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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 09-02-2009, 18.46.17   #31
Gaffiere
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Originalmente inviato da Marius
Ecco...Quello che tu dici è il succo del discorso.
Mi sembra che implicitamente tu stia affermando che qualora la casualità fosse scientificamente comprovata "oltre ragionevole dubbio" la filosofia stessa non avrebbe alcun senso....Dunque poichè la seconda possibilità, ovvero il nesso causa - effetto, è condizione necessaria per l'esistenza stessa della filosofia, sarebbe anche inutile approfondire le linee di pensiero scientifico che privilegiano tale ipotesi....Basterebbe ammettere che se ogni evento ha una causa il "primo evento" deve essere determinato da una volontà.
A questo punto, pero', la linea di demarcazione con la teologia diventerebbe veramente labile.

Fintanto che la negazione della causalità rimane un'affermazione scientifica rimane una proposizione ipotetica, oltretutto per quale motivo senza di ciò non si potrebbe fare filosofia? il pensiero di Nietzsche è l'apoteosi della negazione di tale rapporto
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Vecchio 09-02-2009, 20.59.30   #32
Marius
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Originalmente inviato da Gaffiere
Fintanto che la negazione della causalità rimane un'affermazione scientifica rimane una proposizione ipotetica, oltretutto per quale motivo senza di ciò non si potrebbe fare filosofia? il pensiero di Nietzsche è l'apoteosi della negazione di tale rapporto

E' vero....Volutamente non lo avevo citato.........E' l'unico filosofo che conosca ad aver affrontato in maniera seria il tema della casualità....Ma conosco anche le conseguenze del suo pensiero e non mi piacciono.
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Vecchio 09-02-2009, 21.14.06   #33
Gaffiere
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Originalmente inviato da Marius
E' vero....Volutamente non lo avevo citato.........E' l'unico filosofo che conosca ad aver affrontato in maniera seria il tema della casualità....Ma conosco anche le conseguenze del suo pensiero e non mi piacciono.

Quali conseguenze? cosa non ti piace?
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Vecchio 09-02-2009, 22.26.22   #34
Marius
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Quali conseguenze? cosa non ti piace?

Il dover fuggire dalla prigione dell'eterno ritorno con il principio di volontà e azione.
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Vecchio 10-02-2009, 11.51.09   #35
nexus6
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La scienza è una specificazione dell'ontologia, come lo è la matematica: nella prima si considera l'ente in quanto neutrone, protone ecc.. nella seconda in quanto numero: i risultati dell'ontologia hanno cioè necessariamente una ricaduta a livello scientifico: se per esempio si volesse tener fermo il principio di Parmenide si dovrebbe sostenere che la scienza è studio dell'illusione, perchè il pensiero scientifico parte dal presupposto che il mondo sia divenire e ne ricerca le costanti che nn sian divenienti: non è che la scienza possa influire sulla metafisica, la veridicità o meno del discorso metafisico può essere legittimata solo a livello filosofico, visto che la metafisica è una forma dlel'ontologia: pensare che la scienza possa dir qualcosa circa l'analisi dell'essere questo si rappresenta una bella confusione dei piani d'indagine da te criticata.
Avevo sentito, in effetti, l'arte retorica del filosofo … nessuno se non un filosofo o affine direbbe che la scienza è una specificazione dell'ontologia; però è una definizione interessante, anche se non ne ho ben compreso i tratti... o meglio: non sembra presupporre a monte un'interpretazione integralmente realistica delle teorie e degli enti di esse? Ovvero chi decide a che punto una certa entità teorica, magari microscopica, può assurgere ad essere specificazione dell'ente? Atomi, protoni... quark, bosoni... stringhe... loops? Non c'è, dunque, in quella tua definizione una interpretazione in un certo modo “forte” delle teorie e dei modelli scientifici, talmente forte che nemmeno alcuni scienziati sarebbero disposti ad avallarla? Cioè non pone un peso piuttosto “grave” sulle spalle dello scienziato? Comprendi?

Che differenza c'è tra forma e specificazione dell'ontologia?

Sono d'accordo che la scienza non possa influire o meglio determinare con argomenti definitivi la metafisica, ma allora quale spazio per le proposizioni scientifiche all'interno del lavoro del filosofo moderno? Come stimolo, spunto? Certe affermazioni scientifiche su universo, tempo e spazio non sono piuttosto profonde per essere evitate di netto? Sono significative filosofie che le evitano a priori?

Alcuni filosofi, osservo, non ne traggono solo spunto, ma basano le loro argomentazioni determinanti proprio su alcuni risultati scientifici; leggevo di Putnam e del suo tentativo di voler risolvere il problema del tempo con la relatività ristretta. La sua tesi afferma in sostanza che il futuro, gli eventi che avvengono nel futuro, sarebbero “reali”. La conclusione di Putnam: “il problema della realtà e della determinatezza degli eventi futuri è ora risolto. Inoltre risolto dalla fisica e non dalla filosofia[...] In effetti, non credo che ci sia più alcun problema filosofico riguardo al Tempo; rimane solo il problema fisico di determinare la geometria fisica esatta del continuo quadrimensionale in cui viviamo.”

Mi sembra proprio una chiara confusione di livelli e posso assicurare che questo neopositivismo spinto non sia diffuso nemmeno tra gli scienziati e laddove c'è mi sembra molto più problematico della fede di Putnam nella relatività. Si rischia con questi ragionamenti, che sembra non tengano conto di ciò che le affermazioni scientifiche possono, di acconsentire ad ogni indebito sconfinamento della fisica in ambiti che non può pretendere di circoscrivere; uno fra i classici sconfinamenti è la questione del libero arbitrio ovvero il fatto che il determinismo sottostante le leggi naturali, quelle della fisica o della genetica, sarebbe l'argomento definitivo per affermare che la libertà d'azione umana non esista. Credo che tali argomenti cadano proprio nella confusione di livelli di cui ho parlato. E credo che tale confusione nasca da un confuso modo di considerare la scienza, come unica fonte di conoscenza, anche metafisica.

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Originalmente inviato da Marius
Mi sembra che implicitamente tu stia affermando che qualora la casualità fosse scientificamente comprovata "oltre ragionevole dubbio" la filosofia stessa non avrebbe alcun senso....
No, non ho affermato questo, anzi il contrario ovvero ci tengo a tenere distinti i due piani, quello del discorso e delle ipotesi scientifiche e quello filosofico. Non esiste nelle scienze un'affermazione comprovata "oltre ogni ragionevole dubbio". Non vedo, come Gaffiere, in che modo un'affermazione scientifica, vista la sua natura ipotetica, possa impedire o fornire argomentazioni definitive al filosofo.

Mi chiedevo solo come quest'ultimo potesse sfruttare, se possibile, le proposizioni scientifiche nel suo lavoro, quando questo non riguarda la scienza.

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Originalmente inviato da Marius
Dunque poichè la seconda possibilità, ovvero il nesso causa - effetto, è condizione necessaria per l'esistenza stessa della filosofia
Perché? Il caso potrebbe fare benissimo parte di una certa filosofia. Semmai da un po' mi sto interrogando se veramente possa far parte di una rappresentazione scientifica e non sia, appunto, solo un concetto filosofico impropriamente utilizzato nelle scienze.

Ciao.
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Vecchio 10-02-2009, 12.34.54   #36
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P.s.

Non volesse il Cielo, per Putnam, che la relatività muti ovvero che la rappresentazione scientifica dello spaziotempo venga rivoluzionata o comunque arricchita in modo determinante e peculiare, come forse avverrà quando inizieranno ad accumularsi prove a favore o a sfavore delle varie gravità quantistiche; ed allora... che fine faranno le argomentazioni così definitive e certe del filosofo? Potrebbero diventare come proposizioni filosofiche che basassero le loro giustificazioni definitive e determinati sullo spazio-tempo assoluto di Newton. In questo forum c'è Epicurus che mi ricordo essere un aficionados di Putnam: vorrei sapere che ne pensa a proposito.

Una cosa, credo, sia non prescindere totalmente dalle affermazioni scientifiche, altra è utilizzarle come argomentazioni certe arrivando ad affermare cose che le teorie stesse non possono dire...

... ma forse il compito del filosofo è proprio questo; d'altronde da qualche parte pur deve pescare le sue basi di ragionamento: lo può fare dalla sua esperienza, dai pensieri degli altri filosofi, dalla storia e dalla cultura... e della cultura fa sicuramente parte anche la scienza. Il punto è che si dovrebbe ben capire quale sia il carattere delle ipotesi scientifiche, anche solo osservando la storia della scienza, prima di considerarle le uniche giustificazioni definitive di una propria filosofia. Poiché mi pare sicuramente errato affermare tout court che la fisica abbia risolto il problema del Tempo, poiché dipende quale teoria passata, presente (o futura) si prenda in considerazione; anche Newton fino all'ottocento pareva aver "risolto" il problema del tempo! Sarebbe più semplice e vicino alla realtà pensare che la fisica non risolva proprio nulla ovvero non costruisca proposizioni su come sia fatto in sé il mondo, ma lo descriva semplicemente entro i suoi errori sperimentali ed è sempre immersa in una certa epoca storica. Considerare le varie scienze in modo a-storico e non immerse nella vita umana è visto ormai, da tante parti (sia filosofiche che scientifiche), non essere più adatto a rappresentarle.
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Vecchio 10-02-2009, 14.56.32   #37
epicurus
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?

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In questo forum c'è Epicurus che mi ricordo essere un aficionados di Putnam: vorrei sapere che ne pensa a proposito.

Sì, Hilary Putnam è, assieme a Wittgenstein, il filosofo dal quale credo di aver imparato di più.
[Piccola precisazione: mi trovo più in sintonia con il Putnam più recente, rispetto al "primo" Putnam: il primo è quello del riduzionismo funzionale della mente, il secondo è quello del pluralismo concettuale, per intenderci a grandi linee.]

Detto questo, qui di seguito cercherò di esporre il mio pensiero a riguardo, non quello di Putnam.

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Alcuni filosofi, osservo, non ne traggono solo spunto, ma basano le loro argomentazioni determinanti proprio su alcuni risultati scientifici; leggevo di Putnam e del suo tentativo di voler risolvere il problema del tempo con la relatività ristretta. La sua tesi afferma in sostanza che il futuro, gli eventi che avvengono nel futuro, sarebbero “reali”. La conclusione di Putnam: “il problema della realtà e della determinatezza degli eventi futuri è ora risolto. Inoltre risolto dalla fisica e non dalla filosofia[...] In effetti, non credo che ci sia più alcun problema filosofico riguardo al Tempo; rimane solo il problema fisico di determinare la geometria fisica esatta del continuo quadrimensionale in cui viviamo.”
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Non volesse il Cielo, per Putnam, che la relatività muti ovvero che la rappresentazione scientifica dello spaziotempo venga rivoluzionata o comunque arricchita in modo determinante e peculiare, come forse avverrà quando inizieranno ad accumularsi prove a favore o a sfavore delle varie gravità quantistiche; ed allora... che fine faranno le argomentazioni così definitive e certe del filosofo? Potrebbero diventare come proposizioni filosofiche che basassero le loro giustificazioni definitive e determinati sullo spazio-tempo assoluto di Newton.
[...]
Una cosa, credo, sia non prescindere totalmente dalle affermazioni scientifiche, altra è utilizzarle come argomentazioni certe arrivando ad affermare cose che le teorie stesse non possono dire...

Prima di tutto, però, premettiamo il fallibilismo, cioè ogni nostra credenza può essere sbagliata. Naturalmente ciò è diverso dal dire che tutte le nostre credenze possono essere sbagliate. (Tra l'altro so che Putnam, almeno quello più recente, sostiene saldamente il fallibilismo ispirandosi a Peirce e Dewey.)

Per far capire bene cosa penso io del fallibilismo, non vedo un modo migliore che illustrare il mio "corerentismo realista": coerentismo realista. Qui spiego anche gli "indubitabili" di Pierce, in riferimento alla teoria da me proposta, e il concetto di credenza "più o meno centrale" e "più o meno periferica".

Detto questo, è ovvio che le scoperte scientifiche non sono definitive e assolutamente certe, sicuramente esenti da revisioni future. Ma ciò succede per ogni nostra credenza, sia essa scientifica o proveniente da altri fonti. Questo non toglie che abbiamo gradi di "indubitabilità" e di "centralità", come abbiamo credenze più razionali e plausibili di altre.
Detto questo, allora ha secondo me senso dire che le scienze risolvono alcuni problemi, anche se non dobbiamo cadere nella trappola filosofica di pretendere "soluzioni definitive".

Quindi per ora una aspetto del problema del tempo può anche esser stato risolto dalle scienze, nel senso che quello che ci viene detto è per ora la spiegazione più ragionevole e plausibile, e che, addirittura, non ci sono tesi concorrenti interessanti.

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Originalmente inviato da nexus
... ma forse il compito del filosofo è proprio questo; d'altronde da qualche parte pur deve pescare le sue basi di ragionamento: lo può fare dalla sua esperienza, dai pensieri degli altri filosofi, dalla storia e dalla cultura... e della cultura fa sicuramente parte anche la scienza. Il punto è che si dovrebbe ben capire quale sia il carattere delle ipotesi scientifiche, anche solo osservando la storia della scienza, prima di considerarle le uniche giustificazioni definitive di una propria filosofia.

Io non reputo che la scienza sia l'unica fonte di giustificazioni, per lo più definitive, e forse neppure Putnam indeva questo (a meno che non fosse il Putnam dei primissimi tempi). Ma, detto questo, posso comunque affermare che la scienza abbia risolto un (aspetto di un) determinato problema che entrava nel dominio della filosofia.

Mi pare, però, che quanto dico siano delle banalità. Un tempo alcuni filosofi potevano anche fantasticare sulla volta celesti, ma ora sappiamo un bel po' di più sull'argomento, e mi sembrerebbe ozioso dire che quella di adesso è solo una teoria e che ne sappiamo quanto loro.

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Vecchio 10-02-2009, 16.05.22   #38
Gaffiere
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Originalmente inviato da Marius
Il dover fuggire dalla prigione dell'eterno ritorno con il principio di volontà e azione.

Ma tu sai perchè Nietzsche introduce il tema dell'eterno ritorno? sai cos'è l'eterno ritorno?

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Avevo sentito, in effetti, l'arte retorica del filosofo … nessuno se non un filosofo o affine direbbe che la scienza è una specificazione dell'ontologia; però è una definizione interessante, anche se non ne ho ben compreso i tratti... o meglio: non sembra presupporre a monte un'interpretazione integralmente realistica delle teorie e degli enti di esse? Ovvero chi decide a che punto una certa entità teorica, magari microscopica, può assurgere ad essere specificazione dell'ente? Atomi, protoni... quark, bosoni... stringhe... loops? Non c'è, dunque, in quella tua definizione una interpretazione in un certo modo “forte” delle teorie e dei modelli scientifici, talmente forte che nemmeno alcuni scienziati sarebbero disposti ad avallarla? Cioè non pone un peso piuttosto “grave” sulle spalle dello scienziato? Comprendi?

Un pò come chiedere: chi lo dice che un gatto è se stesso? la sensatezza della domanda non differisce, è la stessa: il pensiero greco indica con il termine ens, ente, il qualcosa, una determinazione positivamente significante: per quanto microscopicamente la scienza possa analizzare la natura, ogni pur minima particelle è qualcosa che è, e cioè appunto e per definizione è, è essente, è se stessa, altrimenti la scienza non potrebbe per definizione interrogarsi su qualcosa di cui si predica l'inesistenza e non perderebbe tempo a ricercare o direbbe di nn aver trovato niente da analizzare semplicemente.




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Che differenza c'è tra forma e specificazione dell'ontologia?

La fisica e la metafisica sono forme dell'ontologia nella misura in cui si rifanno all'ente in quanto diveniente e all'ente in quanto immutabile.
Una specificazione dell'ontologia è una considerazione dell'ente in quanto appartenente a un certo insieme significante: per esempio un protone è una particella ed è un ente in quanto è, cioè è se stesso, dunque un'identità-opposizione al proprio altro da sè. I numeri della matematica sono a sua volta enti: di tutti si predica l'esistenza (cioè l'opporsi al nulla) e in qnto tali sono appunto essenti.


Citazione:
Sono d'accordo che la scienza non possa influire o meglio determinare con argomenti definitivi la metafisica, ma allora quale spazio per le proposizioni scientifiche all'interno del lavoro del filosofo moderno? Come stimolo, spunto? Certe affermazioni scientifiche su universo, tempo e spazio non sono piuttosto profonde per essere evitate di netto? Sono significative filosofie che le evitano a priori?

Hai mai letto qualcosa di Severino? giusto per darti un'idea del modo in cui l'intero discorso scientifico possa essere licquidato per un "semplice" analisi ontologica.


Citazione:
Alcuni filosofi, osservo, non ne traggono solo spunto, ma basano le loro argomentazioni determinanti proprio su alcuni risultati scientifici; leggevo di Putnam e del suo tentativo di voler risolvere il problema del tempo con la relatività ristretta. La sua tesi afferma in sostanza che il futuro, gli eventi che avvengono nel futuro, sarebbero “reali”. La conclusione di Putnam: “il problema della realtà e della determinatezza degli eventi futuri è ora risolto. Inoltre risolto dalla fisica e non dalla filosofia[...] In effetti, non credo che ci sia più alcun problema filosofico riguardo al Tempo; rimane solo il problema fisico di determinare la geometria fisica esatta del continuo quadrimensionale in cui viviamo.”

Tu parli che non ci sian più problemi filosofici circa il tempo, ritenendo che sia competenza della fisica occuparsene, ma se dicevamo prima circa l'ipoteticità del sapere scientifico che ne è di quanto dici ora?

Nn è che abbia gran simpatia per gran parte dei filosofi di questo tempo, alla maggior parte il significato della filosofia è praticamente sconosciuto e personalità come Bontadini, meno appariscenti a livello cultural-mediatico, eran sicuramente più preparate circa i campi di competenza di filosofia e scienza, un'incompetenza questa che spinge la maggior parte dei contemporanei a fare un'apologia della scienza del tutto fuori luogo.
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Vecchio 10-02-2009, 20.14.09   #39
nexus6
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?

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Originalmente inviato da epicurus
Per far capire bene cosa penso io del fallibilismo, non vedo un modo migliore che illustrare il mio "corerentismo realista": coerentismo realista. Qui spiego anche gli "indubitabili" di Pierce, in riferimento alla teoria da me proposta, e il concetto di credenza "più o meno centrale" e "più o meno periferica".

Detto questo, è ovvio che le scoperte scientifiche non sono definitive e assolutamente certe, sicuramente esenti da revisioni future. Ma ciò succede per ogni nostra credenza, sia essa scientifica o proveniente da altri fonti. Questo non toglie che abbiamo gradi di "indubitabilità" e di "centralità", come abbiamo credenze più razionali e plausibili di altre.
Detto questo, allora ha secondo me senso dire che le scienze risolvono alcuni problemi, anche se non dobbiamo cadere nella trappola filosofica di pretendere "soluzioni definitive".

Quindi per ora una aspetto del problema del tempo può anche esser stato risolto dalle scienze, nel senso che quello che ci viene detto è per ora la spiegazione più ragionevole e plausibile, e che, addirittura, non ci sono tesi concorrenti interessanti.

Io non reputo che la scienza sia l'unica fonte di giustificazioni, per lo più definitive, e forse neppure Putnam indeva questo (a meno che non fosse il Putnam dei primissimi tempi). Ma, detto questo, posso comunque affermare che la scienza abbia risolto un (aspetto di un) determinato problema che entrava nel dominio della filosofia.

Mi pare, però, che quanto dico siano delle banalità. Un tempo alcuni filosofi potevano anche fantasticare sulla volta celesti, ma ora sappiamo un bel po' di più sull'argomento, e mi sembrerebbe ozioso dire che quella di adesso è solo una teoria e che ne sappiamo quanto loro.
Ho letto il tuo sforzo formale in quella discussione e penso sia molto interessante discuterne: magari faccio un intervento lì per farti delle domande (che riguarderanno il concetto di fallibilismo e poi quelli che mi sembrano concetti primitivi come “migliori”, “buone”, “plausibili” spiegazioni ed inoltre sul processo di “risoluzione” dei disaccordi, argomento tostarello anche quello).

Io principalmente della trappola di cadere in “soluzioni definitive” stavo parlando.

Personalmente percepisco molta “problematicità” nell'affermare che aspetti della questione del tempo siano stati risolti (dalla fisica in questo caso); dubbi, insomma, spinti dal sano timore di ricadere, soprattutto in questi anni di cambiamento, negli errori dei fisici di fine ottocento che percepivano ormai molte conoscenze della fisica come “indubitabili” e “centrali”, dogmi quasi; conoscenze che di lì a pochi anni sarebbero entrate in crisi. La Relatività ha formalizzato e stravolto il concetto di tempo (fisico), l'ha riempito di significati nuovi ed inaspettati rispetto a quello classico e quotidiano. In questo senso Einstein ha creato un concetto che prima non c'era, dunque più che risolvere, dalla mia prospettiva, ha aperto problemi e questioni ancora più profonde. Se prima il tempo era un qualcosa di quasi raggiungibile, poiché tutto sommato quotidiano, ora è un qualcosa di tremendamente complesso e sfuggente. Alcune teorie non ancora corroborate dagli esperimenti, ad esempio, “risolvono” la questione del tempo in tutt'altro modo ovvero lo dissolvono completamente a livello microscopico.

Credo che il grado di prossimità con certi argomenti sia proporzionale alla coscienza dei problemi implicati. Ecco che i filosofi, a volte, rischiano di riporre nelle scienze molta più fede di quanto gli scienziati stessi possano avere nei confronti della materia in cui lavorano. Questo per rispondere anche a Gaffiere. Se chiedi a qualche fisico nucleare cosa sia un elettrone potrai anche ricevere di tutta risposta un genuino (poiché di "pancia"): “non lo so”. I filosofi, invece, hanno sempre le idee molto più precise e chiare sulla realtà o non realtà degli enti teorici. Una di queste mi pare, se ho capito bene, la esprima Gaffiere: sorvolando un mare di problemi, sembra affermare che eventualmente pure entità corroborate poco o per nulla dagli esperimenti, ma comunque formalizzate in modelli e teorie siano enti in quanto identità in opposizione ad altro da sé. Questa definizione è molto delicata e problematica, pensando almeno al problema della misura e alla realtà non-locale che sembra scaturire da certi esperimenti quantistici.

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Originalmente inviato da Gaffiere
Hai mai letto qualcosa di Severino? giusto per darti un'idea del modo in cui l'intero discorso scientifico possa essere licquidato per un "semplice" analisi ontologica.
Riguardo la scienza, qualcosa ho letto e mi è bastato. Ricordo anche un certo modo spocchioso di presenza di trattare l'argomento ed ammetto che personalmente non mi è proprio piaciuto. Va a cozzare contro troppe credenze centrali del mio sistema doxastico, per dirla a là Epicurus . Se penso che un'affermazione scientifica non sia assumibile come argomentazione definitiva in filosofia, così non credo che l'”intero discorso scientifico” (che vorrebbe dire, poi?) possa essere liquidato da una “semplice” analisi ontologica. Questa, Gaffiere, è sempre quella confusione di livelli di cui ho parlato. Sono comunque curioso di ciò che sfida i miei (pre)giudizi: Severino come avrebbe “liquidato” la scienza?
nexus6 is offline  
Vecchio 10-02-2009, 22.03.08   #40
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Riferimento: Una domanda filosofica ai filosofi: come filosoficamente utilizzate la scienza?

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Originalmente inviato da Gaffiere
Ma tu sai perchè Nietzsche introduce il tema dell'eterno ritorno? sai cos'è l'eterno ritorno?.......

Ti posso dare la mia interpretazione.
In un universo stocastico, infinito ed eterno cio' che è stato sarà e cio' che sara' è gia' stato.....L'unica maniera per spezzare questa catena ciclica è quella di esercitare la propria volonta' e agire......Non importa come poichè non ha senso definire un'etica o una morale in un mondo senza senso....Solo l'azione, drammaticamente, consente all'uomo di esercitare il proprio (illusorio dico io) libero arbitrio.....
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