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Alan Wilson Watts

 

Biografia

Alan Wilson Watts nacque in Inghilterra nel 1915.

Filosofo, autore, insegnante, presentatore, cappellano militare, consulente psichiatrico, conferenziere... Alan W. Watts fu sorprendentemente versatile. Esordì, se così si può dire, a soli sedici anni con un saggio per il Buddhist Lodge di Londra. Divenne celebre in tutto il mondo come elegante canale di collegamento fra la cultura occidentale e quella orientale. Conseguì la Laurea in teologia al Seabury Western Theological Seminary ed ottenne un titolo onorifico dalla Vermont University come alto riconoscimento per il suo lavoro nel campo delle religioni comparate e diresse la facoltà dell'American Academy of Asian Studies di San Francisco. Nel 1950 lasciò la chiesa e la sua prima moglie per iniziare una nuova vita a New York con Dorothy Dewitt. Watts ebbe grande presa su una platea cosmopolita, affascinò milioni di persone, divenendo ben presto famoso come il più originale interprete delle filosofie orientali, in particolar modo del Buddhismo Zen.
Morì in California nel 1973, a lui sopravvissero i suoi sette figli e la seconda moglie.

Fonte: http://users.libero.it/aetos/saggi/alan_watts.html

 

Tra le LettereOnLine del sito:

Alan Watts - La magia dell'impercettibile di Diego Pignatelli

 

- Recensione del libro La via dello zen

 

Leggendo l'opera di Alan Watts "The Way of Zen", si ha l'impressione viva che Watts abbia colto nel segno. Entrando specificamente nel tecnico, con esaudente e meticolosa indagine in quella che è la panoramica Zen e del buddhismo cinese ed indiano, Alan Watts apre a guisa d'introduzione uno dei lavori più sorprendenti e brillanti che abbia mai svolto. Nel "la Via dello Zen" il genio eclettico di Alan Watts si fa superbamente versatile. Tutto è spogliato sotto gli occhi attenti di un Watts fermamente deciso nel voler sottoporre il lettore alla "verità" dello Zen.
Verità che è il fulcro dello Zen, scevra di ogni dicotomia (dvandva) che la frappone alle categorie del pensiero e che la separa dall'uomo. Le categorie concettuali sono quelle che Alan Watts definisce "le rigide maglie del pensiero" che dividono in "classi fisse e separate".
Sono ancor di più astratti chiusi in termini e convenzioni. Ed è proprio sulle convenzioni che Alan Watts batte il tamburo. Le convenzioni sociali ed etiche non sono altro che etichette, il "Letto di Procuste" ossia l'educazione sociale. Il concetto del linguaggio è composto di categorie mentali (vikalpa) che filtrano la realtà effettiva.
L'illusione del linguaggio è proprio questa; la presunzione di descrivere in termini concettuali quella che è la realtà così com'è (yatabutham).
La verità non può essere la descrizione, così stringendo in un pugno l'acqua, essa scivola via tra le dita.
Il pensare filosofico,metafisico o tecnologico tende a questa impossibilità di voler catturare la realtà fluida dell' l'acqua nelle reti del concetto.
Non a caso Alan Watts insiste nella metafora dell'acqua comunemente usata dai taoisti come principio da rifuggere nella non resistenza e nella cedevolezza.
"Lasciare la presa" è una delle esortazioni affrontate da Watts con grande maestria. Lasciare la presa non solo è un consiglio raccomandato dagli antichi ma è anche un modo per "non farsi ingoiare dalla vita". Il nostro modo di guardare la vita è una percezione ristretta rivolta al particolare. Ma in tale particolare non può essere in-clusa l'unità, così l'attenzione rivolta ad un ambito ristretto è la nostra stessa percezione dualistica dell'unità.
Tutto ciò è spiegato benissimo nella filosofia dell'Advaita Vedanta come nel mito Indù del brahman.
Brahman è l'equivalente di Tao. A questo proposito Alan Watts che è già un abile interprete della filosofia Cinese e del Taoismo, dimostra di cavarsela formidabilmente in quella che è la descrizione esaustiva delle origini del Buddhismo, ossia l'epoca indù.
Sappiamo bene che il panorama indiano, vasto come l'oceano, è altrettanto irresistibile di quello cinese ed Alan Watts non tradisce le sue doti di interprete del pensiero indiano, veste questa inconsueta da parte di Watts che è stato sempre strettamente legato al pensiero ed alla cultura cinese.
Alan Watts si presterà anche all'uso di una terminologia sanscrita relativa al buddhismo ma è lo zen ciò che più impressiona nel repertorio di Alan Watts. L'abile descrizione dei koan (aforismi zen) dello stile Chan, nelle scuole dei suoi patriarchi come Hui-neng e Tao Sheng e dei suoi predecessori taoisti come Lao-Tzu e Chuang-tze, sono il campo d'elezione di Alan Watts. La Via dello Zen come tanti altri di Alan Watts è un libro da meditare. Lo scopo dello zen se non altro è proprio quello di far riflettere.
Alan Watts spoglia la verità di ogni categoria e lo fa con sottile ironia e perfetta trasparenza, esortando il lettore ad uscire al di fuori del comune autoinganno.
Prendendo di mira proprio l'illusione dell'autoinganno, Alan Watts si diverte a smascherarne l'intera struttura dualistica proprio come il gioco del "lila" dell'Induismo.
Nell'induismo viene esplicitamente dichiarato che colui che gioca "il giocatore" è il primo attore che recita l'universo (atman-brahman).
Il lila nell'idea di gioco a nascondino è lo stesso che far finta di nascondersi per poi ritrovarsi completamente nella visione totale del brahman.
L'esperienza divisibile ed al contempo indivisibile, sono parte dell'unione con l'assoluto (brahman).
Ed è proprio quest'esperienza che è completamente oscurata dalla visione dualistica della disunione dell'universo.
Crediamo che questo mondo sia fatto di tante parti scollegate e che queste parti debbano essere la nostra vera visione del mondo.
L'analogia di scambiare il cartello per l'indicazione stradale e cercare di arrampicarvisi sopra, è una di quelle allucinazioni sottolineate da Watts come "falsa percezione" del reale.
La falsa percezione è un gioco in maschera che l'ego mette in atto. Tutto ciò riserva solo autoalienazione. L'illusione di un io come centro separato di azione è allo stesso modo come percezione isolata di se stessi fa parte di quell'elusivo processo che ha al fine il diretto vantaggio di riportare l'uomo alla libera coscienza del brahman.
Alan Watts calca spesso quest'affermazione soprattutto nel concetto del liberato in vita (jivan mukta). Il liberato in vita sconfina in un oceano distante ma a se stante vicino che è quello della realtà.
Lo jivan mukta non vede secondo una prospettiva dualistica, non fa differenziazioni ne di tipo oggettivo ne di tipo soggettivo, egli vive senza coinvolgimento emotivo, quasi come osservatore separato ed allo stesso tempo implicato in ogni processo della vita. Il jivan mukta è il navigatore esperto che sa riconoscere la longitudine ed i meridiani, il vento e le onde ed il corso della natura e della vita (jiva).
In conclusione questo naturale distacco si può riflettere nella stessa arte di Alan Watts, che come esponente tra i più illuminanti di questo filone ci accompagna nelle sue letture come un amico lungo il grande fiume della saggezza zen.

Diego Pignatelli Spinazzola - Napoli 13/3/2004

 

Diego Pignatelli Spinazzola è autore su Riflessioni.it della rubrica: Riflessioni sulla Psicologia Transpersonale

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