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Vecchio 16-03-2006, 09.32.02   #41
visechi
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Dico che Dio è vita e amore, perché osservo che questi sono la base di ogni esistenza; la prima come “sentirsi di esistere”, il secondo come attrazione e identificazione in ciò che appare altro-da-sé e, quindi “spinta all’unità”.

Non ho molto da replicare in relazione alla prima parte del tuo intervento. Qualcosa, invece, avrei da dire in merito alla seconda.

Non trovo grosse difficoltà a condividere la tua opinione che Dio possa essere identificato con la Vita, o meglio, che Dio sia Vita. Questo convenire con te non mi esime però dal rilevare che il tuo appare uno sguardo dimezzato, che taglia in due metà l’intero, come una vista a 180 gradi che ti restituisce l’immagine di un angolo piatto e non giro, o un solo verso di un’unica medaglia.

Non posso esimermi dal considerare quanto la Vita rechi in sé i germi della Morte – almeno per com’è concretamente ed immediatamente sperimentabile da noi esseri mortali -.
Vita e Morte sono le due facce della medesima medaglia; là dove l’una è fioritura e meraviglia, l’altra è dissoluzione e orrore, e la fioritura reca in sé il germe della putredine, nella stessa misura in cui la dissoluzione reca quelli dell’efflorescenza. La Vita si alimenta attingendo dalla Morte e quest’ultima deriva il suo nutrimento dalla Vita, in un rapporto simbiotico inscindibile che mantiene entrambe in un perenne fluente equilibrio, tanto che si potrebbe affermare che ove non vi è Vita non potrebbe esservi Morte, e viceversa, la Vita non prospererebbe in assenza della Morte – almeno per quanto e come da noi verificabile empiricamente -. Tutto ciò che in un determinato momento è vivo è destinato, ineluttabilmente, a sfiorire, deperire, dissolversi, disgregarsi e morire. Mi pare sia un dato assolutamente inequivocabile. La Morte è immanente alla Vita, e la Vita alla Morte.

Queste due condizioni dell’essere, pur essendo alternative, non sono autoelidenti, ma l’una integra e non elide l’altra, e l’annoso quesito su cosa sia la Vita non avrebbe senso alcuno se non ci domandassimo anche cosa sia la Morte – per questo forse entrambe sprofondano nel mistero ineffabile, esponendosi all’alea della congettura -.

Come ci si affaccia alla Vita è un evento abbastanza noto, così pure è ben identificabile il momento preciso in cui si nasce. Ben diverso è il discorso se riferito alla Morte. Fisiologicamente si muore pian piano, ogni attimo che trascorre è un approssimarsi alla fine, e la Morte si avvale di molteplici ‘strumenti’ per attingere ed intingere se stessa nel mare magnum della Vita. Si avvale, fra i tanti altri, della malattia, che non è altro che una propaggine ed un annuncio del suo imperio, una sorta di messaggio soffuso ed insinuante. Noi non moriamo perché ci ammaliamo, ci ammaliamo perché dobbiamo morire.

Va da sé: elementi o caratteristiche peculiari della malattia sono il dolore, la sofferenza ed il patire – fisicamente, per via del progressivo disfacimento del corpo, e patimento psichico per via della sempre più espansa consapevolezza dell’approssimarsi di questo orrido occulto -. Il patimento, il dolore e la sofferenza sono “elementi” o cause scatenanti dell’insorgere dell’angoscia, dell’inquietudine e dell’ansia. Questi tre giannizzeri del fatal Fato s’innescano in noi anche in assenza del dolore, perché di questo avvertono l’incombere e l’immanente presenza. Si giunge così a quella patologia dell’Anima che si manifesta in “patologia dell’esistenza” che, come già detto in altra occasione, patologia non è, trattandosi di status naturale ed originario tanto dell’essere che dell’Anima.

E’ abbastanza conseguente, riconducendo a sintesi, ritenere che la Vita, così permeata ed intrisa del germe della Morte, del suo sentore ed annuncio, sia anche dolore, sofferenza, patimento, angoscia ed inquietudine.
Recuperando ora il capo del filo del discorso, mi ricollego a <Dio è Vita>. Dio è Vita in ogni Sua manifestazione, e la Vita è Dio in ogni sua forma ed estrinsecazione. Così è che Dio è Amore, nella bellissima accezione da te utilizzata, ma è anche forza che disgrega, disarmonia e Kaos dialetticamente sussistenti e coesistenti con Amore che unisce, armonia e Kosmo, rappresentando di questi l’altra faccia della medaglia, quella che più disturba e scompiglia. Dio è Luce che genera ombre, sublime che si affaccia sull’abnorme, meraviglia che si stringe in un abbraccio con l’orrido, celestiale e luciferino.

Tralascio al momento di dilungarmi oltre misura sul concetto di panteismo che fa capolino dalle tue parole.

Ciao
visechi is offline  
Vecchio 16-03-2006, 10.36.01   #42
sunday01
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Messaggio originale inviato da visechi

riferimento:
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Sunday
Solo Dio che è tutto possiede la realtà oggettiva che corrisponde alla verità...
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Mi spiegheresti almeno tu a che pro l’aver creato una realtà oggettiva non disponibile per la comprensione e fruizione della Creatura?

Chi ha detto che questa realtà "oggettiva" non è disponibile per la comprensione e la fruizione della creatura???
Noi noi stiamo usufruendo di questa realtà???
Ma la tua domanda sottintende un'altra domanda: per quale motivo Dio avrebbe creato questa realtà oggettiva che a seconda dell'osservatore, sia un essere umano, o un insetto, o un alieno, assume una sua realtà soggettiva strettamente legata al fruitore di questa realtà?
È come se in un mondo coesistessero insieme tanti mondi tutti egualmente reali e fruibili e conoscibili….
Dio è in tutti questi mondi, ma se un'anima si manifesta nella materia può solo sperimentare la materia…

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Messaggio originale inviato da visechi

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Sunday
Domanda: la realtà dell'universo esisterebbe se non esistesse nessuno per osservarla???
Io penso di no....
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Ti rispondo in un altro modo: <un albero che dovesse cadere in una foresta priva di alcuna presenza che potesse udire il rumore prodotto dalla sua caduta, produce un rumore?>
Un albero che dovesse cadere in una foresta produce rumore anche se nessuno può udirlo…
Quindi per analogia l'universo esisterebbe fine a se stesso anche se non esistesse nessuno che potesse osservare la sua realtà…
Qui non concordo, perché Dio è vita ed energia, quindi un universo senza vita non avrebbe nessun senso…
La prova è che la vita esiste…. E anche se dovesse estinguersi su questo pianeta o sistema solare, un altro ne nascerà per ospitare la vita…

sunday01 is offline  
Vecchio 16-03-2006, 10.50.13   #43
Umberto77
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Molto bella la tua analisi, Visechi: profonda e dettagliata.

Prima di confrontarla con la mia idea, però, vorrei precisare che quello che ho espresso, non è un concetto panteista, in quando, ho detto, che Dio non è solo la somma del tutto, ma anche il suo significato, che trascende la somma e dà un risultato diverso dall’idea panteistica (per quanto ne so).

Ritorno all’argomento.
Dicevo che Dio è vita. E tu fai notare che il concetto di vita porta con sé anche quello di morte, come due facce della stessa medaglia.
E’ vero; così come la gioia non avrebbe senso se non fosse conosciuta la condizione di insofferenza e dolore.
Sono gli opposti che caratterizzano le leggi di un esistenza limitata alla percezione, cioè quella che stiamo sperimentando.
La Dualità fa parte di un sistema relativo in cui si sente di essere qualcosa di diverso da ciò che si osserva e che viene percepito come esterno a noi.

Dico questo, perché sono convinto che la Realtà sia unitaria e, ancora di più, lo è un Dio Assoluto che esprime il senso di questa unità nel suo significato.
Dunque noi viviamo gli opposti e osserviamo la vita come un susseguirsi di eventi contrastanti, l’uno legato all’altro in maniera inscindibile e interagenti.
Ma sappiamo bene che la morte è solo un momento di trasformazione, come lo è ogni attimo della nostra esistenza, in cui l’individuo muta in ogni suo aspetto morendo all’attimo prima.
Anche il dolore o la malattia o il male, non è “qualcosa” che esiste, ma la manifestazione di un “qualcosa” che manca. Cioè è l’avviso che la natura ci dà, che, in quel momento, siamo in una condizione disequilibrata rispetto a ciò che è “bene” per noi.

Dunque Dio o la Realtà, non sono duali e non hanno nessuna caratteristica che noi osserviamo, invece, nella nostra visione relativa e limitata degli eventi.
E’ un po’ come se tu non fossi in grado di osservare l’insieme armonico della corsa di un atleta, e, fissando solo un fotogramma della stessa, giudicassi estremamente instabile e pericolasa quella posizione così precaria per quell’individuo.
(Scusami per l’esempio piuttosto rozzo).
Umberto77 is offline  
Vecchio 16-03-2006, 11.53.11   #44
visechi
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Un albero che dovesse cadere in una foresta produce rumore anche se nessuno può udirlo…
Quindi per analogia l'universo esisterebbe fine a se stesso anche se non esistesse nessuno che potesse osservare la sua realtà…

Ok! Confesso, ho giocato un po’ con le parole. La risposta alla mia domanda è implicita nella domanda stessa nel momento in cui io affermo che il rumore è prodotto. Hai ben rintuzzato questo gioco sostenendo che l’Universo non avrebbe alcun senso in assenza di presenza attenta che ne fruisce. Ma è proprio qui il discrimine che rende i nostri due modi di pensare non armonizzabili e non riconducibili a sintesi. La Vita in sé non è atta a significare l’esistere delle cose che “sono in quanto sono”, a prescindere da proprie possibilità di moto e di divenire. Anche se il mio riflettere sfocia in una constatazione desolante. Tu, mi pare di capire, ritieni che la Vita abbia un senso implicito, reso esplicito nel suo relazionarsi con chi in essa è immerso. Ogni vivente, pur attribuendo un senso relativizzato in funzione di se stesso nel dialogo con la Vita, da questa attingerebbe un significato assoluto, anche se reso poi relativo dalla sua stessa esistenza (che arzigogolo), quindi un senso interferito dal vivente, incrostato e non più puro ed assoluto come sgorgante dalla fonte primigenia. Io, viceversa, ritengo che qualsiasi significato e senso attribuiamo alla vita è sempre attinto dal nostro profondo, dal nostro intimo, se ti va traduci pure in anima, non cambierebbe molto. Questo senso e significato sono artificiosamente attribuiti alla Vita, al nostro esistere, come in una proiezione. Siamo noi che arbitrariamente annettiamo all’esistenza un Suo intrinseco significato, ed avvertiamo questa discrasia fra la nostra inconsapevole azione creatrice e il vuoto che ci circonda, in forma di ansia, angoscia metafisica ed inquietudine irredimibile.



Citazione:
Sono gli opposti che caratterizzano le leggi di un esistenza limitata alla percezione, cioè quella che stiamo sperimentando.
[…]
Dunque noi viviamo gli opposti e osserviamo la vita come un susseguirsi di eventi contrastanti, l’uno legato all’altro in maniera inscindibile e interagenti.
Ma sappiamo bene che la morte è solo un momento di trasformazione
Per quanto attiene alla percezione in riferimento alla Morte, non posso che dissentire. La Morte non è un fenomeno percettivo, quindi soggetto alle fallaci regole o leggi che informano tale processo, è, viceversa, un evento concreto, ineludibile. Che la nostra esistenza si sostanzi in un continuo complesso processo percettivo, in un affastellarsi di flash percettivi, non inficia minimamente il fatto che vi siano due momenti certi – facilmente verificabili presso una nursery di una qualsiasi clinica pediatrica, e presso una qualsiasi camera ardente -: la nascita e la morte. Ciò che è soggetto a trasformazione- prendo spunto da un tuo accenno – non è l’individualità del soggetto, la propria intimità, la sua essenza vitale, la sua forza vivificante e vivificata, il proprio Io (così qualcuno non si sentirà più solo), ma sono le sostanze elementari, le molecole costitutive dell’essere corpo. Ciò che si disperde in maniera irreversibile – fatta salva la possibilità di una rinascita dei corpi e dell’anima, per ora solo promessa – è la possibilità del divenire, del movimento, della mutazione di quell’essenza variegata e mutevole che è costitutiva di ciascuno di noi. Essenza a cui forse attribuiamo una valenza eccedente la sua reale natura… questo non lo so, ma qualche dubbio mi sorge. Vita e Morte non sono due status opposti, ma due condizioni che s’integrano vicendevolmente, siamo noi che le percepiamo come opposti, perché una è la tipica condizione ON, l’altra OFF, ma nessuna delle due potrebbe sussistere in assenza dell’altra.

Citazione:
Anche il dolore o la malattia o il male, non è “qualcosa” che esiste, ma la manifestazione di un “qualcosa” che manca. Cioè è l’avviso che la natura ci dà, che, in quel momento, siamo in una condizione disequilibrata rispetto a ciò che è “bene” per noi.
Forse no, forse un qualcosa di necessario per completare un ciclo, quindi non un’assenza, ma una sostituzione, un progredire dissolutorio. La Morte si avvale della malattia, e il dolore è elemento costitutivo della malattia. In tal senso ho affermato che vi è tanto Amore, cioè tensione all’unione, al ricongiungimento, quanta ve n’è in senso opposto, alla disarmonia, alla disgregazione, ciascuna delle due forze si avvale di propri alfieri o portatori d’acqua. L’Amore ha così suoi intimi alleati (l’elencazione sarebbe lunghissima, ma sono quelli tipici che ben facilmente puoi immaginare), così pure la forza disgregante si avvale dei propri apostoli.

Citazione:
Dunque Dio o la Realtà, non sono duali e non hanno nessuna caratteristica che noi osserviamo, invece, nella nostra visione relativa e limitata degli eventi.
Posso convenire con questa affermazione: Dio e la realtà non sono duali, forse siamo noi che per nostri limiti, li percepiamo in tal guisa, come se si trattasse di un’eterna guerra fra opposti, quando invece sono l’estrinsecazione della medesima forza che ha in sé tanto orrido quanta meraviglia e sublime. Il Numinoso affascina e terrorizza, il Volto di Dio non può essere esposto alla vista dell’uomo, così recitano le Scritture



visechi is offline  
Vecchio 16-03-2006, 15.48.45   #45
Umberto77
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Probabilmente non mi sono spiegato bene, Visechi; forse per eccesso di sintesi.
Cerco di spiegarmi meglio.

La dualità a cui facevo riferimento includeva la morte in contrapposizione alla vita, solo come enunciazione di principio nell’osservazione delle cose, ma non come fatto, in sé, in quanto la morte, contrapposta alla vita, è una contraddizione al principio che l’Assoluto sia “vita” e, quindi, tutto ciò che esiste non può cessare di essere, ma solo trasformarsi.

Altro discorso è il dualismo bene-male ecc., in quanto rappresentano, l’uno l’equilibrio, l’altro la mancanza di questo equilibrio.

Mi sembra di capire che, su questo punto, non siamo d’accordo, perché tu il male lo vedi come “un qualcosa necessario per completare un ciclo, quindi non un’assenza, ma una sostituzione, un progredire dissolutorio. ”.

Mi è difficile pensarlo come tale, Visechi, anche se ammetto che possa essere necessario, o meglio, inevitabile nel momento in cui l’individuo non riesca a seguire il movimento dell’essere, cristallizzandosi nel pensiero o agendo nell’ignoranza.

Per me il male è una mancanza che crea una reazione che, a noi, appare negativa, ma, in realtà è solo correttiva nell’indirizzare l’individuo su altri schemi di pensiero, forzandolo a cambiare la sua posizione sia fisica che mentale.
(Se tocchi una fiamma, crei una situazione di disequilibrio biologico e solo il dolore ti può avvertire di levare la mano da quella situazione pericolosa per te).
Dunque il male dell’oggi si trasforma nel bene di domani nel progresso dell’individuo e nella sua acquisizione di consapevolezza.

Così le cose mi tornano (per ora).
Umberto77 is offline  
Vecchio 16-03-2006, 19.16.30   #46
gyta
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Re: La realtà è fatta di ciò che esiste

La "realtà" è fatta di ciò che crediamo esistente.

(forse molto/troppo concisa la mia 'risposta'..)



Gyta
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Vecchio 17-03-2006, 10.36.54   #47
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Messaggio originale inviato da visechi
Ok! Confesso, ho giocato un po’ con le parole. La risposta alla mia domanda è implicita nella domanda stessa nel momento in cui io affermo che il rumore è prodotto. Hai ben rintuzzato questo gioco sostenendo che l’Universo non avrebbe alcun senso in assenza di presenza attenta che ne fruisce. Ma è proprio qui il discrimine che rende i nostri due modi di pensare non armonizzabili e non riconducibili a sintesi. La Vita in sé non è atta a significare l’esistere delle cose che “sono in quanto sono”, a prescindere da proprie possibilità di moto e di divenire. Anche se il mio riflettere sfocia in una constatazione desolante. Tu, mi pare di capire, ritieni che la Vita abbia un senso implicito, reso esplicito nel suo relazionarsi con chi in essa è immerso. Ogni vivente, pur attribuendo un senso relativizzato in funzione di se stesso nel dialogo con la Vita, da questa attingerebbe un significato assoluto, anche se reso poi relativo dalla sua stessa esistenza (che arzigogolo), quindi un senso interferito dal vivente, incrostato e non più puro ed assoluto come sgorgante dalla fonte primigenia. Io, viceversa, ritengo che qualsiasi significato e senso attribuiamo alla vita è sempre attinto dal nostro profondo, dal nostro intimo, se ti va traduci pure in anima, non cambierebbe molto. Questo senso e significato sono artificiosamente attribuiti alla Vita, al nostro esistere, come in una proiezione. Siamo noi che arbitrariamente annettiamo all’esistenza un Suo intrinseco significato, ed avvertiamo questa discrasia fra la nostra inconsapevole azione creatrice e il vuoto che ci circonda, in forma di ansia, angoscia metafisica ed inquietudine irredimibile.



Io ritengo che questa percezione della realtà da parte degli esseri viventi sia tale dal punto di vista fisico, quindi relativo, ma nel mondo fisico e materiale questo è l'unico modo di relazionarsi con la realtà.
A parte i cinque sensi che abbiamo per sperimentare la nostra realtà soggettiva, abbiamo un sesto senso che ci fa intuire che questa realtà non è assoluta, la nostra intuizione ci porta a relazionarci con l'assoluto, anche se siamo immersi in un mondo materiale ci rendiamo conto che questa è solo una proiezione dell'assoluto da cui proveniamo e di cui facciamo parte.

Citazione:
Messaggio originale inviato da visechi

La Vita in sé non è atta a significare l’esistere delle cose che “sono in quanto sono”, a prescindere da proprie possibilità di moto e di divenire. Anche se il mio riflettere sfocia in una constatazione desolante.
[...]
Siamo noi che arbitrariamente annettiamo all’esistenza un Suo intrinseco significato, ed avvertiamo questa discrasia fra la nostra inconsapevole azione creatrice e il vuoto che ci circonda, in forma di ansia, angoscia metafisica ed inquietudine irredimibile.
La tua angoscia è quella di intuire e sentire l'assoluto dentro l'esistenza e la realtà, dai alla vita un suo significato intrinseco (se ho capito bene), rapportato all'assoluto che non riesci a vedere nella realtà soggettiva, ma solo intuirlo e questo provoca ansia e inquietudine, perchè se la realtà oggettiva di Dio fosse palese nella nostra realtà soggettiva, non staremmo qui a farci mille domande...
Ma essendo noi parte dell'assoluto, quando siamo in sintonia con
noi stessi e l'universo, riusciamo a vedere un'unica realtà che corrisponde con la realtà oggettiva di Dio... con i sensi dell'anima, in quei momenti di grazia in cui tutto diventa uno.

sunday01 is offline  
Vecchio 17-03-2006, 11.30.22   #48
Umberto77
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Giuste considerazioni, Sunday01.
Ritengo anch’io che conciliare l’Assoluto con il relativo non sia affatto semplice; addirittura impossibile per una mente che tende a ragionare per categorie e schemi.
Resta l’intuizione, che per sua natura, travalica la mente in una percezione di sintesi oltre lo schema.
Resta lo spirito che “sente” la Realtà, anche se non può comunicarla, il quale ci spinge e ci stimola in ciò che immaginiamo, pensiamo e creiamo con la nostra mente e il nostro cuore.
Forse questa è fede, ma è anche Realtà che si esprime nei simboli che l’uomo può concepire.
Umberto77 is offline  
Vecchio 17-03-2006, 16.21.39   #49
visechi
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Citazione:
angoscia è quella di intuire e sentire l'assoluto dentro l'esistenza e la realtà, dai alla vita un suo significato intrinseco (se ho capito bene), rapportato all'assoluto che non riesci a vedere nella realtà soggettiva, ma solo intuirlo e questo provoca ansia e inquietudine, perchè se la realtà oggettiva di Dio fosse palese nella nostra realtà soggettiva, non staremmo qui a farci mille domande...

Ciò che nel mio precedente intervento intendevo sostenere è altro rispetto a quel che tu hai rilevato. Io sostengo che la realtà, la Vita, l’esistenza, pur potendo in una qualche misura o dimensione essere assolute ed oggettive, non hanno mai alcun senso intrinseco, piuttosto il senso e il significato, sempre artificioso, cioè bellamente costruito, direi pre-costruito, siamo noi ad attribuirli. Ciò avviene - il nostro atto di costruire artificiosamente – perché avvertiamo in un riverbero, in un tenue sospiro questo nulla che ci circonda. E’ la nostra Anima che ci avverte del vuoto entro cui siamo immersi; la coscienza, viceversa, attivata ed attivazione del nostro (non)essere senziente, non concependo ed aborrendo il vuoto, le assenze e le mancanze, inclina verso la mistificazione e l’edulcorazione di questo senso del nulla di cui l’Anima è portatrice e mai fattrice. Per quello in altra occasione ho sostenuto che la coscienza sia anche produttrice di quella lacerazione dell’essere (non-essere) che si traduce in “patologia dell’essere” – qui sì vera e propria patologia scaturente dal dialogo fra Anima o profondo e Coscienza -. Non per nulla si è spesso propensi a ritenere che la nullificazione dell’Io (o dell’Ego, assolutamente coincidenti e non configgenti come in modo malaccorto qualcuno interpreta), sia la strada maestra per sanare e suturare questo varco da cui eccede l’angoscia che ci sovrasta. Non è e non sarà mai il nostro costruire artificiali paradisi la linfa ri-vitalizzante che necessita per riempire di senso quel non-senso che abita il nostro profondo. Questa percezione indotta dal ‘sentire’ dell’Anima eccede ed eccederà sempre in assenza di un procedere verso l’ignoranza di noi stessi. Un’ignoranza che implica l’assolutezza dell’oblio di quel che presumiamo di essere, perché questa possa attingere a questa fresca fonte della dimenticanza il ricordo di se stessa, che permea l’Anima stessa.

Siamo fuori dal campo del divino, come ben ti sarai resa conto, e in ciò non vi è alcuna vocazione nichilista, piuttosto un tendere ad esaltare quella “volontà di potenza” di cui tempo addietro si fece apostolo, paladino e portavoce un certo Federico. Ma tale concezione – la Nullificazione – è ben presente, per altre ragioni e motivazioni, anche nella mistica medioevale, quella denominata “speculativa”, il cui antesignano fu Meister Eckhart, ma è ben presente anche nel Cantico Spirituale di tale Giovanni della Croce, e, pur percorrendo altre e variegate strade, anche in molta spiritualità orientale.



visechi is offline  
Vecchio 17-03-2006, 19.21.52   #50
freedom
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Messaggio originale inviato da visechi
Io sostengo che la realtà, la Vita, l’esistenza, pur potendo in una qualche misura o dimensione essere assolute ed oggettive, non hanno mai alcun senso intrinseco, piuttosto il senso e il significato, sempre artificioso, cioè bellamente costruito, direi pre-costruito, siamo noi ad attribuirli.

Non è tanto dare un senso alla vita la prospettiva da tenere d'occhio. Credo sia viceversa necessario comprendere come funzionano alcuni meccanismi. Se per te dunque è ininfluente l'esperienza dei grandi mistici, etc. poichè ritieni essi stessi, potenziali vittime di autoinganni vari. è tuttavia necessario, credo, da parte tua; verificare i meccanismi che danno luogo a siffatte esperienze. Così come per le sostanze stupefacenti (perdonami la volgarità dell'accostamento) e qualsiasi fenomeno di follia.

Non puoi liquidare tutto come autoinganno o delirio.

L'uomo ci è misterioso Visechi. E' questa la verità alla nostra portata. E se ci è misterioso noi non possiamo arrivare ad alcunchè di definitivo, conlcusivo, completo. Forse rassegnarsi a ciò potrebbe essere positivo.

freedom is offline  

 



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