permettetemi a questo punto una necessaria e, credo, opportuna digressione… più avanziamo nella ricerca astrofisica, più ci rendiamo conto che la nostra visione dell’Universo è limitata. In questo senso la centralità dell’uomo deve essere limitata al proprio mondo; tant’è che si è scoperto che la gran parte dell’Universo, circa l’80%, è composto da un’energia ed una materia che possiamo solamente definire «oscura»: è così diversa che – per adesso - è totalmente incomprensibile.

E’ facile, quindi rendersi conto, che la materia conosciuta, studiata, quella di cui siamo composti e che ci circonda può essere considerata come una rarità nell’Universo. Non è perciò difficile rimanere confusi e storditi da scoperte di tale portata, le nostre convinzioni più profonde appaiono minate alla base, ma d’altra parte questo dimostra che, ancora una volta, l’intuizione rimane il miglior senso a nostra disposizione ed è quindi fondamentale per la nostra esistenza coltivarlo e svilupparlo.

Infatti, la sfera spirituale umana non deve essere sconvolta dalle scoperte scientifiche e, di conseguenza, materiali, semmai può essere integrata ed avvicinata attraverso un processo sincretistico finalizzato alla comprensione superiore.

 

Lo zodiaco

Lo Zodiaco comprende tutte quelle costellazioni che si trovano sull’eclittica terrestre, che risiedono quindi sul tracciato immaginario segnato, nel nostro cielo, dal moto apparente del Sole durante l’anno (1). Furono i Babilonesi, due millenni prima di Cristo, ad utilizzare lo zodiaco come metodo per visualizzare il passaggio del tempo, come un calendario. Suddiviso in dodici periodi o settori (beru) di 30° ciascuno, ricorda le dodici nuove lune in un anno, in più ciò corrisponde al sistema numerico a base 12, utilizzato appunto da questo popolo per misurare lunghezze, superfici, volumi e capacità. A riprova di ciò si può addurre il fatto che i Sumeri e gli Assiro-Babilonesi solevano suddividere il giorno in dodici periodi (danna) della durata di due ore ciascuno.

I nomi stessi attribuiti alle costellazioni zodiacali, ancora oggi in uso, sono appunto di origine sumerica. La tabella a seguire illustra le varie costellazioni sull’eclittica ed il periodo in cui il moto apparente del Sole le attraversa.

 

Costellazioni nello Zodiaco (2)
costellazioni zodiacaliNella tradizione, le costellazioni zodiacali conosciute ai più, probabilmente perché adottate dall’astrologia, sono dodici, ma la realtà astronomica ne presenta tredici, l’ultima, quella esclusa, è chiamata Ofiuco. Innanzitutto, è necessario porre l’accento sull’origine dello zodiaco astrologico che, proprio come accennato in precedenza, non è altro che pura convenzione: se guardiamo alla tabella precedente è evidente come i periodi astronomici non corrispondano affatto ai rispettivi astrologici…

Nella realtà dei fatti le costellazioni hanno forme, grandezze e distanze dal nostro punto di osservazione alquanto dissimili: il Sole impiega solamente sette giorni per attraversare la più piccola (Scorpione) mentre ne impiega addirittura 45, ovvero sei volte tanto, per attraversare la Vergine. In più il fenomeno della “precessione degli equinozi” fa variare continuamente questi parametri. Il cambiamento continuo delle coordinate stellari e di conseguenza di quelle delle costellazioni, comprese le zodiacali, comporta che oggi i segni corrispondenti siano sfalsati di un angolo pari a circa 30° rispetto alle relative costellazioni, temporalmente, quindi, di circa un mese.

 

La costellazione del Serpentario

Ofiuco (in latino Ophiuchus, ovvero colui che porta il serpente, serpentario. serpentario in greco) è appunto la tredicesima costellazione dello Zodiaco, fu rappresentata anche da Tolomeo, nelle 48 che individuò sulle 88 attuali (3).

Visivamente era mostrata come un grande uomo che teneva in mano un “serpente”, il rettile rappresentava appunto l’omonima costellazione, solitamente divisa in due parti, coda e testa. Simbolicamente queste due costellazioni racchiudono una miriade di significati che per essere più facilmente compresi debbono essere inseriti nel contesto mitologico.

La mitologia antica riguardo al serpentario, fa riferimento in particolare a due figure: quella di Asclepio (dio della medicina) e quella di Polido (indovino)…

 

Asclepio (4) (greco Asclepio, traslitterato Asklepiós; latino Aesculapius, Esculapio)

“Cicerone ne conta tre. Il primo, figlio d’Apollo, e dio dell’Arcadia, il quale credesi abbia inventato […] la maniera di fasciare le piaghe. Il secondo, fratello del secondo Mercurio, è quegli che fu colpito dal fulmine, e sepolto a Cinosura. Il terzo, che trovò l’uso delle purghe, e l’arte di cavare i denti, è figlio di Arsippe e di Arsinoe. Sanconiatone ne cita un quarto (Vedi ESMUNO). Marsham ne trova un quinto, re di Menfi e fratello di Mercurio Primo, il quale viveva dugent’anni prima del Diluvio. Finalmente Eusebio parla di un Asclepio, o Esculapio, soprannominato Tosorthos, egiziano, e celebre medico; ma Freret non è d’avviso che Esculapio sia originario d’Egitto. La più comune opinione si è ch’egli era figlio di Apollo e di Coronide, che lo partorì sul monte Tittione presso l’Epidauro, ove l’avea condotta il di lei padre Flegia; e siccome Coronide in greco significa Cornacchia, venne pubblicato che Esculapio era nato sotto la figura di un serpente, da un uovo di Cornacchia (Vedi ARESTANE). Secondo altri, Mercurio, o Apollo istesso, trasse il bambino dal seno della madre, uccisa da Diana, e di già posta sul rogo. Nutrito da una donna chiamata Trigone, passò in poco tempo alla scuola di Chirone, ove fece rapidi progressi nella cognizione dei semplici, e nel comporre i rimedi. Ne inventò egli stesso un gran numero di salutari, unì la chirurgia alla medicina, e fu creduto inventore e dio della medicina. Accompagnò Ercole e Giasone alla spedizione della Colchide, e prestò grandi servigi agli Argonauti. Non contento di risanare i malati, risuscitò anche i morti. Pluto lo citò dinanzi al tribunale di Giove, e si lagnò che l’impero dei morti erasi notabilmente diminuito, e correva rischio di rimanere interamente deserto; di modo che Giove, irritato, con un colpo di folgore uccise Esculapio. Apollo, sdegnato per la morte del proprio figlio, uccise i Ciclopi che avevano fabbricato il fulmine di cui erasi Giove servito. Poco tempo dopo la sua morte, ebbe gli onori divini. Servio pretende ch’egli formasse il segno celeste, che chiama vasi Serpentario. […] Apollodoro però fìssa l’epoca dell’istituzione del suo culto, cinquantatré anni prima della presa di Troja. Quel culto fu prima di tutto stabilito nell’Epidauro, luogo della di lui nascita, donde si sparse ben presto in tutta la Grecia. In Epidauro era egli adorato sotto la figura di un serpente. […] Da quanto abbiamo finora accennato, il lettore rileverà facilmente che non in Grecia fa d’uopo cercare l’origine di Esculapio, ma bensì nella Fenicia, d’onde poscia passò nell’Egitto, e quindi, per mezzo delle Colonie che si traspiantarono nella Grecia, si diffuse per quella terra che tutti gli Dei raccoglieva, e cambiandone i nomi e perfin gli attributi, suoi propri rendevali, accumulando favole sopra favole; e fondamento della nostra opinione sarà lo stesso Sanconiatone, così male trascurato da Noël.
Dice dunque questo venerando autore che Esculapio volevasi figlio di Sydic, e di una delle Titanidi e fratello dei Cabiri. Questi Cabiri, come indica il loro nome orientale, significano grandi Dei; e i Fenici per grandi Dei ritenevano Giove, Cerere, Plutone, il Cielo e la Terra, tutti in somma quegli esseri allegorici che rappresentavano il più gran miracolo de la natura, cioè il corso del Sole. Essendo Esculapio uno di questi Cabiri, anzi più distinto di tutti sotto il nome di Esmun, come avremo occasione di vedere in appresso, è necessario cercarlo nel grand’Astro, del pari che Giove, Ercole, Apollo e tante altre deità di primo rango (Magni Dei) che vanno in esso a confondersi.

Gli antichi per esprimere allegoricamente l’annuo giro del Sole, ossia le sue periodiche rivoluzioni, hanno attribuito a quest’astro quei gradi di età, con cui si distingue ogni essere in natura.

Di fatti qual più bel simbolo di quello della gioventù per rappresentarlo quando passava nell’emisfero superiore, e riconducendo i lunghi giorni, animava tutto il creato? E quando la sua prolifica virtù riscaldava e movea quanto ha vita, qual altro simbolo migliore potevano essi rinvenire della robusta virilità?

Ecco perché l’hanno dipinto sotto l’allegorico aspetto del giovine Apollo e dell’invincibile Alcide. Così per necessità, quando ei discendeva al polo inferiore verso l’impero delle lunghe notti, e sembrava diminuirne la sua creatrice potenza e la natura cominciava a spogliarsi della sua pompa, con più opportuna immagine non potevano essi figurarlo che con quella della vecchiezza. Ed eccolo sotto le sembianze di Plutone, di Serapi, dì Esculapio e di tanti altri Numi mitologici che tale deterioramento vogliono significare. Questo deterioramento cominciava all’Equinozio d’autunno, epoca in cui il Sole congiungesi alla costellazione del serpente, raffigurata da un uomo avente nelle mani un serpe che intorno al corpo gli si avvolge. Ora noi vediamo in Igino, in Eratostene, in Germanico Cesare e in Servio che questo fu chiamato Esculapio, e serpente di Esculapio l’angue che tenea fra le mani. Dunque Esculapio non è che il simbolo del Sole all’equinozio di autunno su riferito.

Questo serpentario levasi il primo alla sera nel momento che il Sole si trova in congiunzione colle Jadi, il quale fenomeno succedea pure altre volte all’Equinozio della primavera quando il Sole pigliava il nome e le forme di Apollo. Le Jadi, che dagli antichi facevansi sette come le Plejadi, sono le sette Titanidi, da una delle quali Sanconiatone fa nascere Esculapio; opinione giustificata dalla madre che lo stesso autore attribuisce a loro, la quale è Astarte, quella bellissima dea che prendeva una testa di toro per contrassegno della sua sovranità; onde ne vien chiara la relazione colle Jadi, le quali sono stelle che veggonsi sulla fronte del toro. Una delle Jadi, secondo Igino, porta il nome di Coronide che la favola fa amante di Apollo e madre di Esculapio; altri, come Ovidio nei fasti, danno ad Esculapio Arsione per madre, la quale è un’altra delle Jadi: qualunque sia il nome di questa Jade o Titanide fatta madre di Esculapio, ognun vede l’origine di siffatta figliazione la quale si accorda col nostro sistema.

[…] Esculapio nel serpentario, come il Sole all’equinozio di autunno. […] Esculapio era l’espressione della facoltà che ha il Sole di conservare o di rigenerare i corpi. Ecco dunque un nuovo rapporto sotto il quale gli antichi considerarono il Sole ed una qualità particolare di quest’astro che riconobbero e celebrarono coi nomi di Esculapio e di Apollo.

L’invocarono specialmente d’autunno contro le malattie che in tale epoca si manifestano, cioè quando il Sole passa sotto il serpente; il suo soccorso allora parve più che mai necessario; e come dio della salute fu generalmente onorato. […] La statua di Esculapio nel gran tempio di Epidauro era composta d’oro e d’avorio: il dio stava seduto su d’un trono, col gomito appoggiato sovra un bastone, colla sinistra mano posata sul capo di un serpente e con un cane al fianco. Ed oltre a ciò erano sacri in tutto il paese i serpenti, emblemi di questa deità, e veniano con somma cura nutriti e addomesticati.

[…] Eravi in Sicione un tempio di Esculapio, nel cui ingresso trovavasi da un lato l’Auriga nunzio di primavera, e dall’altro l’immagine di Diana, ossia della Luna che alla primavera trovavasi piena nel segno opposto, ossia in congiunzione con Esculapio. Egli poi era rappresentato imberbe come Apollo. Si può dunque considerare come un vero Apollo, o come il Sole di primavera, che avea per Paranatellone Esculapio, ossia la costellazione in cui la luna trovavasi piena ogni anno a quell’epoca.

E qui sembra che avesse molta relazione all’occaso e alla luna opposta al Sole; poiché ivi si trovavano perfino le immagini del Sonno e dei Sogni. Il dio teneva in una mano lo scettro, nell’altra un ramo di pino, la cui scorza, come può vedersi in Pausania, era assomigliata dagli antichi alle scaglie del serpente; e ciò volea forse riferire alla tradizione la quale diceva essere stato quel dio portato da Epidauro in Sicione sotto la forma di serpente. Si è veduto come nella teologia fenicia egli passava per figlio di una Titanide; e sotto questa denominazione conoscevasi a Titane o Titanea, città vicina a Sicione, la quale dicevasi fondata da Titano fratello del Sole. […] eravi pure un altare sul quale sacrificavasi ai Venti al pari dei Fenici, ed una grotta in cui si serbavano dei serpenti sacri ai qual nessuno osava accostarsi.

[…] L’anno di Roma 462, la peste faceva strage in quella città, e a farla cessare si trovavano inutili i rimedi della medicina. I Pontefici, siccome narra Valerio Massimo, incaricati di consultare i libri sibillini, trovarono che l’unico mezzo di ripararsi da tanto flagello si era di trasportare in Roma Esculapio. E a tale effetto furono spediti ad Epidauro dieci fra i principali cittadini, de’quali era capo Quinto Ogulnio. Appena questi deputati furono giunti in Epidauro, Esculapio apparve al loro capo e sì gli parlò: «Non temete, o Romani, io navigherò con voi; ma sotto un’altra forma.

Mirate questo serpente che s’intortiglia intorno al mio bastone, ed osservatelo bene, acciò che possiate agevolmente ravvisarmi. E questa la forma ch’io ho risoluto di prendere, con la differenza però che voi mi vedre te più grande, siccome conviene agli Dei di appalesarsi ai mortali.» Difatti il dì seguente, egli comparve in mezzo del tempio, tale quale si era annunciato, corse in volta per tutta la città con somma sorpresa e venerazione degli abitanti che spargevano di fiori tutte le vie per le quali aggiratasi; e poiché al porto fu giunto, lanciassi nella Romana trireme, e si adagiò nelle camere di Quinto Ogulnio, ove si tenne tranquillamente attorcigliano in più cerchi. I Romani si misero prontamente alla vela e si fermarono in Anzio. Quivi il serpente uscì dalla nave e se ne andò nel vestibolo del tempio di Esculapio, dove fermassi tre giorni, indi ne ritornò per continuare il suo viaggio. Così giunse in riva del Tevere; e mentre gli ambasciatori erano intenti allo sbarco, gittossi in acqua e andossene a nuoto nell’isola, ove poscia fu edificato il suo tempio. A questa tradizione allude una medaglia di Commodo. […]”

 

La vicenda di Polido e Glauco (5) «Figliuolo d’Ippolito, e secondo altri di Minosse II, re di Creta, e di Pasiftie, fratello di Creteo, di Deucalione, di Fedra, di Arianna, e di quell’ Androgeo che fu posto a morte dagli Ateniesi, i quali trassero con tale assassinio sovra se stessi tante disavventure. Glauco nella sua infanzia cadde un giorno in una Botte piena di miele e vi perì soffocato. Il padre di lui, volendo sapere che fosse divenuto di suo figlio, e desiderando di ritrovarlo, andò a consultare l’oracolo. I sacerdoti di Giove, o, secondo Igino, quelli di Apollo gli risposero che nelle sue mandre eravi un bue di tre colori, e che quello tra gl’indovini, il quale avesse saputo far meglio la descrizione di quell’animale, gli renderebbe eziandio (6) il figlio vivo. Fra gli indovini chiamati all’uopo, Polido figliuolo di Cerano della città d’Argo, essendosi mostrato il più abile, ebbe ordine di cercare lo sparito giovinetto. Appena l’ebbe egli scoperto nella botte di miele, Minosse lo fece rinchiudere col morto, partecipandogli che egli non riacquisterebbe la libertà se non dopo d’aver restituita a Glauco la vita. Trovossi l’indovino in sommo imbarazzo; mentre però egli lagnavasi della sua sorte, arrivò un drago (7) il quale moveva verso l’estinto principe; Polido lo uccise; poco dopo, un altro ne sopraggiunse, il quale, vedendo il primo privo di moto e di vita, si allontanò, poscia ritornò ben presto, portando in Bocca una certa pianta, che posò sul corpo del morto drago, il quale risuscitò all’istante, e se ne andò col compagno. Polido, testimonio di sì fatto prodigio, afferrò quella pianta, ne stropicciò il corpo di Glauco, ed ebbe il piacere di vederlo tosto a rivivere. Minosse, non contento ancora di tanto servigio, proibì di lasciar partir 1’indovino, se non quando avesse egli insegnata a suo figlio l’arte della divinazione. Polido suo malgrado, vi acconsentì, ma essendo sul punto d’imbarcarsi per ritornare nell’Argolide, indusse il suo allievo a sputargli in bocca; ciò fatto, Polido prestamente si allontanò, e Glauco da quel momento obbliò quanto aveva appreso dell’arte d’indovinare. — Apollod. l.3, c.3. — Hygin. fab. 136 e 251 — Tzetzes in Lycophr. v. 811 — Palef. de incred. c. 27. — Quest’ultimo autore, che dà la spiegazione delle favole da lui riportate, pretende che Glauco non fosse altrimenti morto, ma che essendo caduto in una specie di svenimento, per aver mangiato troppo miele, furono chiamati molti medici, e che l’un d’essi chiamato Draco, parola che significa Dragone, trovò lo specifico di farlo rinvenire.»

 

La simbologia legata al serpente

Il serpente non è semplicemente un archetipo, ma un complesso archetipale: dalle prime rappresentazioni gli dèi creatori sono dei serpenti cosmici, sovente poi l’intreccio di una moltitudine di serpenti richiama alla mente sensazioni di viscido freddo relativo alla notte dei tempi, al mondo sotterraneo, alla malgama primordiale senza inizio e senza fine, una massa viva che sembra nascere, sparire e poi rinascere senza soluzione.

A tal proposito, molti autori (8), sono concordi nell’attribuirgli il significato dell’essenza profonda della vita: nella lingua caldea, vita e serpente erano identificati nello stesso vocabolo, in arabo i due vocaboli si avvicinano notevolmente (serpente = al-hayyah, vita = al-hayat).

Guénon poi ricorda uno dei nomi divini, Al-Hay, ossia il vivificante, colui che dà la vita o principio stesso della vita. In epoca cristiana il serpente quale impersonificazione di Lucifero, ossia il Demonio tentatore di Eva, ha trasposto l’antica valenza positiva in negativa, da simbolo della vita a simbolo del Male, in contrapposizione a quello dell’Aquila (il Bene). Innumerevoli altri sono i significati del serpente (Ouroboros, Caduceo etc.), rimandiamo quindi ad una prossima trattazione specifica dell’argomento, causa la necessaria economia di un articolo.

 

Conclusioni

Un buon risultato per questo articolo sarebbe stato quello di fornire una risposta alla domanda perché la costellazione dell’Ofiuco sia stata esclusa dai segni zodiacali propri dell’astrologia, ma purtroppo non ci è dato di conoscere la motivazione che ha spinto, oramai oltre cinque millenni fa, quegli antichi popoli a compiere questa scelta.

Di certo, che dovessero essere in numero di dodici è intrinseco, come precedentemente spiegato, nel sistema di numerazione utilizzato al tempo, che fra l’altro ha mantenuto sino ai nostri giorni la sua influenza sulla cultura occidentale ed orientale.

Quanto riportato ed evidenziato, rende chiare posizione ed importanza di questa costellazione nella cultura antica e classica; non potendo di fatto rispondere alla domanda dell’inserimento delle altre dodici in favore dell’esclusione di Ofiuco dalla schiera dei segni zodiacali, non resta che ipotizzare se e quali convenienze abbiano condotto a dimenticare nella cultura popolare questa costellazione, conosciuta quasi esclusivamente dagli esperti di settore.

Probabilmente le ragioni sono molteplici e contingenti, comunque quella per cui protendo esser la principale deriva essenzialmente dalla notevole “spinta culturale” cristiana durante la lunga epoca dell’Inquisizione (1184/1252 fino a tutto il XIX sec.), proprio quando vissero i padri dell’astronomia: mi riferisco a Copernico, a Tycho Brahe ed al suo allievo Keplero (Weil der Stadt, 1571 – Ratisbona, 1630), a Galilei e molti altri… In tale epoca, particolarmente refrattaria alle novità scientifiche e rigidamente ancorata alla visione del mondo aristotelica, l’immagine del serpente e di conseguenza del serpentario (Ofiuco) non rappresentavano sicuramente una scelta felice, proprio a causa del significato negativo attribuitogli dal cristianesimo, come se non bastasse, uno degli eventi astronomici più importanti dell’epoca interessò proprio la costellazione dell’Ofiuco: l’esplosione di una supernova fu osservata da Johannes Kepler che le dette il proprio nome (Stella di Keplero), il 10 ottobre 1604. L’accadimento, così ben descritto nella pubblicazione di Keplero “De Stella Nova in Pede Serpentarii”, fu utilizzata proprio da Galilei quale fondamento e prova a discredito del dogma aristotelico dell’immutabilità dei cieli (9), fatto questo che gettò molti nello sgomento e provocò l’immediata reazione dei teologi: a più voci continuarono a sostenere superiorità ed infallibilità della teologia rispetto all’astronomia ed alle altre scienze, considerate inferiori e fallaci. Ecco i momenti ed i racconti più salienti relativi alla costellazione di Ofiuco, se non altro, ne abbiamo riscoperto, ripercorso e vivificato la storia millenaria: una vicenda legata indissolubilmente all’Uomo, il suo Spirito e l’Infinito.

 

Gianmichele Galassi
Da Secreta Magazine n.9 Ottobre 2010

 

NOTE
1)
L’eclittica, più esattamente, è l’intersezione della sfera celeste con il piano d’orbita terrestre (piano eclittico). Può anche pensarsi come un cerchio massimo della sfera celeste percorsa dal Sole nel suo apparente moto annuo. Il piano d’orbita terrestre è il piano geometrico su cui giace l’orbita della Terra ed è anche chiamato piano dell’eclittica. Il nome eclittica deriva da eclissi, poiché le eclissi di Sole avvengono naturalmente su di essa. Il piano eclittico andrebbe distinto dal piano eclittico invariabile, che è perpendicolare alla somma vettoriale dei momenti angolari di tutti i piani orbitali planetari, di cui Giove è il principale contributore. Attualmente il piano eclittico è inclinato rispetto al piano eclittico invariabile di circa 1,5°. (voce tratta da Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Eclittica)

2) Tavola tradotta dall’originale del Dr. Lee T. Shapiro, Direttore del Morehead Planetarium. University of North Carolina, Chapel Hill.
3) La IAU (Unione Astronomica Internazionale) divide ufficialmente la volta celeste in 88 costellazioni, determinando precisi confini, in modo che ogni porzione del cielo appartenga inderogabilmente ad un'unica costellazione.
4) Tratta da: Dizionario storico-mitologico di tutti i popoli del mondo compilato dai signori Giovanni Pozzoli, Felice Romani e Antonio Peracchi. Tip. Vagnozzi, Livorno, 1829, tomo II, pagg. 693 e seg.
5) Tratta da: Dizionario storico-mitologico di tutti i popoli del mondo compilato dai signori Giovanni Pozzoli, Felice Romani e Antonio Peracchi. Tip. Vagnozzi, Livorno, 1829, tomo II, pag. 983.
6) Eziando è un termine arcaico composto da etiam seguito da Dio, che significa ancora, altresì.
7) Ovvero un serpente.
8) Keyserling H. Méditation sur-américaines, Parigi, 1932. R. Guénon. Simboli della scienza sacra. Milano, 1975. etc.
9) Nella “Historia e dimostrazioni intorno alle Macchie Solari”, pubblicato dall’Accademia dei Lincei nel 1613, con osservazioni condotte insieme al collega Castelli, Galileo Galilei conclude che le macchie solari sono sulla superficie del Sole e i loro moti, di conseguenza, indicano non lo spostamento di corpi esterni ma un vero e proprio movimento del Sole che trascina con sé le macchie. Ne deriva che il Sole ruota sul proprio asse in un mese. Un colpo decisivo, come lo definì Federico Cesi, allora presidente dell’Accademia dei Lincei, alla plurisecolare credenza sulla immutabilità dei cieli e dei corpi celesti. “Il funerale - sosteneva Galilei - o più tosto l’estremo e ultimo giuditio della pseudofilosofia”.

 

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