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Vecchio 22-05-2012, 15.24.22   #71
epicurus
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Data registrazione: 18-05-2004
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Riferimento: Giustificazione Epistemica

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Abbiamo il termine ‘giustificazione’ il problema è definire qualcosa di rilevante o qualche concetto ben utilizzabile che tale termine può prestarsi a rappresentare.
[…]
(So bene, Epicurus, che ti risulta difficile digerire questo uso di ‘giustificazione’ dal tuo punto di vista; ma se non dai per scontato di sapere che cosa vuol dire ‘essere razionali’ forse alla fine non avrai bisogno di rimettere).
Il fatto è che il concetto di “giustificazione epistemica” non è affatto un concetto nuovo, inoltre intuitivamente ha un significato ben preciso: giustificare una credenza consiste nel motivare perché si crede che tale credenza sia vera. La motivazione non deve essere psicologica (“mi fa stare bene”) ma neppure biologica (“la funzione cognitiva c ha prodotto tale credenza"), come tu sostieni.

Il concetto è normativo, ci sono standard da seguire, errori da evitare, prove da raccogliere, contraddittori da affrontare. E' questo che intendevo quando ho scritto l'ultima parte del mio intervento:
Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Se a prima vista l’esternalismo sembra legittimo o addirittura affascinante, ha il grande difetto che rende la giustificazione qualcosa di assolutamente inconoscibile e misteriosa per l’uomo. Come posso giustificare, infatti, la credenza “tale processo è affidabile”? La risposta corretta e ovvia è che si cercano ragioni a favore di tale credenze e ragioni contro e si verifica quale parte ha maggior forza. Ma questo approccio non ha senso per l’esternalista. Come si è visto nel CASO A e nel CASO B, per l’esternalista non sono minimamente importanti le prove a favore o a sfavore di una tesi, l’importante è che il processo che porta a credere a tale tesi sia affidabile! Io posso credere alle teorie più incredibili possibili e se qualcuno mi chiedesse “ma che prove hai a sostegno di ciò?” potrei rispondere tranquillamente “nessuna, embè?!”. Per l’esternalismo il contraddittorio personale ed interpersonale è irrilevante.

Mi pare che tutto questo sia insostenibile. Valute prove e controprove e su questo basare le ragioni o contro-ragioni per le proprie credenze è la parte centrale della giustificazione epistemica, cioè della razionalità. Inoltre, mi pare che la giustificazione epistemica sia un concetto (almeno in parte) normativo, essendo legata alla responsabilità intellettuale. Se uno scienziato continua a collezionare prove a favore di una ipotesi I, egli ha un obbligo intellettuale di seguire tali prove e credere in accordo con esse. Tuttavia, solo se un soggetto ha un controllo sulla formazione delle proprie credenze, accettandone di nuove o rigettandone di vecchie se si accumulano sufficienti prove, si può parlare di responsabilità intellettuale. Questa concezione ha senso solo entro una teoria internalista della giustificazione, mentre nell’esternalismo non v’è spazio per le prove.

Che senso ha avere una giustificazione epistemica che non ci permette concretamente di distinguere credenze giustificate da credenze ingiustificate? Che non considera se un agente è o meno responsabile intellettualmente? Che non incita all'autocritica e alla continua ricerca di nuove prove o nuove argomentazioni? Non ha nessun senso.

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Tra l’altro le condizioni dello stesso Platinga sono proposte (dalla citazione) come sufficienti ma non come necessarie (e già questo basterebbe a delegittimare i contro esempi proposti, quello sull’anomala generazione di Virginia e quello sui gemelli autistici).
Sì, perché Plantinga era interessato a concludere che la fede cristiana è giustificata e per questo è sufficiente che la sua teoria sia una condizione sufficiente. Ma anche tu proponi il funzionalismo proprio solo come condizione sufficiente?

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Una credenza è giustificata se è prodotta dalla funzione propria (dunque adattiva) di 'facoltà' cognitive che lavorano nell'ambiente che, in un certo senso, le ha generate (ambiente sul quale esse si sono formate/evolute).
[...]
‘Normalmente’ (poiché anche qui si tratta di un ragionamento abduttivo) se una credenza è adeguata allora è l’output di processi (‘cognitivi’) adatti (e adattanti o adattivi se preferite). Viceversa l’output di processi che sono quel che sono in funzione dell’ambiente al quale ‘orchestralmente’ rispondono è funzionale proprio per la sua natura, ed è in ragione di ciò che io lo dichiaro “giustificato” – usando questa parola per distinguere un concetto che mi sembra utile, rilevante e con il pregio di essere chiaro; e quindi usandola nel modo più funzionale.

Mi pare che, oltre ad “adattamento” e “funzionamento”, anche il concetto di “ambiente” è cruciale e problematico alla tua teoria. Infatti, da un certo punto di vista, l'ambiente in cui viviamo è radicalmente cambiato rispetto all'ambiente in cui per la maggior parte del tempo l'uomo si è evoluto. Ora l'uomo si muove in ambienti intellettuali ignoti ai nostri antenati. In particolare, le nostre facoltà non si sono sviluppate in questioni complesse e astratte, come può essere l'algebra o l'ingegneria meccanica.

Lo scienziato, il detective, il giudice, ma anche “l'uomo della strada” disinteressato e interessato a scoprire la verità su una questione importante, non si fida (o non dovrebbe fidarsi) delle proprie credenze generate “spontaneamente” dalle proprie facoltà. Le proprie facoltà vanno controllate, cioè si devono seguire delle procedure, è COME vanno usate le nostre facoltà la questione centrale.

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Riguardo al contro esempio degli autistici, il fatto è che saper astrarre a colpo d’occhio il numero di molti fiammiferi ammucchiati a terra* (ovvero essere ‘coscienti’ di ‘questo numero’) non è normalmente una cosa così vantaggiosa da potersi considerare come un risultato di processi plasmati da pressioni evolutive. (Quindi direi piuttosto che l’autismo non è giustificato - secondo l’uso che propongo di questo termine – dall’evoluzione).
Poniamo che io sia una persona non autistica, assolutamente normale sotto tutti gli altri aspetti, ma che possegga questo “superpotere”, cioè di contare infinitamente veloce una grande quantità di oggetti. All'inizio non mi fido, non credo di possedere tale potere, poi provo a fare qualche test e piano piano inizio a convincermente... poi magari mi faccio testare dal CICAP... se vedo che non ne sbaglio una, allora se vedo una barattolo di fagioli e vedo il numero “25307” allora sono giustificato a credere che tale barattolo contenga 25307 fagioli.
epicurus is offline  
Vecchio 25-07-2012, 13.53.33   #72
z4nz4r0
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Messaggi: 483
Riferimento: Giustificazione Epistemica

Citazione:
Il fatto è che il concetto di “giustificazione epistemica” non è affatto un concetto nuovo, inoltre intuitivamente ha un significato ben preciso: giustificare una credenza consiste nel motivare perché si crede che tale credenza sia vera.
Si, nel contesto quotidiano sappiamo tutti come usare il termine ‘giustificazione’. Ma qui lo standard è più “teso” e vogliamo analizzare i concetti no?
Nella tua definizione tu usi i termini “motivare” e “credenza vera”, ma analizziamo i concetti. Di che cosa si tratta? Che cos’è ‘motivare’? Che cos’è una credenza? E una credenza vera? Che cosa vuol dire sapere o conoscere una cosa? Volendo trattare di giustificazione epistemica non credi sia opportuno accertarci di sapere che cosa sia la conoscenza?

Citazione:
La motivazione non deve essere psicologica (“mi fa stare bene”) ma neppure biologica (“la funzione cognitiva c ha prodotto tale credenza"), come tu sostieni.
La “motivazione” riguarda sempre l’adattamento; in questo caso stiamo trattando dell’adeguatezza di certe disposizioni e funzioni; chiamarle biologiche è arbitrario …ma, ops! Chi ha detto biologiche?! Ah, già, sei stato tu!

Citazione:
Che senso ha avere una giustificazione epistemica che non ci permette concretamente di distinguere credenze giustificate da credenze ingiustificate? Che non considera se un agente è o meno responsabile intellettualmente? Che non incita all'autocritica e alla continua ricerca di nuove prove o nuove argomentazioni? Non ha nessun senso.
Il funzionalista ragiona nei termini che ritiene più fertili, tutto qui.
Ad esempio, dove tu usi “[…] intellettualmente responsabile o meno” il funzionalista magari direbbe “[…]adatto o no ad un contesto considerato”; così “adatto ad un contesto più ampio” può stare per “più responsabile”.

Il punto è che i presunti controesempi che hai riportato per il funzionalismo sono per me del tutto ingannevoli perché rimescolano contesti precedentemente distinti. Se infatti ci risulta utile fare delle distinzioni contestuali e parlare individualmente di epistemologia o di biologia, non vedo perché queste distinzioni non varrebbero per il funzionalista.
Ora, nel contesto epistemico il funzionalismo si occupa di come si formano le credenze di una persona esistente, non di come è stata generata la persona. Il funzionalismo può occuparsi anche di quest’ultimo argomento ma in altro contesto: e a tale proposito direbbe che è la casuale comparsa di Virginia a non essere ‘giustificata’.

Citazione:
Mi pare che, oltre ad “adattamento” e “funzionamento”, anche il concetto di “ambiente” è cruciale e problematico alla tua teoria. Infatti, da un certo punto di vista, l'ambiente in cui viviamo è radicalmente cambiato rispetto all'ambiente in cui per la maggior parte del tempo l'uomo si è evoluto. Ora l'uomo si muove in ambienti intellettuali ignoti ai nostri antenati. In particolare, le nostre facoltà non si sono sviluppate in questioni complesse e astratte, come può essere l'algebra o l'ingegneria meccanica.
Infatti più si approfondisce l’analisi concettuale più i concetti o le intuizioni con cui si lavora – derivati/e da quelli/e grezzi/e originari/e prodotti/e ad hoc – si fanno astratti/e e vaghi/e. In filosofia tutti i concetti sono problematici; è la filosofia stessa a problematizzare i concetti. Sta pur certo che se ad un certo punto ti ritrovi con un concetto che non ti sembra problematico allora in quel momento non stai facendo filosofia.
Le intuizioni chiare e precise sono spontanee (‘oggetti concreti’) ma ‘filosofia’ è proprio esplorazione verso gli estremi della nostra espansiva intuizione: là dove la sua funzione sfuma.

…Detto ciò

l’adattamento delle ‘capacità cognitive’ non può tenere testa all’evoluzione del contesto (o, in senso lato, ‘ambiente’ o ‘contesto ambientale’ o ‘nicchia ecologica’ …non ho un termine standard) su cui si formano; la loro adeguatezza è sempre approssimativa (sono adeguate, si, ma solo in una certa misura). E’ chiaro che rispetto ad un contesto ambientale che evolve rapidamente, non potremo avere che ‘modi scarsamente adeguati per adeguarci’, meno automatici e più coscienti (non abbiamo risposte pronte e collaudate ma procediamo per tentativi). A conferma di ciò sta il fatto che, oggi più che mai, incappiamo facilmente in illusioni cognitive: nuovi contesti mostrano l’inadeguatezza di automatismi formati su vecchi contesti. (Automatismi formati su vecchi contesti si rivelano inadeguati in contesti nuovi e qui entrano in gioco le funzioni emergenti (‘coscienti’) come primo adeguamento alla novità. )


Citazione:
Lo scienziato, il detective, il giudice, ma anche “l'uomo della strada” disinteressato e interessato a scoprire la verità su una questione importante, non si fida (o non dovrebbe fidarsi) delle proprie credenze generate “spontaneamente” dalle proprie facoltà.

Le proprie facoltà vanno controllate, cioè si devono seguire delle procedure, è COME vanno usate le nostre facoltà la questione centrale.

(Diciamo: come elaborare i loro prodotti, o come controllare il modo in cui sono elaborati affinché lo siano nel modo migliore, insomma: come orientare l’attenzione (o ricerca)).
Con la ragione? E non è anche questa una facoltà? E di chi è? …Io credo di avercela.
E come si distingue questa facoltà dalle altre? Il grado di emergenza non basta?

E cosa rende questa facoltà tanto speciale rispetto alle altre? Ognuna ha la sua funzione in base al grado di emergenza (i riflessi ci* orientano in un determinato contesto ambientale, gli istinti in un altro e lo stesso vale per i sensi e per i ragionamenti…), nessuna è più speciale delle altre.

‘Procedure’ “ricercate”**… ecco… le procedure ‘trovate’***, non sarebbero adatte? (chiamale cognitive o giustificative o con un nome ancora più nuovo)

* Noi complessi di funzioni integrate …e stratificate in pacchetti impacchettati (proteine, cellule, tessuti... e magari un giorno, con l’ingegneria genetica, anche ragionati (speriamo bene ;-); o grazie all’ingegneria informatica …chissà se un giorno qualcosa sarà felice di essere ragionata).

** Emergenti.
*** Formate, stabilite.

Citazione:
Poniamo che io sia una persona non autistica, assolutamente normale sotto tutti gli altri aspetti, ma che possegga questo “superpotere”, cioè di contare infinitamente veloce una grande quantità di oggetti. All'inizio non mi fido, non credo di possedere tale potere, poi provo a fare qualche test e piano piano inizio a convincermente... poi magari mi faccio testare dal CICAP... se vedo che non ne sbaglio una, allora se vedo una barattolo di fagioli e vedo il numero “25307” allora sono giustificato a credere che tale barattolo contenga 25307 fagioli.
Lo sei in grande misura ed ampio contesto, e ciò non cambierebbe se fossi autistico; così come non cambia il fatto che questo “superpotere” non è ‘giusto’. Lo ribadisco: è la facoltà a non essere giustificata (il che non significa certo che non sia spiegabile) ma ciò non vuole affatto dire che non saremmo eventualmente giustificati ad usufruirne.

Tale facoltà, sebbene evidentemente efficace per astrarre il numero di molti oggetti, non è giustificata né ‘adatta’ (non si è formata gradualmente su quel contesto ambientale che determina - o che consideriamo per determinare - il ‘giusto’)
z4nz4r0 is offline  

 



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