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Le finestre dell'anima di Guido Brunetti

Le Finestre dell'Anima

di Guido Brunetti   indice articoli

 

Il bene e il mistero del male

Aprile 2017

 

La cronaca quotidiana rende sempre più complicato raggiungere non diciamo la felicità, ma momenti di serenità e  tranquillità dell’animo, un animo gettato in una landa deserta, continuamente sottoposto a un malessere esistenziale e a un bombardamento di stress, ansia, angoscia e sofferenza.

 

Secondo una vasta letteratura che va dai primi filosofi agli autori moderni e contemporanei, bene e male sono i due principi fondamentali che governano la vita umana. Essi sono in perenne lotta fra loro e corrispondono alle pulsioni originarie teorizzate da Freud: Eros e Thanatos, amore e odio, vita e morte.
Sono state le religioni, la filosofia e la teologia ad aver iniziato ad indagare il mistero  del male, un problema che da sempre suscita nell’uomo un senso di angoscia e tormento, e rappresenta una sfida alla ragione e alla scienza.
Gli studiosi hanno fornito le risposte più varie. Sono stati chiamati in causa la volontà divina, i sentimenti morali, l’ordine del cosmo, la libertà soggettiva, la ragione, la cultura, l’evoluzione, l’architettura del cervello.
Le grandi religioni hanno fatto riferimento all’esistenza di un Dio del bene e di un Dio del male (Zoroastrismo) o al dolore come elemento costitutivo dell’esistenza umana (Buddismo e Taoismo). Per il Confucianesimo, il male nasce dalla materia, mentre l’Islamismo fa risalire l’origine del male alla ribellione di Sanata e fonda la distinzione tra bene e male sulla legge rivelata (Corano) e sull’obbedienza a Dio. A sua volta, l’Ebraismo attribuisce la radice del male ad una caduta primitiva. Il Cristianesimo infine fa perno sul peccato originale e sulla redenzione.

 

Il pensiero antico, già con Omero, Esiodo e Sofocle, rivela una coscienza molto intensa dell’angosciosa presenza del male nel mondo. L’idea del male come antitesi del bene e dell’essere, ossia come non-essere in filosofia si trova a partire dalla concezione stoica, la quale asserisce che il male non esiste in sé in quanto è privazione del bene. Per Socrate, il male è ignoranza, assenza cioè di principi etici, mentre il bene è conoscenza, cultura, sapienza. Platone, Aristotele e sant’Agostino considerano il male metafisico come una “privazione” di essere, come il “non-essere”. Il male è una proprietà congenita della natura umana, sintomo di un uso disordinato del libero arbitrio. Il male – precisa sant’Agostino – è punizione di una colpa, di una trasgressione. Questa teoria ha influenzato tutta la filosofia cristiana.
Nella filosofia moderna, il male è inteso come imperfezione, “disvalore”, in opposizione ai sistemi normativi ed assiologici. L’uomo, per Hegel, è “cattivo per natura”, mentre il bene è lo scopo ultimo del mondo, in quanto libertà realizzata. D’accordo con Hegel, Kant parla del male “radicale” come “impurità” della nostra coscienza morale e come “un’inclinazione naturale, innata, dell’essere umano”.

 

Una delle opere fondamentali della filosofia contemporanea è “Al di là del bene e del male” di Nietzsche, un autore che per tutta la vita fu tormentato dal problema del male. Il dolore - egli dice – “ci scava nel profondo e ci costringe a discendere nelle nostre profondità”. La sua concezione si pone come “negazione totale del pensiero occidentale e dei grandi valori della cultura, come la verità, il progresso, la scienza e la religione per la loro mancanza di fondamento e per la loro natura di “mera finzione”.
L’umanità, per il filosofo tedesco, percepisce un “senso di vuoto” davanti alla scoperta che il mondo è un “caos irrazionale”. “Dio è morto. E noi – dichiara – l’abbiamo ucciso”. Dalla miseria del dolore e del male e dalla disperazione del nichilismo nasce il bisogno dell’affermazione di “un uomo veramente uomo”, un “uomo nuovo” proiettato verso “altezze future” e “possibilità eterne” con  “nuove tabelle di valori” e una “religione nuova, una religione delle anime più libere, più alte, più liete”.
La “morte di Dio” di Nietzsche in realtà è la manifestazione di un’ansia religiosa, l’aspirazione dell’essere umano a imprimere nella sua esistenza l’immagine dell’eternità, lo splendore di un più alto modello di uomo e la creazione di un nuovo sistema valoriale.
Il male – il dolore – come limitazione dell’essere e dell’esserci, e come tragicità della condizione umana  è presente anche nelle opere di Schopenhauer, Jaspers e Heidegger. Nelle pagine di questi autori, la vita è intesa come un eterno soffrire, miseria e afflizioni. “Noi ci illudiamo continuamente – scrive Schopenhauer – che l’oggetto voluto possa porre fine alla nostra volontà. Invece, l’oggetto voluto assume, appena conseguito, un’altra forma e sotto di essa si ripresenta. Esso è il vero demonio. Ogni soddisfacimento genera un nuovo desiderio”. E’ un incubo, è ossessiva coazione a ripetere, è nevrosi individuale e nevrosi cosmica.

 

Venendo alla nostra epoca, c’è da dire che molti autori esprimono il profondo bisogno di “una rinnovata filosofia dei valori”. La filosofia, nata con Socrate per tradurre in conoscenza l’esperienza dei valori, ha dato – afferma Roberta De Monticelli nel suo libro “Al di qua del bene e del male” (Einaudi) – “le dimissioni da questo suo compito”. Un ragionamento che richiama “La banalità del male”, un libro scritto da H. Arendt, nel quale la malvagità dell’uomo è considerata come espressione della “spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male”. Il male come “banalità” sta ad indicare l’aspetto di “inconsapevolezza” non del “fatto”, ma del “valore negativo” che i responsabili di mali estremi hanno delle loro azioni. Mostrando in tal modo una condizione di “cecità morale”.
Dunque, Unde malum? Per De Monticelli, le cause di questo male dilagante risiedono nell’appiattimento dei valori, che sono la vera essenza della vita mentale umana (Koehler), e nel cedimento della nostra coscienza.
Oggi, siamo entrati nella complessa e difficile età dell’insicurezza e dell’incertezza, dove affiora il disincanto della ragione, assieme allo scetticismo assiologico e al senso di un fallimento esistenziale. La società postmoderna  è una società “liquida”, come la definisce Bauman. Si sono “liquefatti” i valori, i legami affettivi familiari, interpersonali, sociali e le istituzioni normative. Emerge la “latitanza o la irrilevanza” del pensiero filosofico di matrice umanistica e illuministica, insieme con il sogno di una Europa generatrice di civiltà e umanità. L’erosione dell’idealità riguarda i comportamenti di tutti, comprende l’etica personale e l’etica pubblica.
Una società che non è come dovrebbe essere non è un “bene” e una società che è come non dovrebbe essere è un “male”. E’ il volto di un “mondo piatto” caratterizzato da una condizione di atrofia e indifferenza al male, la quale finisce per colpire i principi ideali e i valori propugnati da tanti pensatore a partire da Socrate. E’ uno stato d’animo collettivo susseguente  a una “perdita di fiducia” nel futuro di questa civiltà. E’ sfiducia nelle istituzioni, dalle scuole all’Università, agli ospedali e via via in tutti i livelli dell’organizzazione politica.
“Se le classi dirigenti, in particolare quelle politiche, del nostro Paese – scrive De Monticelli – paiono tanto mediocri, tanto incapaci di sollevare questioni di fini o veri progetti di società, tanto disperatamente privi di una visione del futuro, così miserabilmente abituati a vivere alla giornata e attendere al proprio particolare, a raccattare consensi in cambio di favori e a governarci con il ricatto continuo dell’emergenza, una parte di colpa non sarà la nostra di educatori? Di cattivi educatori, che hanno tradito Socrate, avviando un processo di auto disfacimento della libertà interiore, di decostruzione dell’etica, di nichilismo assiologico e agnosticismo.

 

Il concetto di bene e di male, insieme con quello di valore, non è solo al centro della riflessione filosofica, ma è presente in molti autori della letteratura latina e italiana e nello spirito - precisa Husserl – di tutti gli esseri umani. Ogni essere orienta i suoi pensieri e i suoi comportamenti verso qualche bene.
Nelle opere di Seneca prevale il male, un male violento e irrazionale, il quale può essere contrastato solo dalla pratica del bene, ossia dalla virtù. Il male non è nelle cose, “ma proprio nell’animo”. Di qui, l’esigenza di pervenire ad un “atteggiamento dignitoso” per cui si sa accettare il male e sopportare serenamente il dolore. Un male e un dolore che conducono Leopardi ad esprimere nelle sue pagine una visione pessimistica della realtà: “tutto è male: l’universo, lo Stato, le leggi, l’andamento generale delle cose”.
Uno degli scrittori che hanno maggiormente capito la tragicità dell’esistenza e la drammaticità del fenomeno del male e del dolore descritto in tutte le sue  forme è stato Dostoevskij. Nelle sue opere,  egli “scava” nel mistero insondabile dell’animo umano, mostrando una umanità degradata, sintomo del malessere di un  mondo sul limite del proprio abisso e continuamente oppresso dalla presenza del male. “L’idiota”, definito da Thomas Mann “il romanzo dell’anima”, è un tentativo di sovvertire le tradizionali contrapposizioni tra bene e male, tra amore e odio per affermare un nuovo principio, quello della compassione per il dolore del prossimo.
Accenti meno forti vengono espressi da Montale. Nelle sue poesie domina incontrastato il “male di vivere”, che si configura come la condizione esistenziale dell’uomo. E’ un “mal di vivere”, come sostiene Bauman, che “vive e dorme” nell’uomo.
Nel pensiero psicoanalitico, infine, il male origina dalle pulsioni alla distruttività e dalla lotta tra istinto di vita (Eros) e istinto di morte (Thanatos), tra odio, invidia e amore. Queste pulsioni possono poi accompagnarsi a forme di piacere e sadismo, una sorta di droga.

 

Le scoperte delle neuroscienze hanno confermato queste ipotesi, mostrando che il cervello è una combinazione di bene e male, amore e odio, eros e thanatos. L’architettura del nostro cervello ha una struttura trinitaria (triune brain), secondo una teoria elaborata da Paul MacLean. La parte più antica del cervello è stata chiamata “cervello rettiliano” (il serpente come simbolo del male), sede dell’aggressività e della violenza, ossia luogo degli istinti ancestrali e più profondi dell’essere umano.
Bene e male sono dunque profondamente radicati nel cervello, in particolare nell’area sinistra, hanno una solida base biologica, innata, e si sono evoluti durante milioni di anni. Vi sono intricati circuiti neurali – scrive P. Churchland – che presiedono al proprio benessere e a quello degli altri. Il bene, per alcuni autorevoli neuro scienziati, apporta vantaggi alla comunità ed accresce le possibilità di sopravvivenza della specie e di ciascuno. Un altro autore, Hause, ritiene che vi siano degli universali nella comprensione  morale, i quali ci aiutano a capire che cosa sia  bene o giusto e che cosa sia male o sbagliato. Bene e male sono valori fissati nel nostro cervello, che sono esistiti fin dall’inizio dei tempi e derivano – spiega de Waal – da modi di agire e di sentire già presenti in altri mammiferi. Le sue ricerche mostrano che i mammiferi hanno un “impulso altruistico”, rispondendo a segnali di sofferenza altrui. I valori del bonobo – precisa il grande neuro scienziato – non sono del tutto diversi da quelli dell’uomo. L’idea prevalente negli scienziati è che geni, innatismo e selezione siano all’origine dei nostri comportamenti. Ciò che ci permette di “distinguere” il bene dal male è la nostra capacità di essere “sia buoni sia cattivi”.
In particolare, il male si fonda su un solido insieme di impulsi cerebrali istintivi, una tendenza “amplificata” dall’ambiente socio-culturale. Anche il bene può essere ricondotto a una tendenza istintiva influenzata dai neuroni specchio, dall’empatia, dalla dopamina, dagli oppioidi e dall’ossitocina. Altre ricerche indicano che volere e fare il bene a qualcuno è un comportamento che attiva aree del cervello associate a gratificazione e benessere. Il fare bene fa sentir bene.
Una prospettiva interessante è quella proposta dal neuro scienziato Simon Baron-Cohen nel suo libro “La scienza del male”. Il male è un “deficit” di empatia, fatto che rende alcuni soggetti incapaci di capire la propria mente in termini di emozioni e sentimenti, di percepire l’altro come umano e dunque di “sintonizzarsi” sugli stati soggettivi di altri. Esperimenti di brain imaging hanno confermato questa teoria, documentando una “ipoattività marcata” dei meccanismi cerebrali dell’empatia.

 

Concludiamo, la natura del male, sia male fisico (conseguenza dell’imperfezione umana), sia male morale (conseguenza del libero arbitrio), sia male metafisico (identificato con il non-essere), teorizzata fin dall’antichità, è da sempre per i filosofi un mistero. Un enigma in verità che è “familiare” a ciascuno, poiché nel corso della nostra vita noi tutti ne facciamo triste esperienza. “Nessuno attraversa la vita – scrive Philip Roth in Pastorale americana (Einaudi) – senza restare segnato in qualche modo dal rimpianto, dal dolore, dalla confusione e dalla perdita”. Anche a quelli che hanno avuto tutto, prima o poi, toccherà “la loro quota d’infelicità”.
Sono le neuroscienze, come abbiamo notato, che stanno appena cominciando ad esplorare i meccanismi neurali e cerebrali delle emozioni e dei sentimenti che sono alla base dei nostri comportamenti.
Occorre lavorare in questa direzione, produrre conoscenza e coscienza e sperare nel risveglio della ragione per entrare in un nuovo Zeitgeist, nello spirito di un tempo nuovo.

 

   Guido Brunetti

 

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