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Vecchio 28-06-2014, 10.56.04   #61
Garbino
Garbino Vento di Tempesta
 
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Riferimento: Nietzsche, l'oltreuomo, la volontà di potenza e la Germania nazista

X Ch1naski.

Il Caso Socrate.
Nel terzo paragrafo del capitolo, Nietzsche pone in evidenza la bruttezza di Socrate e ne rivela e rileva lo stato di confutazione che assume presso i Greci.
E ipotizza anche che il suo aspetto da ' monstrum in fronte ' lo faccia appartenere alla tipologia 'decadent' del criminale. E ciò a parer suo sarebbe convalidato anche da ciò che gli disse un famoso fisiognomo di passaggio per Atene, e cioè che era un monstrum che nascondeva in sé ogni brutto vizio. E a cui Socrate rispose: " Lei mi conosce, signore!"

Nel quarto paragrafo Nietzsche torna alla carica affermando che la 'decadence' di Socrate è ipotizzabile anche per la superfetazione del logico e quella cattiveria da rachitico che lo contraddistingue. Come pure quelle allucinazioni interpretate come 'il Demone di Socrate'. Tutto in lui è 'buffo', ma soprattutto non si spiega da dove provenga l' equazione ragione=virtù=felicità. Un ' equazione che ha contro tutti gli istinti degli Antichi Elleni.

Nel quinto paragrafo arriva al punto determinante, e cioè che Socrate ha sovvertito il gusto Greco in favore della dialettica. Prima di Socrate la dialettica era malvista dalla nobiltà ateniese. Ciò che ha bisogno di essere dimostrato ha poco valore. Dove non si motiva ma si comanda, il dialettico è una specie di pagliaccio: si ride di lui. Invece Socrate fu il buffone che si fece prendere sul serio.

Questi capitoli presuppongono una penetrazione nel mondo Greco di allora che non è facile da concettualizzare e che spesso viene anche misconosciuto, frainteso e mistificato da errori di valutazione della cultura e della storia Greca di allora. Ma Nietzsche in questo, a mio avviso, ha ragione. I nobili non dovevano dimostrare né spiegare le proprie azioni. Ad essi apparteneva il giusto nell' agire, come appare in ogni società aristocratica.

Ma allora, perché Socrate riuscì a imporre la dialettica a chi fino ad allora ne aveva riso come un comportamento sconveniente? Questo lo vedremo nel prossimo intervento. Noto con piacere che questa trattazione interessa e se proseguo con calma è perché desidero dare la possibilità di replicare a chi ne avesse la volontà, ma anche che la mia ricostruzione penetri con calma.

Garbino Vento di Tempesta.
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Vecchio 28-06-2014, 22.05.21   #62
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Riferimento: Nietzsche, l'oltreuomo, la volontà di potenza e la Germania nazista

volevo riportare la descrizione di galimberti che proprio ieri ascoltavo in una conferenza del 2012, lo faccio anche per trarre una migliore prospettiva dei discorsi nicciani.

per l'uomo greco la Natura è l'increato (citazione da Eraclito), la potenza mortale del ciclo della vita, come ciclo delle stagioni, dove la natura intesa come pura macchina creatrice, ripete se stessa all'infinito (il giovane procrea e garantisce la continuazione della natura e il vecchio muore come vuole la necessità l'ananchè.
a essa si contrappone il tragico dell'umano, che nei greci corrisponde ad una progressiva costruzione del soggetto, storico, dove il giovane ha visto pochi cicli e deve imparare, e dove il vecchio è dententore della conoscenza, perchè ne ha visti tanti.

le 2 visioni cozzano essendo opposte ovviamente nel tragico, la chiave galimberti la ritrova in un passaggio del prometeo di sofocle, dove il coro, domanda a prometeo se lui abbia promesso qualcos'altro agli uomini (oltra al fuoco), prometeo risponde sì l'immortalità,
il coro gli chiede allora se egli ritiene la tecnica superiore alla necessità, prometeo risponde è così debole la tecnica rispetto alla necessità.

la punizione di prometeo riguarda l'hybris, la tracotanza, il volere superare il limite, ma il limite era la morte, non la conoscenza.

quello di cui si è perso di vista è proprio la dimensione della necessità, dove in essa non solo vi è la morte ma anche la vita.

Socrate come Euripide, sono i fautori di questa rimozione. Non come esecutori reali, perchè in loro il senso del limite è ancora
sacro, ma come propositori della tecnica come qualità della vita.(il mito prometeico è completamente rimosso nelle sue conseguenze)

In socrate ed in euripide, c'è di peggio, non solo ci si "dimentica" della morte ma sopratutto della vita.

così sacra diventa anche la vita e il soggetto si dà solo come scelta di rinuncia alla vita, una morale che utilizza le stesse

categorie del cristianesimo.Le modalità e gli orizzonti sono radicalmente diverse però.

penso che bisogna così interpretare l'exemplum antico, non può esserci esegesi senza capire che i testi antichi non erano trattato scientifici come i nostri.

nietzche lo riempie poi di polemica (metodo a martello) con la fisiognomica, cosa che se presa di per sè sarebbe veramente imbarazzante nella sua pochezza.
è chiaro che socrate è colui che rinuncia alla vita come qualità in nome di un logos che si oppone tragico all'ananchè.
(se andiamo a vedere la sua serie di amanti però capiamo che non era proprio così, anche qui bisogna capire che socrate è più un simbolo dell'inizio di una certa pratica sistematica: figuriamoci! i greci avevano un tasso di qualità di vita superiore a oggi, quando le malattie e le guerre non se li inghiottivano, ma anche quando era così la loro visione stoica della vita gli permetteva ancora di guardare la morte negli occhi...oggi andando in giro per gli ospedali capisci che non è più così)

Come ha fatto notare focault, "conosci te stesso", è solo la prima parte della profezia della pizia, la seconda è "affinchè tu possa stare con gli altri", ossia fa di te stesso il cittadino perfetto.

in questo senso la preoccupazione di focault ancora moderna è il rapporto con la verità contro cui il soggetto storico si viene così a costituire.

Ripeto nietzsche andò più radicalmente a descrive un io, strettamente legato alla necessità- sia come potenza vitale dell'eros sia come eterno ritorno dell'uguale della necessità.

il soggetto viene cose più facilmente descostruito diremmo oggi, poi magari cerchiamo di ricostruirlo meglio eh!
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Vecchio 10-07-2014, 08.59.36   #63
Garbino
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Riferimento: Nietzsche, l'oltreuomo, la volontà di potenza e la Germania nazista

X Green&Grey Pocket.

Ti ringrazio per l' argomentazione tratta da una conferenza di Galimberti che come sai, o penso che tu sappia, non gode molto della mia stima a livello sia filosofico che storico. A me sembra che abbia una notevole confusione e che perciò a volte ci azzecca e a volte no. E questa è una delle volte che sbaglia completamente sul mondo greco.

Eppure non c' era bisogno di scomodare Galimberti, bastava riferirsi alla Nascita della Tragedia dello stesso Nietzsche per avere un' idea del mondo greco.

I greci erano i loro miti. Erano gli dei mortali a cui per contrapposizione affiancarono dei immortali ma molto più umani degli umani. I Greci nei templi e nelle opere erette per i loro dei glorificavano solo sé stessi. Un bisogno metafisico quasi nullo che è evidente in molti personaggi omerici e non.

Uomini dei che vivevano tra il sogno e l' ebbrezza per superare ed accettare il senso tragico dell' esistenza, ma soprattutto per superarne il pessimismo.

Questo infatti dice Nietzsche. I Greci sono gli unici che hanno superato il pessimismo, e la prova ne è la tragedia attica di Sofocle. Dove sogno e ebbrezza, Apollo e Dioniso, si fondono in uno scenario in cui lo spettatore è coro e perciò facente parte della scena tragica.

E la grandezza della tragedia attica è proprio nel fatto che gli spettatori conoscevano già la tragedia che si andava a rappresentare e ciò permetteva loro una completa estraneazione e unione di anime nella coralità del canto.

Per dare un' idea di ciò che poteva determinarsi, basti pensare a ciò che ci accade quando si va ad un concerto e si ascoltano brani conosciuti e a cui si ci unisce in coro. In quei momenti il senso dell' io si perde e si diviene un tutt' uno con la scena e si può così godere di uno stato in cui ogni tragicità e pessimismo scompare per lasciare appunto il campo ad una condizione molto simile a quella che i Greci provavano nell' assistere come coro alla tragedia attica. Naturalmente la similitudine finisce qui, data la differenza di condizione di ritorno allo stato per così dire normale. I Greci cioè traevano una potenza enorme da queste rappresentazione e un rafforzato senso di essere parte del tutto, cosa che invece non avviene ai tempi d' oggi.

X IL Caso Socrate.

Tornando appunto al caso Socrate, vorrei in questo intervento trattare solo il paragrafo n. 6. In questo Nietzsche affronta direttamente quello che è il suo scopo principale, e cioè attaccare la dialettica.
Infatti afferma che si sceglie la dialettica quando non si ha più altre armi. E che essa può rappresentare soltanto uno stato di legittima difesa. E cioè quando non si ha più la forza di affermare la propria ragione. E soprattutto di farla accettare agli altri. Chi vi riesce perché ne ha la forza non fa uso della dialettica.

Questo paragrafo si riallaccia al paragrafo precedente in cui appunto si afferma che in una società aristocratica non si fa uso della dialettica e si ride di chi ne fa uso. E' la forza che decide la ragione in una società aristocratica come lo era stata quella Greca fino ad allora.

Garbino Vento di Tempesta.
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Vecchio 10-07-2014, 10.11.26   #64
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Citazione:
Originalmente inviato da Garbino

Ma allora, perché Socrate riuscì a imporre la dialettica a chi fino ad allora ne aveva riso come un comportamento sconveniente?
Perché la dialettica, in questo caso la maieutica socratica, si rivela come uno strumento di potenza ben più raffinato e migliore di qualsiasi volontà di potenza aristocratico barbarica, allo stesso modo per cui l'argomentazione razionale almeno apparentemente si impone storicamente su quella mitica che le fa da sfondo.
Forse è vero che Socrate dopotutto era solo un sofista più abile degli altri sofisti. Forse era brutto e ridicolo, ma resta il fatto che i suoi concittadini non lo presero in ridere, nonostante ciò che pensa Nietzsche, tanto che finirono per condannarlo a morte.
Resta il fatto che è proprio la volontà di potenza aristocratica che alla fine si dimostra perdente annunciandosi come tale e viene in mente la frase del Gattopardo quando dice che sono finiti i tempi dei leoni, sostituiti da iene e sciacalli che di loro sono più forti. Il destino del leone è la tragedia e, per quanto il leone sia crudele la sua crudeltà è bella e innocente e ci commuove il cuore, il destino dello sciacallo è invece la farsa tragicomica, ma un branco di sciacalli riesce benissimo a tenere in scacco qualsiasi leone, lo chiude in manicomio o ancora meglio, lo convince ad andare in manicomio per il suo bene.
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Vecchio 10-07-2014, 18.26.57   #65
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garbino

Ti ringrazio per l' argomentazione tratta da una conferenza di Galimberti che come sai, o penso che tu sappia, non gode molto della mia stima a livello sia filosofico che storico. A me sembra che abbia una notevole confusione e che perciò a volte ci azzecca e a volte no. E questa è una delle volte che sbaglia completamente sul mondo greco.


Per me Galimberti è una lettura fondamentale, la sua capacità di sintesi letteraria non ha eguali per la mia sensibilità.
Proprio recentemente ho scoperto però che non è un vero alleato alla mia ultra-metafisica, infatti legatissimo alle sue ricerche sul corpo e ai sui autori (Jaspers-Gehelen-Plessner), ho amaramente notato, che essendo la metafisica tacciata di valenza trascendente, manca completamente il discorso ontologico o semiotico che sia, sul suo stesso discorso.
Ciò detto, rimane valido anche per me, una volta accettati certe limitazioni, o premesse.



I greci erano i loro miti. Erano gli dei mortali a cui per contrapposizione affiancarono dei immortali ma molto più umani degli umani. I Greci nei templi e nelle opere erette per i loro dei glorificavano solo sé stessi. Un bisogno metafisico quasi nullo che è evidente in molti personaggi omerici e non.


Non sono molto d'accordo, probabilmente se ci riferiamo ad un certo modo di intendere il metafisico, come contrapposto al reale, forse ti posso anche venire incontro, ma da filosofo a filosofo, questo sarebbe poco utile.
Il metafisico per il Greco è chiaramente la Natura, lo ha esplicitato con una grande intuizione Galimberti, e lo ha fatto dandone proprio la dimensione metafisica (che poi lui stesso, e anche tu, che pur ti dici insoddisfatto del nostro, dimenticate per strada, nelle ultreriori evoluzioni del discorso).
E' come uno sfondo, lo immagiono esattamente come lo sfondo alla Gioconda del Leonardo, se vuoi (anche se tradisce la mia visione sul mondo).
Potrebbe benissimo essere un altro sfondo, ma rimane uno sfondo, terribile.


Uomini dei che vivevano tra il sogno e l' ebbrezza per superare ed accettare il senso tragico dell' esistenza, ma soprattutto per superarne il pessimismo.

Questo infatti dice Nietzsche. I Greci sono gli unici che hanno superato il pessimismo, e la prova ne è la tragedia attica di Sofocle. Dove sogno e ebbrezza, Apollo e Dioniso, si fondono in uno scenario in cui lo spettatore è coro e perciò facente parte della scena tragica.

E la grandezza della tragedia attica è proprio nel fatto che gli spettatori conoscevano già la tragedia che si andava a rappresentare e ciò permetteva loro una completa estraneazione e unione di anime nella coralità del canto.


Ma ceto Garbino, sono d'accordo, quello su cui non sono d'accordo è il modo di intendere del tuo discorso.(è ovvio amico mio che le tue intenzioni sono altre, ma l'interessante è anche vedere che effetto hanno nello scontro, o nell'incontro, le varie intenzionalità).
Quello che hai appena descritto, lo associo al concetto di Pharmacon greco, è chiaro che è uno (se non il primo) dei centri gravitazionali del pensiero antico.
Ma questo farmaco mi rimanda immediatamente alla tavola dei veleni, dove inventata la malattia, se ne ottiene poi la cura.
E' la base malvagia della tecnica greca, qualcosa che inevitabilmente si fa etica, pretende di diventare morale, e si trasforma in Potere.
(Bene o male quello che ti risponde Maral è all'interno di questo scenario, lui dissentirà).

La tragedia come atto liberatorio della paura, come fondamento della sacralità, non più sul totem, ma sulla comunità che si narra.
E' allo stesso tempo ancora il cerchio tribale e la sua progressiva metamorfosi in narrazione pura, cioè nella dissoluzione del cerchio materiale, che diventa astratto, disabiatato dagli uomini, e millenni dopo e come suo apice contemporaneo, abitato dalla scienza.
Come quell'uomo, il nostro Nietzsche, possa essere stato in grado di unire un pensiero così vasto a noi, mi rimane una delle cose più alte dell'umano.
(Anzi va oltre, in UTU, questo cerchio astratto viene profetizzato addirittura disabitato, cioè prevede anche il fallimento della scienza.Come effetto della volontà di potenza.)

Quello che Nietzsche nella "nascita della tragedia" afferma, non è tanto la celebrazione di una umanità dionisiaca, quanto lo iato tra sofocle ed euripide,
in sofocle, la narrazione è ancora pura, è tutta emozione, in euripide invece, viene spiegata come processo dialettico.
Socrate è l'apoteosi di questo iato, e anzi viene additato come colpevole.

Invece tu ti soffermi sulla natura del dionisiaco, ma non lo fai in maniera sofoclea, ma euripidea.
Commetti così quell'errore gravissimo che Nietzsche annota fra le sue pagine.
Bisogna tornare ad una comunicazione, una descrizione il più possibile confusa, evocativa, vicina alle nebbie della Natura, per poter tornare a vedere Dioniso.
Non si tratta di essere ubriachi, si tratta di guardare in faccia l'irrazionale, ciò che si dà fuori dall'uomo.Ottenibile solo per metafora, per perifrasi, per allusione. In cerca della logica che sottende la Natura, logica simbolica certo, e quindi diremmo ciò che si dà come concetto rispetto alla Natura, il suo simbolo, ciò che unisce il concetto al suo astratto.
E' insomma un Platone espulso dalla città (cos' ci evitiamo l'imbarazzo della sua politica).
Per te Garbino sembra non esserci astratto, sembra che tutto debba essere ricondotto al discorso universitario, come fine del polemos, come glaciazione delle idee (e quindi dei concetti).
Strano, Nietzsche è per l'esatto opposto.
Voglio dire capisco benissimo, la necessità di un posto e la necessità (veramente è la giurisdizionalità che le tarpa le ali) della produzione, ma qui sul forum, puoi anche straparlare volendo. (guarda me! )

I greci non hanno superato il pessimismo, perciò, anzi tutto il contrario, ne hanno esteso gli effetti.
Il pessimismo è la tragedia, la tragedia è la morte, il farmaco è ciò che obnubila, la prescrizione del farmaco è al politica, l'estensione è la tecnica, l'illusione del contenimento della morte, la paura che si rimanda non più agli uomini ma alla tecnica, è in definitiva un non prendersi più cura di noi stessi, nè come comunità, nè come eroicità di fronte alla morte, al destino direbbero i greci (l'ananche, meglio).
Perciò quello che cerchi come rimedio al pessimismo, dalla mia vallata lo vedo come un tentativo folle (folle perchè è la somma di tante persone valide, come te, ma che nell'esito è quello che dico io, dalla mia vallata) di rendere quel pessimismo ancora più terribile nelle conseguenze morali e tecniche.
(e infatti questa è l'università nel discorso lacan-verdiglione-calciolari).


Per dare un' idea di ciò che poteva determinarsi, basti pensare a ciò che ci accade quando si va ad un concerto e si ascoltano brani conosciuti e a cui si ci unisce in coro. In quei momenti il senso dell' io si perde e si diviene un tutt' uno con la scena e si può così godere di uno stato in cui ogni tragicità e pessimismo scompare per lasciare appunto il campo ad una condizione molto simile a quella che i Greci provavano nell' assistere come coro alla tragedia attica. Naturalmente la similitudine finisce qui, data la differenza di condizione di ritorno allo stato per così dire normale. I Greci cioè traevano una potenza enorme da queste rappresentazione e un rafforzato senso di essere parte del tutto, cosa che invece non avviene ai tempi d' oggi.


Parte del tutto o parte della comunità? vedi che le nostre idee cominciano a separarsi sensibilmente, al di là di quanto scritto sopra, che più in generale è uno scontro(o incontro) di scenari.

X IL Caso Socrate.

Tornando appunto al caso Socrate, vorrei in questo intervento trattare solo il paragrafo n. 6. In questo Nietzsche affronta direttamente quello che è il suo scopo principale, e cioè attaccare la dialettica.
Infatti afferma che si sceglie la dialettica quando non si ha più altre armi. E che essa può rappresentare soltanto uno stato di legittima difesa. E cioè quando non si ha più la forza di affermare la propria ragione. E soprattutto di farla accettare agli altri. Chi vi riesce perché ne ha la forza non fa uso della dialettica.


In attesa di leggerlo, nel caso ti rispondo domani ulteriormente.
L'attacco alla dialettica, non penso sia da intendere come la dialettica, in sè, ma alla dialettica che vuole confutare la tragedia.


Questo paragrafo si riallaccia al paragrafo precedente in cui appunto si afferma che in una società aristocratica non si fa uso della dialettica e si ride di chi ne fa uso. E' la forza che decide la ragione in una società aristocratica come lo era stata quella Greca fino ad allora.

Questo in Nietzsche è abbastanza chiaro, la violenza è quella di chi sa stare all'interno della volontò di potenza, chi ne fugge, e ne rimane vittima, è il debole, il servo etc....

Ormai ne sono certo , da questa lettura, si capisce benissimo il suo antisemitismo e i suoi feroci attacchi contro gli ebrei, il cristianesimo, la borghesia etc....

x garbino

riprendo per un attimo le tue considerazioni su un Nietzsche deluso, che ritrovavi in ecce homo, rispetto alla popolarità e alla necessità di farsi capire.
Allora in ecce homo ancora non l'ho trovata, ma nelle epistole (che mi sono capitate leggendo un pò qua e un pò là ) si ritrova e in abbondanza (sembra proprio un tuo contributo originale, gli altri non se ne accorgono)

Avevo torto io, è chiaro che il successo che pure riscuoteva, non gli era abbastanza, voleva proprio innalzare il mondo sulle sue spalle
e più che rammaricarsi di non riuscirci, ne era distrutto (fino alla follia?).
Sopratutto la sua adorata Cosima

Bravo!


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Vecchio 18-07-2014, 11.58.47   #66
Garbino
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X Green&Gray Pocket.

Ci sarà senza dubbio un' altra 'occasio' per approfondire questi argomenti. In questo momento è mia intenzione portare a termine questa trattazione su Socrate e farlo senza straparlare, come invece tu evochi, visto che cerco di riportare il più fedelmente possibile quello che Nietzsche scrive in questo benedetto capitolo del Crepuscolo degli Idoli.

Per quanto riguarda il pessimismo, non ho affermato altro che quello che Nietzsche dice in Ecce Homo nel capitolo dedicato alla Nascita della Tragedia. Sono convinto di averne già parlato e che tu l' avessi letto, evidentemente non è così. Comunque per non dilungarmi ti dico solo che Nietzsche stesso afferma che avrebbe dovuto chiamare l' opera " Grecità e Pessimismo. "

X Maral

La tua risposta alla mia domanda retorica sul perché Socrate fosse riuscito ad imporre la dialettica, è accettabile a livello generale, ma non è la risposta che Nietzsche dà alla stessa domanda che aveva posto nel paragrafo 5.



Tornando alla trattazione, dopo i par. 6 e 7, nell' ottavo Nietzsche afferma che lui riuscì ad affascinarli stuzzicando l' istinto agonistico degli Ateniesi.

Nel nono, entra nel contesto primario della causa affermando che Socrate si accorse di non essere un caso, ma che la decadenza e la degenerazione stavano ormai prendendo piede, portando Atene verso la fine.

Ma Socrate, come risulta da aggiunta alla risposta data al fisiognomo, afferma che lui era diventato signore di tutti i suoi istinti. Egli divenne signore di sé e affascinò ancor più fortemente come parvenza di cura per un corpo in degenerazione.

Nel prossimo intervento tratterò cosa per Nietzsche determinò il diventare Socrate signore dei suoi istinti e perché lo ritenga una parvenza e non una cura per un corpo in degenerazione o decadenza, che è racchiuso nei paragrafi finali 10, 11 e 12.

Garbino Vento di Tempesta.
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Vecchio 24-07-2014, 10.56.51   #67
Garbino
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X Ch1naski.

Per la questione riguardante gli ebrei, consiglio di leggere un aforisma di Umano troppo umano, che mi è ricapitato sotto gli occhi proprio l' altro ieri, e si tratta del numero 475 del primo volume. E' troppo lungo per riportarlo ma è chiaro che leggendolo le accuse di antisemitismo nei confronti di Nietzsche risultano palesemente false.

Il Caso Socrate.

Par 10 ( lo riporto integralmente perché lo ritengo necessario ):
Quando si ha bisogno di far della ragione un tiranno, come fece Socrate, non dev' esser piccolo il pericolo che il tiranno lo faccia qualcos' altro. Allora si indovinò la salvezza della razionalità; né Socrate né i suoi "malati" erano liberi di essere razionali - era de rigueur, era il loro estremo rimedio. Il fanatismo con cui tutto il periodo greco si getta sulla razionalità tradisce una situazione di emergenza: si era in pericolo, si aveva un' unica scelta: o andare in rovina o - essere assurdamente razionali.... Il moralismo dei filosofi greci da Platone in poi è condizionato patologicamente: e così pure la loro valutazione della dialettica. Ragione = virtù = felicità significa soltanto: si deve fare come Socrate e contro gli oscuri desideri produrre in permanenza la luce del giorno - la luce della ragione. Si deve essere saggi, chiari, luminosi a ogni costo, ogni cedimento agli istinti, all' inconscio, trascina in basso....

Questa la diagnosi di Nietzsche del periodo di Socrate. Si divenne assurdamente razionali perché la rovina e la decadenza del mondo greco erano già in atto.

E nel paragrafo 11 afferma che è un errore il ritenere che si possa uscire dalla decadenza per il solo fatto di combatterla. L' uscirne fuori va oltre le loro forze. Socrate fu un equivoco; l' intera morale del miglioramento, anche quella cristiana, fu un equivoco.... L' abbagliante luce diurna, la razionalità, contro l' istinto, una malattia, un' altra malattia. Dover combattere gli istinti - ecco la formula della decadenza. E nell' ultima frase Nietzsche pone il suo veto ad ogni assurda opposizione: sino a che la vita si innalza, FELICITA' E' UGUALE A ISTINTO.

Penso che sia meglio chiudere qui. Il paragrafo dodici e le considerazioni finali al prossimo intervento

Grazie a tutti, Garbino Vento Di Tempesta.
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Vecchio 24-07-2014, 22.48.58   #68
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Citazione:
Originalmente inviato da Garbino
...... E nell' ultima frase Nietzsche pone il suo veto ad ogni assurda opposizione: sino a che la vita si innalza, FELICITA' E' UGUALE A ISTINTO.

Penso che sia meglio chiudere qui. Il paragrafo dodici e le considerazioni finali al prossimo intervento

Grazie a tutti, Garbino Vento Di Tempesta.

Okkei perfetto, ora mi ritrovo al 100%

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Vecchio 02-08-2014, 15.47.38   #69
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X Green&Grey Pocket.

Ti ringrazio per la precisazione e spero di aver spiegato bene i motivi che mi hanno portato a questo modo di penetrare nel capitolo Il Problema Socrate.


Il Caso Socrate

Con il par. 12 siamo giunti alla conclusione di questo Capitolo di Crepuscolo degli Idoli riguardante Socrate.

E appare chiaro come il filo conduttore sia appunto l' uscita dalla decadenza, di uno stato di malattia, che abbia portato i Greci ad affidarsi alla dialettica di Socrate.

Ma in questo paragrafo addirittura Nietzsche ipotizza, si domanda, rispondendo affermativamente, se Socrate avesse compreso tutto ciò. E si risponde affermativamente riportando appunto la frase citata da Platone nel famoso dialogo che riguarda la sua morte: Socrate non è un medico, qui solo la morte è medico....Socrate fu soltanto per lungo tempo malato.

E come Socrate e la dialettica rappresentano la fine del mondo Greco così il Cristianesimo rappresenta la fine di Roma.

E c' è anche da considerare che, se non ricordo male, ne L' Anticristo Nietzsche afferma che senza il Cristianesimo la romanità sarebbe sopravvissuta grazie alla dislocazione in tutte le provincie della nobiltà patrizia.

Ma ritengo giusto dissentire perché in entrambe i casi o si trattava di una decadenza da cui si poteva uscire o sarebbe comunque andata come è andata. La radicalizzazione del Cristianesimo nel mondo Romano fu appunto favorita dalla sua stessa decadenza. Niente cioè sarebbe sopravvissuto, come niente sopravvisse dei Greci.

A mio avviso cioè, a parte le opere architettoniche che manifestano la grandezza dei due periodi storici, tutto è andato perso. E sia Roma che la Grecia sono tuttora ravvolti in un alone di massima incomprensione. Per altro, da molti, voluta.

Naturalmente è ovvio che si può essere d' accordo o in disaccordo con Nietzsche, ma il fatto che la Grecia sia in quel periodo entrata nella sua decadenza non ci possono essere dubbi. E in fondo la sua valutazione non può ritenersi che geniale.

Questo naturalmente senza nulla togliere alla genialità di Socrate, di Platone ed Aristotele che contrassegnarono il periodo a livello filosofico.

L' attacco a Socrate, Platone e al Cristianesimo è furioso da parte di Nietzsche, perché ritiene che siano le basi su cui si è poi costruita tutta la metafisica del medioevo che ha riportato l' uomo nella Preistoria, nel confondere il Mondo Vero col Nulla, rappresentato appunto dal mondo metafisico o religione o Dio. Nichilismo: credere nel nulla al posto di un incerto qualcosa.

Non so se devo aggiungere altro ma vi rimando come al solito al prossimo intervento.

Grazie dell' attenzione, Garbino Vento di Tempesta.
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Vecchio 19-09-2014, 11.59.02   #70
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Nietzsche, l' oltreuomo etc....

Prima di concludere Il caso Socrate, ammesso e non concesso che abbia ancora qualcosa da aggiungere, è mia intenzione riportare una intervista di Severino sull' Eterno Ritorno che a mio avviso è illuminante. Il link è questo:


http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=281


Mi è capitata quasi per caso sotto gli occhi, l' ho letta molto attentamente e mi ha fornito i riferimenti e i passaggi che non riuscivo a trovare per comprendere, almeno spero, ciò che ha motivato Nietzsche nell' elaborazione di tale teoria. Non so se ci siano altri che la hanno interpretata in questo modo e se è così mi piacerebbe che vi si faccia riferimento negli eventuali interventi a seguire.

Penso che la cosa, specialmente se è un' informazione che non aveva, farà molto piacere a Maral, con cui ritengo di avere un debito per l' errore che ho commesso sulla volontà di potenza.

I passaggi chiave sono il Capitolo Della Redenzione e Della Visione e Dell' Enigma di Così parlò Zarathustra.
Nel primo Nietzsche afferma espressamente che la volontà di potenza ha il controllo sul passato perché lo ha voluto così come è stato. Ma è ovvio che non gli è sufficiente. E questo perché comunque rimane immutabile.
Ma l' immutabile è proprio ciò che Nietzsche vuole negare, perché se se ne ammette l' esistenza tutto dovrebbe essere subordinato ad esso. E perciò la volontà di potenza non potrebbe volere niente ma sarebbe soltanto il prodotto dell' immutabile.

Nietzsche sentinella del tempo, come lo definisce Severino, nel Capitolo Della Visione e Dell' Enigma a colloquio con il nano ( il suo spirito di gravità ) introduce la porta temporale che corrisponde all' Attimo, in cui confluiscono le due eternità che si spalancano sulla sua soglia, il passato e il futuro.
In questo modo la volontà di potenza ha il controllo su entrambe e li può volere come sono stati e saranno perché immersi nell' Attimo.
Lo scoglio della presenza di un immutabile in questo modo è scongiurato e l' uomo, grazie alla volontà di potenza, può plasmarli, volerli e essere il creatore che costantemente vuole creare perché solo così può definirsi creatore.

La volontà di potenza diviene in questo modo il Dio Creante che agisce sull' attimo in cui si ripercuotono in modo sempre uguale ciò che è stato e sarà.
Questo è ciò che racchiude e spiega in un modo accettabile, a mio avviso, la teoria dell' Eterno Ritorno dell' Uguale.

Non so se quello che ho scritto sia stato espresso nel modo dovuto, ma avevo il desiderio di farlo e l' ho fatto. Forse potrà sembrare una stesura un po' acerba, come tutte le cose in via di maturazione, ma spero che sia comunque accessibile ai più.

Grazie dell' attenzione e a presto. Garbino Vento di Tempesta.
Garbino is offline  

 



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