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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 17-04-2012, 15.25.22   #1
CVC
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Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Emanuele Severino afferma che la ricerca della verità è il rimedio dell'uomo all'angoscia del divenire. Ma tale rimedio si rivela però peggiore del male, perchè esaminando il senso della vita si priva la vita di tale senso, la si svuota cancellandone l'imprevedibilità.
Placando l'ansia nei confronti delle incertezze della vita ne verrebbe meno lo slancio vitale che di tale imprevedibilità si nutre.
Per Aristotele solo il filosofo può essere felice, perchè è il solo che può conoscere. Ora lo scettro della conoscenza sarebbe passato di mano dalla filosofia alla scienza, che scardina ad una ad una le antiche certezze: l'esistenza di Dio, l'antropocentrismo, i dogmatismi religiosi e via dicendo.
Ma se fosse stata la paura la scintilla del conoscere, non impicherebbe ciò una perdita di dignità delle conquiste dell'uomo? Una civiltà evoluta come la nostra sarebbe quindi una civiltà che fugge in continuazione dalle angosce della vita, cercando disperatamente un rifugio nelle certezze della conoscenza? Se così fosse, difficilmente una tale civiltà potrebbe essere felice. Forse il vero senso della vita è quello di affrontare la vita stessa nella sua imprevedibilità e con le sue incertezze, accettando il fatto che per l'inquietudine verso il futuro non ci sia rimedio, e che le certezze della conoscenza siano in un certo senso un'amputazione della vita stessa.
L'incremento del logos degli stoici, la ricerca di chiarezza e distinzione degli illumisti sarebbero quindi un sottrarsi alla lotta dell'esistenza?
Io non ne sono per niente sicuro, così come non lo sono di aver bene compreso cosa intendesse Severino.
CVC is offline  
Vecchio 19-04-2012, 09.24.52   #2
jador
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Qualora la ricerca approdasse alla verità, siamo sicuri che l'umanità placherebbe la sua angoscia se quella verità non fosse quella sperata?
jador is offline  
Vecchio 19-04-2012, 11.28.43   #3
il Seve
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Citazione:
Domanda: Secondo Lei non è riduttivo considerare la verità come un farmaco, come un "rimedio", come un qualcosa che ci protegge, e non come una ricerca un po' superiore a questo, che va oltre?

Risposta di Severino: Nella storia della nostra civiltà, nella storia dell'Occidente, la verità ha avito il compito di essere un "rimedio". Platone diceva ai giovani che bisogna cominciare a fare filosofia intorno ai trent'anni. Perché? Perché i giovani devono ancora imparare a vivere e a soffrire. Il giovane è l'essere umano che soffre poco. Ci rendiamo quindi conto che il dolore è il dato in relazione al quale prendiamo ogni decisione.
Porre, come ha fatto l'Occidente, la verità in relazione al dolore, non è riduttivo. Che la verità abbia avuto il compito di salvare dal dolore non è affatto riduttivo! Però il senso che la verità può avere non si deve ridurre al senso che la verità ha avuto nella cultura occidentale.


Fonte: http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=48
il Seve is offline  
Vecchio 22-04-2012, 11.15.51   #4
CVC
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Messaggi: 747
Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Citazione:
Originalmente inviato da jador
Qualora la ricerca approdasse alla verità, siamo sicuri che l'umanità placherebbe la sua angoscia se quella verità non fosse quella sperata?
Il problema è se la ricerca può approdare alla verità. Sembrerebbe che la filosofia sia stata tenuta in vita dalla speranza di approdare ad una verità non rassegnandosi all'unica verità possibile ed angosciante che è quella del divenire.
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Vecchio 22-04-2012, 11.17.10   #5
CVC
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Messaggi: 747
Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Citazione:
Originalmente inviato da il Seve
A me può anche star bene che la filosofia sia definita come un rimedio, il rimedio all'angoscia dell'imprevedibilità del divenire. Ma se tale rimedio si dimostra poi peggiore del male significa che all'uomo altro non rimane che arrendersi all'unica verità possibile che è quella dell'ineluttabilità del divenire. Ma in quest'ottica scettica si deve pure ammettere che esista un qualche principio universale che ci conduca all'assunzione di questa pur unica realtà. Se esiste quindi una filosofia che ricerca il mantenimento e l'incremento di questo principio universale (logos), perchè tale filosofia dovrebbe essere un rimedio peggiore del male?
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Vecchio 22-04-2012, 15.07.59   #6
Aggressor
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

La conoscenza ci dovrebbe portare ad avere un quadro della realtà più armonico, questo dovrebbe permetterci di affrontare meglio la vita, dunque, in un qualche modo, a sopravvivere. Credo che questo istinto non sia diverso dalla legge di inerzia, per cui quando veniamo al mondo noi tentiamo di mantenere il nostro stato.

La conoscenza porta all'oggettività; è l'oggettività che permette di prevedere i fatti, perché ne mette in risalto il lagame che in una visione d'insieme porterebbe alla vista dell'assoluto (o l'essere secondo Severino). Ma la perdita di valore a cui porta la conoscenza, a mio parere, non è che l'effetto dell'allontanamento dall'autentico stato in cui siamo posti nel mondo, la soggettività, che sola permette di riconoscerci in un antitesi con l'altro e dunque di provare le sensazioni a cui siamo sottoposti (che spesso sono così piacevoli) e che hanno sempre senso in relazione a termini relativi. Noi non viviamo la condizione di identicità dell'essere, che per sé non ha nulla di diverso dal non essere (in quanto assenza di informazione), ma viviamo la condizione degli essenti che si differenziano nei modi e che però hanno in comune d'essere sempre in un modo (il che ci rinvia alla loro comune essenza).

Il vero miracolo dell'universo è poterlo vivere (e lo si può fare solo da soggetti), per quanto possiamo prevedere questa vita, e non ci riusciamo mai molto, rimmarrà sempre questa positività della coscienza ch'è posta, invece d'essere un nulla.

Come si può eliminare il valore della fattualità della vità?
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Vecchio 22-04-2012, 19.17.08   #7
il Seve
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Messaggi: 75
Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Tralascio il tema generale del rapporto tra essere e divenire dato che c’è gia un thread apposito e perché se n’è discusso ampiamente in vari luoghi del forum, coinvolgendo talvolta anche la prospettiva severiniana. Per le stesse ragioni escludo una trattazione del tema della verità ad un livello fondamentale, cercando di attenermi strettamente alla richiesta enunciata nel titolo della discussione, in riferimento alla filosofia di Emanuele Severino.

In un contesto di ricostruzione storica, per Severino la filosofia nasce come ricerca di un sapere più rigoroso del mito, per salvare l’uomo dalla morte, dal dolore, dalle malattie, ecc. Tra verità filosofica e salvezza si configura dunque un rapporto che vede la verità come strumento (farmaco, rimedio) e la salvezza come scopo. Ma come nel mito accade che l’uomo voglia salvarsi servendosi del divino e finisca invece per servirlo, così nella filosofia accade che per potersi servire di una verità efficace, l’uomo subordini la propria vita alla ricerca di una verità che invece a sua volta non sia subordinata a nulla. Per i Greci non era un’idea balzana che il fine della vita fosse la contemplazione della verità, perché, lungi dal credere che la contemplazione fosse una sorta di perenne stato di maniacale fissazione mentale su qualcosa, per i Greci era il compimento di quel lungo e laborioso percorso di salvezza, conseguito il quale all’uomo non rimane altro da fare perché appunto il lavoro è compiuto e lo scopo della vita è stato raggiunto. Una specie di nirvana, con tutte le precauzioni del caso. La nascita dell’etica non è altro che l’esito di questa subordinazione del divenire dell’uomo alla verità dell’eterno, perché è con questa subordinazione che si esplicita concretamente un’euprassia, una buona condotta, un “lavoro” che porti l’uomo a “compimento”. Se il divenire dell’uomo non fosse subordinato alla verità dell’eterno, non ci sarebbe nessuna etica, perché sarebbe l’uomo lo scopo, e di conseguenza sarebbe la verità a “lavorare” per lui.

Attraverso le epoche, ma più decisivamente negli ultimi due secoli, l’uomo si rende conto che credere ad una verità eterna porti a rendere apparente la verità del divenire, e quindi vanifichi il dato fondamentale della mutevolezza della vita che è il fondamento sul quale nasce la stessa ricerca della verità. A livello pratico, ci si rende conto allo stesso modo che la società che ha eretto delle strutture immutabili per organizzarsi meglio in vista della soluzione dei suoi problemi, è destinata a rendere immutabili i problemi che ha per non risolverli mai. Da queste aporie si fanno avanti i complessi e dolorosi ripensamenti che portano ad una conoscenza di tipo ipotetico che sia perennemente revisionabile ed adattabile alle esigenze del momento, e ad una gestione sociale di tipo democratico per limitare il più possibile le ragioni di disparità conflittuale derivanti da ideologie aprioristiche.

L’uomo cerca di “rimediare” al divenire, ma il rimedio si rivela peggiore del male, come diceva Nietzsche. Da qui l’idea innanzitutto appunto nietzscheana dell’accettazione del divenire, dell’imprevedibile, del possibile, dell’ipotetico, del revisionabile, come la dimensione umana più propria. Il superuomo non è l’uomo nuovo dei totalitarismi perché quest’ultimo non è altro che l’apoteosi dell’uomo vecchio che crede alle proprie virtù in quanto le vede inscritte in un ordine immutabile della razza, del popolo, della tradizione, ecc. Il superuomo invece non è altro che l’uomo del divenire, del possibile, ecc. ecc.

Per Severino era necessario che sulla base del dato fondamentale del divenire si edificasse la ricerca della verità eterna, e che, sempre per rimanere fedeli a quel dato fondamentale, venisse portata alla luce l’incompatibilità tra il divenire e la verità eterna, conducendo al tramonto quest’ultima. Ma per Severino non è affatto scontato che quel dato fondamentale dell’esistenza del divenire sia così evidente e indiscutibile, così come non è affatto pacifico che la libertà esista e sia poi l’essenza dell’uomo. Ma questa è un’altra storia…

Citazione:
A me può anche star bene che la filosofia sia definita come un rimedio, il rimedio all'angoscia dell'imprevedibilità del divenire. Ma se tale rimedio si dimostra poi peggiore del male significa che all'uomo altro non rimane che arrendersi all'unica verità possibile che è quella dell'ineluttabilità del divenire. Ma in quest'ottica scettica si deve pure ammettere che esista un qualche principio universale che ci conduca all'assunzione di questa pur unica realtà.

La filosofia che crede all’esistenza del divenire e che su questa premessa affonda il valore assoluto di ogni verità eterna, non è scettica perché l’unica verità che non affonda è proprio l’esistenza del divenire. La filosofia di Giovanni Gentile, ad esempio, è tutta costruita intorno al senso da assegnare all’assolutezza del divenire in un contesto in cui tramontano le verità eterne. Infatti l’eterno per Gentile è qualcosa che per definizione ci si sottrae perché siamo un divenire, e quindi, come perenne altrove, si configura come astrazione, proiezione, insensatezza da un punto di vista reale. Solo il divenire è assoluto perché non è condizionato da nulla, ed è eterno, ma nel senso di un eternità sempre prodotta da sé.

Citazione:
Se esiste quindi una filosofia che ricerca il mantenimento e l'incremento di questo principio universale (logos), perchè tale filosofia dovrebbe essere un rimedio peggiore del male?

Ma quest’idea di incremento della verità non è l’idea della tradizione, ed è quest’ultima ad essere peggiore del male.
il Seve is offline  
Vecchio 23-04-2012, 07.43.06   #8
Aggressor
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Il Seve, se dobbiamo sottostare a una filosofia del divenire e se dunque non vi sono verità per l'uomo, non vedo un rimedio dell'uomo all'angoscia del divenire.

C'è qualcosa che non mi ha mai convinto nella storia dell'inconoscibilità della natura, soprattutto perché se quell'oggettività del "vero" non esistesse, le cose che avvertiamo tendere almeno verso un'oggettività non avrebbero senso (alla fine mi sveglio tutti i giorni con lo stesso pavimento sotto i piedi).

Si dice sempre che questa "Verità" non riusciamo a raggiungerla, ma non si può dire che non riusciamo a tendervi, altrimenti come si spiegherebbero i progressi delle scienze, per esempio?

Magari è vero che non si può vivere o cogliere la verità, che è un'oggettività totale, ma questo non è che l'effetto della nostra condizione di esseri che esperiscono, perché l'esperienza porta con sé la soggettività; una soggettività che può essere plasmata però, e da questo ricavo la voglia di lavorarci sopra per espanderla verso una visione quanto più comprensiva.


Inoltre è tanto più difficile cogliere quell'oggettività se ci si concentra fondamentalmente sui modi del divenire, come fa la scienza, e anzi, forse è del tutto contraddittorio cercare la verità attraverso quel tipo di ricerca.


A questo punto voglio introdurre una cosa che non è stata mai detta in questo forum (credo...), per farvi capire esattamente cosa intendo quando dico che è contraddittorio cercare la verità attraverso i modi del divenire, tanto che potrei anche ammettere l'effettiva incostanza delle leggi di natura e con ciò non perdere ancora il senso di una Verità assoluta:

Nel 1970 un giovane matematico di Cambridge di nome Johon Conway crea un programmino per computer che chiama "Il Gioco Della Vita".
Si tratta di un mondo bidimenzionale, una griglia quadrata simile ad una scacchiera con led "spenti" e led "accesi" gestita da 3 leggi fondamentali.
1) Una cellula viva (led acceso) con 2 o tre vicini sopravvive
2) Una cellula morta con esattamente tre vicini vivi diventa una cellula viva
3) In tutti gli altri casi una cellula muore o rimane morta.

La griglia può essere grande quanto vi pare e iniziano a formarsi corpi di led luminosi che si spostano, mantengono la loro forma, si riproducono ecc. La cosa interessante è che si creano come delle leggi di natura che non hanno praticamente nulla a che vedere con le 3 leggi fondamentali iniziali, per esempio, quando due "corpi" si scontrano non entrano l'uno nell'altro, come se vi fosse una forza repulsiva ecc...

Allora voglio dire questo, che può anche essere vero che le leggi di natura non sono costanti, magari sono del tutto contingenti e dipendenti dalla situazione come nel "Gioco Della Vita", ma tutte queste cose dipendono da una verità più fondamentale che non ha niente a che vedere con la contingenza del divenire e la cui realtà in un certo senso gli trascende. Magari è proprio da quella verità che deriva quel margine di determinismo che tentiamo di comprendere nella realtà.
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Vecchio 23-04-2012, 12.12.59   #9
Giorgiosan
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Per capire Emanuele Severino bisogna ricordare che egli è un credente.
Mi spiego: egli ha sofferto i limiti di una teologia dogmatica cattolica che non gli “consentiva” di esprimere il suo estro filosofico creativo. Allontanato dalla chiesa cattolica ha manifestato la sua fede in termini puramente razionali, senza riferimenti alle categorie religiose se non in modo critico. Basta leggere Oltrepassare e Gloria per rendersene conto.

Direi che è un estremista della fede: la morte non esiste e siamo destinati alla felicità.
Si sente in filigrana il pensiero di Origene e la sua apocatastasi.
Gloria è anche una categoria biblica pregnante e non ha voluto rinunciarvi, pur ”trasfigurandola “
(In un impeto di ottimismo acquistai quasi tutti i suoi libri ma devo dire che la lettura è stata ardua)
Credo che se non si tiene conto di questa cifra il pensiero di Severino diviene ancora più difficile.

In relazione a questo 3d è importante fare riferimento ad Heidegger (Essere e tempo) e alla sua “cura” ma questo forse è una notazione inutile perché l’avevate già considerato …. comunque se qualcuno non l'ha fatto …

Ultima modifica di Giorgiosan : 24-04-2012 alle ore 00.54.45.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 23-04-2012, 13.41.29   #10
CVC
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
La conoscenza ci dovrebbe portare ad avere un quadro della realtà più armonico, questo dovrebbe permetterci di affrontare meglio la vita, dunque, in un qualche modo, a sopravvivere. Credo che questo istinto non sia diverso dalla legge di inerzia, per cui quando veniamo al mondo noi tentiamo di mantenere il nostro stato.

La conoscenza porta all'oggettività; è l'oggettività che permette di prevedere i fatti, perché ne mette in risalto il lagame che in una visione d'insieme porterebbe alla vista dell'assoluto (o l'essere secondo Severino). Ma la perdita di valore a cui porta la conoscenza, a mio parere, non è che l'effetto dell'allontanamento dall'autentico stato in cui siamo posti nel mondo, la soggettività, che sola permette di riconoscerci in un antitesi con l'altro e dunque di provare le sensazioni a cui siamo sottoposti (che spesso sono così piacevoli) e che hanno sempre senso in relazione a termini relativi. Noi non viviamo la condizione di identicità dell'essere, che per sé non ha nulla di diverso dal non essere (in quanto assenza di informazione), ma viviamo la condizione degli essenti che si differenziano nei modi e che però hanno in comune d'essere sempre in un modo (il che ci rinvia alla loro comune essenza).

Il vero miracolo dell'universo è poterlo vivere (e lo si può fare solo da soggetti), per quanto possiamo prevedere questa vita, e non ci riusciamo mai molto, rimmarrà sempre questa positività della coscienza ch'è posta, invece d'essere un nulla.

Come si può eliminare il valore della fattualità della vità?
Di sicuro l'ignoto fa paura, ma tentare in qualche modo di correre ai ripari di fronte all'ignoto penso faccia parte della natura dell'uomo. Non vedo un grande senso nel rinunciare al proprio bisogno di sicurezza per mantenere l'integrità del reale che poi non è nemmeno sicuro che sia del tutto conoscibile.
Forse l'uomo dovrebbe stare attento a non diventare schiavo della ricerca della realtà, quando alla fine la conoscenza è un mezzo per la vita e non un fine in se stesso.
Cosa me ne faccio della conoscenza se per averla devo vivere male?
Quello che ci interessa dovrebbe essere ciò che vi è di utile nella conoscenza, ossia la saggezza.
CVC is offline  

 



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