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Vecchio 05-04-2007, 16.00.14   #31
maxim
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Malattia e morte non sono accettate da chi non accetta la vita, da quegli ego irretiti, rigidi e fissati nelle loro manie, me lo conferma un amico psicologo (materialista) che assiste i malati terminali.


Ti attendevo come una pioggia nella calura d’agosto!

Accettare di avere paura non fa parte dell’accettazione della vita?

Io ad esempio, oltre alla “paura” della morte, ho anche paura di volare oppure di maneggiare armi cariche (il che mi impone la dovuta prudenza)…tutto ciò molto probabilmente a causa della paura della morte! Embè?...perchè non accettare le nostre normalissime paure?
Orsù signori spirituali…siete forse insensibili alla sofferenza che causerete con la vostra morte alle persone care? Siete forse insensibili alla morte di un vostro caro?

PS: Attendo un intervento alla presente discussione del mio unico Guru Visechi…

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Vecchio 05-04-2007, 18.37.14   #32
Yam
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Originalmente inviato da maxim
Ti attendevo come una pioggia nella calura d’agosto!

Accettare di avere paura non fa parte dell’accettazione della vita?

Io ad esempio, oltre alla “paura” della morte, ho anche paura di volare oppure di maneggiare armi cariche (il che mi impone la dovuta prudenza)…tutto ciò molto probabilmente a causa della paura della morte! Embè?...perchè non accettare le nostre normalissime paure?
Orsù signori spirituali…siete forse insensibili alla sofferenza che causerete con la vostra morte alle persone care? Siete forse insensibili alla morte di un vostro caro?



Se c'e' paura c'e' paura non e' un problema, ma puo' anche non esserci, oltre la paura c'e' qualcosa che non ha paura. Il panico e il dolore fisico sono stati i miei piu' grandi Maestri, accentandoli, quando erano insostenibili sono sbucato dall'altra parte.

Si sono insensibile alle patetiche manifestazioni di dolore dell'ego. Posso sentire compassione ed esercitarla, ma quella compassione indica solo che stai scambiando una corda per un serpente.
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Vecchio 05-04-2007, 18.49.04   #33
atisha
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Originalmente inviato da maxim
Accettare di avere paura non fa parte dell’accettazione della vita?

Io ad esempio, oltre alla “paura” della morte, ho anche paura di volare oppure di maneggiare armi cariche (il che mi impone la dovuta prudenza)…tutto ciò molto probabilmente a causa della paura della morte! Embè?...perchè non accettare le nostre normalissime paure?
Orsù signori spirituali…siete forse insensibili alla sofferenza che causerete con la vostra morte alle persone care? Siete forse insensibili alla morte di un vostro caro?

PS: Attendo un intervento alla presente discussione del mio unico Guru Visechi…


vi sono paure istintuali e paure psicologiche.. per far chiarezza..
avere paura di un cane che azzanna.. paura di volare o di maneggiare un'arma fanno parte delle paure che salvaguardano l'individuo.. se non avessimo quelle paure, nella nostra inconsapevolezza esistenziale rischieremo la vita ogni momento..

la paura di morire ha un'altra radice.. è in sostanza paura di vivere..
che lo si voglia vedere o meno..
ma si sa.. se lo dice un UG o un Nisargadatta ciò ha il suo effetto.. se lo dicono altri imbecilli non certificati, non è possibile si possa averlo realizzato.. e si etichetta tutto come pura illusione.. fantasia..



si sa.. così E'..
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Vecchio 05-04-2007, 18.51.05   #34
atisha
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Accettare di avere paura non fa parte dell’accettazione della vita?



certamente! però accettare significa anche trasformare la paura in comprensione..

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Vecchio 05-04-2007, 20.24.20   #35
maxim
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Originalmente inviato da atisha
certamente! però accettare significa anche trasformare la paura in comprensione..



...o in illusione...

...passami questo termine che più mi confà!

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Vecchio 05-04-2007, 22.04.06   #36
Yam
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vi sono paure istintuali e paure psicologiche.. per far chiarezza..
avere paura di un cane che azzanna.. paura di volare o di maneggiare un'arma fanno parte delle paure che salvaguardano l'individuo.. se non avessimo quelle paure, nella nostra inconsapevolezza esistenziale rischieremo la vita ogni momento..

Quindi paura della morte.
L'individuo contiene in se dei meccanismi che lo proteggono da una inutile morte prematura, ma llora che la vita abbia un senso? L'organismo e' attaccato alla vita. Perche'? ......e ci mancherebbe...se no che saremmo nati a fare? Anche l'attaccamento quindi, ha una sua funzione. Come fa Maxim a dire che parliamo solo di morte se parliamo solo di Vita che non finisce mai?

Tuttavia tutto appare e scompare, e' da quando sono nato che e' cosi...ma sicuramente anche da prima. C'e' memoria che chiamiamo storia....Appare da dove? E scompare dove?
E chi assiste al comparire e scomparire?


Citazione:
la paura di morire ha un'altra radice.. è in sostanza paura di vivere..

Vedo che anche tu a paradossi stai bene, ma allora la vita e la morte sono la stessa cosa? Cioe' chi ha paura di vivere ha paura di morire e viceversa?
Forse si.


Citazione:
ma si sa.. se lo dice un UG o un Nisargadatta ciò ha il suo effetto.. se lo dicono altri imbecilli non certificati, non è possibile si possa averlo realizzato.. e si etichetta tutto come pura illusione.. fantasia..

Brava, sono daccordo e mi ritengo uno di quegli imbecilli.
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Vecchio 06-04-2007, 07.40.52   #37
atisha
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...o in illusione...

...passami questo termine che più mi confà!


facciamo chiarezza sulla parola illusione, dunque non potremo mai incontrarci neanche a parole..
la comprensione è l'aver abolito ogni illusione... o immaginazione.

L'immaginazione è anche una funzione creativa, qui sarai daccordo..
ma solo quando l'uomo è sotto la direttiva delle Forze vitali.. cioè quando agisce nel presente..
al contrario, cioè quando non agisce nel presente essa corrisponde ad uno stato ipnotico (falso) che vive nel suo stato di coscienza...

Se un individuo sogna ed agisce in accordo con i suoi sogni.. e li trasforma in reali è un artefice.. un creativo.. in sostanza crea..

ma se un individuo sogna e non agisce ma gode solo di ciò che immagina, gode solo della propria illusione, allora è sotto l'azione della forza dell'illusione.. in sostanza s'illude.

se comprendi tecnicamente queste due differenze sei a Cavallo...
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Vecchio 06-04-2007, 12.04.02   #38
Yam
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L'immaginazione è anche una funzione creativa, qui sarai daccordo..
ma solo quando l'uomo è sotto la direttiva delle Forze vitali.. cioè quando agisce nel presente..
al contrario, cioè quando non agisce nel presente essa corrisponde ad uno stato ipnotico (falso) che vive nel suo stato di coscienza...

Condivido il senso dell'intervento.
Sulla vita vegetativa, permettimi di segnalarti Ramana Maharshi discorsi vol 1 e Nisargadatta (cio' che continuamente dice sul cibo).
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Vecchio 06-04-2007, 12.36.22   #39
odissea
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Originalmente inviato da VanLag
Interessante argomento, soprattutto in questi momenti che mi sento “pappa e ciccia” coi cimiteri.
Dunque vediamo, dando per scontate le parole di Gibran:

Solo se bevete al fiume del silenzio voi canterete veramente.
E quando avrete raggiunto la vetta del monte allora incomincerete a salire.
E quando la terra chiederà le vostre ossa, allora danzerete veramente.

Il morto è “da qualche parte a danzare” e questo non detto in tono ironico, ma credendo veramente che la morte da libertà e che mai come dopo morto l’uomo, o forse il suo spirito, è vivo.

Bene ma allora perché piangere? Perché stracciarsi i capelli ed essere tristi?
Per me, se colui che è morto è qualcuno che mi era caro, il dolore è il riflesso della mia perdita. E’ la celebrazione del suo ricordo nella mia memoria che, morbo di alzhimer permettendo, continua ad operare dentro di mè vibrando a volte anche di struggente nostalgia.
E’ vero che quel ricordo è sempre con me, ma il cimitero mi permette di raccogliermi in quel ricordo ed indulgere con me stesso e per me stesso, in momenti che non ci saranno più. Che ne so, banalmente, le volte che andavo a funghi con mio padre, ed era bello fare a gara a chi ne trovava di più e condividere assieme il bosco…… o il profumo delle torte la domenica, che ci faceva mia madre….. Frammenti di memoria che compongono quello che sono ora e che ricordare è dolce, anche se doloroso.

Certo c’è sempre dell’egoismo nell’attaccamento. Lo diceva anche U.G. con questa frase:

"Death is a release for the person who is suffering. But even here, you would rather maintain your permanent relationship with the suffering man and keep him going with the help of all those life-support systems, rather than face the void created by his death. Do you see how selfish you are?" - U.G. Krishnamurti

(Traduzione) La morte è un sollievo per la persona che stà soffrendo: Ma anche lì voi vorreste piuttosto fare continuare le vostre relazioni con l’uomo malato e vorreste tenerlo in vita con tutti i mezzi di supporto alla vita, piuttosto che fronteggiare il vuoto creato dalla sua morte. Vede quanto egoisti siete?

E’ sbagliato volere trattenere in vita a tutti i costi un moribondo che magari vuole pure andarsene, ma io credo sia lecito riconoscere in noi il dolore, che in fondo è una parte della vita ed anche celebrarlo, assieme al ricordo della persona persa.
Ecco….. i cimiteri credono servano per quello, e, in un certo senso, servono più per i vivi che per i morti.


Trovo sempre bellissimi i tuoi interventi, ci vedo dentro della saggezza e grande tolleranza...il che forse è la stessa cosa.

Anch'io penso che il dolore che proviamo davanti alla morte di chi ci è caro abbia in sè una certa autereferenzialità: soffriamo non solo per il defunto, ma soffriamo anche per il nostro distacco e la nostra perdita, la nostra nostalgia e la nostra paura. La campana suona davvero per noi.
Esiste però anche un sentimento lievemente diverso che può essere definito "commozione"; succede ad esempio quando leggiamo una triste notizia sul giornale, per cui non siamo davanti ad un distacco che ci tocca da vicino ma, per empatia e forse per solidarietà, stiamo male per quello sconosciuto che ha fatto una fine così triste o ingiusta. Ci sentiamo "vicini" a quella vittima, perchè dentro di noi sappiamo che siamo tutti sulla stessa barca. Oggi a te, domani forse a me.....
Io non ho idea se tutto ciò che ho descritto sopra appartenga ad un mal sano ego, oppure all'io più vero: in un certo senso poco mi importa. Trovo però, rubandoti un pochino le parole, sia anche giusto essere indulgenti e rispettosi di queste sofferenze così umane, e di queste fragilità. Perchè non essere indulgenti davanti ad una lacrima,o ad un bisogno di raccoglimento e di auto-rassicurazione....quello che credo normalmente si cerchi in un cimitero? Sono sentimenti che ci appartengono e che in un certo senso ci rendono nobili.
Con questo non intendo promuovere il senso di disperazione davanti alla morte; ma l'incertezza di non sapere esattamente che cosa siamo, da dove veniamo, a cosa siamo destinati (se non siamo solo una manciata di atomi casualmente composta in un organismo vivente) questo sì: l'incertezza non come abbandono alla cieca disperazione, ma come consapevolezza che siamo piccoli e che non siamo in grado di conoscere i segreti del creato e dell'aldilà. L'essere coscenti che non sapremo mai fino in fondo, almeno non fintanto che saremo su questa terra, credo sia anche semplice e sana umiltà...da non confondersi con rassegnazione, mi raccomando

un saluto a tutti
odissea is offline  
Vecchio 06-04-2007, 22.15.10   #40
Mary
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Originalmente inviato da odissea
Trovo sempre bellissimi i tuoi interventi, ci vedo dentro della saggezza e grande tolleranza...il che forse è la stessa cosa.

Anch'io penso che il dolore che proviamo davanti alla morte di chi ci è caro abbia in sè una certa autereferenzialità: soffriamo non solo per il defunto, ma soffriamo anche per il nostro distacco e la nostra perdita, la nostra nostalgia e la nostra paura. La campana suona davvero per noi.
Esiste però anche un sentimento lievemente diverso che può essere definito "commozione"; succede ad esempio quando leggiamo una triste notizia sul giornale, per cui non siamo davanti ad un distacco che ci tocca da vicino ma, per empatia e forse per solidarietà, stiamo male per quello sconosciuto che ha fatto una fine così triste o ingiusta. Ci sentiamo "vicini" a quella vittima, perchè dentro di noi sappiamo che siamo tutti sulla stessa barca. Oggi a te, domani forse a me.....
Io non ho idea se tutto ciò che ho descritto sopra appartenga ad un mal sano ego, oppure all'io più vero: in un certo senso poco mi importa. Trovo però, rubandoti un pochino le parole, sia anche giusto essere indulgenti e rispettosi di queste sofferenze così umane, e di queste fragilità. Perchè non essere indulgenti davanti ad una lacrima,o ad un bisogno di raccoglimento e di auto-rassicurazione....quello che credo normalmente si cerchi in un cimitero? Sono sentimenti che ci appartengono e che in un certo senso ci rendono nobili.
Con questo non intendo promuovere il senso di disperazione davanti alla morte; ma l'incertezza di non sapere esattamente che cosa siamo, da dove veniamo, a cosa siamo destinati (se non siamo solo una manciata di atomi casualmente composta in un organismo vivente) questo sì: l'incertezza non come abbandono alla cieca disperazione, ma come consapevolezza che siamo piccoli e che non siamo in grado di conoscere i segreti del creato e dell'aldilà. L'essere coscenti che non sapremo mai fino in fondo, almeno non fintanto che saremo su questa terra, credo sia anche semplice e sana umiltà...da non confondersi con rassegnazione, mi raccomando

un saluto a tutti




bellissimo, condivido pienamente. Quanta dolcezza su di un argomento così duro e difficile.

Il guaio, o è proprio questa la nostra prova e quindi va bene lo stesso, è quello di identificarci totalmente con il nostro corpo.

Qualche volta mi chiedo dove sto io? dove sta quella parte di me che dice "io sono" non in una gamba, eppure è la mia, no nello stomaco, eppure è il mio. Forse nel cervello? eppure, aperto, non è che un ammasso molliccio. Forse "io sono" una serie di puri e semplici impulsi elettrici? Che cosa sono, io? dove sono, io? chi sono, io?

Non lo so, e l'ultima arrivata non può certo pretendere di trovare risposte che cervelloni si sono già posti invano.

Per questo un cimitero serve per chi ne sente il bisogno, i vivi naturalmente. Per i morti non credo possa riguardarli molto. Loro hanno abbandonato quell'involucro ormai inservibile.

A me una volta è capitato di uscire fuori dal corpo, e vi posso assicurare che non si prova proprio niente a guardarsi dal di fuori, è come una vestaglia che non ci appartiene più. Una "cosa" che non è più nostra.
Mary is offline  

 



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