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Vecchio 14-09-2013, 13.08.48   #41
donquixote
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Pur accettando e seguendo il filo del tuo discorso sulla distinzione tra conoscenza e sapienza non la metterei in questi termini così drastici di negativo e positivo. Soprattutto là dove si parla di sapienza acquisita il ruolo dei processi di conoscenza mi sembra essenziale, fosse pure anche solo un ruolo di stimolazione che permette a ciò che è latente nell'inconscio di venire in luce, d'altra parte ci deve essere anche una sapienza originaria capace di accogliere questo stimolo di conoscenza che viene dall'esterno ed elaborarlo, in fondo anche per il fiorire della sapienza musicale di Mozart fu di stimolo la conoscenza trasmessagli dal padre. Vedo comunque una complementarietà inscindibile tra sapienza e conoscenza ove la prima dà sostanza alla seconda e la seconda consente alla prima di emergere in forma stabile.

Non mi sembra di averla messa in termini di negativo e positivo, quanto in termini di gerarchia di importanza. La conoscenza (quella che noi intendiamo come "razionale") è trasmessa anche dagli animali (i piccoli imparano a volare, a costruire tane o nidi, a trovare il cibo, a difendersi dai predatori) sia pur in modo diverso (attraverso l'esempio degli adulti e l'osservazione dei piccoli) e quindi ha comunque una certa importanza, ma si può definire "sapienza" solo quando si è combinata con le qualità peculiari del soggetto che la acquisisce e la trasforma in suo patrimonio inalienabile. La conoscenza quindi non è utile di per sé, ma solo quando serve di stimolo alla sapienza, ovvero quando è tale da suscitare qualità che già appartengono al soggetto che la acquisisce e non rimane un puro esercizio mnemonico, e a tal proposito non posso non citare un famoso aforisma di Marguerite Yourcenair: "Il nostro errore più grave è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha."
Io posso spiegare a un bambino come si fa una ragnatela, e posso passare una giornata a raccontarlo nei minimi particolari; ma se lui poi mi domanda: "allora se sai così bene come si fa perchè non me la fai?" mi troverei nella stessa situazione del re nudo, e il bambino non potrebbe che conseguirne che tutto il mio racconto è stato fasullo. La conoscenza come si intende normalmente è quindi solo una rappresentazione della sapienza, umana o di altri esseri (anche dei cristalli) e colui che la acquisisce in grande quantità, se può essere definito "erudito", non può certo essere chiamato sapiente.
E non è del tutto vero che la conoscenza è indispensabile per far emergere la sapienza, poichè anche un uccello che è stato abbandonato dalla madre da piccolo può (magari con maggiore fatica) imparare a volare, come anche un uomo può scoprire da solo qual è la sua "sapienza", i suoi talenti, le sue qualità peculiari e coltivarli.
Ricapitolando quindi la sapienza è per me la "vera" conoscenza, ed è necessariamente irrazionale, inconsapevole, mentre ciò che noi intendiamo comunemente come conoscenza (razionale), essendo solo una sua rappresentazione schematica, per quanto possa essere evocativa della sapienza va comunque collocata ad un gradino gerarchico inferiore.
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Vecchio 14-09-2013, 18.53.01   #42
maral
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Non mi sembra di averla messa in termini di negativo e positivo, quanto in termini di gerarchia di importanza. La conoscenza (quella che noi intendiamo come "razionale") è trasmessa anche dagli animali (i piccoli imparano a volare, a costruire tane o nidi, a trovare il cibo, a difendersi dai predatori) sia pur in modo diverso (attraverso l'esempio degli adulti e l'osservazione dei piccoli) e quindi ha comunque una certa importanza, ma si può definire "sapienza" solo quando si è combinata con le qualità peculiari del soggetto che la acquisisce e la trasforma in suo patrimonio inalienabile. La conoscenza quindi non è utile di per sé, ma solo quando serve di stimolo alla sapienza, ovvero quando è tale da suscitare qualità che già appartengono al soggetto che la acquisisce e non rimane un puro esercizio mnemonico, e a tal proposito non posso non citare un famoso aforisma di Marguerite Yourcenair: "Il nostro errore più grave è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha."
Io posso spiegare a un bambino come si fa una ragnatela, e posso passare una giornata a raccontarlo nei minimi particolari; ma se lui poi mi domanda: "allora se sai così bene come si fa perchè non me la fai?" mi troverei nella stessa situazione del re nudo, e il bambino non potrebbe che conseguirne che tutto il mio racconto è stato fasullo. La conoscenza come si intende normalmente è quindi solo una rappresentazione della sapienza, umana o di altri esseri (anche dei cristalli) e colui che la acquisisce in grande quantità, se può essere definito "erudito", non può certo essere chiamato sapiente.
E non è del tutto vero che la conoscenza è indispensabile per far emergere la sapienza, poichè anche un uccello che è stato abbandonato dalla madre da piccolo può (magari con maggiore fatica) imparare a volare, come anche un uomo può scoprire da solo qual è la sua "sapienza", i suoi talenti, le sue qualità peculiari e coltivarli.
Ricapitolando quindi la sapienza è per me la "vera" conoscenza, ed è necessariamente irrazionale, inconsapevole, mentre ciò che noi intendiamo comunemente come conoscenza (razionale), essendo solo una sua rappresentazione schematica, per quanto possa essere evocativa della sapienza va comunque collocata ad un gradino gerarchico inferiore.
Non so se un uccello abbandonato dalla madre possa imparare da solo a volare (in tal caso saper volare apparterebbe a quello che hai definito sapienza innata, come il saper respirare), so però che vi sono abilità che necessariamente si apprendono a mezzo di un processo di conoscenza comunicata senza il quale la conseguente sapienza non si svilupperebbe mai. Peraltro se fosse inutile l'apprendimento cognitivo potremmo tranquillamente abbandonare i nostri figli appena nati a se stessi confidando nella loro sapienza innata inconsapevole che tutto risolve. Mi pare anche che sia proprio la sapienza che poi richiama ulteriore conoscenza e stabilire una priorità tra le due mi pare arbitrario, in fondo la sapienza si esplica a mezzo di una continua tensione a più apprendere secondo conoscenza, e per questo non è né quella del puro erudito, né quella di chi ritiene superflua ogni erudizione in nome della sapienza di cui è inconsapevole possessore.
Giustissima la frase della Yourcenair, ma per quel "coltivare quello che ha" è a mio avviso comunque necessaria una forma di conoscenza trasmessa dall'altro (dall'esterno) per via comunicativa a mezzo di un linguaggio più o meno schematico che può certo essere anche non verbale e preconscio.
In conclusione: tutti noi veniamo alla luce per realizzare quella sapienza che inconsciamente in origine ci compete, ma per realizzarla abbiamo costante necessità di un rapporto cognitivo-affettivo con l'altro a cui tende la stessa sapienza che inconsciamente in origine ci compete e che si realizza attraverso il recepimento di conoscenza dall'esterno.
Sei d'accordo?
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Vecchio 15-09-2013, 09.13.06   #43
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@ donquixote (e un po' a Maral)

Liberissimi di chaimare "sapienza" ciò che la scienza (la biologia, l' etologia e anche la psicologia), oltre alla lingua italiana, denomina "istinti comportamentali innati" (in varia misura; in altra misura spesso da affinare comunque con l' espeienza).

Ma cambiare i nomi delle cose non cambia la realtà delle cose stesse.
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Vecchio 15-09-2013, 10.54.43   #44
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Liberissimi di chaimare "sapienza" ciò che la scienza (la biologia, l' etologia e anche la psicologia), oltre alla lingua italiana, denomina "istinti comportamentali innati" (in varia misura; in altra misura spesso da affinare comunque con l' espeienza).

Ma cambiare i nomi delle cose non cambia la realtà delle cose stesse.

Ma cambia il loro modo di significare e non è cosa da poco, visto che la realtà non può prescindere dal suo significare.
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Vecchio 15-09-2013, 20.11.52   #45
donquixote
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Non so se un uccello abbandonato dalla madre possa imparare da solo a volare (in tal caso saper volare apparterebbe a quello che hai definito sapienza innata, come il saper respirare), so però che vi sono abilità che necessariamente si apprendono a mezzo di un processo di conoscenza comunicata senza il quale la conseguente sapienza non si svilupperebbe mai. Peraltro se fosse inutile l'apprendimento cognitivo potremmo tranquillamente abbandonare i nostri figli appena nati a se stessi confidando nella loro sapienza innata inconsapevole che tutto risolve. Mi pare anche che sia proprio la sapienza che poi richiama ulteriore conoscenza e stabilire una priorità tra le due mi pare arbitrario, in fondo la sapienza si esplica a mezzo di una continua tensione a più apprendere secondo conoscenza, e per questo non è né quella del puro erudito, né quella di chi ritiene superflua ogni erudizione in nome della sapienza di cui è inconsapevole possessore.
Giustissima la frase della Yourcenair, ma per quel "coltivare quello che ha" è a mio avviso comunque necessaria una forma di conoscenza trasmessa dall'altro (dall'esterno) per via comunicativa a mezzo di un linguaggio più o meno schematico che può certo essere anche non verbale e preconscio.
In conclusione: tutti noi veniamo alla luce per realizzare quella sapienza che inconsciamente in origine ci compete, ma per realizzarla abbiamo costante necessità di un rapporto cognitivo-affettivo con l'altro a cui tende la stessa sapienza che inconsciamente in origine ci compete e che si realizza attraverso il recepimento di conoscenza dall'esterno.
Sei d'accordo?

Il saper volare di un uccello non sarà direttamente assimilabile ad una conoscenza innata come saper respirare o far circolare il sangue, ma siccome questa è una sua caratteristica peculiare in quanto uccello gli stimoli di cui avrà necessità per manifestarla saranno minimi. Ad un uccello abbandonato dalla madre basterà osservare i propri simili e tentare di imitarli, così come un bambino che è fatto per camminare su due gambe potrà imparare a farlo (magari un po' più faticosamente) anche senza avere un adulto che lo aiuta e lo sorregge tenendogli le mani.
Le "sapienze" basilari, come quelle degli animali che imparano ad esprimere le loro caratteristiche peculiari (ad esempio per il ragno formare la sua ragnatela) e quelle comuni a tutte le specie come riconoscere ciò di cui ci si può cibare, o come difendersi dai predatori, o conoscere i meccanismi con cui riprodursi, necessitano di stimoli esterni molto limitati, poichè vi saranno anche quelli "interni" (la fame, la paura, il desiderio di accoppiarsi) che contribuiranno a rendere questo apprendimento basilare e la manifestazione di questo tipo di sapienze il più rapido possibile. Una volta che sono in grado di esprimerle potranno fare la loro strada, e per questa ragione gli esemplari adulti degli animali abbandonano i piccoli al loro destino molto precocemente, mentre gli uomini, che necessitano di una un conoscenza molto più complessa destinata a creare innumerevoli sovrastrutture mentali, mantengono un rapporto fra genitori e figli (o fra maestri e allievi) molto più prolungato.
Giotto era figlio di contadini, che essendosi accorti della sua particolare predisposizione al disegno e alla pittura lo portarono nella bottega del Cimabue perchè potesse svilupparla. Se quindi un bravo maestro è sicuramente un valido aiuto nel farsi da "levatrice" della sapienza dei suoi allievi nondimeno non si vede perchè mai Giotto non avrebbe potuto diventare Giotto anche senza Cimabue, così come tanti sapienti antichi o tanti geni moderni si sono potuti manifestare come tali senza l'ausilio di particolari maestri o strumenti razionali.
In linea generale e al netto di tutti i possibili distinguo sono portato comunque a condividere la tua conclusione, con la necessaria precisazione che nel mondo attuale quasi nessuno ormai tenta più di riconoscere la propria sapienza e nemmeno vi sono più maestri che si occupano di riconoscerla negli altri, poichè i parametri su cui ci si basa per esprimersi nella societá moderna sono totalmente cambiati, e non dipendono più dai talenti e dalle predisposizioni di ognuno ma da tutt'altre ragioni, confermando quotidianamente il monito della Yourcenair.
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Vecchio 15-09-2013, 21.36.25   #46
sgiombo
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Ma cambia il loro modo di significare e non è cosa da poco, visto che la realtà non può prescindere dal suo significare.

Continuo a non capire:
la realtà é quella che é indipendentemente dal significato che le diamo (eventualmente -sic!-).

E' casomai la conoscenza (della realtà) che é accompagnata da un qualche significato soggettivo.

La realtà prescinde benissimo dal significato che EVENTUALMENTE (infatti!) qualcuno può attribuirle (o anche no, se nessuno la conosce e ci pensa); e resta unicamente quello che é, resta sempre quella, unica, anche se diversi soggetti di conoscenza le danno significati diversi e magari opposti.

Per esempio se la tua casa brucia non é che attribuendo all' incendio un significato di liberazione, che ne so, dagli spiriti maligni, non brucia più ma resta integra; anche se tu puoi essere contento, attribuire al fatto -che resta quello che é- un significato positivo.
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Vecchio 16-09-2013, 08.17.30   #47
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@ donquixote (e un po' a Maral)

Liberissimi di chaimare "sapienza" ciò che la scienza (la biologia, l' etologia e anche la psicologia), oltre alla lingua italiana, denomina "istinti comportamentali innati" (in varia misura; in altra misura spesso da affinare comunque con l' espeienza).

Ma cambiare i nomi delle cose non cambia la realtà delle cose stesse.


Ma i nomi delle cose li ha cambiati la scienza, inventandosi la categoria di istinto, relegandola nell'inspiegabile e degradandola perchè a lei sfugge la spiegazione razionale di certi comportamenti. Questa confessione di ignoranza non deve però impedire a chi non ha gli stessi limiti della scienza di poter andare oltre e riscoprire gli antichi nomi delle cose, come la "sapienza" degli animali che viene evocata da sempre.
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Vecchio 16-09-2013, 09.19.10   #48
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Ma i nomi delle cose li ha cambiati la scienza, inventandosi la categoria di istinto, relegandola nell'inspiegabile e degradandola perchè a lei sfugge la spiegazione razionale di certi comportamenti. Questa confessione di ignoranza non deve però impedire a chi non ha gli stessi limiti della scienza di poter andare oltre e riscoprire gli antichi nomi delle cose, come la "sapienza" degli animali che viene evocata da sempre.

La scienza é ben consapevole dei suoi limiti e della sua relativa ignoranza, ma l' istinto (da voi chiamato alquanto originalmente "sapienza") l' ha rilevato nel comportamento animale e umano, ove opera realmente, oggettivamente (la scienza é ben poco ignorante in materia).

Occhio ad ignorare i limiti (al contrario di ciò che fa la scienza): ci si può far male!

Ultima modifica di sgiombo : 16-09-2013 alle ore 10.54.48.
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Vecchio 16-09-2013, 11.29.55   #49
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Continuo a non capire:
la realtà é quella che é indipendentemente dal significato che le diamo (eventualmente -sic!-).

E' casomai la conoscenza (della realtà) che é accompagnata da un qualche significato soggettivo.

La realtà prescinde benissimo dal significato che EVENTUALMENTE (infatti!) qualcuno può attribuirle (o anche no, se nessuno la conosce e ci pensa); e resta unicamente quello che é, resta sempre quella, unica, anche se diversi soggetti di conoscenza le danno significati diversi e magari opposti.

Per esempio se la tua casa brucia non é che attribuendo all' incendio un significato di liberazione, che ne so, dagli spiriti maligni, non brucia più ma resta integra; anche se tu puoi essere contento, attribuire al fatto -che resta quello che é- un significato positivo.


Si tratta quindi di fornire alle cose un significato il più possibile conforme alla loro essenza. Credo che sia indiscutibile che gli animali (e anche le piante) siano organismi, che come tutti gli organismi si sviluppano da un embrione e poi crescono dall'interno verso l'esterno fino a giungere ad una età adulta: esattamente come accade agli uomini. Se la scienza, contrariamente a questa palese evidenza, dai tempi del meccanicismo cartesiano traccia una linea invalicabile fra gli uomini e gli animali assimilando i secondi a delle macchine (assemblate dall'esterno verso l'interno e prive di vita propria) che si attivano pigiando un bottone e fanno sempre le medesime cose, e non soffrono o provano alcun tipo di sentimento e non hanno la benchè minima parvenza di ragione, allora mi sembra che sia proprio la scienza a fornire un significato totalmente difforme dalla realtà, significato totalmente soggettivo e funzionale ai suoi scopi, oppure delimitato dalla sua incapacità di comprendere la realtà così come essa è.
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Vecchio 16-09-2013, 19.34.53   #50
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Si tratta quindi di fornire alle cose un significato il più possibile conforme alla loro essenza. Credo che sia indiscutibile che gli animali (e anche le piante) siano organismi, che come tutti gli organismi si sviluppano da un embrione e poi crescono dall'interno verso l'esterno fino a giungere ad una età adulta: esattamente come accade agli uomini. Se la scienza, contrariamente a questa palese evidenza, dai tempi del meccanicismo cartesiano traccia una linea invalicabile fra gli uomini e gli animali assimilando i secondi a delle macchine (assemblate dall'esterno verso l'interno e prive di vita propria) che si attivano pigiando un bottone e fanno sempre le medesime cose, e non soffrono o provano alcun tipo di sentimento e non hanno la benchè minima parvenza di ragione, allora mi sembra che sia proprio la scienza a fornire un significato totalmente difforme dalla realtà, significato totalmente soggettivo e funzionale ai suoi scopi, oppure delimitato dalla sua incapacità di comprendere la realtà così come essa è.


In realtà non solo gli animali ma anche gli uomini "funzionano" (divengono) secondo le leggi (fisiche) del divenire naturale (senza alcun bottone da pigiare; e provando sensazioni; ed essendo autocoscienti, al contrario degli animali che sono soltanto coscienti; le piante con ogni verosimiglianza -la certezza é impossibile- manco questo).

E la scienza non fornisce affatto "un significato totalmente difforme dalla realtà, significato totalmente soggettivo e funzionale ai suoi scopi, oppure delimitato dalla sua incapacità di comprendere la realtà così come essa è": questo é invece ciò che fanno gli irrazionalismi (ce n' é "di tutti i colori")

Ultima modifica di sgiombo : 17-09-2013 alle ore 06.21.21.
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