Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Rorty e l'ironia liberale
di Massimo Fontana - Dicembre 2014
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Un nuovo discorso
Su un piano ancora filosofico, in Philosophy and the Mirror of Nature va delineandosi un pensiero antirealista in ontologia, antifondazionalista in epistemologia e promotore dell’abbandono della metafora che nominiamo “mente”.
La parte finale di Philosophy and the Mirror of Nature conduce a rotte post-analitiche, ermeneutiche. La proposta è ancora quella di accantonare la pretesa di rincorrere una conoscenza fondante, per intraprendere invece un cammino di conversazione, persuasione, confronto tra diverse descrizioni della realtà. Una rielaborazione continua che ci porta lontani dalle premesse iniziali e verso nuove acquisizioni. Così, nella Fenomenologia dello spirito, secondo Rorty, Hegel costruirebbe nuove credenze, attraverso un particolare genere narrativo e dialettico.
Questo nuovo discorso anormale sarebbe formulato da una diversa classe di intellettuali che allaccerebbero molteplici colloqui interdisciplinari senza fini fondazionali.
Più in generale si allude a una versione dell'illuminismo non dogmatica e priva della glassy essence e del linguaggio come tramite privilegiato tra noi e la verità. Un illuminismo che non cerchi di stabilire relazioni definitive con la verità, che usi termini come “accordo” piuttosto che come “oggettività”.
La nuova filosofia senza specchi è difficile da immaginare, ma per Rorty sarebbe terapeutica, ridescriverebbe ed educherebbe a sempre nuovi vocabolari. Ciò che conta è aver chiara la variabilità dei vocabolari della descrizione rispetto all'io, ai momenti storici, alle tradizioni, alle circostanze, anche se il discorso anormale ermeneutico deve poggiare inizialmente su quello normale e accademico, in un modo che Rorty stesso definisce anche parassitario.
In una sorta di gioco filosofico delle contrapposizioni caro a Rorty ecco alcuni nomi: Dewey, Freud, Gadamer, Goethe, Heidegger, James, Kierkegaard, Marx, Sartre, Wittgenstein (edificanti, reattivi) e Descartes, Husserl, Kant, Locke, Russell (sistematici, costruttivi).
Gli autori edificanti propongono un nuovo vocabolario, un discorso anormale.
Se anche prendessimo in considerazione le scoperte scientifiche che introducono un nuovo paradigma rivoluzionante, decisiva non sarebbe tanto la scoperta in sé, ma i termini coniati per introdurla nella comunità scientifica. Il discorso anormale minerebbe profondamente i presupposti che stanno alla base dei discorsi normali attribuibili ai vecchi vocabolari, ancorati a un paradigma superato.
Non si tratta dunque di sintetizzare un linguaggio perfetto, né di scoprire la logica del linguaggio d'uso, ma semplicemente di dimenticare il vecchio paradigma per abbracciarne uno nuovo.
La verità che una descrizione porta con sé è contingente ed è vera in relazione al periodo storico e al tipo di vocabolario affermatosi. Basterà che qualcuno introduca una nuova descrizione per far dimenticare quella vecchia, che sembrava definitiva. Per fare questo il nuovo vocabolario non si confronterà con il vecchio, ma aprirà un'altra strada, senza prendere in considerazione i problemi risolti e irrisolti da quello vecchio. Potremmo pensare alle descrizioni dell'universo e delle sue leggi compiute da Newton e al superamento compiuto da Einstein, per comprendere l'importanza dell'introduzione di un nuovo paradigma, un nuovo vocabolario.
Visto con le lenti della filosofia continentale potremmo dire che Rorty crede nel passaggio dal paradigma dell'epistemologia a quello dell'ermeneutica, ma una proposizione del genere non sarebbe ancora completa e non terrebbe molto conto della tradizione pragmatista americana. In questo senso, e ad esempio, come nota anche Gianni Vattimo, in Rorty non c’è più traccia della distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, tutto sommato ancora presente in Gadamer. Una differenza tra la cultura scientifica e dogmatica e quella umanistica e terapeutica, semmai, non è negli argomenti trattati, ma nel carattere definitivo dei termini scientifici e in quello contingente di quelli usati in ambito umanistico.Il discorso normale e dogmatico edifica un muro tra gli interlocutori nelle discussione, attraverso termini canonici che tentano di definire ogni volta qualcosa di oggettivo ed esterno alla conversazione stessa, terminandola. Rorty ritiene che si possa perseguire la pratica delle conversazioni platoniche pur senza cadere nell'errore di cercare una aρχή, una nuova origine fondante.
La filosofia intesa come tentativo di dare un taglio definitivo alla discussione lascia il posto a un confronto continuo tra diverse descrizioni del mondo, per risolvere problemi concreti e contingenti. Versioni che vengono continuamente riviste e aggiornate con il mutamento dei presupposti storici, sociali, ambientali entro le quali sono maturate, al sorgere di nuovi problemi.
Comprendere è tentare di tradurre nel proprio linguaggio ciò che dice il nostro interlocutore, perché non abbiamo la possibilità di uscire dal gioco linguistico per connetterci a qualcosa che lo trascenda e lo includa.
L'individuo che esce dalla terapia filosofica edificante è un individuo per il quale “mente”, privata della sua essenza vitrea, è la parola che usiamo per indicare una rete di credenze, desideri e atteggiamenti enunciativi in continua riformulazione. L'io non possiede speranze e credenze, ma è una rete di speranze e credenze.
La funzione autocreativa del linguaggio metaforico si distende e si riadatta in base alle nuove credenze (Rorty trasforma anche i desideri in credenze) del soggetto.
Questa complessa rete di credenze e desideri non rimane uguale a se stessa, ma è in continua ridefinizione grazie alle stimolazioni provenienti da nuovi incontri, nuovi libri letti, altre descrizioni del mondo.
In questo senso, ermeneutica per Rorty significa aver letto una quantità di libri quanto più possibile ampia e attraverso queste letture riaggiustare la propria rete di credenze e desideri. Allo stesso tempo leggere dei testi significa leggerli alla luce degli altri testi letti, della propria storia.
Interpretare un testo equivale a dire qualcosa di originale su di esso attraverso la nostra personale ridescrizione, a usarlo, senza che nulla ci autorizzi a sperare di comprendere come "funziona un testo".
Utilizzare il testo piegandolo alla nostra ridescrizione, più che una necessità, è l'unica cosa che possiamo fare dal momento che non esiste un'unità originale dello stesso che possa essere conosciuta e violata.
Si tratta della distinzione tra il sapere in anticipo ciò che si vuole ottenere da una persona, una cosa oppure un testo, e lo sperare che questa persona, cosa o testo ci aiutino a desiderare qualcosa di diverso, a cambiare i nostri scopi, e così la nostra vita. Credo che questa distinzione permetta di fare luce sulla differenza tra letture metodiche e letture ispirate (Richard Rorty, Il progresso del pragmatista, in Umberto Eco, Interpretazione e sovrainterpretazione, Milano 1995, p.130).
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