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Vecchio 10-03-2006, 15.38.12   #1
nonimportachi
Utente bannato
 
Data registrazione: 04-11-2004
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La realtà è fatta di ciò che esiste

Citazione:
Messaggio originale inviato da nexus6
Basta porsi una di quelle classiche domande che impongono riverenza al solo pronunciarle, per capire il circolo vizioso nel quale stazioniamo. Anche la stessa ammissione che 'esista' (in un senso più ampio di quello che intendi tu) qualcosa che sta oltre, fa sempre parte di tale circolo e naturalmente pure il concetto di "circolo" alberga nell'allegra combriccola.

Sta di fatto che il limite, pur essendo sempre "mentale", lo si avverte, è una questione fisiologica per me, come penso pure per molti altri (e pure per te!); percepisco un bisogno, un desiderio, anelo a qualcosa che la mia mente sa essere 'impossibile', ma è questo il punto: è Lei che sa questa cosa, ecco il circolo. Non ti capita mai di "anelare"? Detto, forse, con altri termini ovviamente. Questo processo da un lato mi ha sempre spaventato per la sua incredibile insolubilità, facendomi sentire piccolo piccolo, mentre dall'altro mi ha sempre stupito enormemente per il fatto che io possa concepire tale insolubilità facendomi sentire, seppur piccolo, parte di un 'qualcos'altro' perennemente inconoscibile.

Ti voglio, dunque, domandare circa tal processo, nonimportachi.



Ciò di cui mi chiedi di dar conto nel resto del tuo scritto (quella brama di sapere come stanno le cose in se'), è sì tema consono a questo forum, altro che le disquisizioni sulla veridicità di un qualche concetto di Dio o sulle varie forme di moralità piuttosto che su quanto l'atteggiamento ateo sia pari a quello d'un credente.

Ma quel bramare, non è un porsi domande sui perchè e sui percome, che sarebbe semplice indagine. E coloro che soddisfano l' "anelare" chiedendosi i perchè ed i percome e quindi indagando, non confondano il "bramare vrità" con l'indagine stessa. Qui si parla di ciò che ha mosso quell'indagine e non dell'indagine o dei suoi più o meno improbabili risultati.

Dell'oggetto della tua domanda, non posso ovviamente parlarti e ti dirò quindi il modo di pormi davanti ad esso.


La realtà è fatta di ciò che esiste. E l'uomo, per i suoi limiti, può distinguere solamente una parte di quest'esistenza. Così la domnada cosa esisterà oltre ciò che non mi è dato conoscere? appare legittima ed appare possibile astrarre mentalmente qualcosa che potrebbe essere coerente con questo "oltre".


Trovo che questa visione sarebbe molto corretta se la sua premessa iniziale fosse vera: "La realtà è composta da ciò che esiste". Già... sembra tanto ovvia ed incontestabile vero?
........sono portato a ritenere che sia proprio questa idea, a causare quella sensazione di "qualcosa che non torna", l'incongruenza non sta nel qualcosa, ma nel ritenerlo tale.

Convieni con me sul fatto che l'uomo sia confinato entro precisi limiti. Ma quali sono questi limiti? 5 sensi. Il sesto senso, che si può anche contemplare, lo ritengo il risultato di un'elaborazione inconscia di input ricevuti attraverso i 5 sensi canonici.
E come "capacità di astrarre" entro quali limiti siamo confinati? Si astrae unicamente ciò che si esperisce. Posso immaginare un extraterrestre che non ho mai visto, ma questi sarà un puzzle di cose che ho esperito, dalla forma geometrica al colore e tutto il resto. Un ceco non potrà mai astrarre il colore rosso, esattamente come io e te non possiamo astrarre il colore ultravioletto. Immaginiamo l'ultravioletto come un colore noto, oppure lo trattiamo servendoci comunque di qualcosa di esperito. Anche per l'infinito o il concetto di indeterminazione si usano espedienti simili, si astrae l'infinito come un'immenso insieme di unità che si perdono all'orizzonte o in altri modi assolutamente finiti, l'indeterminato come un qualcosa dai contorni molto sfumati etc etc. Siamo decisamente abili, ma utilizziamo sempre le esperienze reali.

La capacità di astrarre non può prescindere da questi "mattoni" di base (le esperienze acquisite) con cui costruire mentalmente ogni cosa costruibile.

Questo per ciò che riguarda i limiti entro cui possiamo azzrdare un "modello mentale", un'idea di qualcosa.

Veniamo adesso all'oggetto delle nostre astrazioni........

C'è una realtà fenomenica che è riscontrabile indirettamente (vedi gli infrarossi), che comunque possiamo indagare. Indaghiamo questi fenomeni in base agli effetti che provocano e, pur senza averne una conoscenza diretta (immagine del colore reale degli infrarossi) possiamo elaborare un modello, diciamo "metaforico", che sia funzionale alla loro descrizione (si pesni anche alla corrente, all'atomo etc etc). Questa descrizione è inevitabilmente dettata dagli effetti che questi fenomeni hanno su quanto percepiamo direttamente. Si ottiene un "modello di qualcosa" (vedi l'atomo) che descrive gli effetti che ha, piuttosto che il "qualcosa" stesso.

Il "trascendete", proprio in quanto tale, oltre a non essere direttamente conoscibile, non ha effetti su quanto possiamo esperire. Altrimenti sarebbe considerato non-trascendente, ma oggettivo alla stessa stregua degli infrarossi (che trascendono la ns esperienza diretta).

Dunque c'è uno scibile conoscibile (esperienza diretta), uno scibile deducibile dal conoscibile (atono, infrarossi, ultrasuoni), ed in fine il "trascendente".

I limiti entro cui sono confinato, mi danno gli strumenti per astrarre mentalmente ciò che fa parte del primo e del secondo gruppo. Certamente non ho modo di astrarre alcunchè del terzo gruppo.

Torniamo alla premessa incriminata: "La realtà è fatta da ciò che esiste".

"Ciò che esiste" nel modo in cui io posso effettivamente concettualizzarlo è, a causa dei miei limiti, rappresentato da qualcosa che è oggettiva e rilevabile (direttamente o indirettamnte), quindi in aperto conflitto con il "trascendente" per sua definizione.

Come posso pensare che il concetto di esistenza che io uomo limitato posso contemplare, sia adatto/idoneo/efficace a rappresentare una qualche proprietà/attributo/qualità di ciò che è trascendente?

Chiedersi cosa possa esistere oltre a ciò che ci è dato conoscere è peccare di superbia. Implica il ritenere che oltre l'esperibile e il deducibile le cose continuino ad essere come dai ns limiti ci appaiono, classificabili in esistente o meno.

Chiarificatore può anche essere il domandarsi, là "dove il trascendente esiste ma non è identificabile", se ciò che "non esiste" in quanto non qualificabile come "esistente ma trascendente", possa a sua volta essere pieno di cose che a loro volta trascendono il trascendente..... Si potrebbe continuare all'infinito, esattamente come in quel paradosso che dice:

"Ma se niente può esistere a se senza che qualcuno lo abbia creato, chi ha creato il creatore, e chi ha creato il creatore del creatore e chi......"

Mi cito: Quindi la mia "esistenza" è molto elementare (c'è! e da qualche parte si vede bene!) ed il mio "niente" è pieno di tutto ciò che "non-esiste" (che non si vede e non si può vedere)............ Non sono in grado di fare distinzioni all'interno del "niente" e tutto ciò che posso indagare è solo ciò che "esiste".....

Ti invito ad immedesimarti in questo punto di vista. Capirai che non esclude niente di ciò che tu chiami "trascendente", ma lo qualifica come inqualificabile, proebendo, alla luce dei ns limiti, ogni sorta di irragionevole ed illegittima modellizzazione mentale proprio perchè ritenere di poterlo modellizare significa non riconoscere quei limiti per ciò che sono.

Non sono titolato a parlare di realtà oltre quella che vedo ne di esistenza. Posso parlare di realta che vedo e di percepibilità, come posso partire dall'assunto che la realtà tutta sia composta da ciò che esiste? se manco so cosa significa?
nonimportachi is offline  
Vecchio 10-03-2006, 18.57.36   #2
fallible
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capperi

Ciao , rimango affascinato dalle vostre argomentazioni; (non è adulazione, sono grandicello per certe cose ) , sono però perplesso dal "quid" della dicussione, non capisco dove voglia andare a parare mi sembra ovvio che la "realtà" sia ciò che è dimostrabile oggetivamente; nexus dice: Questo processo da un lato mi ha sempre spaventato per la sua incredibile insolubilità, facendomi sentire piccolo piccolo, mentre dall'altro mi ha sempre stupito enormemente per il fatto che io possa concepire tale insolubilità facendomi sentire, seppur piccolo, parte di un 'qualcos'altro' perennemente inconoscibile ecco il punto tutto questo porta a "sofferenza" che è dovuto al desiderio di voler possedere (conoscenza?) , voler essere e che lo "spirituale" cerca di spezzare seguendo un cammino che lo allontani dal desiderio; sarò fuori tema ma mi sentivo di dare il mio umile contributo claudio
fallible is offline  
Vecchio 10-03-2006, 20.07.59   #3
Elijah
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Re: La realtà è fatta di ciò che esiste

Citazione:
Messaggio originale inviato da nonimportachi
Non sono titolato a parlare di realtà oltre quella che vedo né di esistenza.

Due piccole osservazioni:

Determinati ebrei tacciono di fronte alla questione di Dio, perché Dio non è definibile, e non si può sapere cosa è, si può solo sapere cosa non è... Non per nulla il nome di Dio è impronunciabile, e si è pensato bene di sostituirlo con un tetragramma, quel relativamente famoso YHWH...
Insomma, anche gli ebrei non si permettono di parlare della realtà oltre quella che vedono...
In questo caso ci troviamo nel campo della teologia negativa...
Un discorso relativamente analogo (ma diverso) lo si potrebbe fare con il Buddha e il Nirvana, dato che Siddhartha non disse mai cosa era il Nirvana, ma solo ciò che non è.

Esiste poi una concezione della realtà, in cui viene considerata unicamente la materia, senza un mondo spirituale, cioè solamente quello che vedo e perpecisco, come divino... E questa è una forma di panteismo, che contempla unicamente tutto ciò che esiste, senza questioni sopranaturali o mistiche...
Ma noto che tu metti in dubbio pure l'insieme della realtà come qualcosa che esiste...

Citazione:

Posso parlare di realtà che vedo e di percepibilità, [ma] come posso partire dall'assunto che la realtà tutta sia composta da ciò che esiste? Se manco so cosa significa?
[...]
L'uomo è confinato entro precisi limiti. Ma quali sono questi limiti? I 5 sensi.

Il fatto che tu ammetta di avere dei limiti, fa in modo che le tue parole risultino contraddittorie e assurde. E questo te lo feci notare già in un'altra circostanza...

Come fai a parlare di limiti? In cosa consistono questi limiti? Nei 5 sensi? Ma come fai a sapere che oltre quei limiti c'è qualcosa? E se c'è qualcosa, allora dimmi di cosa si tratta e dove è il limite? E se non c'è nulla oltre il limite, allora perché parlare di limite?

Sono questi due termini... limitato e illimitato... che mettono in discussione tutto...

Dal punto di vista filosofico, affermare che l'infinito non esiste, è un dogma tanto quanto quello di dire che l'infinito esiste.
O forse anche no...


Elia

Ultima modifica di Elijah : 10-03-2006 alle ore 20.10.29.
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Vecchio 10-03-2006, 22.46.41   #4
nexus6
like nonsoche in rain...
 
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Messaggio originale inviato da nonimportachi
Dell'oggetto della tua domanda, non posso ovviamente parlarti e ti dirò quindi il modo di pormi davanti ad esso.
Riassuntino: vuolsi analizzare la frasetta "La realtà è fatta di ciò che esiste"; il 'punto centrale' del tuo discorso mi pare il seguente: "Si astrae unicamente ciò che si esperisce". Tale nocciolo ti consente di dire che "chiedersi cosa possa esistere oltre a ciò che ci è dato conoscere è peccare di superbia" ed in ultimo "non sono titolato a parlare di realtà oltre quella che vedo nè di esistenza".

Con quello che ho chiamato 'punto centrale' sono d'accordo (è la circolarità di cui ho parlato). Sulla questione della 'superbia' non sono d'accordo, invece; io la considero tutt'altro... e cioè grandiosità, maestosità, nobiltà. L'anelare non è superbia, dai, lo sento piuttosto come un impellente bisogno fisiologico, un cantuccio nel quale mi rifugio ogni tanto affinchè lo sguardo disabituato si possa estendere oltre la siepe quotidiana che esclude perennemente l'ultimo orizzonte.

Altro nocciolo, per me, che non può passare sotto silenzio è la seguente tua frase: tale punto di vista "non esclude niente di ciò che tu chiami trascendente, ma lo qualifica come inqualificabile, proebendo, alla luce dei ns limiti, ogni sorta di irragionevole ed illegittima modellizzazione mentale proprio perchè ritenere di poterlo modellizzare significa non riconoscere quei limiti per ciò che sono."

Non è difficile immedesimarmi in tale punto di vista, ma quello che un pò mi 'disturba' è la qualifica di inqualificabile... non è azzardo 'superbo', questo? No, tu mi dirai è piuttosto umiltà nel valutare ed accettare i nostri 'limiti'; l'umiltà ce l'ho e dunque non riesco nemmeno ad applicare tale qualifica... mi comprendi? Chi o che cosa decide con precisione tali limiti? Questo è il mio nocciolo, valutalo molto bene.

Quando guardo un incredibile cielo stellato, non quello lattiginoso delle città, ma quello della campagna e per chi può della montagna, non posso che rimanere a bocca aperta ed iniziare a domandarmi alcune di quelle fatidiche domande; nel farlo peccherei di superbia? Lo farei se pretendessi di importi una mia 'posizione' su qualche mia pericolante certezza/credenza circa tali argomenti, circa quello che hai chiamato "l'oggetto della tua domanda". Lo farei se pretendessi di imporre a milioni di persone quello che vedo, vedo?

Il mio modo di pormi davanti all'"oggetto della domanda"? In estasi spaventata, commossa, incomprensibile, appagante, disarmante, mentre corro su una superficie limite, radente... la attraverso, ora? Con superbia? No, con umiltà mi accontento di mettere fuori la mano dal finestrino e sperimentare la "portanza" che genera tale operazione riguardo ai miei pensieri.
Dici che questa è una "sorta di irragionevole ed illegittima modellizzazione mentale"... già... le 'modellizzazioni', mannaggia sono sempre lì dietro l'angolo, la circolarità è sempre presente, ma anche questa è fisiologia, è natura... no? Illegittima sì, 'irragionevole' lo è come un quadro di Van Gogh o una poesia di Leopardi; il "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia", per esempio.

Che fai tu Luna in ciel?

Interrogativo sospeso nel tempo... superbo, irragionevole, illegittimo?

Ho capito il tuo punto di vista che d'altronde hai non velatamente espresso all'inizio del post... è pragmatico, realista... troppo, forse? Non so.
Alla mia domanda "Ti voglio chiedere, invece, tanto per soddisfare una mia personale curiosità: non sei mai scosso dal dubbio che ci sia qualcosa che non torni?", hai risposto: eheh.... diciamo che più che il dubbio ne ho un buon livello di "certezza"....

Beh... io non riesco ad aver un 'buon' livello di certezza, ma piuttosto un 'buon' livello di incertezza e colei che me lo impone è proprio la mia razionalità che, come ti ho detto nella discussione da cui hai prelevato quel mio post, rendendosi conto del circolo vizioso ha un modo di porsi piuttosto prudente ed aperto, diciamo 'mobile', senza arroccarsi su di una certezza qualificante piuttosto che su di un'altra.

Come ho detto alla fine di quel post, "sento" la mia mente, non ci posso fare nulla... gli dovrei imporre di fermarsi? Ma chi applicherebbe tale imposizione? Ed a che cosa?

Mi fermo qui e ora.
nexus6 is offline  
Vecchio 13-03-2006, 12.00.01   #5
visechi
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<Chiedersi cosa possa esistere oltre a ciò che ci è dato conoscere è peccare di superbia>

Quest’affermazione ha in sé una palese contraddizione che la rende superflua e priva di significato.
La conoscenza acquisisce una sua ragione d’essere proprio perché il suo estrinsecarsi, che la rende manifesta, è presupposto dalla domanda pretestuosamente dichiarata superba, che ne rappresenta un incipit imprescindibile, tanto che in assenza di domanda non verrebbe a svilupparsi l’azione svolta dalla conoscenza. Conoscere è anche rapportarsi con i propri limiti, venirne a contatto, conoscerli a sua volta; conoscere è anche tendere a superare questi limiti resi noti alla conoscenza proprio dall’atto di conoscere, affinché la conoscenza stessa, dischiudendo a se stessa, all’occhio della ragione (quando è solo la ragione implicata nel processo conoscitivo) un nuovo ed inusitato campo d’indagine, tenda a varcarli o a spostarli uno spazio più avanti. E’ così che la conoscenza incontra e disputa con i propri limiti, facendo con questi i conti, ma non per operare in sé un arretramento o una contrazione, piuttosto per propendere se stessa verso un loro eccedere. Ne consegue che la conoscenza, entrando in contatto con i propri limiti (non sempre valicabili o oltrepassabili), spinge lo sguardo oltre questi, cioè nell’area del non noto, ove dispiega la propria azione di conoscere. Presupposto del conoscere sono così l’inconfutabile (posto a base dell’ulteriore indagine), quanto rappresenta il limite congiunturale della conoscenza, e, in special modo, la naturale propensione a varcare quanto la delimitano, per spostare più avanti la linea di confine che separa il conosciuto dal non noto.
La conoscenza non opera nel campo dell’inconfutabilmente noto, se non per meglio affinare se stessa, per meglio specificare, chiarire e definire il già parzialmente noto, sviluppando così, in tale ambito, un’azione di perfezionamento, che, in ultima analisi, per quanto meglio chiarito, specificato e definito, è sempre un’estrinsecazione di sé, cioè sempre un’acquisizione o incremento di conoscenza da porre a fondamento incontrovertibile da cui prendere le mosse per svolgere un’ulteriore e più specifica indagine che esalti le proprie peculiari caratteristiche.
La conoscenza, partendo dal già conosciuto, si sviluppa precipuamente entro il non conosciuto (quasi tautologico), e nell’azione di conoscere pone di fronte a sé la consistenza dei propri limiti, con cui dialetticamente disputa; limiti che in assenza di azione, il cui incipit è dato dalla domanda ‘superba’, non si renderebbero palesi. E’ così del tutto privo di senso sostenere che la conoscenza dovrebbe indagare entro ciò che ci è dato conoscere (sbocco naturale e conseguente rilevabile dall’asserzione posta in evidenza), cioè entro i propri limiti che non sarebbero conosciuti se la conoscenza non propendesse al loro superamento.
Il moto della conoscenza e la sua intima vocazione a guardare oltre i propri limiti, sono caratteristiche peculiari e naturali dell’atto di conoscere. Ciò tanto se l’oggetto del conoscere fosse rappresentato da un fenomeno fisico (la storia del progresso tecnologico insegna), sia che si alluda ad una speculazione filosofica (in tal caso è la storia della cultura che offre sostegno alla tesi), oppure anche si tratti di sviluppare indagine nel settore della metafisica (anche se qui i limiti della ragione e del sentimento – entrambi implicati nell’atto di conoscere – sono ben più marcati). Si tratta di un moto naturale incontrovertibile che ha rappresentato il motore e il carburante della storia dell’umanità, ed ha consentito il progresso culturale e filosofico fin dall’invenzione della ruota.

L’affermazione che <la realtà è fatta di ciò che esiste> è una tautologia non troppo dissimile dall’affermazione che <la luce è luminosa> o <il calore è caldo>, solo che queste ultime, rispetto alla precedente, sono rilevabili apoditticamente, non così per quanto attiene alla prima che necessiterebbe, per considerarla vera, di essere maggiormente sostanziata.
In questa proposizione, infatti, l’esistere non è atto a significare la realtà, così pure viceversa, in quanto non ci si è soffermati di significare e sostanziare l’un termine e l’atro (realtà ed esistere). Non fornir di contenuto il contenitore ed utilizzare entrambi i termini, così svuoti di contenuto significativo, come colonne portanti di un enunciato, rende l’intero enunciato privo di alcun contenuto significativo. Svilupparci intorno un’argomentazione è una forzatura improponibile che sortisce l’unico effetto di dar immagine priva di forma al suono delle parole utilizzate per argomentare un enunciato privo di significatività.

Un saluto
visechi is offline  
Vecchio 13-03-2006, 12.54.26   #6
turaz
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per quanto approfondite le argomentazioni rimangono un "esercizio mentale" fine a se stesso.
turaz is offline  
Vecchio 13-03-2006, 15.41.56   #7
nonimportachi
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Messaggio originale inviato da nexus6
Sulla questione della 'superbia' non sono d'accordo, invece; io la considero tutt'altro... e cioè grandiosità, maestosità, nobiltà. L'anelare non è superbia, dai, lo sento piuttosto come un impellente bisogno fisiologico....

No certo, l' "anelare" in se non è superbia, condivido il tuo descriverlo "fisiologicamente". Anch'io lo avverto come qualcosa di pressochè indipendente dalla volontà. Ciò che intendo descrivere come "superbo" è il ritenere che "farsi un'idea", "un concetto" di ciò che sta oltre i limiti, possa in qualche modo aiutare a "comprenderlo". Mi sembra invece che la tua descrizione di questo azzardarsi oltre sia prettamente "pro-gaudio".

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Messaggio originale inviato da nexus6
Altro nocciolo, per me, che non può passare sotto silenzio è la seguente tua frase: tale punto di vista "non esclude niente di ciò che tu chiami trascendente, ma lo qualifica come inqualificabile, proebendo, alla luce dei ns limiti, ogni sorta di irragionevole ed illegittima modellizzazione mentale proprio perchè ritenere di poterlo modellizzare significa non riconoscere quei limiti per ciò che sono."

bhe, lo ribadisco, ma sempre nell'ottica di cui sopra. Non si pensi di poter acquisisre una conoscenza coerente ed efficace nel descrivere quell'oltre.

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Messaggio originale inviato da nexus6
...quello che un pò mi 'disturba' è la qualifica di inqualificabile... Chi o che cosa decide con precisione tali limiti? Questo è il mio nocciolo, valutalo molto bene.

I limiti sono quelli fisiologici. Tali limiti ci concedono di percepire le cose in "ON-OFF" o esistono oppure no. Se esistono hanno forma e caratteristiche proprie.... etc etc... un universo oggettivo, deterministico, "newtoniano".....

Questo è il mondo e il modo in cui viviamo. E' su questa concezione delle cose che c'è quel "qualcosa che non torna" di cui parlavamo. Anche la logica basta a farci comprendere che tutta questa determinazione ed oggettività non può prescinde dal contesto, da ciò che le sta intorno e da chi ci interagisce. Le cose non sono "in sè" ma tali in relazione a noi. Come farebbero ad esistere i sassi se nessuno ne decretasse l'esistenza?

Quell' "anelare" di cui vai parlando, non è forse la curiosità di sapere cosa c'è sotto? di conoscere le cose per come sono in se'? guardando oltre quel "modello funzionale" che mi spiega solamente il modo in cui mi ci posso relazionare.
Cosa c'è di più inqualificabile di una realtà senza nessuno che la qualifichi?

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Messaggio originale inviato da nexus6
.....non posso che rimanere a bocca aperta ed iniziare a domandarmi alcune di quelle fatidiche domande; nel farlo peccherei di superbia?. Lo farei se pretendessi di imporre a milioni di persone quello che vedo ... mettere fuori la mano dal finestrino e sperimentare la "portanza" che genera tale operazione riguardo ai miei pensieri.

Giusto. Sei un poeta (magari non praticante) animato da sincera ispirazione. Ti azzardi oltre pr il gusto di farlo. Quel che è superbo è ritenere di poter scorgere una "sostanza" conoscibile che soddisfi quel senso di "veridicità" che si brama.


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Messaggio originale inviato da nexus6
io non riesco ad aver un 'buon' livello di certezza, ma piuttosto un 'buon' livello di incertezza e colei che me lo impone è proprio la mia razionalità che ... rendendosi conto del circolo vizioso ha un modo di porsi piuttosto prudente ed aperto.

Capisco, potrei contestarti che il tuo modo di porti è "superbo" in quanto "illuso" di contenere nei suoi limiti qualcosa che per definizione non ci può rientrare . Ma sarebbe puro duello dialettico....

Prendo invece più in considerazione l'idea di "fermare la mente" o comunque quella di lavorare sulla coscienza, cambiare me e vedere come cambia il resto.
nonimportachi is offline  
Vecchio 13-03-2006, 15.46.02   #8
turaz
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quel "fermare la mente" cui spesso rimando.
ciao
turaz is offline  
Vecchio 13-03-2006, 16.00.42   #9
sunday01
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La realtà siamo noi, è la nostra esistenza, e visto che noi siamo in continua evoluzione, (non siamo gli stessi della foto di 5 anni fa, per esempio), anche la realtà è in continua evoluzione.

Se io esisto tutto esiste ed esiste la realtà, se io non esisto non esiste nulla per me....

In sostanza questa è la realtà, e tutto quello che penso è reale, altrimenti non potrei pensarlo.

Ciao

sunday01 is offline  
Vecchio 13-03-2006, 16.07.40   #10
nonimportachi
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Messaggio originale inviato da visechi

Quest’affermazione ha in sé una palese contraddizione che la rende superflua e priva di significato.
La conoscenza acquisisce una sua ragione d’essere proprio perché il suo estrinsecarsi, che la rende manifesta, è presupposto dalla domanda pretestuosamente dichiarata superba, che ne rappresenta un incipit imprescindibile, tanto che in assenza di domanda non verrebbe a svilupparsi l’azione svolta dalla conoscenza.

Tanto mi dici in merito a quest'affermazione:

<Chiedersi cosa possa esistere oltre a ciò che ci è dato conoscere è peccare di superbia>

Sottolineo il "ciò che ci è dato conoscere". Questo in fatti va letto non come "ciò che conosciamo", ma come ciò che i nostri limiti ci consentono di indagare.

Citazione:
Messaggio originale inviato da visechi
Il moto della conoscenza e la sua intima vocazione a guardare oltre i propri limiti, sono caratteristiche peculiari e naturali dell’atto di conoscere.

In questo dissento. Mi interrogo sul perchè di un fenomeno noto, non mi interrogo sul perchè di un accadimento se questo non è mai accaduto.


[quote]Messaggio originale inviato da visechi
Ciò tanto se l’oggetto del conoscere fosse rappresentato da un fenomeno fisico ... sia che si alluda ad una speculazione filosofica ... oppure anche si tratti di sviluppare indagine nel settore della metafisica

Anche qui dissento. l'atteggiamento che muove la conoscenza nei tre casi è assolutamente diverso. La realtà esperibile non mi spinge ad alcuna indagine metafisica. La motivazione che muve quest'indagine non è la solita che muve l'indagine di un fenomeno osservato.
E proprio questa "indagine metafisica" è ciò che definisco "superbo" (che non vuole certo essere una sentenza morale, ma un indicare l'impossibilità di approdo).
nonimportachi is offline  

 



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