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Vecchio 20-02-2013, 23.35.25   #51
0xdeadbeef
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Riferimento: Kratos del demos e kratos del merito

@ Maral
Naturalmente parliamo di un merito stabilito sulla base della razionalità e dell'efficacia, dunque stabilito
sulla base di una capacità strumentale. Il problema è, semmai, che questa capacità stumentale è al servizio
di un fine prestabilito (la proprietà), e quindi lo è anche il merito (e bene fai a sottolineare che possono
esistere meriti, cioè razionalità, diverse a seconda del fine - come nell'esempio che fai, relativo alla
cosiddetta "economia del dono").
Concordo senz'altro anche su quanto affermi a proposito della fase di transizione rappresentata da una nobilità
medievale che ancora conserva tracce di originari legami che possono essere sia quelli tribali celtici e germanici,
sia quelli, tutto sommato familistici, che legavano i "patrones" e i "clientes" romani.
Una fase di transizione che si conclude, come ben dici, con l'affermarsi della "borghesia" in quello che è
stato un altro snodo storico fondamentale: la rivoluzione francese (notevole, trovo, il richiamo che fai al
borghese come a quel qualcuno che cerca la "grazia divina", che non gli appartiene perchè appartiene al nobile,
e la trova in quella nuova "forma-mentis" religiosa e culturale che è propria della Riforma luterana, come
d'altronde fa notare E.Fromm).
Tuttavia, a me sembra che nel tuo discorso (che è d'altra parte di grande interesse, e che denota una capacità
davvero non comune di relazionare tra loro saperi diversi) faccia un pò troppo capolino, come dire, una specie
di "evoluzionismo". Una cosa cui accennavo già a proposito della rivoluzione agricola, e che la lettura di
questa tua seconda risposta mi ha in un certo qual modo confermato (naturalmente, da ciò che scrivi e da come
lo scrivi immagino tu non sia certo persona da prendertela per questa mia piccola critica).
Tanto per spiegarmi meglio, quando affermavo che la rivoluzione agricola non ha rappresentato l'evento "definitivo",
intendevo con questo dire che certe regalità cosiddette "idrauliche" (soprattutto egizie e mesopotamiche, ma
anche indiane e cinesi), non hanno avuto, nel loro peculiare assolutismo, una storia poi così lineare (tranne
forse per l'egizia). Nel senso che il contatto con mondi e culture "nomadiche" hanno determinato uno svolgersi
della situazione politica che, in diversi casi, ha rappresentato un ritorno alle condizioni pre-rivoluzione.
Allo stesso modo, mi sembrerebbe eccessivamente schematico delineare un "divenire" che dalla filosofia greca
porta, per tramite dell'emergere dell'individuo, al potere della borghesia (non dimentichiamo che l'atto per
eccellenza con cui la borghesia prende il potere, ossia la rivoluzione francese, delinea una democrazia, dicevo,
"giacobina"; una democrazia ovvero nella quale il "popolo" assume veste preponderante, e che prepara il terreno,
per così dire, ai nazionalismi ottocenteschi prodromi di quelli, mostruosi e tragici, del 900).
Non che con ciò io voglia negare che l'emergere dell'individuo nella cultura occidentale non segua una specie
di "filo rosso" le cui tappe, per così dire, tu individui molto acutamente (personalmente, vedrei un altro
aspetto importante di questo emergere anche nella religione, con il suo concetto di una salvezza che è
individuale). Solo che mi sembrerebbe alquanto riduttivo non tenere conto di quelle che Hegel chiamava "le
dure repliche della storia", con il ritorno, spesso repentino ed imprevisto, di situazioni che sembravano
relegate al passato.
Dal mio punto di vista, lo "sguardo" oggi imperante è quello appunto che mette l'individuo al centro di ogni
cosa. Il valore tradizionale è accantonato, e con esso è accantonato quello che si fonda sulla religione (d'altra
parte la religione rientra a pieno titolo nella tradizione). Il nichilismo deborda da tutte le parti (anche,
e forse soprattutto, fra coloro che a parole dicono di "credere" nei valori tradizionali).
La "tecnica", a mio avviso, si profila nella maniera in cui la descrive Severino, e cioè nella forma di uno
strumento atto a rendere meno insopportabile la paura del divenire; la paura dell'essere-gettati-nel-mondo,
come direbbe Hedegger e certa letteratura esistenzialista.
Ma allora io dico: la tecnica resta sempre e comunque uno strumento? Io lo credo. E se è uno strumento: uno
strumento per fare cosa? Appunto per affrontare il mondo, la sofferenza e, in ultima analisi, la morte.
E "come"? Il "come" risiede, io credo, in quei diritti cosiddetti "naturali"; quelli che U.Grozio definì:
"evidenti anche se, cosa empia, Dio non esistesse": la proprietà, la sicurezza e la libertà, appunto.
Io credo, come dicevo in un altro post, che certe manifestazioni depressive come l'impulso all'acquisto,
come l'accumulo compulsivo o la vera e propria mania di "sicurezza" (una mania che certi partiti politici
cavalcano loro pro) dimostrino che questa è la strada giusta per comprendere la "tecnica".
Quanto alla democrazia, essa è servita finchè è servita (strumentalmente, appunto). Cioè finchè le libertà
individuali che essa porta in sè sono servite ad abbattere regimi politici non più "razionali" (cioè non più
efficaci). Oggi sembra essa ad essere di ostacolo per il pieno dispiegarsi di quella razionalità che, come
dicevo, è a mio avviso riducibile semplicemente alla tecnica "per vivere meglio".
In fin dei conti (ti lascio con una nota cinica), ogni popolo ha il governo che si merita. Sempre e comunque.
E se nel nostro tempo "vivere meglio" significa non esporsi, comunque, ai rischi derivanti dalla ribellione
contro i "furbi associati", allora ciò può solo voler dire che "viviamo meglio" pensandoci l'uno contro l'altro.
Con simpatia e stima
mauro
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Vecchio 01-03-2013, 00.25.21   #52
paul11
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Riferimento: Kratos del demos e kratos del merito

La democrazia greca non ha molto a che fare con la democrazia moderna.
La polis greca era una città/comunità entro le cinta della mura e nno esisteva il concetto di individuo nemmeno quindi dal punto di vista giuridico.
E’ con l’espansione non tanto di Alessandro Magno nel periodo ellenistico quanto con i romani, che iniziano a costituirsi gli ordinamenti e il diritto romano.
Ma la democrazia perderà il suo significato da quelle polis greche e dovrà attendere fino al pensiero di Kant, Locke,Hobbes,ecc. Prenderà invece avvento la res- publica e saranno i romani a portare i concetto “al di fuori delle mura” accompagnandolo con il “populus”
Nella democrazia la legittimità del potere viene dal popolo con le elezioni.
Nelle piccole democrazie può esistere l’autogoverno
E’ con il privates latino ( togliere, privare) che comincia ad esistere il concetto di individuo.
Nella polis greca non c’era i principio di maggioranza o di sovranità popolare perché era una città/comunità. Era il polites a dover servire la polis.L’individuo nno aveva diritti.
Quando la polis diventa stato, cioè si estende, si espande, la titolarità e l’esercizio del potere si disgiungono. Nella democrazia moderna è lo stato al servizio dei cittadini.
Se nella polis si traspone allo stato l’intima connessione fra democrazia e comunità ne sorge il totalitarismo perché non è problematizzato ancora il concetto di libertà.
Storicamente la democrazia precede il liberalismo e quest’ultimo la democrazia moderna.
Lo stato liberale è quello costituzionale che limita il potere assoluto; lo stato liberaldemocratico, è prima liberale e poi democratico.Infine storicamente compare la democrazia liberale, cioè si inverte: il potere popolare precede il potere limitato. Quindi compaiono due valori fondamentali: la libertà e l’uguaglianza.
paul11 is offline  
Vecchio 01-03-2013, 23.35.07   #53
maral
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Riferimento: Kratos del demos e kratos del merito

Accetto certamente la tua critica Mauro (Oxdeadbeef) al mio evoluzionismo che è tracciato per linee molto generali e sono d'accordo sul fatto che la storia è caratterizzata da ritorni, diramazioni e intrecci per cui ogni schema interpretativo risulta lacunoso.
Vorrei comunque aggiungere alcune note in margine al tuo discorso.
E' interessante la tua constatazione sull'insuccesso della democrazia di modello giacobino e sul successo invece di quella di tipo anglosassone e mi chiedo quanta influenza abbia avuto su questo successo il fatto che la democrazia anglosassone nasca da quel contesto puritano protestante inglese in cui Max Weber vede il terreno fertile che ha generato la classe capitalistica borghese (quella ricerca angosciante della imperscrutabile Grazia divina che è servita da spinta propulsiva per la classe borghese a cui accennavo nel mio precedente intervento), mentre il giacobinismo era sì una ribellione all'ordine tradizionale del Sacro, ma pur sempre una ribellione che si esprimeva in un ambito di pensiero cattolico (anche se in forma sicuramente antagonista alla Chiesa e alla religione), una sorta insomma di ateismo cattolico non sufficiente a supportare la scalata affermativa e meritocratica della classe borghese con il suo capovolgimento radicale di valori.
Non sono poi del tutto d'accordo nel dire che :
Citazione:
lo "sguardo" oggi imperante è quello appunto che mette l'individuo al centro di ogni
cosa.
. Apparentemente è senz'altro così, ma ormai, nell'era della tecnica, l'individuo può aspirare solo a essere mezzo funzionale al meccanismo tecnologico, ove la sua funzionalità è favorita dall'illusione continuamente sollecitata di essere lui lo scopo della tecnica, mentre è vero l'esatto contrario. E cos'è la tecnica per come è andata sviluppandosi attraverso lo sviluppo industriale se non l'esplicazione della massima volontà di potenza che ha per fine vero solo se stessa? Se effettivamente la tecnica nasce come strumento
Citazione:
per affrontare il mondo, la sofferenza e, in ultima analisi, la morte
(il dono di Prometeo -colui che vede avanti- al genere umano, e che per questo dono viene incatenato dagli dei) diventa via via sempre più l'unico strumento per affrontare il mondo, la sofferenza e la morte e dunque il vero fine a cui ogni altra finalità individuale o sociale, compresa il "vivere meglio" va sottomessa, a meno che il vivere meglio non sia uno dei requisiti per il buon funzionamento tecnologico. Ed è appunto questa necessaria sottomissione di ogni altro senso alla inesauribile volontà di potenza tecnologica che porta a quel nichilismo spinto a cui oggi assistiamo ove oltre la volontà di potenza tecnica non vi è nulla per cui valga la pena di impegnarsi, in cui tutto si esaurisce nell'efficacia ed efficienza di una prestazione procedurale pre codificata di cui l'individuo è solo un sempre sostituibile ingranaggio di cui continuamente va dimostrata la perfetta funzionalità alla macchina di produzione e consumo. In questo ambito culturale la tecnica, intesa come metodo meccanicistico standardizzato per funzionare, non è più un mezzo, ma l'unico fine ammissibile e il merito si misura solo come capacità di funzionare, del tutto indipendentemente dal per cosa si funziona, in quanto il per cosa ultimo è solo la volontà di potenza tecnica che vuole (e riconosce) solo se stessa.
Un saluto
Mario
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Vecchio 03-03-2013, 02.14.58   #54
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@ Maral
Naturalmente vi sono profonde differenze fra la "weltanschauung" anglosassone e quella continentale (ove con
tale termine si intendano proprio tutte le culture europee non di radice anglosassone, e quindi anche le
germaniche o le scandinave).
Von Hayek parlava, riferendosi alle culture continentali, di "costruttivismo", cioè della pretesa di fondare
un ordine sociale su basi che non tengono conto (o che tengono in scarso conto) degli impulsi individuali.
A differenza delle culture anglosassoni, che hanno un concetto del "bene" come di un qualcosa di soggettivo;
come di un qualcosa che è "bene-per-me", le culture continentali hanno un concetto del "bene" come di un
qualcosa di oggettivo; come di una "realtà perfetta"; come di ciò che è "bene-per-tutti".
Questo, io penso, è il punto dirimente; che ha permesso l'affermarsi della visione anglosassone come quella
visione che meglio si adatta all'emergere dell'individuo. Un fenomeno, quest'ultimo, che io reputo assolutamente
centrale.
Quindi io vedo un pò come un aspetto secondario (per quanto importante) le cose legate alla religione.
Certamente l'appropriarsi della "grazia divina" è servita alla borghesia; ma è servita, trovo, più come
"giustificazione" al proprio imporsi al potere politico che come fattore determinante per l'affermazione
di un modello di democrazia sull'altro.
In riferimento al rapporto che lega la tecnica e l'individuo, mi piace rifarmi, parafrasandolo, ancora a Max
Weber. A mio avviso ad essere apparente è la subordinazione dell'individuo alla tecnica, non il contrario.
L'individuo, nel suo emergere prepotente, ha usato la tecnica ma, in seguito, ne è come rimasto imprigionato.
La tecnica, esattamente come il denaro ne: "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo", è diventata
una "gabbia d'acciaio" nella quale non è più immediatamente distinguibile il mezzo dallo scopo. Ma tale
indistinzione, io trovo, è solo apparente, perchè lo scopo continua ad essere l'individuo ed il suo "bene"
(cioè ciò che è "bene-per-lui").
Ed allora, esattamente come il denaro, che viene accumulato in enormi patrimoni dimenticando la sua funzione
di mezzo (il denaro ha "valore" nel momento in cui viene speso), così la tecnica viene amplificandosi e, fagocita
quel fine cui invece è indirizzata dalla sua stessa "natura" di strumento.
Ma tutto ciò è, appunto, solo apparenza. Perchè così come l'accumulo di denaro in realtà "serve" all'accumulatore;
perchè l'accumulo stesso rappresenta ciò che è "bene-per-lui" (la sai la storiella del vecchietto che si è
voluto far seppellire con i soldi risparmiati?), allo stesso modo la tecnica "serve" quel "vivere meglio";
quello sciocco "obliare" con i più fantasiosi stratagemmi (il primo dei quali è la fretta in cui la nostra
società è perennemente immersa) la realtà ultima del mondo. Una realtà ultima che si chiama sofferenza e
morte.
E' quella che Heidegger chiama "vita inautentica". Ed essa la tecnica "serve".
Insomma, ciò che è "bene-per-me" è immergermi nella tecnica, ed evitare di vivere la vita "autentica", cioè
quella consapevole della realtà ultima ed irriducibile della sofferenza e della morte. E' questo pensiero che
atterisce l'uomo moderno, che cerca scampo rinchiudendosi nella "gabbia d'acciaio" rappresentata dalla tecnica,
che egli ha elevato a "Dio" nel momento stesso della morte del "Dio" della tradizione.
un saluto
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Vecchio 03-03-2013, 22.09.13   #55
maral
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Certo Oxdeadbeef, resta però il fatto che il concetto del bene come patrimonio soggettivo è comunque confinato a quelle aree di cultura di matrice protestante che hanno rigettato quel bene comune, buono per tutti, ma controllato seconda una ben precisa gerarchia. Dio, sommo bene e somma imperscrutabile giustizia, che si rivolge senza intermediari all'individuo è il tratto chiave del protestantesimo da cui discende quella sacralità dell'ego-ismo e dunque del bene per tutti come prodotto algoritmico dei tanti ego-ismi individuali selezionati per merito di realizzazione che ormai domina l'intera cultura occidentale e quindi del pianeta (pur tra contrasti residui più o meno forti).
Non è in altre parole che gli anglosassoni o gli scandinavi siano per natura genetica più avveduti dei popoli mediterranei in fatto di democrazia, è che la storia ha formato certi substrati culturali in cui le dinamiche religiose e le istituzioni da esse fondate hanno avuto un ruolo fondamentale.
Ma, ripeto, anche questa concezione individualistica dell'uomo e del suo bene è per me ormai entrata in crisi con l'avvento della tecnologia che usa l'ego-ismo razionale (il bene meritato dalla funzionalità dell'ego individuale) come mero strumento di seduzione per creare quella gabbia tecnologica che è fine solo ed esclusivamente a se stessa. Noi non dobbiamo lavorare per costruire il nostro individuale bene, ma affinché si realizzi un profitto che trascende completamente la nostra individualità e questo profitto consenta un ulteriore sviluppo tecnologico che interpreteremo come progresso misurabile dal profitto stesso che determinerà. Noi non siamo il fine del modo di pensare tecnologico, anche se è assolutamente necessario crederlo affinché quel modo di pensare sussista, ma siamo noi il mezzo votato al fine tecnologico. Se così non fosse sarebbe arduo spiegare perché, nonostante l'enorme disagio psichico e sociale che il nostro modo di produrre e consumare determina proprio a livello di ego, resti imprescindibile il nostro continuare a produrre e consumare con sempre maggiore alacrità. Perché un servo della gleba tutto sommato aveva molto più tempo a sua disposizione di noi, perché un boscimane può permettersi di dedicare alla caccia e alla raccolta non più di 3 ore al giorno e sentirsi comunque molto più felice e meno psichicamente disturbato non solo di un operaio o di un impiegato, ma pure di un manager occidentale che sempre più spesso non riesce a reggere senza impasticcarsi di psicofarmaci o droghe. Dove sta allora questo vivere meglio promesso dalla nostra tecnica? La risposta per me è che la tecnica (questa tecnologia diventata completamente autoreferenziale) ci promette sempre la nostra individuale felicità, ma ha assoluta necessità che la promessa non sia mai mantenuta, altrimenti il turpe egoista che si vuole sia per natura l'uomo è chiaro che smetterebbe di impegnarsi per la tecnica stessa, quindi per la costruzione continua di gabbie tecnologicamente sempre più avanzate e raffinate in cui credere di poter trovare soddisfazione a ogni suo desiderio, ma che ogni volta trova inesorabilmente vuote.
Ciao
maral is offline  
Vecchio 04-03-2013, 22.41.59   #56
0xdeadbeef
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@ Maral
Personalmente, dovessi indicare un fatto storico determinante per il formarsi, nei paesi anglosassoni, di
una peculiare forma-mentis distinta da quella europea-continentale, indicherei la mancata influenza che quei
paesi subirono del concetto di "impero".
La marginalità di quei paesi, la loro stessa lontananza geografica, ha impedito uno sviluppo storico che
risentisse del "mito" di Roma; un mito trasferitosi in seguito alla Chiesa, con la sua pretesa di universalità
ed assolutezza.
Dunque ben prima dei fermenti riformistici (che, fra l'altro, hanno avuto origine in paesi non anglosassoni),
nei paesi anglosassoni prende forma l'antica concezione greca del "primus inter pares", cioè di una egemonia
politica che non annulla la libertà e l'autonomia. Diciamo che, forse, non è per caso che la democrazia venga
ripresa dopo tanti secoli proprio in quei paesi.
Per quel che riguarda il rapporto fra la Tecnica e l'individuo, io leggerei la cosa nei termini psicologici (e
forse anche letterari).
Tu parli di disagio psichico e sociale che il nostro modo di produrre e consumare determina. E dai la colpa
di questo disagio alla frenesia della vita moderna. Io invece questo disagio psichico e sociale lo vedo molto
meno chiaramente definito, e soprattutto dò la "colpa" ad altri aspetti.
Se, infatti, andiamo ad esaminare l'analisi psicologica che viene condotta su soggetti che pensano (loro) che
le cause della loro depressione siano la frenesia, i troppi impegni, le difficoltà economiche, vediamo infatti
che queste sono solo apparenti, "conscie"; mentre invece i veri motivi, quelli "inconsci", sono principalmente
altri.
Certo non voglio negare che vi siano difficoltà che sono causate dal tran-tran quotidiano, ma voglio dire che
se andiamo ad esaminare quella che è la causa "per eccellenza" che i soggetti depressi indicano (le difficoltà
economiche), ne vediamo la sua assoluta inconsistenza proprio prendendo a paragone popoli poveri, ma non
depressi, e popoli ricchissimi ed apparentemente felici, come quelli scandinavi (che hanno un numero di suicidi
da far paura).
Insomma, "sotto sotto" c'è la paura. La paura, come diceva Kierkegaard, della possibilità che si verifichi
anche la cosa più atroce, in qualsiasi istante. La paura, in altre parole, dell'essere-gettati-nel-mondo,
dell'estrema instabilità della condizione umana.
E questa paura è amplificata al massimo dalla "morte di Dio"; ovvero dalla morte di ogni aspettativa metafisica
in uno "sguardo" occidentale nel quale ha ormai definitivamente trionfato la scienza, e nel quale la metafisica
è ormai ridotta a favoletta per bambini.
Ecco, io vedo la frenesia piuttosto come un rimedio; un rimedio contro l'insostenibilità del pensare alla
drammaticità della condizione umana (come, in maniera magistrale, ci fa vedere P.Villaggio in "Fantozzi va in
pensione").
E allora, sulla base di ciò che ipotizzo, qual'è questo "bene per me"?
un saluto
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Vecchio 05-03-2013, 22.52.49   #57
maral
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Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
Personalmente, dovessi indicare un fatto storico determinante per il formarsi, nei paesi anglosassoni, di
una peculiare forma-mentis distinta da quella europea-continentale, indicherei la mancata influenza che quei
paesi subirono del concetto di "impero".
La marginalità di quei paesi, la loro stessa lontananza geografica, ha impedito uno sviluppo storico che
risentisse del "mito" di Roma; un mito trasferitosi in seguito alla Chiesa, con la sua pretesa di universalità
ed assolutezza.
Dunque ben prima dei fermenti riformistici (che, fra l'altro, hanno avuto origine in paesi non anglosassoni),
nei paesi anglosassoni prende forma l'antica concezione greca del "primus inter pares", cioè di una egemonia
politica che non annulla la libertà e l'autonomia. Diciamo che, forse, non è per caso che la democrazia venga
ripresa dopo tanti secoli proprio in quei paesi.
Sì, sono in parte d'accordo, nel senso che la marginalità di quei paesi rispetto alla centralità dell'impero ha reso la pretesa unificante meno forte, però nemmeno questo è da solo sufficiente perché si determini uno spirito individualista e un intendimento democratico. E' vero che i fermenti riformisti soprattutto di matrice calvinista non nascono originariamente in quel paese, ma proprio in quel paese più si sviluppano in forma politica di successo (il puritanesimo di Cromwell), mentre nell'area germanica questi movimenti furono più fortemente perseguitati e i loro aderenti costretti a fuggire oltreoceano... proprio in America Settentrionale.

Citazione:
Tu parli di disagio psichico e sociale che il nostro modo di produrre e consumare determina. E dai la colpa
di questo disagio alla frenesia della vita moderna.

Non è che do la colpa alla frenesia della vita moderna, ma al substrato di pensiero che rende obbligatoria questa frenesia direzionata al produrre e consumare. E il motivo per cui è obbligatorio produrre e consumare è quello della volontà di potenza della tecnica fine a se stessa per cui l'uomo è lo strumento che deve produrre (dove le macchine non riescono ancora a farlo) desiderare e consumare ciò che si produce per continuare a produrre tutto ciò che la tecnica può senza limiti fare. E' proprio questo poter fare senza limiti il nocciolo della questione che resta nascosto sotto la superficiale frenesia e il motivo profondo del conseguente disagio.
L'instabilità della condizione umana, l'angoscia nichilistica che si traduce nelle forme depressive tanto in crescita proprio nei paesi più tecnologicamente avanzati è determinata a mio avviso da questo annullamento a fronte della volontà di potenza tecnica oltre che di ogni dio o ente metafisico o valore etico (a parte il ben funzionare che resta valore tecnicamente fondamentale) sentito come ostacolo e dell'uomo stesso inteso come ente degno di proporsi come fine autonomo. Resta solo la smisurata e sempre illusoria potenza tecnica da cui non ci si può staccare (come Prometeo incatenato alla rupe), del tutto indifferente al mezzo umano per se stesso, buono solo finché si dimostra abbastanza funzionale (quindi meritevole) per lo scopo autoreferenziale di crescita tecnica. Quando non è più funzionale (e quindi non merita più) il mezzo umano (ossia la risorsa umana) è rigettato in discarica, oppure utilizzato come mero corpo oggetto su cui ancora la potenza tecnica può ancora esercitarsi per affinare la sua capacità. Più angosciante di questo!
Ciao
maral is offline  
Vecchio 06-03-2013, 15.14.13   #58
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@ Maral
Certamente al formarsi della peculiare mentalità anglosassone contribuiscono molti eventi storici.
E' giusta la tua affermazione su di un riformismo che trova, nel continente, l'opposizione feroce non solo dei
"papisti", ma anche di una nobiltà che, essendo perlopiù di origine franca, aveva profondamente assimilato
quel concetto di "impero" che ti dicevo (nei suoi tratti fondamentali di universalità ed assolutezza).
Un altro evento storico di grande importanza mi sembrerebbe quello legato all'"esodo" dell'ordine dei
Francescani; un evento che, sulla base della distinzione fra "ratio" e "fides" che opera la cosiddetta "seconda
Scolastica", porrà le basi non solo di un insegnamento "laico", ma anche di una riflessione politica e
giuridica che, liberata dalle implicazioni teocratiche, arriverà ad una concezione ante-litteram di quel
celebre: "non ho avuto bisogno di ipotizzare il ruolo di Dio", che quello scienziato (di cui non ricordo
mai il nome) disse a Napoleone, il quale gli chiedeva conto del ruolo di Dio nella formulazione del suo sistema.
Sull'altro argomento, ecco, io credo che ciò che chiami "substrato di pensiero" (che rende obbligatoria questa
frenesia direzionata al produrre e al consumare) consista, appunto, nell'angoscia del divenire di cui parla
E.Severino a proposito della Tecnica. Come Severino, penso insomma che la Tecnica sia null'altro che un rimedio
a questa angoscia; una angoscia non più lenita dal pensiero metafisico, o religioso che dir si voglia.
Anche sulla questione dello "scavalcamento del limite" la penso come Severino.
In Kant la questione del limite è ancora centrale. Egli contrasta la "ragione infinita" degli Illuministi
istituendo il "Tribunale della Ragione", ma per far questo è costretto ad ipotizzare la "cosa in sè"; e,
soprattutto, un imperativo categorico che travalica i dettami della Ragion Pura per divenire un qualcosa di
pertinenza della Ragion Pratica, ovvero un qualcosa che non può fondarsi su nessuna "razionalità" che non sia
quella determinata dalla scelta, necessaria e quindi ineludibile, di un valore etico piuttosto che un altro.
La conseguenza di tutto questo è chiara: come il limite viene posto dalla volontà, così la volontà (che in
Nietzsche è liberata da ogni vincolo, perchè liberata da ogni "responsabilità") può rimuovere il limite.
con simpatia e stima
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Vecchio 07-03-2013, 20.53.27   #59
maral
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Riferimento: Kratos del demos e kratos del merito

Citazione:
Oxdeadbeef: io credo che ciò che chiami "substrato di pensiero" (che rende obbligatoria questa frenesia direzionata al produrre e al consumare) consista, appunto, nell'angoscia del divenire di cui parla E.Severino a proposito della Tecnica. Come Severino, penso insomma che la Tecnica sia null'altro che un rimedio
a questa angoscia; una angoscia non più lenita dal pensiero metafisico, o religioso che dir si voglia. Anche sulla questione dello "scavalcamento del limite" la penso come Severino.
Sì, certamente il fare tecnico fornisce lo scampo all'angoscia del divenire e tanto più oggi, dopo che ogni muro metafisico è crollato mostrando le sue profondissime crepe. Una sorta di fuga (affannata) nella sola dimensione del sapere come fare per controllare il farsi nulla di ogni cosa e dunque, attraverso questo fare senza risoluzione appropriarsi della piena potenza sul diventare nulla di ogni cosa aderendo ad esso. Emerge allora chiaro cosa significhi il kratos del merito nell'era della tecnica (laddove il kratos del demos potrà essere solo mezzo più o meno funzionale ad esso e in base alla sua funzionalità tecnica da accettare o respingere), qual è il suo fine (necessariamente senza fine) e il suo intendimento. Ma emerge anche chiaro quanto questo fine e questo merito sia, alla luce del pensiero di Severino, completamente illusorio e pertanto destinato a inevitabile delusione, essendo completamente illusorio il Divenire su cui la tecnica vorrebbe esercitare la sua potenza funzionale sarà completamente illusoria anche la stessa potenza tecnica. Alla fine la volontà di potenza oltrepasserà dunque lo stesso mondo della tecnica vedendo di fronte a se stessa solo il niente della suprema contraddizione a cui è votata.

Molto interessante è poi a mio avviso quel superamento nicciano di ogni limite da parte della volontà di potenza che per oltrepassare l'insormontabile barriera di ciò che è definitivamente accaduto ha come unica possibilità la suprema volontaria di adesione all'Eterno Ritorno dell'Identico. Ma questo introduce forse un discorso oltre questo tema

Ti saluto ricambiando stima e simpatia.
maral is offline  

 



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