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Le finestre dell'anima di Guido Brunetti

Le Finestre dell'Anima

di Guido Brunetti   indice articoli

 

Arte, cervello e inconscio

Ottobre 2013

 

In questi ultimi anni si è sviluppato un processo d’interazione tra cervello, mente, inconscio e arte, che ha portato alla nascita di una “neuroestetica emotiva”. Una comprensione cioè delle nostre risposte, emozionali, empatiche e percettive, alle opere d’arte. La neuroestetica è una nuova disciplina che tenta di coniugare lo studio dell’arte con le neuroscienze.

La sfida fondamentale delle neuroscienze del XXI secolo è “capire la mente umana in termini neurobiologici”. Come impariamo, ricordiamo e percepiamo? Qual è la natura del pensiero, della coscienza, dell’emozione, dell’empatia? Quali sono i limiti del libero arbitrio?

La nuova scienza del cervello e della mente non solo ci fornisce una comprensione più profonda di quello che ci rende ciò che siamo. Ma ci consente di indagare i meccanismi cerebrali che rendono possibili la percezione e la creatività nell’arte, nelle scienze, nella letteratura e nella vita quotidiana. Le neuroscienze e l’arte rappresentano due importanti prospettive della mente. Gli straordinari progressi  neuro scientifici ci mostrano che la nostra vita mentale “prende origine dal cervello” (Kandel). Una delle sfide più notevoli della neurobiologia è dunque capire come il cervello divenga “consapevole” dell’emozione, della percezione e dell’esperienza.

Nel periodo compreso tra il 1890 e il 1918, le intuizioni di Freud, gli scritti di Schnitzler e i dipinti di Klimt avevano in comune la capacità di penetrare nella natura della vita istintuale dell’essere umano. L’opera poi  di Darwin “L’origine della specie” (1859) introduce il concetto che gli esseri umani “non sono creati da un Dio onnipotente, ma sono creature biologiche evolutesi da antenati più semplici”. Questi nuovi orientamenti portano a un “riesame” della natura biologica dell’esistenza umana. Si scopre così che gli individui non solo “ospitano” sentimenti erotici inconsci, ma anche pulsioni aggressive altrettanto inconsce dirette sia contro se stessi sia contro gli altri. Freud chiamerà “pulsione di morte” (Thanatos) questi impulsi oscuri. E’ la scoperta dell’inconscio, cioè della natura largamente irrazionale della mente. E’ la grande rivoluzione freudiana. La quale evidenzia che non controlliamo consciamente le nostre azioni, ma siamo guidati da motivazioni inconsce. Questa rivoluzione suggerisce più tardi l’idea che la creatività trae origine nell’accesso conscio dalle forze inconsce sottostanti.

In verità, molti filosofi nel corso dei secoli hanno dibattuto sul ruolo dei processi mentali inconsci nella vita psichica. Prima Platone, poi Schopenhauer e Nietzsche scrivono dell’inconscio e delle spinte inconsce. Freud rileva che la maggior parte della vita mentale è “inconscia”. Antonio Damasio (“Il sé viene alla mente”, Adelphi Edizioni)  definisce “inconscio genomico” la “colossale quantità di istruzioni contenute nel nostro genoma”. Sono disposizioni che toccano un’ampia gamma di temi, come il formarsi delle arti, la sessualità umana, la religione, il comportamento umano.

Queste nuove idee e le nuove scoperte delle neurosciernze mandano così in crisi il concetto di libero arbitrio. Il principio che “tutti i processi mentali hanno una base biologica nel cervello” porta poi a sostenere che tutte le malattie mentali hanno “una base biologica”.

Se dunque la maggior parte della nostra vita mentale è inconscia, qual è la funzione della coscienza? La coscienza - rispondono i neuro scienziati - è ciò che ci consente di sperimentare pensieri, emozioni e stati di piacere e dolore.

L’arte, in questo contesto, rappresenta un complesso insieme di impulsi inconsci e ci dà alcune tra le esperienze “più profonde ed emotivamente coinvolgenti accessibili agli esseri umani” (Dutton). Le arti sono pertanto “adattamenti”, tratti istintuali, che ci aiutano a “sopravvivere”. L’arte  può dare origine a sensazioni di benessere. Una grande opera d’arte - come confermano i moderni studi neuro scientifici - ci permette di sperimentare “un piacere profondo”. I circuiti del piacere del cervello si attivano anche quando godiamo di un’opera d’arte, quando abbiamo esperienza di un bel tramonto, un buon  pasto o un rapporto sessuale appagante.

La gioia che ricaviamo dall’arte alza il volume del piacere attraverso il rilascio di neurotrasmettitori noti come endorfine. Sono sostanze simili alla morfina nelle loro capacità di bloccare gli stimoli dolorosi. Dal momento che la creazione dell’opera d’arte e la risposta dello spettatore all’arte sono “prodotti” del cervello, una delle sfide più affascinanti per la nuova scienza del cervello è costituita dalla natura dell’arte. Semir Zeki, pioniere della neuroestetica afferma che la funzione principale del cervello è “acquisire nuove conoscenze sul mondo e che l’arte visiva è “un’espressione” di tale funzione.

A partire da Riegl e continuando con Ramachandran, Kris e Gombrich, oggi sappiamo che le immagini create dall’artista vengono “ricreate” nel nostro cervello. La percezione poi delle emozioni nell’opera d’arte è in parte empatica ed imitativa e comprende i sistemi cerebrali che si occupano del movimento biologico, i neuroni specchio e la teoria della mente. L’emozione è determinata dall’amigdala, dalla corteccia prefrontale, dallo striato e dai differenti sistemi di modulazione del cervello. Un dipinto dunque ci può trasportare attraverso un “continuum” di emozioni diverse, che si estendono dal piacere erotico al dolore, dal terrore all’angoscia, dalla paura della morte alla speranza della nascita.

Invero, l’analisi della creatività richiede studi che procedano in parallelo da una varietà di prospettive diverse. La creatività infatti è qualcosa di molto complesso, che assume una “varietà” di forme differenti e che stiamo appena iniziando a capire.

Storicamente, le persone creative sono spesso viste come “toccate” da un’ ispirazione divina. Agli inizi del XX secolo sono stati fatti diversi tentativi per misurare la creatività, analoghi al quoziente di intelligenza (QI) utilizzato per misurare l’intelligenza. Essi hanno portato alla conclusione che la creatività si basa sull’intelligenza ed è dotata di una molteplicità di forme. Sta di fatto che i tipi di personalità sono numerosi e sono incentrati su una varietà di caratteristiche, tra cui intelligenza, stupore, indipendenza, flessibilità, anticonformismo, capacità di rilassamento. Tutte caratteristiche che favoriscono l’accesso all’inconscio.

Grazie agli esperimenti di brain imaging, oggi i neuro scienziati stanno iniziando a “identificare” alcune delle regioni del cervello che contribuiscono alla creatività. L’idea che processi mentali inconsci possano contribuire alla creatività è stata introdotta da Ernst Kris, il quale sostiene che l’artista accede all’inconscio attraverso un processo di “regressione al servizio dell’Io”. La regressione è di giovamento ai processi creativi poiché l’artista è in grado di portare in primo piano la forza delle pulsioni sessuali, dei desideri inconsci, dei pensieri, delle azioni rimosse e dei conflitti.

Concludiamo, dicendo che il cervello è una “macchina” della creatività, che siamo ancora in una fase precoce di una concezione neurale della creatività e che la mente è un insieme di operazioni effettuate dal cervello. Tutto parte dal cervello, la struttura più complessa e misteriosa dell’universo conosciuto.

 

Il libro: Eric R. Kandel, L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello, Raffaello Cortina Editore, 2012.

 

   Guido Brunetti

 

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