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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 19-06-2013, 13.22.30   #151
gyta
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La negazione dell'individualità

Se le porte della percezione fossero sgombrate
ogni cosa apparirebbe com’è, infinita.
(William Blake)


La negazione della propria individualità, della realtà all’autodeterminazione,
la negazione dell’io in vista di un obiettivo più grande al quale sottomettersi,
impersonale e totalizzante è negazione della propria umanità è fuga dalla realtà
o usando le parole di Fromm è fuga dalla responsabilità che pone la scelta
all’autodeterminazione e alla libertà fondamentale dell’individuo, quella di essere
pienamente integralmente se stesso.

Il linguaggio consegna, il linguaggio pone in atto,
il linguaggio svela l’azione riposta nell’intimo.. nel bene e nel male.

Attraverso il linguaggio diamo potere a ciò che da informe diviene anima del reale.
Così nel porre luce al linguaggio pongo mano a mano luce all’anima che muove e forgia il
reale. In questa analisi possiamo scoprirci e comprenderci, cogliere il cuore del nostro
muoverci.

Attraverso questa conoscenza diveniamo liberi di essere,
attraverso questa medesima conoscenza impariamo ad amare noi stessi,
attraverso questa stessa conoscenza possiamo amare l’altro per ciò che è
e per ciò che è nel profondo.

Cadono le maschere, cade l’io falso, lasciando posto alla luce integra dell’individuo,
alla sua interezza, al suo potere inestimabile.

Non più parzialità, non più semi-dèi, non più fantocci animati da fili politici o falso-spirituali,
umani finalmente integri, finalmente liberi, finalmente in grado di amare, finalmente degni di
amore, finalmente umani.

Sino a quando ci cercheremo nelle nostre superfici, sino a quando l’altro e noi saremo mezzo a
qualcosa, sino a quando quel qualcosa non sarà la nostra reale identità di essere null’altro
che divinamente profondamente umanamente noi stessi, nessun amore, nessun dio,
nessun uomo, nessun potere per quanto autentico potrà svelarci la nostra natura libera e
immortale.

Quando saremo disposti a guardarci per davvero e per davvero guardare l’altro, quando
l’ascolto sarà autentico si svelerà ai nostri occhi quella realtà che credevamo inesistente
o appartenente a mondi lontanissimi e trascendenti, quella luce tangibile che da sempre ci è
appartenuta e ci rende ora visibili per davvero gli uni agli altri.

Questa conoscenza, questo amore autentico superiore a qualsiasi nostra riposta aspettativa
restato in silenzio nel nostro cuore, nella nostra mente in attesa che ci accorgessimo di noi
liberandolo, liberandoci.

Autocoscienza, consapevolezza, responsabilità, trasparenza e dirittura morale
sono i cardini attraverso cui si realizza l’unione, interna capace di sviluppare il nostro fulcro,
verso l’altro capaci di rapportarci in amore.

La dirittura morale avrebbe bisogno di un discorso a parte nella questione,
diciamo brevemente che con dirittura morale intendo l’attenzione reale costante
a ciò che comporta ogni nostro movimento interno od esterno che sia.

Questo centro cosciente, questo fuoco svelato alla coscienza è il luogo mentale tangibile
di ciò che per semplicità chiamiamo io, la cui sostanza radice si rivela nella luce propria
intangibile dell’intelligenza emersa [l’esperienza del conoscere e dell’amare].

Non è dunque nella negazione di una volontà propria ma nell’autocoscienza
e attraverso la consapevolezza autentica che giungiamo a quella libertà
che rivela l’essere integro nella nostra individualità.


[..segue..]
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Vecchio 19-06-2013, 13.23.06   #152
gyta
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La negazione dell'individualità (2)

Ciò che segue è una sintesi del pensiero di Fromm inerente la dinamica dei processi interiori che portano l’individuo alla negazione dell’io come tentativo di sublimare quel vuoto insostenibile che si viene a creare fra ciò che siamo e ciò che ci viene riconosciuto di essere.
Per l’importanza che credo abbia il suo pensiero cito seppure tagliato di alcune parti la sintesi
riportata dal sito a lui dedicato :

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"Quando l'uomo pensa che il suo ideale è posto fuori di lui egli uscirà da se stesso e cercherà adempimento là dove non lo può trovare. Cercherà soluzioni e riposte in qualsiasi punto salvo dove potrebbe rivenirle: in se stesso

Molti uomini sprecano la loro vita nel tentativo di divenire ciò che non possono essere,
dimenticando ciò che possono divenire"

Erich Fromm


La libertà si afferma attraverso l'uomo come motivo immanente ed ineliminabile dello sviluppo umano come aspetto costitutivo dell'uomo, espressione del suo essere e prodotto del processo di individuazione e di sviluppo della società. Questo dinamismo se spezzato o forzatamente omologato si esprime attraverso la deformazione della personalità dell'uomo stesso. L'uomo privato della sua libertà reagisce o con la rassegnazione al vivere come un automa, oppure si trasforma in un essere aggressivo e furioso pronto a distruggere e distruggersi. Chi si propone di edificare un sistema sociale e politico antitetico a quello esistente, non può ignorare questi aspetti che la realtà ci propone in termini certi e definitivi. Ignorare tutto ciò, condannerebbe questi potenziali sistemi ad un sicuro fallimento obbligando l'uomo ad assumere il ruolo di mero strumento e considerandolo solo un ingranaggio della vita sociale. Infatti i sistemi autoritari non eliminano le condizioni fondamentali che permettono all'uomo di aspirare alla libertà, ma ne possono estirpare l'aspirazione stessa.


"la liberazione umana non può compiersi avendo per mira una realtà materialistica in cui trovino appagamento soltanto determinati bisogni umani, ma perché questa liberazione si avveri è necessario riconquistare la sfera più ampia degli autentici bisogni umani, delle sue aspirazioni che comprendono, anche, il mondo dei suoi sentimenti e dei suoi ideali"

Affinché si possa realizzare un mutamento radicale dell'ordine esistente non è sufficiente opporsi ai principi e sistemi che difendono le irrazionali strutture dell'organizzazione umana; infatti dobbiamo cogliere anche quegli elementi di secolarizzazione che si presentano come radicali e rivoluzionari e che in realtà sottendono e sono legati a vecchi schemi che intendono perpetuare.

" Finché l'uomo resta immerso nella realtà sociale egli non può comprendere il valore che contiene in sé perché i tabù e le restrizioni socialmente condizionati gli appaiono naturali e finisce per accettare quelle distorsioni che la società determina nella natura umana (...)"


È interessante anche la ricaduta in termini evolutivi della concezione di Fromm, infatti focalizzando sugli aspetti qualitativi delle dinamiche sociali, egli è in grado di mettere in luce come queste determinino la struttura di personalità dei soggetti adeguate al sistema sociale in cui essi vivono. Questa concezione deriva dalla teoria del carattere sociale considerata una delle tesi fondamentali delle teorie di Fromm. Ma questa adattabilità dell'uomo non è infinita; c'è insita nella sua natura una tendenza generale alla crescita che produce altre tendenze quali il desiderio di libertà e l'odio per la repressione. L'uomo in quanto tale è in grado di trascendere ai meccanismi istintivi e questa sua capacità lo porta a realizzare la sua condizione di libertà che rende più difficile la sua esistenza. Per Fromm c'è una profonda contraddizione nell'uomo determinata dalla dicotomia tra biologia (debolezza istintuale) e la consapevolezza di sé; il suo compito psichico è quello di sopportare l'insicurezza che sperimenta. "L'uomo libero è necessariamente insicuro, l'uomo che pensa è necessariamente incerto". L'uomo si troverà sempre di fronte alla realtà sia per stabilire un rapporto che lo liberi dall'isolamento per trovare la propria individualità e identità, sia per arrivare a all'equilibrio nello sviluppo di relazioni armoniose e durevoli con la realtà sociale in cui vive.

Gli atteggiamenti che l'uomo può assumere (nei confronti di questa realtà che non è mai statica) sono due: da un lato può progredire stabilendo un rapporto positivo col mondo per la piena realizzazione delle sue facoltà, dall'altro può rinunciare alla propria identità regredendo verso una dimensione involutiva dell'esistere, I meccanismi di fuga derivano dall'insicurezza che l'individuo sperimenta in quanto prova difficoltà ad ascoltare i suoi bisogni (amore, lavoro espressione genuina di sé e delle proprie facoltà) mettendo in atto una sorta di fuga attraverso la rinuncia nel tentativo di eliminare il vuoto che si è creato tra il suo essere e il mondo. Quest'apparente soluzione all'ansia che il vuoto genera assume i connotati della rinuncia esistenziale in termini di rinuncia dell'individualità e integrità dell'Io.

Il primo meccanismo di fuga che Fromm analizza in questa dimensione di rinuncia è il bisogno di rinunciare all'indipendenza. In tal modo l'uomo si fonde con qualcosa che sia altro da se, illudendosi di acquisire la forza di cui è mancante. Qui la sottomissione diventa il modo di relazionarsi con l'altro (la vita come qualcosa di irresistibilmente potente ma ingestibile). Nell'analizzare queste tendenze che generano sottomissione Fromm coglie due matrici importanti: da un lato evidenzia la tendenza masochista e dall'altro la distruttività. Per il masochismo lo scopo fondamentale è disfarsi dell'Io individuale in una dialettica tra attivo e passivo fino a perdersi, la distruttività mira invece all'eliminazione del suo oggetto – vi è radicata incapacità di sopportare l'impotenza e l'isolamento – e si manifesta con la fuga dall'intollerabile sentimento di impotenza (attraverso la rimozione degli oggetti) causato dal confronto degli oggetti con cui l'individuo è spesso chiamato a confrontarsi.

L'individuo attraverso la rinuncia alla propria integrità personale o attraverso la propria distruzione riesce a superare il sentimento di irrilevanza rispetto al potere del mondo esterno e così facendo crede di sfuggire a questa minaccia che su lui pesa. Ma vi è un altro meccanismo che deriva da questo suo panico e che genera omologazione, questo è determinato dal fatto che l'individuo cessa di essere sé stesso per adottare un atteggiamento condiviso culturalmente che lo fa divenire esattamente come gli altri. Fromm paragona quest'atteggiamento alla mimesi animale che permette agli animali stessi di confondersi con l'ambiente, e questo per l'uomo vale sia per l'aspetto sociale che psichico. Tutto questo finisce in uno pseudo Io che sostituisce l'Io originale delle attività mentali.

[..segue ultima parte..]
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Vecchio 19-06-2013, 13.23.52   #153
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La negazione dell'individualità (3)

L'uomo fugge dalla libertà, perché essa significa responsabilità ed è a questi uomini che il tiranno si rivolge. Una volta spazzato via un tiranno già un altro è pronto in quanto si rivolge non a uomini liberi ma a quelli che hanno bisogno di sentirsi guidati e lo vivono come un protettore magico in grado di dissipare quelle incertezze e angosce che rendono stabile la vita dell'uomo. L'indebolimento dell'Io determinato da questa fuga dalla libertà e soprattutto dalla diserzione alla responsabilità trovano l'humus che permette al totalitarismo il suo sviluppo. Anche i desideri individuali si affievoliscono e emergono quelli che noi illusoriamente sentiamo nostri come espressione del nostro Io. L'uomo si è sottratto all'autenticità del rapporto con la realtà che lo circonda diventando parte di una macchina di cui egli stesso è stato l'artefice. Da qui il presentarsi di un'alienazione crescente.

Fromm richiamandosi a Pirandello descrive un suo personaggio paragonandolo allo stato attuale dell'uomo: individuo che cerca in vano di ritrovare la propria identità; e la sua risposta non è come in Cartesio l'affermazione dell'Io ma la sua negazione: "non ho alcuna identità, non c'è alcun io tranne quel che è riflesso di quello che gli altri pretendono che io sia". Questa è un'analisi interessante sul conformismo nella società di massa che mette in luce i comportamenti individuali quando l'uomo perde la scintilla dinamica della sua personalità. Un incontro di maschere e non più di individui. In questo scenario che rappresenta una realtà opaca caratterizzata sia dall'anonimo che dal collettivo l'individuo è concentrato nell'eseguire solo il ruolo che gli è stato assegnato dalla società e le sue regole. La realtà acquista un senso e un significato in base alla forza che acquista la realtà economica. Più l'individuo consuma e produce, più è utile. La repressione sociale tende a rarefare l'identità dell'uomo adattandolo e omologandolo, da ciò le forme di nevrosi che si sperimentano nella situazione odierna; per questo la terapia deve risalire non solo al singolo, ma alla realtà dell'organizzazione sociale. Il carattere dell'Homo consumer viene riscontrato nelle diverse psicopatologie (depresse, ansiose, bulimiche, alcoliste ecc.) per compensare alla depressione e ansia nascoste. L'avidità consumistica (forma estrema di ciò che Freud definiva carattere orale o ricettivo) diventa la forza psichica dell'attuale società industrializzata.

L'Homo consumer vive nell'illusione della felicità ma a livello inconscio soffre della sua passività. Da qui il senso di alienazione per non essere in grado di instaurare un rapporto autentico con la realtà sociale. "Paura, solitudine, timore di sentimenti profondi, mancanza di gioia sono i sintomi di una morte interiore che è la malattia del secolo"

A differenza di Marcuse che cogliere nella "società della non repressione" una sorta di paradiso utopico, in cui ogni lavoro sia gioco e dove non esistono conflitti e tragedie reali, Fromm crede in un risveglio della ragione attraverso una conversione silenziosa, una religiosità interiore. Attraverso un ritorno in noi stessi possiamo arrivare ad una resurrezione morale dell'uomo. Perché la verità è dentro ciascuno di noi, non nella realtà esterna, la quale ne riesce a dare solo illusione.

Per Fromm essere significa riuscire affermare contro ogni tentazione materialistica la piena espressione di sé da un punto di vista spirituale che qualifica tutta l'esistenza umana. Essere significa amare. Quest'ultimo è il "movente" universale che può tramutare l'individuo inerte e alienato in un essere dinamico in grado di esprimere il proprio potenziale e capace di ogni trasformazione umana. Trascendere la ristrettezza dell'ego, dell'avidità e dell'egoismo diventa i modo attraverso il quale l'uomo raggiunge il pieno sviluppo (arrivando alla separazione dal prossimo e infine alla solitudine, elemento fondamentale). Affinchè questo possa avvenire bisogna liberarsi dalla coscienza autoritaria a favore di una umanistica. Infatti la coscienza autoritaria è una coscienza interiorizzata, mentre quella umanistica è in ciascuno di noi indipendentemente dalle ricompense esteriori; per ricomporre le fila del rapporto sociale dobbiamo cercare in noi e in quella voce interiore che ci unisce agli altri (senza bisogno di sottomissione) l'adesione libera e spontanea. La realizzazione dei propri desideri e la presenza di una morale autentica permettono la realizzazione dell'uomo.

"Il male è la perdita dell'uomo da parte di se stesso nel tentativo di sfuggire alla sua umanità."


da http://www.ifefromm.it/biografia.php

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Vecchio 19-06-2013, 19.46.59   #154
jeangene
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

maral:
Quello che porta l'artista o lo scienziato a produrre la propria opera non è la gratificazione per se stesso o per altri, ma è l'opera stessa che realizza. Questo intendevo con il soggetto che si rende strumento di una realizzazione che lo trascende e insieme lo comprende. In questa realizzazione compiuta ogni gratificazione per l'io o per gli altri è solo un effetto del tutto secondario. E' l'inevitabilità di darsi totalmente a qualcosa (o per qualcuno), senza alcun vantaggio concepibile, nemmeno in forma indiretta. E' la necessità che riprende ciò che gli compete sa salvando insieme soggetto e oggetto uniti. Non più un io che vuole (realizzarsi), ma un io che accetta anche la sua negazione facendosi strumento di ciò per cui non può non operare.

gyta:
Mi spaventano queste parole. Le conosco.

Ogni io è vanificato ma anche ogni umanità.

Eccola la distanza che rende immortali ma anche disumani.

Un obiettivo al di sopra di tutto. Capace di inghiottire tutto.

Mi rammenta molto l’antico Dio al quale si consacrava ogni azione.

Le persone non sono più persone ma mezzi.

Mezzi di un fine. Un fine globale, globalizzato. Globalizzante.

L’estasi è a portata di mano, come il ghiaccio. Il dolore distante e sopportabile.

Non è il “ dove due saranno uno io sarò con loro”.

Eccola la nuova religione tecnologica. Alta. Sublime. Disumana.

Dove il bene ed il male non sono che effetti secondari [di una vita senza soggetto].

Sublime. Perfetto. Asettico. Indolore.



Rifletto.


.


E' davvero necessario parlare di uno scopo o di un obbiettivo al di sopra di tutto?
Forse no, forse si può semplicemente parlare di un divenire dove lo "scopo" di ogni individuo è quello di realizzarsi in accordo con sè stesso e quindi con l' essere.
jeangene is offline  
Vecchio 20-06-2013, 00.07.44   #155
maral
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

Citazione:
Originalmente inviato da Ulysse
Io credo che la risposta sarebbe che preferiremmo riuscire a tirare l'acqua al nostro mulino quanto più possibile...pur in mezzo ai tanti inghippi e deviazioni che vi si oppongono...poiche è ovvio che, in una società globale tutti, individualmete o in team o a gruppi o a nazioni o per continenti interi, tendono a questo...a deviare l'acqua!
Se devio l'acqua per salvarmi e per salvare i 1000 bambini del mio villaggio con un sacrificale atto d'amore, magari puo' essere che i 10000 bambini del villaggio a valle restano senza acqua..e da qusti sarò odiato e da quelli esltato...ma fondamentalmente ho perseguito il mio egoistico intento.
Mi soffermo su queste parole di Ulysse per evidenziare quanto per credere alla necessità senza alternative dell'egoismo sia indispensabile la scarsità, Se ciò che è fondamentale è scarso l'egoista è comunque pienamente giustificato, per cui è indispensabile credere che ciò di cui non possiamo fare a meno è sempre normalmente insufficiente e anche qualora ve ne fosse abbondanza (se di quell'acqua che va dispersa ve ne fosse non per 1000 o per 10000, ma per 100000 o pure per un miliardo di bambini) occorre fare in modo che essa risulti ugualmente insufficiente anche per 1000 e questo è possibile ponendo l'avidità come tratto fondamentale non solo dell'umano, ma pure della stessa matrice biologica. L'avidità che non ammette limiti a se stessa determina la necessaria miseria (anche di chi ha tutto, ma ha il dovere di conservarsi avido, dunque perennemente insoddisfatto, perché si deve credere fermamente che solo l'insoddisfazione può muovere il mondo, solo l'infelicità reale costantemente illusa di possibili felicità... quanto è cristiano tutto questo!), la miseria giustifica l'egoismo e l'egoismo riaccende l'avidità. Così il cerchio si chiude su un mondo tanto imprescindibilmente egoista quanto imprescindibilmente miserabile, miserabile per pura e incontestabile evidenza biologica!

Citazione:
Originalmente inviato da Gyta
La negazione della propria individualità, della realtà all’autodeterminazione,
la negazione dell’io in vista di un obiettivo più grande al quale sottomettersi,
impersonale e totalizzante è negazione della propria umanità è fuga dalla realtà o usando le parole di Fromm è fuga dalla responsabilità che pone la scelta all’autodeterminazione e alla libertà fondamentale dell’individuo, quella di essere pienamente integralmente se stesso.
Le parole sono importanti e vorrei chiarire quanto precedentemente detto per non rischiare il fraintendimento. L'io che si pone al servizio di qualcosa di superiore che lo aliena è in realtà un nano con sogni da gigante, illuso e deluso dalla sua egoistica volontà di nano (e non occorre citare Nietzsche con tutta la sua sacrosanta critica al cristianesimo per capire cosa intendo) e non è questo che intendevo quando parlavo del recupero della necessità essenziale sulla sfera egoica.
Citerò un esempio per essere più chiaro, uscendo dal discorso strettamente filosofico come invita Ulysse (del significato filosofico e pure scientifico potremo occuparci in seguito). Dopo la guerra fu fatta un'indagine sociologica in Polonia per tentare i capire cosa avesse spinto alcuni Polacchi durante l'occupazione nazista ad aiutare gli Ebrei mettendo a serio repentaglio la propria vita e quella delle proprie famiglie, quindi nonostante le condizioni presenti ad agire in modo del tutto anti egoistico. Si noti che tra questi che si erano operati per salvare qualche ebreo vi erano persone di tutti i ceti sociali, di tutti i livelli di istruzione, atei e religiosi, per cui non era possibile tracciare alcun profilo sociale specifico. Appariva inoltre chiaro che questi non avevano agito pensando di ricavare per via indiretta qualsiasi forma di futura stima in vista di un possibile crollo a breve del nazismo. La risposta che costoro diedero al perché dei loro atti così rischiosi fu semplicemente "Non lo so, ma non potevo farne a meno, non avevo scelta, se non lo avessi fatto non avrei più potuto riconoscermi". Questa è la necessità essenziale di cui parlo, essa non lascia scelta, dunque elimina la libertà che l'io esige per se stesso, ma pur eliminandola salva l'io per quello che essenzialmente è e in tal modo lo rende definitivamente libero, lo fa risorgere nella sua dimensione essenziale, non come volontà dell'impossibile, ma come volontà del destino inevitabile di essere ciò che si è, fino in fondo, costi quello che costi, senza avere possibilità di una scelta che razionalmente calcoli e soppesi i pro e i contro.
E allora è chiaro che con Fromm ha ragione Jeangene quando dice:
Citazione:
forse si può semplicemente parlare di un divenire dove lo "scopo" di ogni individuo è quello di realizzarsi in accordo con sè stesso e quindi con l' essere.
, ma deve essere chiaro che a quel punto non c'è alcuna scelta che considera i pro e i contro, i premi o i castighi, nessun comandamento per sforzarsi di amare il prossimo per avere la sua riconoscenza, quella dell'intera umanità e di Dio stesso, ma solo l'accettazione completa di quello che si è da sempre, la necessità imprescindibile di essere se stessi che non può prescindere dall'altro, da quel mondo (Dio, natura, madre, amico, nemico, sconosciuto, ostacolo...) che costantemente ci determina per ciò che siamo. E' una resa all'essenza che già è (e non è né mia né tua, ma di ogni cosa che esiste), non un volere l'essenza.
Acc...così alla fine sono tornato al filosofico...
maral is offline  
Vecchio 22-06-2013, 16.48.02   #156
gyta
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Citazione:
Così il cerchio si chiude su un mondo tanto imprescindibilmente egoista quanto imprescindibilmente miserabile, miserabile per pura e incontestabile evidenza biologica!

Sostituirei a “bio-logica” un più trasparente “necro-fila”.

Citazione:
ma deve essere chiaro che a quel punto non c'è alcuna scelta che considera i pro e i contro, i premi o i castighi, nessun comandamento per sforzarsi di amare il prossimo per avere la sua riconoscenza, quella dell'intera umanità e di Dio stesso, ma solo l'accettazione completa di quello che si è da sempre, la necessità imprescindibile di essere se stessi che non può prescindere dall'altro, da quel mondo (Dio, natura, madre, amico, nemico, sconosciuto, ostacolo...) che costantemente ci determina per ciò che siamo.
Sì, è chiaro. Mi era sembrato intendessi altro in alcuni passaggi, forse mi ha tratto in inganno quel tuo “lasciarsi possedere dall’Essere” ma evidentemente la scelta dei termini dettata dal nostro carattere fa emergere una sorta di priorità nelle evidenze della nostra esperienza interiore. Il tuo “lasciarsi possedere” come d’altronde la mia “passione” hanno i colori particolari relativi alla nostra personale esperienza intima. Il linguaggio riporta costante la sua scissione assetata di complementarità che la lingua difficilmente ci consente; suppliamo con l’immaginario dove, sia il possesso che la passione radicano nell’esperienza mistica dell’unione di amore colma che necessita come di una sorta di nostra maternità, come se attraverso il nostro linguaggio si scoprisse l’esperienza dell’anima come volto dell’eros, andando a determinare il nostro movimento profondo di aspirazione alla fusione attraverso l’accoglimento. E’ il dono di un accoglimento particolare, recettivo affinché il seme dell’”altro” possa germogliare. Il seme, l’altro, non può a questo punto che essere la ragione stessa. In questa lettura diviene particolarmente evidente il richiamo all’Intelligenza come potere che determina nel profondo il reale (Intelligenza, Luce -della Mente, Dio-Divinità, Essere). A questo punto l’Ombra di Jung ai minimi termini non è che la stessa Luce dell’Intelligenza portata in emersione. Ed ancora una volta si svela la necessità bio-logica (biofila) dell’ unione di psiche & eros, dove la sessualità degli archetipi a questo punto si con-fonde. Eros è maternità di psiche seminatrice.. Ora, è fusione non più con-fusione visto che il legame muta carattere diventando reciprocità, ambivalente quindi il carattere sessuale giunto a generato amore. Infatti psiche non è che causa di eros, eros di psiche, esattamente quanto l’ombra non è che causa di luce. Così come il trascendere è proiezione e proiezione causa del trascendere. Allora questo “io” dov’è?

Se perdete il filo.. tutto torna..
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Vecchio 22-06-2013, 23.51.18   #157
david strauss
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Quando io affermo, sono già l'oggetto del mio pensiero.
In realtà, l'io non può affermare la propria esperienza, ma soltanto il proprio pensiero. E' impossibile all'io oggettivare la propria esperienza, se questa dovesse coincidergli.
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Vecchio 23-06-2013, 11.35.26   #158
jeangene
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Citazione:
Originalmente inviato da david strauss
Quando io affermo, sono già l'oggetto del mio pensiero.
In realtà, l'io non può affermare la propria esperienza, ma soltanto il proprio pensiero. E' impossibile all'io oggettivare la propria esperienza, se questa dovesse coincidergli.

Forse intendi dire che l' io non è l' esperienza che lo investe e forse che non è nemmeno questo o quel pensiero, ma che l' io è pensare?
Scusami, ho provato ad interpretare le tue parole perchè non mi sono chiare.
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Vecchio 23-06-2013, 21.00.23   #159
jeangene
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Mi chiedo se in questo "lasciarsi possedere dall' Essere", in questa "passione" le individualità vengano sempre e comunque rispettate.
Se c'é una cosa che ritengo giusta é che ogni azione va pensata e pianificata tenendo conto del fatto che siamo tutti fratelli e che quindi ogni azione dovrà rispettare (nei limiti del possibile) tutte le individualità coinvolte.
Mi chiedo perché molte persone non agiscono nel rispetto delle individualità se questo rispetto é nella nostra natura. É forse la libertà di andare contro la nostra natura la causa del male?

Ultima modifica di jeangene : 24-06-2013 alle ore 11.44.06.
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Vecchio 23-06-2013, 21.01.07   #160
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Originalmente inviato da maral
Mi soffermo su queste parole di Ulysse per evidenziare quanto per credere alla necessità senza alternative dell'egoismo sia indispensabile la scarsità.
Se ciò che è fondamentale è scarso l'egoista è comunque pienamente giustificato, per cui è indispensabile credere che ciò di cui non possiamo fare a meno è sempre normalmente insufficiente e anche qualora ve ne fosse abbondanza (se di quell'acqua che va dispersa ve ne fosse non per 1000 o per 10000, ma per 100000 o pure per un miliardo di bambini) occorre fare in modo che essa risulti ugualmente insufficiente anche per 1000 e questo è possibile ponendo l'avidità come tratto fondamentale non solo dell'umano, ma pure della stessa matrice biologica. L'avidità che non ammette limiti a se stessa determina la necessaria miseria (anche di chi ha tutto, ma ha il dovere di conservarsi avido, dunque perennemente insoddisfatto, perché si deve credere fermamente che solo l'insoddisfazione può muovere il mondo, solo l'infelicità reale costantemente illusa di possibili felicità... quanto è cristiano tutto questo!), la miseria giustifica l'egoismo e l'egoismo riaccende l'avidità. Così il cerchio si chiude su un mondo tanto imprescindibilmente egoista quanto imprescindibilmente miserabile, miserabile per pura e incontestabile evidenza biologica!
Infatti è vero che quando si prevede, a torto o a ragione, che il sale possa venire a mancare...i banchi del sale al supermercato si svuotano in men che non si dica: si chiama accaparramento!...ognuno pensa a se stesso fregandosi del prossimo...magari anche aggravando la situazione.
Ma è un egoismo ancora animalesco, grezzo e informe anche nocivo..che pur ci colpisce...ma che ovviamente non auspico...e maral, nel suo estremismo, lo descrive ottimamente.

In affetti le società barbare e primitive...ma anche quelle odierne, lo perseguivano e lo perseguono piu' o meno a seconda del grado di civiltà raggiunto...comunque anche in antico le grandi opere che ancor oggi ammiriamo erano un prodotto di quell'egoismo che non voleva e non poteva aprirsi all'altro pur di preservarsi o consegnarsi al futuro.

Cosi abbiamo la "Grande Muraglia" che proteggeva l'esistere della grandezza cinese dai barbari mongoli.
Oppure i Faraoni egiziani aspiravano a mostrare la propria grandezza, in questo e nell'altro mondo, innalzando le grandi piramidi.
Così i greci, in epoca più avanzata e civile, costruirono il Partenone: non era questione di situazione precaria...non mancava il sale!
I greci volevano, comunque, ingraziarsi gli dei in modo che sopperissero ai propri desideri.
Ecc...

Quindi a partire dal primitivo egoismo animale che dominava gli antichi umani e le relative feroci società...(che maral nel suo assolutismo descrive... trasponendolo all'oggi)... la storia e l'evoluzione culturale e civile hanno perseguito e perseguono un egoismo strategicamente costruttivo che l'etica dei costumi e delle leggi rende valore positivo indispensabile per le attuali società democratiche.

Osservo che una società tendente alla rinuncia ed al chiudersi egoisticamente in se stessa, come pare essere quella nostra attuale... incapace di reagire alla precarietà... è deleteria.
Ma anche sarebbe deleteria una situazione di assoluta soddisfazione...di soddisfatto universale amore contemplante (pure esso egoistico)... ove un egoismo etico non avrebbe modo di esprimere la propria potenzialità e slancio verso l'intraprendenza.

Infatti, "In medio stat virtus": l'ideale sarebbe un controllato e contenuto egoismo che spinga l'individuo alla intrapresa ed a realizzare opere sempre più eclatanti per propria esigente soddisfazione ed autorealizzazione..ma anche nella prospettiva di un vantaggio che renda piu' vivibile la vita.

In effetti...è così che si autorealizzano e progrediscono le società meglio equilibrate con la partecipazione interessata di tutte la componenti sociali.

Comunque evidenziare quanto sarebbe deleterio, di nessuna costruttività e valore, il perseguire un egoismo estremo ed animalesco...quale maral descrive...che nemmeno l'antenato austrolopiteco praticava, mi pare fuori luogo...già lo sappiamo e, comunque, sarebbe assai distante dal civile impulso egoistico autorelizzante che tutti pervade e che sta alla base della società civile.

Infatti è su di un certo contenuto egoismo, prodotto temperato della educazione e formazione civile dei cittadini fin dall'infanzia, che fanno leva, o dovrebbero far leva, le organizzazioni e istituzioni statali con relativi sistemi legislativi: se intraprendi la società ti offre vantaggi... non ti reprime!

Naturalmente esistono anche, come ben sappimo, organizzazioni statali culturalmente arretrate e burocratiche che non sanno come manovrare la leva...e preferiscono il controllo alla incentivazione!...magari incapaci anche nel controllo!
Citazione:
E allora è chiaro che con Fromm ha ragione Jeangene quando dice:
, ma deve essere chiaro che a quel punto non c'è alcuna scelta che considera i pro e i contro, i premi o i castighi, nessun comandamento per sforzarsi di amare il prossimo per avere la sua riconoscenza, quella dell'intera umanità e di Dio stesso, ma solo l'accettazione completa di quello che si è da sempre, la necessità imprescindibile di essere se stessi che non può prescindere dall'altro, da quel mondo (Dio, natura, madre, amico, nemico, sconosciuto, ostacolo...) che costantemente ci determina per ciò che siamo. E' una resa all'essenza che già è (e non è né mia né tua, ma di ogni cosa che esiste), non un volere l'essenza.
L'essenza che già è!? ...quel mondo che costantemente ci determina per ciò che siamo!?...destino di essere ciò che si è da sempre!?
Mi chiedo e chiedo...è possibile che diveniamo di bel nuovo continuamente ciò che gia siamo da sempre?
Mi pare ridondante! ....la logica filosofica va un pò a pallino!

Da un tal discorso, comunque, ne escono assai male i tedeschi la cui "essenza" doveva essere, in quel periodo, assente o talmente corrotta fino ad approvare entusiasta ogni malefatta nazista dei quali, anche, non si sa bene quale fosse o come fosse l'essenza e da che derivasse.

Oppure anche l'essenza dei tedeschi era tale da sempre...e Hitler era solo un malaugurato contingente accidente!?
Con lui o senza di lui i tedeschi erano tal quali da sempre e avrebberoi comunque gasato gli ebrei!
E' possibile?

Invero sarei più propenso a credere che il discorso di Fromm sia un pò retorico: ciò che siamo da sempre non esiste...a meno che non si parli di DNA...che tuttavia anch'esso è mutato e muta nel tempo.

In ogni caso nessuno e niente può determinarci per cio' che già siamo: è una contraddizione in termini!
Ciò che siamo lo siamo ovviamente per genetica da un lato e per ambiente e acquisizione culturale dall'altro.

La spiegazione di quanto esposto deriva dal fatto che la propaganda nazista non era arrivata al cuore dei polacchi che invece vedevano nel tedesco l'invasore oppressore.
Devo, in proposito notare che la "propaganda" può, in genere, influire molto piu' del destino di essere cio' che si è!

Quindi ammesso che il sacrificio dei polacchi non avesse una giustificazione egoistica personale, l'aveva però sul piano sociale e storico: storicamente i polacchi odiavano i tedeschi e opporsi a loro, anche a rischio delle vita, era soddisfazione forse sufficiente per un tale odio.

Ultima modifica di ulysse : 24-06-2013 alle ore 14.06.51.
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