Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Lao-Tzu mito o realtà?
di VanLag
Mai come oggi la mente è assetata di sapienza; di tutti i piaceri da gustare, di tutti i bisogni e i desideri da colmare, la sapienza è il più sottile, la quintessenza del possesso, anche se la sua distanza da ciò che s’intende ordinariamente per “proprietà” è la massima immaginabile. Infatti non è una cosa concreta e palpabile, non è un’idea astratta né alcuno dei sentimenti, delle passioni che ingombrano il cuore, non è una dottrina, una religione, una filosofia della vita o della morte, non è un’arte della conquista e della rinuncia, benché sembri tale, non corrisponde ad azioni da compiere, non produce fatti misurabili, nemmeno è un sistema di memoria, un teorema o un procedimento di logica. Interpellata come un concetto non reagisce alla deduzione, all’analisi alla sentesi. Valutata come ipotesi, rimane inalterata; respinta come irreale rimane dov’è inesorabile e inviolata.
La sapienza non ha storia, benché con qualche sforzo si possa tracciare la parabola del suo sorgere e tramontare in certe culture, a loro dispetto. E’ odiata come poche altre verità della vicenda umana perché è fatta per sconvolgere gli equilibri della ragione e gli interessi del potere. Non è stata mai veramente desiderata anche dai pochi che dichiarano di amarla, perché si preferisce tenerla sulla striscia dell’orizzonte, a portata di sguardo non di mano, certi che essa ne sarebbe bruciata. Si trae sollievo pensandola antica, addirittura ancestrale: madre di archetipi, affabulatrice di miti, levatrice perpetua di simboli, sogguardati con astio da chi teme di venirne ghermito. La sapienza, dicevamo, non ha storia…. E il sapiente?
(dalla prefazione di Grazia Marchianò al libro: “Io sono quello” - I dialoghi con un sapiente di villaggio - Edizione Rizzoli)
Lao Tzu, il Vecchio Maestro.
Lao Tzu, (604? - 531? a.C), da qui in poi nominato come Laozi, significa vecchio (lao) maestro (zi), o anche “vecchio bambino”, quindi, in accordo con lo spirito taoista, una denominazione che può indicare tutti o nessuno, o più semplicemente può indicare la “sapienza” che giace, più o meno addormentata, nel cuore di tutti gli uomini. La tradizione vuole che questo appellativo fu dato ad un maestro in ossa e carne che visse ai tempi di K'ung Fu-tzu, cioè di Confucio, (551 – 479 a.C) e che è considerato l’autore del Tao Te Ching, (Classico della Via e della Virtù, (1) nonché uno dei padri del taoismo.
Sono nate così, attorno al suo nome, una serie di leggende soprattutto postume, che, oggi come oggi, portano inevitabilmente coloro che ne parlando a concludere con una uguale frase un po’ nichilista e cioè: “Ma l’esistenza di questo maestro è probabilmente leggendaria”.
Il compito che mi sono preposto, con questa ricerca era un po’ quello di indagare il mito di Laozi, per capire, almeno intuitivamente, quanto di questo maestro fosse leggenda, quanto fosse verosimile ma non suffragato da valide prove storiche, e quanto potesse essere asserito come vero, senza la paura di fare un torto alla purezza della storia. Per affrontare meglio l’indagine ho voluto separare il “fenomeno Laozi”, nelle tre affermazioni che compongono il suo mito e cioè:
1) Che esistette, realmente, ai tempi di Confucio un maestro, Taoista, chiamato Laozi di statura tale da essere ricordato nei secoli a venire.
2) Che Laozi fu l’autore del testo Tao Te Ching (1).
3) Che fu il fondatore del Taoismo.
Esistette realmente una grande maestro taoista di nome Laozi?
Le fonti principali sull’esistenza di questo maestro, cioè Laozi, sono in due testi. Il primo è lo Zhuangzi che è un testo taoista scritto dall’omonimo maestro, (369? e il 286? a.C.), formato da 33 capitoli dei quali si pensa che solo i primi 7 siano attribuibili a maestro Zhuang, mentre gli altri sarebbero frutto di aggiunte posteriori.
Il secondo è l’opera dello storico Sima Qian o Ssu-ma Ch'ien (145 - 86 a.C.), considerato l’Erodoto o il Tucidide cinese, che, nelle sue “Memorie Storiche” (Shiji), lasciò una biografia di Laozi, come autore del Tao Te Ching. I suoi resoconti ricchi di tavole cronologiche, saggi, biografie di personaggi illustri, sono diventati un modello per la storiografia successiva.
E’ bene sottolineare subito che il primo testo è un testo taoista, mentre il testo di Sima Qian è storico. Per capire bene la differenza, possiamo fare un’analogia con Gesù e vedere lo Zhuangzi come i Vangeli e Sima Qian come Giuseppe Flavio. I Vangeli non possono essere ritenuti testi storici e se fosse solo per quelli, oggi potremmo dubitare dell’esistenza storica di Gesù stesso. D’altro canto, se tutto quello che fosse giunto a noi di Gesù fossero state le annotazioni storiche di Giuseppe Flavio, (o i pochi altri cenni storici esistenti), Gesù non avrebbe interessato nessuno, perché le notizie storiche che parlano di lui sono ben scarse. Tuttavia le due cose messe assieme si confermano l’un l’altra e questo è un po’ quello che succede con Sima Qian e lo Zhuangzi. Quindi, nelle riflessioni successive terremo il testo storico come linea guida.
Cosa dice Sima Qian di Laozi?
Al capitolo 63 delle “memorie storiche”, Sima Qian scrive: “Laozi era un uomo del villaggio di Quren, nel distretto di Lai, nello Stato di Chu. Il suo cognome era Li, il suo nome personale era Er, il suo appellativo (zi) Dan. Era uno storiografo (shi) responsabile degli archivi degli Zhou”.
Questa descrizione sembra sia attribuibile ad uno storiografo chiamato Lao Dan o Lao Tan o Taishi Dan, vissuto nel 374 a.C circa. Più avanti Sima Qian, però, pone questo dubbio: “Ci fu uno storico chiamato Tan che avvisò il duca di Qin dicendogli che i ducati di Qin e di Zhou si sarebbero fusi in un nuovo grande impero. Alcuni dicono che Tan era Laozi, altri dicono di no. Nessuno ai nostri tempi sa quale sia la verità!”.
L’evento predetto da Lao Tan, si verificò circa 150 anni dopo la predizione, quando la dinastia dei Qin (221-206 a.C), mise fine al periodo così detto dei “Regni Combattenti” (480-222 a.C. circa), ed unificò l’impero. Sima Qian, per altro, ci lascia con la sua ammissione: - Nessuno ai nostri tempi sa quale sia la verità! – che, se da una parte salva la sua reputazione di storico attendibile, dall’altra ci fa capire che questa identificazione con lo storico Lao Dan non è affatto sicura.
La questione dell’identità di Laozi, comunque è così controversa che lo stesso Sima Qain dirà, sconsolato, alla fine della sua biografia: «Di Laozi si può assicurare soltanto che, avendo amato l'oscurità più di ogni altra cosa, deliberatamente cancellò ogni traccia della sua vita».
Questa simpatica ammissione dello storico, che, con queste parole, esprime la sua frustrazione nel ricostruire una biografia di un qualcuno che è già leggenda, ma del quale non si riesce a trovare nulla di certo, invece che negare, afferma. E poi, ad una più attenta lettura, questa aura sfuggente, colloca Laozi nell’ambito dei sapienti; è infatti tipico di questi maestri quello di passare inosservati, o di nascondersi o di essere sfuggenti ed occultati. A tale proposito ricordo due esempi di saggi ed illuminati moderni di specchiata fama, entrambi appartenenti alla tradizione indiana, che, a discapito del loro carisma, mostrano questo propensione ad uno stato di quasi invisibilità. Il primo è Nisargadatta Maharaji, che nel libro “Io sono quello” afferma, di se stesso: - In quanto a me, non agisco e non faccio agire…... Come un uccello in cielo non lascio traccia. – Il secondo è U.G. Krishanamurti che nel libro: “La mente è un mito” dice: - Non sono attento solo a cancellare quello che gli altri maestri hanno detto, cosa fin troppo facile, ma sono attento a cancellare anche le mie stesse parole”.
A sfavore della tesi che Laozi fosse lo storico Lao Dan, vissuto attorno alla metà del terzo secolo, ci sono le affermazione che Laozi incontrò Confucio, (551-479 a.C.). Questa affermazione, data per certa dalle scuole Confuciane, la fa Sima Qian, ma è anche contenuta nello Zhaungzi. Infatti in ben 9 passaggi dell’opera di maestro Zhuang, Confucio ha la parte dell’interlocutore di Laozi ed in 3 dei 9, Laozi si rivolge a Confucio col suo nome personale “Ch’iu” che è un segno di grande confidenza, ma anche di superiorità, e tende a dare l’impressione che Confucio fosse uno dei discepoli di Laozi.
L’incontro con Confucio, poi, è riportato anche in diversi testi dei “Regni Combattenti”.
Ne risulta che, per la differenza temporale, se Laozi incontrò Confucio non poteva essere lo storico Lao Dan, viceversa se Laozi era quello storico non poteva avere incontrato Confucio. E delle due affermazioni la prima, cioè che Laozi incontrò Confucio, sembra essere quella più e meglio documentata.
E’ bene sottolineare anche che, dai tempi di Confucio a quando Sima Qian scrisse le sue memorie storiche, le condizioni sociali e politiche del paese erano profondamente cambiate, ma soprattutto vi fu in mezzo la formazione dell’impero sotto la dinastia Qin, (quello predetta da Lao Dan), che, seppur breve, apportò nel paese grandi modifiche (2). L’imperatore Shihuang, esercitò una persecuzione verso il taoismo, il confucianesimo e tutte quelle scuole che sembravano in odore di restaurazione, persecuzione che culminò con la strage di 400 studiosi confuciani, seppelliti vivi a Xianyang e con il famoso “incendio dei libri” nel 213 a.C. Tuttavia questa dinastia durò poco più di un decennio e la successiva la dinastia Han fu benevola verso le scuole diverse e soprattutto la scuola confuciana, fu riconosciuta nel 141 a.C. da Wudi come principale scuola dello stato.
Le fonti confuciane, d’altro canto, sembrano non avere dubbi sull’incontro tra i due maestri. La visita di Confucio a Laozi è registrata come un evento estremamente autorevole per i confuciani, al punto da essere riportata nel “libro dei Riti” (Liji o Li Chi). Del viaggio di Confucio a Luoyang e della sua visita al palazzo reale, ne abbiamo prova anche dalla descrizione che Confucio fa di esso nel “Libro delle Odi” (Shijing o Shih-ching) nel quale, il maestro, descrive minuziosamente anche l’interno del palazzo: “Attraverso una delle porte si arriva a un cortile in cui si trovano le nove urne dinastiche e che immette in un salone nel quale si tengono le udienze solenni. Vi sono nove strade che conducono all’interno, longitudinali all’asse del palazzo e nove trasversali. Po si passa da un’altra porta che da ancora su un altro cortile da cui si rientra in un salone delle udienze. E’ soltanto dopo avere varcato la terza porta che si è ammessi agli appartamenti reali e al gran parco”.
L’incontro tra due grandi maestri.
Sima Qian riporta due brevi dialoghi del colloquio tra Confucio e Laozi. Il primo sono le parole che Laozi diresse a Confucio: “Un buon mercante nasconde accuratamente la propria mercanzia e agisce come se non avesse niente; il saggio colmo di virtù, ama tanto più presentarsi come un uomo semplice, sprovveduto e corto d’intelletto. Abbandona dunque quel tono arrogante, i tuoi desideri insaziabili e le tue ambizioni eccessive: non ti sono di alcun vantaggio.”
C’è molto taoismo in questa frase, tanto nella rudezza dei modi apparentemente sbrigativi, quanto nel contenuto che incita a lasciare ambizione e saggezza, per presentarsi al mondo in modo semplice e naturale, nascondendo quasi le proprie qualità. Ci piace pensare che, dietro alla burbera apparenza, ostentata per non gratificare l’orgoglio dell’interlocutore, il vecchio saggio Laozi, mentre parlava al giovane Confucio, guardasse lontano, con gli occhi pieni di illuminata compassione e la consapevolezza che, il ragazzo che gli stava davanti, avrebbe avuto un posto così alto nella storia da essere definito “re senza trono”.
Il secondo è l’impressione che Confucio comunicò ai suoi discepoli in merito al suo incontro con Laozi: “Io so che gli uccelli volano, i pesci nuotano, le bestie camminano sulla terra. Gli animali si possono prendere alla tagliola, i pesci nelle reti, gli uccelli con le frecce. Quanto al “dragone” non ne so niente, so solo che sale al cielo portato dalle nuvole e dal vento. Oggi ho visto Lao Tzu: egli è come il dragone”.
L’aneddoto contiene riferimenti al dragone che ai nostri giorni non ci sono particolarmente chiari, al punto che si dubita se le parole di Confucio fossero di ammirazione o altro. Ma il dragone per i cinesi è una forza protettrice e buona, e nelle misurate parole del maestro di Lu, si intuisce il prudente silenzio di chi è venuto in contatto con l’”indecifrabile”, infatti non esistono bilance per pesare la saggezza, ne metri per misurarla. Quel – Quanto al dragone non ne so niente – è il tributo più bello che Confucio poteva dare ad un vero maestro.
Si dice che Sima Qian abbia fatto derivare questi suoi aneddoti dallo Zhuangzi, dove, al capitolo 14 l’autore riporta l’impressione che Confucio avrebbe espresso del suo incontro con Laozi con queste parole: “Posso dire di avere visto un drago che si scuote per mostrare al meglio il suo corpo, che si tende per evidenziare la sua forma, mentre cavalca le nuvole alimentandosi di Yin e Yang. Rimasi a bocca aperta, con la lingua a penzoloni senza riuscire neppure a balbettare. Come posso dire cosa penso di lui?”
Si può notare come, benché la descrizione riguardi lo stesso episodio, cioè l’impressione che Confucio avrebbe derivato da Laozi, le apparenti analogie: (paragone di Laozi col drago, e il rifiuto di Confucio di esprimere un giudizio), non bastano a suffragare l’idea sostenuta da alcuni studiosi che i due resoconti siano presi l'uno dall'altro; emerge invece chiara l’idea che maestro Zhuang e Sima Qian, abbiano dato diverse interpretazioni di un uguale fatto rilevato da terzi ..... e questi terzi potevano essere gli appartenenti della scuola confuciana.
La mia impressione è che Confucio, nella sua ansia di conoscenza, visitò un “vecchio maestro” taoista della Cina antica, a lui contemporaneo ed evidentemente già leggendario in vita, visto l’ansia dei discepoli nel volere sapere quali erano state le impressioni del loro maestro in merito a quell’incontro. Nulla osta che l’incontro sia avvenuto ai tempi del viaggio di Confucio a Luoyang capitale del ducato di Zhou e che, quel maestro taoista, fosse stato l’archivista di allora della biblioteca imperiale, che però, per i motivi visti, non può essere lo stesso Lao Dan a cui è attribuita la profezia al duca di Qin.
Rimane l’osservazione fatta da alcuni che un maestro sapienziale ci sta scomodo nei panni di un archivista per di più di alto rango, perché, occorre comprendere che, un letterato che lavorasse nella biblioteca imperiale a quei tempi non è l’impiegato di adesso, ma era un funzionario di una certa levatura. Questa obbiezione mi trova sommariamente d’accordo, anche io sono abituato a vedere il maestro sapienziale in posizioni non di rilievo, (un po’ nascosto come si diceva all’inizio), e libero dai vincoli del lavoro, in modo da poter coltivare la “trasmissione di sapienza” che poi è tutto quello che interessa questi maestri. Tuttavia non conosciamo la realtà della Cina antica, e potrebbe essere che, quel compito, cioè “la trasmissione di sapienza”, in quei tempi, venisse meglio assolto in una biblioteca imperiale che non in altri posti.
I miti e le leggende nati successivamente anche per le “rivalità” tra la scuola confuciana e quella taoista, o a seguito dell’afflusso del buddismo in Cina, invece che chiarire complicano, esattamente come cercare dati storici della vita di Gesù, attraverso le elaborazioni dei testi canonici o apocrifi avvenute successivamente, non fa che creare ombre sulla storia.
Tuttavia vista la rilevanza e la frequenza delle testimonianze storiche e non che si intersecano e si confermano vicendevolmente attorno ad una grande maestro taoista contemporaneo di Confucio, direi che si può convenire, con un buon grado di serenità, che Laozi esistette realmente e non fu solo un mito nato in seno al taoismo o al confucianesimo.
Fù Laozi l’autore del Tao Te Ching?
La tradizione ci fornisce una visione leggendaria del momento della scrittura del Tao Te Ching. Secondo questa “leggenda” Laozi, archivista imperiale nella biblioteca di Zhou, disgustato dal malcostume dei tempi decise di allontanarsi dalla società in cerca di tranquillità. Partì quindi col suo bufalo e arrivò ai confini del mondo, (la frontiera col Tibet), dove venne fermato dalla guardia del valico. Il guardiano lo riconobbe e minacciò di trattenerlo se, non avesse lasciato un segno tangibile della sua saggezza. Laozi scrisse così, in pochi giorni, i 5000 e più ideogrammi che compongono il Tao Te Ching. Finito di scrivere Laozi andò via e di lui non si seppe più niente.
A favore di questa tesi è l’identificazione della guardia di confine, che ricevette il testo da Laozi nella persona di Guan Yin, o Yin Xi, che divenne a sua volta un famoso maestro, del quale esistono riferimenti sporadici nel Zhuangzi (il secondo testo taoista per importanza) e nel Lüshi Chunqiu (annali del periodo “Primavera e Autunno”) e nel Liezi, (terzo testo taoista per importanza). A lui è attribuito il testo Guanyinzi, menzionato nello Hanshu, (testo antico della dinastia Han 206 a.C.), ma di cui si è perso traccia. Il passo montano dove sarebbe avvenuto l’incontro è il passo di Louguan, nella Contea Zhouzhi, nella provincia dello Shaanxi.
Tuttavia, se è credibile che Laozi abbia dato forma scritta ad una tradizione orale che gli preesisteva, ci riesce difficile credere che sia successo nel modo descritto nella leggenda, non fosse altro che per il fatto che, in un luogo di frontiera ai confini del mondo, non esistevano certo i mezzi di oggi e scrivere 5000 ideogrammi cinesi, in pochi giorni, su strisce di bambù o di sottile seta. Mancano in ogni caso prove storiche sostanziali di questo avvenimento ed è quindi difficile attribuirgli quella credibilità che si da normalmente agli eventi documentati oltre che dalla tradizione orale, anche da prove accreditate.
Per altro, scoperete recenti, hanno portato alla luce trascrizioni diverse del Tao Te Ching. In particolare nel 1993 a Guodian nella provincia di Hubei in Cina, è stata scoperta una tomba nella quale è stato rivenuto un testo del “Tao Te Ching”, leggermente differente da quello attribuito a Laozi, scritto su tavolette di bambù. Particolari della tomba hanno portato gli studiosi a datarla attorno al 350-300 a.C. Una precedente scoperta del 1973 a Mawangdui vicino a Changsha, nella provincia di Hunan, ha portato alla luce un'altra versione, (incompleta), del Tao Te Ching databile attorno al 200 a.C. e redatta su liste di seta.
A fronte dei fatti elencati sembra impossibile stabilire chi fu l’autore del Tao Te Ching. Attribuirlo a Laozi, sembra essere stata una forzatura dettata dal fatto che la tradizione prevedeva che ogni grande maestro fosse autore di un testo autorevole. Ma se questo era importante per la tradizione ai tempi di Sima Qian, lo è meno per noi.
Laozi fu il fondatore del Taoismo?
Per rispondere a questo terzo ed ultimo punto in modo sensato occorre fare un po’ di considerazioni. I concetti e le intuizioni che formano la “sapienza”, come tutte le manifestazioni della conoscenza, non appartengono a nessuno e non sono stati fondati da nessuno in particolare. I concetti del Tao radicano nell’anima dell’uomo stesso fin dai suoi albori. Il Tao in Cina, come la Maat in Egitto, come l’Asha o A_a nell’Avesta, come R’ta o Dharma in India, appartengono all’intelligenza naturale dell’uomo e per loro stessa natura, non hanno bisogno di un codificatore.
Per capire meglio conviene forse fare una panoramica sulla religiosità del popolo cinese antico che, come tutte le civiltà dedite all’agricoltura, era fortemente legata ai fenomeni naturali. I nostri antenati erano giustamente meravigliati davanti alle bellezze del creato. Il ricorrere delle stagioni, il rigoglio delle messi, lo scrosciare delle cascate, il scintillante scorrere dei ruscelli, riempivano il cuore e la mente dei nostri avi di reverenziale stupore, di fronte al quale era difficile non chiedersi, quale potere avesse creato tutto ciò?
Per i cinesi l’essere creatore era lo Shang-ti, che era la rappresentazione antropomorfica di T’ien o il Cielo. Gli attributi antropomorfici di Shang-ti lo fanno un essere dotato delle nostre stesse passioni: letizia, gioia, dolore e collera, a cui si possono collegare le quattro stagioni dell’anno, la primavera col risvegliarsi della vita, l’estate con l’esplosione delle messi, l’autunno col doloroso assopirsi della vegetazione, l’inverno che col funereo manto di gelo che sembra coprire ogni cosa. Il Cielo è anche colui che conferisce la sovranità dell’impero, all’imperatore che è appunto chiamato “figlio del cielo”. Questo conferimento però può essere ritirato, se e quando, il beneficiario se ne mostra indegno. Il cielo, la terra e l’uomo costituiscono le tre componenti dell’universo e, ciò che mantiene l’ordine nella società umana, è: - la regola del mondo -
Il “libro dei riti” (Li Chi) dice: “E’ la forza della morale che fa in modo che il cielo e la terra agiscano di conserva , che le quattro stagioni siano in armonia, che il sole e la luna brillino, che le stelle e gli altri astri seguano il loro corso, che l’acqua scorra, che le cose umane prosperino, che il Bene sia separato dal male, che la serenità e la collera trovino la loro giusta espressione, che gli inferiori ubbidiscano, che i superiori siano illuminati, che tutto nonostante il suo mutare non abbia a cadere nel caos.”
Fu in questo senso di grande rispetto dell’imprinting naturale conservato nel cuore dell’uomo e delle leggi ad esso collegate, che si era sviluppata, fino dai primi albori, la religiosità cinese. Come ogni religione non istituzionalizzata essa racchiudeva in se stessa ogni aspetto, dell’umana aspirazione al divino, dai riti superstiziosi intrisi di magismo, fino alle più alte vette sapienziali, che per il popolo cinese, libero dall’ingombro di divinità pressanti e terree, rimaneva un qualche cosa di intuibile ed intimamente vicino.
Nel periodo storico, così detto di “Primavera e Autunno” (722-481 a.C.), quello in cui vissero Confucio e Laozi, non doveva essere molto diverso. Il timore reverenziale verso la bellezza del creato aveva già suggerito riti e codici morali che si esprimevano nel rispetto degli anziani e delle tradizioni.
Laozi una realtà che non poteva non esistere.
Per comprendere il “perché” di Laozi, bisogna anche capire, almeno a grandi linee, Confucio ed il suo pensiero, tenendo al contempo presente lo spirito religioso della Cina antica. Confucio vede il disfacimento morale del regno di Zhou al tempo di “Primavera e Autunno” e cerca di preservare quei grani di saggezza tramandati dagli antichi. Nelle scorrerie disordinate delle famiglie nobili del tempo, che guerreggiavano incessantemente tra loro, egli cerca di individuare un’insieme di regole e di principi, che guidassero gli uomini e soprattutto i sovrani, verso una retta azione, perché secondo lui l’esempio che veniva dall’alto dirigeva lo svolgersi delle società. Riporto qui alcuni detti di Confucio sul governo per capire la straordinaria potenza di questo maestro e filosofo. Si ricordi che siamo nel 500 a.C.
Chi K’ang-tzu chiese al Maestro sull’arte di governare.
Il Maestro disse: “Governare è raddrizzare. Se tu guidi lungo la dritta via, chi oserà seguire quella storta”.
Tzu-Kung chiese del governo.
Il maestro disse: “Cibo sufficiente, armi sufficienti e la fiducia del popolo”.
Tzu-Kung disse: “Supponiamo di non avere scelta e di dovere fare a meno di una di queste cose, quali lasceresti da parte?”
Il Maestro disse: “le armi”.
Tzu-Kung disse: “Supponiamo di dover fare a meno di una delle altre due, quale lasceresti da parte?”
Il Maestro rispose: “Il cibo. Perché da secoli la morte è stata il destino di tutti gli uomini, ma un popolo che non ha più fiducia nei suoi governanti è veramente perduto”.
Il Duca Ting chiese: “c’è una frase sufficiente a salvare un paese?”
Il Maestro rispose: “Nessuna frase potrebbe essere mai tale. Ma ce n’è una che si avvicina. Tra gli uomini c’è un detto – E’ duro essere principe e non è facile essere ministro – Un governante che veramente capisca che è duro essere principe sarebbe abbastanza vicino a salvare il suo paese con una sola frase.
Il Duca Ting disse: “C’è una frase che potrebbe rovinare un paese?”
Il Maestro disse: “Nessuna frase potrebbe essere tale. Ma ce n’è una che si avvicina. C’è un detto tra gli uomini: - Che gusto c’è ad essere principe a meno che uno possa dire quello che vuole e nessuno abbia il coraggio di dissentire? - Se quello che egli dice è giusto è giusto anche che egli non sia contraddetto. Ma se quello che dice è sbagliato, non si avvicinerà molto a rovinare il suo paese con una sola frase.
Lo studio delle tradizioni e della sapienza degli avi, era per Confucio la fonte della retta conoscenza e, quelle informazioni insegnavano la devozione per l’imperatore, che era figlio del cielo, assieme al rispetto degli antenati e delle tradizioni e rituali antichi.
Per inciso, notiamo come la devozione verso gli antenati e le tradizioni, fu un dato comune nelle culture antiche. Nella Bhagavad-gita, un Arjuna sconsolato, vedendo sul campo di battaglia le schiere dei nemici formate dai cugini, dai parenti e dai vecchi precettori, chiede all’amico Krishna, trasformatosi per l’occasione nel suo auriga, se quella battaglia non sia empia: Dice Arjuna nei versi 37-43 del poema:
La distruzione di una famiglia comporta il crollo delle tradizioni eterne ed i suoi ultimi rappresentanti sprofondano allora nell’irreligione. Quando l'empietà o Krsna, regna in una famiglia, le donne si corrompono e dalla loro degradazione, o discendente di Vrsni, nasce una prole indesiderabile. Con l'aumento di questa prole indesiderata si crea una vita d'inferno per la famiglia e per quelli che hanno distrutto le tradizioni familiari. Gli antenati sono dimenticati e non vengono più offerte loro le oblazioni di acqua e di cibo. Quelli che, con i loro atti irresponsabili, rompono la tradizione della stirpe, provocano l’abbandono di quei principi grazie ai quali la prosperità e l’armonia regnano in seno alla famiglia e alla nazione. O Krsna, sostegno del popolo, so da fonte autorizzata che coloro che distruggono le tradizioni familiari vivono per sempre all'inferno.
Uguale amore e rispetto delle tradizioni pervade la Cina antica ed al suo fascino non doveva essere insensibile neppure la sapienza, pur se l’indomita libertà e creatività di quest’ultima, la portano oltre ogni umana definizione.
Confucio dunque creò, nell’ambito della cultura cinese, una nuova scuola fatta con pensieri e valori che si specializzavano rispetto al passato. Il suo pensiero, pur essendo intriso di formalismo, (tipica è la sua mania del rituale), è molto pragmatico e tende soprattutto ad indicare come vivere bene la vita quotidiana. In un certo senso racchiude in se gli aspetti socratici ed aristotelici dell’antica Grecia. Socratici perché fondamentalmente Confucio indica una via che sia sempre illuminata dalla luce della ragione e dell’intelletto. Aristotelici perché, sembra mostrare, la stessa ansia di Aristotele, nel voler dare il giusto nome a tutte le cose.
Egli non formula idee innovatrici sulla società e sul governo degli uomini ne elabora teorie rivoluzionarie. Lui stesso dirà di sé: “Io non creo nulla di nuovo, mi limito a studiare le opere degli avi. Ho fede in loro e li venero” e ancora: “come in uno specchio leggo nel passato la ragione del presente”.
Confucio sigla un grande passo evolutivo del pensiero cinese che, guarda caso, avvenne proprio in concomitanza con analoghe mutazioni nella coscienza umana, presenti in altre aree del globo. Fù più o meno nello stesso periodo che in India Siddarta Gautama Sakyamuni (563 ca-486) spargeva i semi del buddismo e per opera di Mahavira (599-527 a.C.) nasceva il Jainismo. In Grecia i presocratici come Eraclito (540–480-circa a.C), Senofane (565-470 a.C.), Pitagora (571–497), Talete (585 a.C.), cercavano il “principio eterno” ed in Persia Zoroastro scriveva la Zend Avesta.
Il confucianesimo ed il taoismo apparentemente in lotta tra loro perché il formalismo del primo, già dai tempi di Laozi, urtava profondamente le aspirazioni naturali del secondo, a tutti gli effetti, si sono evidenziati come i due assi cartesiani perfetti attorno ai quali si è sviluppato nei millenni successivi, tutto il pensiero e la cultura cinese.
Ma… e con questo “ma” torniamo al nocciolo del nostro problema ed alle nostre domande, se Confucio specializzava alcuni pensieri e valori dell’antica Cina che ne era del bagaglio di conoscenze precedenti? Cioè quella parte meno formale, ma più libera e naturale, quella sapienza che non è pensiero ma percezione diretta della realtà, quel sentire intuitivo nel cuore dell’uomo, che fine facevano?
Possiamo facilmente concludere che quello che non diventò confucianesimo diventò taoismo, e quel “vecchio maestro”, chiamato Laozi, ne divenne l’effige o l’emblema, che portò avanti, assieme al maestro di Lu, il grande bagaglio di conoscenze cinesi. In questo senso Laozi può veramente essere ritenuto uno dei “padri del taoismo”, almeno di quello post-confuciano.
Ora chi mi ha seguito fino a qui, quando leggerà di Laozi e si troverà davanti questa frase: “ma l’esistenza di questo maestro è probabilmente leggendaria” avrà un bel po’ in più di informazioni per valutare da solo se l’affermazione è vera o falsa. Dal canto mio direi che Laozi sarà anche una leggenda, ma piuttosto insolita come leggenda, visto i cospicui effetti che lasciò nel mondo.
Note
(1) Tao Te Ching (Daodejing) detto anche Laozi, (dal nome dell’autore), il cui titolo significa (classico della via e della virtù), è considerato il principale testo del taoismo. Gli altri due sono lo Zhuangzi e al Liezi. E’ inoltre in competizione con la Bibbia per quello che riguarda il maggior numero di traduzioni.
(2) Principali Riforme della dinastia Qin per opera di Shihuang:
- unificazione del regno dia sette stati predenti: Han, Wei, Chu, Yan, Zhao e Qi a uno Stato centralizzato, unificato, multi etnico e autocratico della Cina.
- Burocratizazzione del paese col distrettuale in sostituzione del sistema feudale.
- Unificazione delle leggi.
- Proibizione alla popolazione di portare armi.
- Nel 216 a.C. decreto che assegnava la terra ai proprietari terrieri e ai coltivatori diretti, purché questi dichiarassero la superficie dei loro terreni e pagassero le imposte.
- unificazione del sistema di pesi e misure, del sistema monetario, della scrittura.
- Nel 212 a.C. ordinò di distruggere tutti i tipi di libri e di proibire le scuole private.
- Vittoria sugli unni ed inizio della costruzione della grande muraglia.
Bibliografia
“Confucio Vita, massime e pensieri”, Giulio Sonzini, Giovanni de Vecchi editore Milano.
“Le grandi religioni del mondo” (autori vari) Edizioni Mondatori.
“Io sono quello” I dialoghi con un sapiente di villaggio, Edizione Rizzoli
“La mente è un mito” edizioni equilibrium
“La Bhagavad Gita così com’è”. www.idiocentrism.com/china.author.htm By John J. Emerson
www.iep.utm.edu/l/laozi.htm Ronnie Littlejohn
www.daoisopen.com/SiteMap.html
www.archaeology.org/9811/newsbriefs/laozi.html
http://plato.stanford.edu/entries/laozi/
Note dell’autore: Nel corso della preparazione di questo breve scritto, mi sono reso conto di essermi dato un obbiettivo troppo alto, (soprattutto rapportato al tempo che avevo preventivato per ultimare la ricerca), così alto che persino i sinologi o gli esperti studiosi, faticano a raccapezzarsi nella miriade di informazioni, che si possono trovare nei vari testi incrociati, ma ormai avevo cominciato e volevo comunque portare a termine il mio impegno. Quello che ho scritto è dato come storicamente certo e riconosciuto e l’ho inserito nel testo solo dopo avere verificato l’informazione in più fonti, pertanto sono abbastanza tranquillo sulla veridicità delle informazioni. E’ invece ciò che, per non conoscenza ho omesso, che mi lascia il timore e il dubbio di non avere dato quel quadro storico e certo che invece volevo dare.
Un’altra cosa che avevo sottovalutato, soprattutto perché non la sapevo, era il problema della traslitterazione del cinese, che viene trascritto usando le lettere del nostro vocabolario che riproducano la fonia dei termini. Di tale sistema esistono anche delle codifiche, la più riconosciuta delle quali è detta pinyn, che però non risolvono completamente il problema, così Tao Te Ching è spesso scritto, soprattutto nei siti in lingua inglese, come Daodejing e fin qui passi. Il dramma è stato cercare informazioni su Laozi, presente nel web come Lao Tzu, Lao Tsu, Lao Tze, Lao-Tzu, Lao-Tsu, Lao-Tse, Lao-Tze, Lao Zi, Laozi, con le complicazioni poi dell’identità, quindi come Lao Dan, Lao Tan, Lao Da, Li er, li Her Taishi Dan etc… etc…. Questo problema di “bisticcio” coi termini, se non, in modo così esagerato come con Laozi, mi ha perseguitato per tutto il corso della ricerca. Comunque alla fine un qualche cosa ne è uscito, un qualche cosa che lascio aperto, nel senso che se scoprirò altro mi servo di cambiare modificare il testo.
VanLag gennaio 2006
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