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Riflessioni sull'Alchimia

Riflessioni sull'Alchimia

di Elena Frasca Odorizzi   indice articoli

 

Un Alchimista di nome Orfeo in una tarsia rinascimentale senese del 1500

Aprile 2008
Revisionato nel mese di Gennaio 2012
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La descrizione della Tarsia e i Riferimenti Alchemici.
I Cristiani dei primi secoli erano soliti attribuire a Gesù le caratteristiche delle altre divinità pagane, per cui è abbastanza frequente trovare, nelle Catacombe, l'immagine di Cristo che libera le anime dal Limbo nei panni di Orfeo. Allo stesso modo, durante il Rinascimento, gli Umanisti riempirono i templi cristiani di immagini classiche paganeggianti, usandole per diffondere concezioni magico religiose antiche, che solamente loro, e purtroppo anche gli Inquisitori (72), erano in grado di comprendere (73).

Gli emblemi rinascimentali del Virgil Solis, del 1563/1609 (74), e dell'Orpheus beyond the Bacchantes del 1591 (75), che illustrano la storia di Orfeo narrata nelle Metamorfosi di Ovidio, sono così somiglianti alle immagini alchemiche dello Splendor Solis del 1582 e dell'Atalanta Fugiens di Michael Maier del 1617 (76), da far pensare che siano servite da modello per queste famose Opere. L'illustrazione più somigliante e coeva della nostra Tarsia è l'Orpheus unter den Tieren di autore anonimo, datato 1497 (77), nella quale ritroviamo i 3 alberi e 4 degli animali della Tarsia (78).

La scena è assai simile a quella narrata da Ovidio, nelle Metamorfosi:

 

C'era un colle, e sul colle una radura pianeggiante che germogli d'erba coprivano di verde. Non c'era ombra in quel luogo, ma quando il divino poeta vi venne a sedere e trasse dalla lira un accordo, l'ombra lì si diffuse: apparve l'albero della Caonia, e con quello il bosco delle Eliadi, il rovere svettante, i tigli flessuosi, il faggio, il vergine alloro, le fragili avellane, il frassino che serve per le lance, l'abete senza nodi, il leccio appesantito dalle ghiande, il platano fastoso, l'acero di diversi colori, e insieme a loro i salici di fiume, il loto d'acqua, il bosso sempreverde, le tenere tamerici, il mirto di due colori e il timo con le sue bacche azzurre. E voi pure veniste, edere dalle radici aggrovigliate, e le viti piene di pampini, gli olmi avviluppati di viti, e ornielli, pìcee, corbezzoli carichi di frutti rosseggianti, tranquille palme che si danno in premio ai vincitori, e il pino che si erge con la sua chioma arruffata raccolta in cima, il pino, caro a Cibele, la madre degli dei, se è vero che per lei Attis si spogliò del suo corpo per fissarsi in quel tronco. A questa folla si aggiunse il cipresso, che ricorda il sonno eterno, albero adesso, ma un giorno fanciullo amato da quel dio che padroneggia la corda dell'arco e quelle della cetra.  [...] Questo era il bosco adunato da Orfeo, che vi sedeva in mezzo, circondato da una torma d'animali selvatici e d'uccelli. E quando, pizzicandole col pollice, ebbe accordato le corde e sentì che le note, pur nella diversità dei suoni, erano in giusto rapporto fra loro, diede inizio a questo canto [...]i (79).

 

Anche il nostro Orfeo si trova al centro di un bosco, circondato da fiere e uccelli. Alle sue spalle vi sono tre grandi alberi, alternati a due più piccoli, senza frutti. Tra le foglie dei due alberi laterali spuntano ricci di castagne, a gruppi di tre, mentre dalle numerose piccole ghiande colorate capiamo che l'albero centrale è una quercia. Sul terreno, in un gioco di corrispondenze tra ciò che sta in alto e ciò che sta in basso, scorgiamo pietre e gruppi di trifogli quasi cancellati dal tempo. Ritroviamo il trifoglio nelle mani di un uomo-cervo, in un emblema alchemico del 1618, il Janitor Pansophus, a simboleggiare che il Mercurio dei Filosofi si ottiene estraendo il ternario dall'unità  e poi  riportando il ternario all'unità (80).

 

Orfeo


L'albero centrale potrebbe velare un riferimento alle doti profetiche di Orfeo, rievocando la Quercia di Dodona, famosa per ospitare il più antico Oracolo della Grecia, originariamente dedicato a una Dea preellenica (81) e alle sue Sacerdotesse, le Peleiades, (Colombe (82)). Potrebbe però trattarsi anche di una allusione alla discesa negli Inferi e l'albero potrebbe essere una quercia ilex, ovvero un Leccio “sempreverde”, che secondo gli antichi nasceva sulla soglia dell'Aldilà (83). La presenza delle Castagne e delle Ghiande, che giungono a maturazione nel mese dedicato ai defunti, ci fa comunque capire che la scena si svolge in Autunno, tempo di morte e putrefazione dellaNatura, ma anche promessa di futura resurrezione e fertilità (84), perché in questo periodo i Semi scendono nella terra per risorgere in Primavera.

Il Sole e la Luna Crescente splendono insieme nel cielo, proprio al di sopra degli alberi. Sommando i due luminari ai cinque alberi della Tarsia, non si può non pensare, ancora una volta, all'illustrazione alchemica del Janitor pansophus, dove ai sette pianeti celesti corrispondono sulla terra, altrettante querce (85) di natura “metallica”, sotto la cui influenza, si forma la misteriosa pietra dei filosofi.

Una immagine simile si trova in altri due importanti emblemi settecenteschi, la Bussola dei Saggi (86), (The Compass of the wise), e il Trionfo Ermetico (87) di Limojon de Sainct Disdier. In quest'ultimo testo nel commento si legge (88):

 

Dunque si accontenterà di vedere in questa figura come in uno specchio, il riassunto di tutta la filosofia segreta [...] Coloro che sono iniziati ai Misteri Filosofici comprenderanno subito e con facilità il senso occulto di questa figura, mentre coloro che non avranno codesti lumi dovranno qui considerare, in generale, una mutua corrispondenza tra il Cielo e la Terra, per mezzo del Sole e della Luna che sono come i segreti legami di questa unione filosofica. [...] Osserveranno inoltre quale efficacia la Pietra sublimata riceva dal Sole e dalla Luna, che ne sono il Padre e la Madre, e dai quali essa eredita subito la prima corona di perfezione.

 

OrfeoL'immagine de Sole e della Luna, disposti alla sinistra e alla destra di una Divinità, è presente solo in quei luoghi, come i Mitrei (89), dove un tempo si svolgevano Misteri iniziatici e che in origine erano semplici Boschi e Caverne (90).

Osservando l'immagine  tridimensionalmente, anche il  Bosco della Tarsia sembra un Tempio della Natura, con i due Castagni piantati come colonne (91) d'ingresso e una struttura absidale, più interna, composta dai due alberi più piccoli e dal Leccio, che, sotto la sua chioma a cupola, accoglie il figlio di Apollo. Lo stesso Orfeo, che nelle rappresentazioni più antiche portava il rosso cappello sacerdotale frigio, seduto su un trono di roccia e posto tra il Sole e la Luna, ci ricorda inevitabilmente il Dio Mithra, «la luce che sorge ad Est», il Dio nato dalla Pietra (92), circondato dai suoi cosmici animali.

Gli animali che siedono intorno a Orfeo sono una Lupa, un Unicorno, un Leone e un animale maculato, identificato dal Serino come una Lonza o Lince. Su di essi torneremo più avanti, ma il bosco oscuro e la presenza di tutti e tre gli animali incontrati da Dante all'inizio del suo viaggio all'inferno, portano inevitabilmente alla memoria i primi versi della Divina Commedia: «Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita». Che il riferimento sia voluto o no, sicuramente ben si concilia con la condizione di Orfeo che inizia il suo Viaggio interiore scendendo nell'Ade.

Anche il noto aforisma alchemico del V.I.T.R.I.O.L., invita gli alchimisti a scendere nelle profondità della Terra, «Visita Interiorae Terre Rectificando Invenies Occultum Lapidem»,(Visita l’Interno della Terra e Rettificando Troverai la Pietra Nascosta), ma l'Occulta Pietra Filosofale, dove è nella nostra Tarsia?

Come dicono Huginus a Barmâ el'Alchimista Morienus:

 

La sostanza che si cerca è come la sostanza da cui la si deve trarre, (Regola II) ;  Nulla di estraneo entra nella nostra opera: essa non ammette e non riceve niente che provenga da altrove, (Regola XVI); I Filosofi, saggiamente, hanno detto che il Mercurio rinchiude tutto ciò che è l'oggetto della ricerca dei Saggi, (Regola XXI) (93);

[...] questa cosa [la pietra nascosta del VITRIOL] infatti si estrae da te, poiché tu stesso ne sei la miniera, la si può trovare presso di te e trarla da te, e dopo che ne avrai fatto esperienza aumenterà in te l’amore per essa. Comprendi questo, e saprai che è la verità (94).

 

La Pietra Filosofale è dunque lo stesso Orfeo, che è anche Alchimista, Vaso, Fuoco e Materia vivente, insieme. Il suo nome, “smembrato” e ricomposto, secondo le regole della Gaia Scienza, ce lo conferma rivelandoci che Egli «Oro fè» (95), cioè Fece l'Oro e di Oro è Fatto.

Veniamo adesso all'analisi dell'intero processo alchemico celato nella Tarsia.

Il corpo di Orfeo, di colore bianco/giallo, è nudo. Il divino Aedo si è liberato della regale veste rossa (96), abbandonandola su una pietra bianca “squadrata”, (quindi intrinsecamente “aurea” (97)), che funge da trono, ma il cui basamento è una informe e grande pietra grigio-nera.

Questa pietra grezza, plumbea e cupa è la misteriosa Sostanza originaria degli alchimisti: indifferenziata all'inizio, ma pronta a trovare la sua forma, alleggerendosi di ogni sporcizia e di ogni zavorra superflua.

La pietra bianca e la stoffa rossa rievocano, invece, i versi del poeta Omero, spiegati dal neoplatonico Porfirio, nel suo famoso  Antro delle Ninfe:

 

Lì [nell'antro ci sono] alti telai di pietra, sui quali le Ninfe tessono stoffe color porpora, meravigliose a vedersi [...]  È infatti nelle ossa e attorno alle ossa che si forma la carne e negli animali queste tengono della pietra, (di là) l’assimilazione con la pietra. E perciò i telai sono fatti di pietra e non di altra materia. Le stoffe color porpora sono apertamente la carne intessuta di sangue: [...] Il corpo è la veste dell’anima che lo indossi; cosa meravigliosa a vedersi, sia che tu consideri la struttura (di questo), sia l’unione dell’anima con questo (98).

 

L'abbandono della veste rossa, l'abito di carne, allude quindi, non solo a una qualche operazione chimica di purificazione, ma anche a un reale distacco della Mente dalle cose materialistiche, che sono limitanti per lo Spirito:

 

OrfeoLe soluzioni filosofiche tolgono al corpo dissolto le sue impurità naturali che in nessun altro modo possono essere rese sensibili (99). (Regola XVII)

 

L'ordine delle Operazioni da compiere è dato da precisi colori, che la sostanza assume, man mano che trasmuta. Questi colori sono « il nero, il bianco, il giallo limone e il rosso perfetto. (Regola XXIV)»:

 

[bisogna fare] attenzione all'ordine in cui i colori critici appariranno; che l'uno non preceda l'altro e che ciascuno di essi si presenti al suo turno (100) [perchè] il fermento non è composto che dalla sua propria pasta: non mescolate quindi il bianco con il rosso, né il rosso con il bianco (101). (Regola XXIII)

 

La trasmutazione alchemica è dunque un processo dolce e delicato, che deve avvenire secondo tappe ben precise, sia che si tratti di cambiamenti spirituali e fisiologici, che di trasformazioni chimiche e biochimiche. Ogni cosa, materiale o spirituale che sia, ha il suo tempo di maturazione, per cui Niente va forzato “contro la sua natura”, se non si vuole “bruciare” tutto e ricominciare da capo.

Orfeo, con il suo colore aranciato, allude sia alla fase intermedia tra il Bianco Mercuriale dell'Albedo e al Rosso Solfureo della Rubedo, sia all'avvenuta trasformazione del Piombo in Oro.

Gli stessi colori sono presenti anche nel mondo animale, vegetale e minerale (102), che lo circonda, perché la Materia Prima e Universale si trova in ogni cosa e di conseguenza ogni cosa è collegata tra sé, così come dicevano gli Stoici e come recita la Tavola di Smeraldo:

 

Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare i miracoli della cosa una (103).

 

OrfeoCome abbiamo visto, Orfeo che si guarda nello Speculum Naturae, è la materia prima a contatto con gli agenti, i reagenti e gli accidenti, ovvero le prove della vita che portano la nostra Mente a mettere in discussione se stessa. Durante la distillazione,«l’operazione più nobile e più comune (104)», la sostanza primigenia si divide in elementi terrestri, più pesanti, che restano sul fondo a imputridire ed elementi celesti, più leggeri, che prendendo la via aerea salgono e di nuovo scendono per mescolarsi con quel che resta della materia purificata. L'idea del ricircolo necessario alla Purificazione della sostanza prima, attraverso continue e successive distillazioni e condensazioni è raffigurata nell'immagine di un felino e di un volatile, (nel doppio senso senso di uccello e di sostanza aeriforme), che si azzuffano, sotto un albero, alle spalle di Orfeo. Fedele allegoria delle due sostanze alchemiche che si combattono, rappresentate spesso con l'emblema di un doppio Ouroboros, come quello settecentesco dell'Alchimista Abraham Eleazar, nel quale si vedono due serpenti che si mordono la coda, uno dei quali è coronato e possiede un paio di ali e due zampe artigliate (105).

Gli uccelli purtroppo non sono tutti completamente riconoscibili, ma è indubbio che tra essi figurino i maggiori predatori diurni e notturni, cioè aquile, falchi e gufi, ognuno con il suo proprio significato simbolico, alchemico e astronomico. In totale sono quattro come le fiere, più l'aquila e il leone che si azzuffano e un uccello misterioso, che indifferente alla scena e serenamente appollaiato sopra la pietra bianca, dorme vicino ad Orfeo.

Si tratta, molto probabilmente, della misteriosa Fenice che secondo alcuni rinasce dalle proprie ceneri ogni 500 anni (106) e che simboleggia l'Iniziato che si rinnova ed evolve, morendo e rinascendo continuamente a se stesso, ma rappresenta anche la Pietra Filosofale con le sue famose proprietà taumaturgiche, che «prende una nuova vita nel Fuoco»:

 

Nella continuazione della Pratica, essi vedranno che l'Arte dà una doppia corona di perfezione di questo divino liquore attraverso la conversione degli Elementi e per mezzo dell'estrazione e della depurazione dei Principi. Con questo egli diventa quel misterioso Caduceo di Mercurio che opera delle metamorfosi sorprendenti. Vedranno inoltre questo stesso Mercurio, come una Fenice che prende una nuova vita nel Fuoco, giunge con il Magistero all'ultima perfezione di Solfo fisso dei Filosofi, perfezione che gli dà un potere sovrano sui tre generi di natura, di cui la triplice corona, su cui è posto per questo geroglifico del mondo, è il carattere più pregnante (107).

 

La sua somiglianza con l'Uccello-Anima che annuncia la nascita di uno Sciamano è significativa:

 

[...] ogni sciamano ha un Uccello Rapace-Madre che rassomiglia ad un grosso volatile, con un becco di ferro, artigli adunchi e una lunga coda. Questo uccello mitico appare due sole volte: alla nascita spirituale dello sciamano e alla sua morte. Gli prende l'anima, la porta nell'Inferno e la fa maturare sul ramo di un abete. Quando l'anima ha conseguito la maturità, l'uccello ritorna sulla terra, taglia il corpo del candidato a pezzi, che egli distribuisce fra gli spiriti malvagi delle malattie e della morte. Ciascuno di questi spiriti divora il pezzo del corpo che gli spetta , il che ha per effetto l'acquisizione, da parte del futuro sciamano della facoltà di guarire le corrispondenti malattie (108). [...] gli stregoni, i medicine-man in genere non possono essere considerati come semplici malati [...] Perchè essi si sono guariti da sé e sanno o guarire gli altri, ciò, fra l'altro, è dovuto al fatto che essi conoscono il meccanismo – o meglio ancora, la teoria – della malattia (109).

 

Questo concetto è del tutto simile alla Regola XXXIV della Pietra di Paragone secondo cui la Pietra Filosofale ha il potere guarire ogni malattia:

 

La nostra pietra, prima di essere in grado di tingere i metalli, scaccia le malattie del suo genere proporzionate al grado di perfezione da lei acquisito.

 

A questo punto ci manca solo «l'occasione per osservare [...] quanto sta a simboleggiare la porzione di Zodiaco (110)» in cui si deve svolgere l'Opera alchemica. Dobbiamo cioè capire quale sia il periodo adatto all'Opera e quale sia il giusto regime del fuoco da tenere.

La risposta risiede nell'osservazione del Ciclo del Sole e della Luna, prendendo come punto di riferimento la posizione di Orfeo, Axis Mundi intorno alla quale ruota tutta la Tarsia, ma anche ciò che dice Manlio riguardo alla Fenice, e cioè che «con la vita di questo uccello si compie la rivoluzione del Grande Anno, e di nuovo ritornano gli stessi segni delle stagioni e le stesse costellazioni (111)».

Nel nostro caso non si tratta di un intero Ciclo Cosmico, ma più semplicemente di Cicli Annuali che si susseguono.

Oggi giorno, con l'affermarsi del Paganesimo Moderno (o Neopaganesimo), è risaputo che nell'antichità era normale ritualizzare l’alternarsi ciclico della morte e della rinascita in rapporto ai Ritmi della Natura. Anche gli Alchimisti conoscevano questi “Misteri” e hanno sempre seguito le orme di Madre Natura, ribattezzando l'Alchimia con il nome di Agricoltura Celeste.

Come abbiamo visto l'Est cosmico primaverile si trova alle spalle di Orfeo, mentre noi, che osserviamo la scena dall'ingresso di questo antro vegetale, ci troviamo, ovviamente, a Ovest, direzione astronomica che corrisponde all'Equinozio di Autunno. I Lavori dell'Anno Alchemico cominciano proprio con la Nigredo Autunnale, (cosa che le Castagne e le Ghiande ci avevano già confermato), mentre la Pietra nasce in Primavera sotto il segno del Toro (112). L'Ovest è anche una posizione simbolica, al di fuori dello spazio e del tempo, è il punto dal quale il Profano, (colui che si trova davanti al Tempio, pro fanum), muove i suoi primi passi per entrare in una Nuova Dimensione dell'Essere, ma questo concetto lo spiegherò in modo più chiaro, in un articolo successivo intitolato il Gioco dell'Ouroboros, nel quale ho condensato tutto il mio Cammino di Alchimista. Allo stesso modo il significato delle Fasi Alchemiche verrà approfondito in un articolo dedicato alla Tavola di Smeraldo, mentre qui sarà sufficiente spiegare che ogni Stagione rappresenta una Fase alchemica, che porta in sé le energie necessarie alla trasformazione di tutta la Natura.

Queste 4 fasi sono rappresentate dalle quattro Fiere,  disposte ai quattro angoli della Tarsia, al cui centro si trova Orfeo, con la sua Fenice, la Quintessenza che nasce dalle 4 Fasi alchemiche, dominate dai 4 Elementi stagionali, corrispondenti a 4 regimi di fuoco. Ciò può essere dimostrato confrontando questa immagine con una famosa illustrazione del Viridarium chymicum, (del 1624), dove compaiono le 4 Stagioni sotto forma di quattro giovani fanciulle, che stanno ognuna in equilibrio su una  sfera, tenendo un vaso sulla testa. Ogni sfera ha impresso sopra il simbolo di uno dei 4 Elementi, mentre ogni vaso rappresenta una Fase e una Sostanza dell'Opera (113).

 

Orfeo


I piedi i Orfeo, come le punte di un Compasso ci indicano la Lupa e il Leone, cioè il momento della Semina e quello del Raccolto, l''inizio e la fine del ciclico di lavoro alchemico. Muovendoci in senso antiorario, come il moto apparente del Sole nello Zodiaco, partiamo dalla Lupa nera, sacra a Marte, che a sua volta è il Signore planetario del Segno dello Scorpione. L'Acqua di vita e di morte di questo Segno autunnale, come il liquido torbido e putrido della Nigredo, nasconde, sotto una falsa immobilità, fermentazioni interne di microrganismi intenti a digerire la Materia. In questo periodo si dice che nelle personalità melanconiche (114) i pensieri si facciano più cupi e siano simili al fumo grigio che brucia nei loro vasi di vetro.

Segue l'Unicorno simbolo alchemico del Mercurio e allegoria di castità e purezza. Questi  rappresenta la fase di sbiancamento della sostanza, quando la putrefazione arrivata ormai alle ossa si avvia verso l'albedo, il momento della bianca pace Invernale. L'Unicorno della Tarsia ricorda vagamente un Capricorno, con il quale condivide non solo il Corno, ma anche la posizione astronomica che lo collega al Solstizio d'Inverno, momento nel quale la Luce torna a prevalere sull'Oscurità nella notte più buia dell'anno e si celebra la festa del Sol Invictus. Periodo caro a Porfirio, che parla di questa direzione cosmica come della «porta dalla quale passano coloro che ascendono agli dei (115)» e che alchemicamente corrisponde al momento in cui le sostanze volatili e leggere e purificate si sollevano nella parte alta dell'Alambicco, mentre spiritualmente gli istinti più bassi lasciano spazio agli ideali più elevati.

Troviamo poi la Lonza Gialla, le cui macchie nere sulla pelliccia color oro ci ricordano l'avvenuto passaggio dal buio alla luce. Questa rappresenta la Citrinitas primaverile, che spesso non viene citata per adeguare l'antica sapienza alchemica pagana all'idea ternaria dell'alchimia cristianizzata, rendendo però incomprensibili le modalità dei processi chimici e iniziatici antichi. La Lonza, simbolo di Lussuria, contrapposta al Casto, ma fallico, Unicorno, ben si presta a rappresentare sia la Stagione Primaverile, nella quale i sensi sopiti e il desiderio di godere, anche sessualmente, della nuova vita si risvegliano in tutti gli esseri viventi, sia le Nozze Chmiche, nelle quali si celebra la Conjucto Oppositorum che è all'origine della nascita della Pietra dei Filosofi.

Arriviamo finalmente al Leone Rosso, animale che rappresenta astrologicamente l'Estate e alchemicamente lo Zolfo. È infatti in Estate che il Regno di Saturno si trasforma in età dell'Oro, cioè i frutti di Demetra piantati in autunno e nati tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, giungono a maturazione. Allora l'Opera è compiuta, le «spighe mietute e battute», (smembrate), cedono la loro Essenza e i preziosi chicchi d'oro sono pronti per essere nuovamente seminati, “macinati” o “proiettati”:

 

[...] E così una pianta dopo l'inverno e all'avvicinarsi della primavera non si mostra ancora. Essa ha la sua radice nascosta nel seno della terra, è nera, completamente arida e informe. Ma come il calore del Sole ne ha avviata la crescita, questa avviene debolmente, insensibilmente; e ben presto , col riverbero che gli ardori dell'estate le fanno provare, la pianta riceve successivamente i quattro colori principali. Quando, prima di tutto, la radice produce un'erba tenera, questa erba dà un fiore e infine da questo fiore viene fuori una semente: ora la semente è la tintura e la quintessenza di questa erba (116).

 

Chi è dunque l'Orfeo senese?
Orfeo è l'essenza stessa dell'En To Pan, del Tutto è Uno degli Alchimisti.

È Sciamano, Profeta di Dioniso e di Osiride, Divulgatore dei Misteri di Demetra e di Iside, Erede di Ermete Trismegisto, Allievo dei Dattili Idei, Alchimista, Vaso, Fuoco, Materia Prima e Pietra Filosofale, Tutto in un'unica persona, ma è anche qualcosa di più: è una Porta su un'altra Dimensione dell'Essere. È uno di quei Magici Passaggi sparsi per il Mondo, visibili solamente a chi sia disposto a viaggiare oltre l'ordinario, al di là dell'illusione e dell'apparenza.

Entrare nel Bosco di Orfeo, oltrepassare la Soglia, non è difficile, basta comportarsi come quei giovani e quelle giovani, che desiderando divenire Sciamani, si presentano con un dono al Maestro che hanno scelto, dichiarando: «Sono venuto da te perché desidero vedere (117)».

Nel frattempo, dal pavimento del Sancta Sanctorum Senese, il Divino Aedo continuerà a diffondere a ignari turisti, le conoscenze operative, (le leges e le licteras degli Egizi), che il suo Maestro, Ermete Trismegisto, ci invita ad accogliere dal Duomo di Siena. Conoscenze che corrispondono a una sorta di Calendario Cosmico della Semina Spirituale, una Mappa di Viaggio, che descrive per simboli le Tappe della Grande Opera, cioè l'antica Via di Realizzazione Interiore degli Alchimisti, che attende solo di essere percorsa da nuove generazioni di Figli dell'Arte, novelli Orfei, che vogliono “Fare l'Oro”.

 

   Elena Frasca Odorizzi

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