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Vecchio 30-10-2014, 19.01.54   #41
SinceroPan
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Citazione:
Originalmente inviato da acquario69
(Da un altro post):

Flatlandia è una storia raccontata da un abitante di un mondo bidimensionale, .... Con molta pazienza, la Sfera spiega che non vi è nulla di strano: essa costituisce un numero infinito di cerchi, che variano di dimensione da un punto sovrapposto all’altro. Pertanto, quando passa attraverso la realtà bidimensionale di Flatlandia, la sfera risulta dapprima invisibile a un abitante di quel paese, poi — quando tocca il piano di Flatlandia — compare come un punto, andando avanti acquisisce l’aspetto di un cerchio, che cresce costantemente di diametro, finché non comincia a diminuire e infine scompare di nuovo. Ciò spiega anche il fatto sorprendente che la sfera sia riuscita a entrare nella casa bidimensionale del Quadrato nonostante le porte sbarrate. Naturalmente, la sfera è entrata semplicemente dall’alto, ma quest’idea è così estranea alla realtà del Quadrato ch’egli non riesce a penetrarla. E quindi si rifiuta di crederla.
Infine la Sfera non vede altra soluzione che quella di riprodurre nel Quadrato quella che oggi chiameremmo un’esperienza trascendentale.



un'altra similitudine spaziale dell'impensabile... la lessi nel Tao della Fisica di Frank Capra.. e potrebbe spiegare la differenza di Punti di Vista tra un Tempo Ciclico OO ed un Tempo Lineare Finito ed Intermittente..

immagina una Ruota con una luce laser (un raggio di spessore quasi zero e compatto) incollata in un punto della circonferenza.. ed immagina che questa luce venga proiettata
su un muro a Velocità KOSTANTE.. se noi vivessimo IN quel muro vedremmo al mattino una luce sorgere al mattino lentamente dal NULLA.. poi questa luce ACCELEREREBBE il proprio movimento lineare sino a metà tragitto.. quindi DECELEREREBBE sino al tramonto dove scompare nel NULLA.. ed alla mattina Successiva quella Stessa Luce (dopo aver ripercorso nella Notte il Lato Oscuro della Ruota.. the Dark Side of the Moon dei Pink Floyd) riapparirebbe nello stesso punto dal NULLA..

quante suggestioni... un Moto a Velocità Kost che ci Appare come Accelerato/Decelerato.. un Moto Continuo che ci Appare Intermittente.. un Moto Circolare che ci Appare Lineare.. una Luce (Essere) Altrove che ci Appare Buio nella Notte (Nulla)...


PS: Severino ed Eraclito (ed io) però direbbero che Quella Stessa Luce del Mattino Dopo Non è Più la Stessa di Quella di Ieri.. così per buon peso cumuliamo dubbi e paradossi che hanno (per me) un fattor comune.. dietro la Banalità della Normalità.. dell'Ovvio.. si potrebbe Nascondere un Mistero.. non per niente Wittgenstein chiamava il Mondo che ci Appare un MISTICO.. un Qualcosa di cui POSSIAMO DIRE COME MA NON COSA E'...
..
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Vecchio 30-10-2014, 19.17.51   #42
sgiombo
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Maral:
Il punto è che la realtà esperenziale non è mai pura, ossia necessita di un quadro di riferimento pre esistente per essere intesa e questo quadro pre esistente è metafisico, ma non può essere valutato esperenzialmente, proprio perché è ciò che dà significato alle esperienze con cui lo dovremmo valutare.
Nel libro di Varzi non trovo che ci si appelli alla realtà esperenziale per valutare pregi e limiti delle metafisiche a rifletterli per quello che sono, ma principalmente per vedere come la realtà esperenziale appare alla luce di diversi postulati metafisici per capirne gli effetti e valutarne le difficoltà logiche.

Sgiombo:
Per realtà esperienziale intendo (credo senza alcun presupposto metafisico, nemmeno sottinteso, ma solo per convenzione linguistica) l’ insieme di sensazioni o percezioni che costituiscono ciascuna esperienza (fenomenica) cosciente (quella immediatamente esperita, la “propria” di ciascuno, e le altre che si possono postulare esistere).
Non vedo quali presupposti metafisici preesistenti (che, se sono metafisici, non possono essere esperiti perché trascendono l’ esperienza sensibile stessa) debbano essere necessari per intenderla (né come si possano dimostrare).

Non mi sento di discutere sull’ interpretazione di Varzi, ma sinceramente non colgo la differenza fra:
a) appellarsi alla realtà esperenziale per valutare pregi e limiti delle metafisiche a rifletterli per quello che sono; e
b) vedere come la realtà esperenziale appare alla luce di diversi postulati metafisici per capirne gli effetti e valutarne le difficoltà logiche.



Maral:
Sì ma così dicendo mi dici che A=A, B=B, C=C, D=D e che C e D non si mostrano fenomenologicamente veri e sono d’accordo, il pnc non è negato anche trascurando che C e D non sono fenomenologicamente veri, ma per dire che A diventa B devi dire che c’è di sicuro un momento in cui l’anfora al mattino in negozio (A) è proprio la stessa cosa dell’anfora alla sera in casa di Lara (B), ossia che è certamente possibileA=B ed è questo a contraddire il principio di identità (A e B sono diversi, ma li consideri la stessa anfora).L’espressione di Eraclito non è retorica, mostra esattamente (quasi 3 millenni or sono) l’ontologia sicuramente e inevitabilmente contraddittoria del divenire (l’essere e il non essere della stessa cosa).

Sgiombo:
Per dire cha A diventa B non C’ è nessun bisogno di ammettere illogicamente, autocontraddittoriamente che ci sia alcunun momento in cui l’anfora al mattino in negozio (A) è proprio la stessa cosa dell’anfora alla sera in casa di Lara (B): il mattino è un certo lasso di tempo, la sera un certo altro, diverso lasso di tempo (a parte il fatto che lo stesso pseudoproblema –ammesso e non concesso- si riproporrebbe tale e quale -solo spostato e non risolto- a proposito dell’ “apparire”: se -per assurdo- fosse come sostieni tu a proposito dell’ ente, allora anche a proposito delle sue manifestazioni fenomeniche o apparenze si dovrebbe inevitabilmente ammettere che “c’è di sicuro un momento in cui” l’ apparenza fenomenica de- “ l’anfora al mattino in negozio (A) è proprio la stessa cosa de-“-l’ apparenza fenomenica de- “-l’anfora alla sera in casa di Lara (B)”.

Considerando la stessa cosa (prescindendo dall’ ipotesi della perdita del frammento) l’ anfora che al mattino é in negozio e alla sera è a casa di Lara non mi contraddico affatto perché non identifico la sua ubicazione spaziotemporale (mi contraddirei se dicessi che l’ ubicazione dell’ anfora, che é sempre quella cosa che è, al mattino in negozio è la stessa ubicazione che alla sera a casa di Lara).

Su cosa intendesse Eraclito con quella frase (ricavo da Wickipedia: In che misura la dottrina eraclitea del logos si opponesse al principio di non-contraddizione risulta pertanto poco chiaro, ed era oggetto di discussione tra gli stessi antichi greci.) credo che bisognerebbe chiedere a lui…



Sgiombo:
Ma i sensi non possono nemmeno esperire l’ esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede.
Infatti i sensi (con la collaborazione della memoria) esperiscono benissimo il non essere più dell’ apparire di qualcosa (apparire che non si vede e non esiste, poiché la sua esistenza si identifica e si esaurisce nel suo apparire)...

Maral:
semplicemente Vedo che non c'è più, ossia mi accorgo che non c'è più, colgo il suo non esserci più, la sua assenza... Ma i sensi possono esperire, oltre alla mancanza di qualcosa che ricordiamo come esperito, pure la mancanza di qualcosa che sentivamo che dovesse presentarsi e non si presenta. In generale i sensi esperiscono sia la presenza che la mancanza in rapporto a una memoria o a un'aspettativa (e in fondo la memoria è ancora un'aspettativa di un ritorno), mancanza che è una non presenza, un non esserci, un non apparire, un non sopraggiungere di ciò che è atteso.

Sgiombo:
Certo, ma anche in questo modo i sensi non esperiscono (non possono esperire) l’ esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede (questa sì che sarebbe un’ autentica contravvenzione del P. dio N C!).
Esperiscono l’ inesistenza di qualcosa di immaginato (o ricordato o atteso, o sperato, ecc.), comunque qualcosa che si vede (quando esiste), e non l’ esistenza di qualcosa di esistente che non si vede (= percepiscono visivamente qualcosa che non si percepisce visivamente).
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Vecchio 30-10-2014, 19.36.32   #43
sgiombo
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Maral:
Il mutamento appare realmente, ma apparendo mostra la sua contraddizione ed è questa che va spiegata (non negata).
Noi esistiamo nel mondo dell’apparire, proprio perché appariamo a noi stessi e secondo le regole di questo apparire, questo è vero. Ma è diverso voler dare realtà ontologica a questo apparire, perché questa realtà ontologica contraddice la logica dell’identità. Beninteso, ce ne può sempre fregare della logica dell’identità, ma questo renderebbe insensato qualsiasi discorso.

Sgiombo:
Il divenire non mostra alcuna contraddizione.
Mostrerebbe casomai una contraddizione il pretendere che il divenire si identifichi con la fissità o non-divenire.
Se l’ apparire è (reale in quanto tale: apparire), come tu dici, allora negargli “realtà ontologica” (in quanto tale, ovviamente) significa violare il P di N C., ovvero fregarsene della logica dell’ identità e fare un discorso insensato.



Maral:
Ma allora come fai a dire che la questa mela acerba è maturata se A=A e B=B? La mela acerba è mela acerba, non può mai essere mela matura che è mela matura. Come fai a credere logicamente che la mela acerba e la mela matura sono la stessa mela? Una è acerba e l’altra è matura non possono diventare la stessa cosa (ossia non ci potrà mai essere un tempo o un luogo in cui la mela acerba è la mela matura, se non voglio contraddirmi!)

Sgiombo:
E’ lo stesso discorso dell’ ubicazione del vaso: accanto ad alcune caratteristiche che ne fanno “quella determinata mela” in ogni stagione in cui è esite, ve ne sono anche altre in primavera e non in autunno che ne fanno una mela acerba ed altre ancora in autunno e non in primavera che ne fanno una mela matura.



Sgiombo:
(poiché il mutamento c’ è, è necessario usare i diversi tempi dei verbi, non ci vedo niente di male; altrimenti perché le grammatiche di tutte le lingue ne sono dotate?)

Maral:
Perché le lingue parlano dell'apparire e non dell'essere, non possono fare altro. Il passato e il futuro sono dimensioni dell'apparire e i tempi mostrano appunto il sopraggiungere e l'oltrepassare degli enti nei cerchi dell'apparire e non dell'essere

Sgiombo:
Per ragionare non abbiamo che le lingue.
Ergo ciò che tu chiami “apparire” è tutto ciò di reale (in quanto tale: tutto ciò che é) di cui possiamo ragionare.
Dovrei dedurne che di quello che chiami “essere” non è possibile parlare, ragionare: si deve (dovrebbe) tacere



Maral:
La tautologia dice ciò che è senza contraddizione e presentano implicazioni che vanno svelate perché spesso non sono implicazioni indifferenti. Se come dici l’apparenza parziale dell’ente è apparenza parziale dell’ente questo significa che essa non potrà mai essere mostrata come totalità dell’ente, cosa che invece volentieri e costantemente accade.

Sgiombo:
Altra tautologia che non dice nulla circa la realtà (ma solo qualcosa circa il corretto parlare della (pensare la) realtà.

Concordo (ma non vedo che ci azzecchi) che capita che si faccia confusione (anche, fra l' altro) fra parzialità e totalità; sul "costantemente" e il "volentieri" non sono d' accordo.




Sgiombo:
Perché l’accadere fenomenologicamente, se realmente accade, non è forse un fatto reale?

Maral:
Non ho detto che non è un fatto reale, lo è sicuramente!, ho detto che non basta da solo a esaurire il reale. Non basta ciò che appare, che si mostra e si rappresenta a dire che il reale è tutto lì. Insieme a questo essere per noi c’è pur sempre necessariamente un essere in sé che non è nulla.

Sgiombo:
Non necessariamente.
La realtà può benissimo esaurirsi in ciò che appare (= il pensarlo non contraddice il P di N C); e se altro comprende che non appare (non è contraddittorio il pensarlo, dunque è possibile pure questo) non può essere dimostrarlo (né men che meno constatato).



Sgiombo:
l’ interezza o parzialità delle percezioni degli oggetti non ha nulla a che vedere con il loro mutare o (per assurdo, ammesso e non concesso) meno.

Maral:
Solo della parzialità può apparire il mutare.

Sgiombo:
Ovvio (e secondo me del tutto irrilevante), dal momento che per i nostri limiti umani qualunque cosa che ci appare ci appare parzialmente.
D’ altra parte anche se ci fosse (ammesso e non concesso) qualcosa di fisso e non mutevole (in assoluto “eternamente”, sempre e non per un più o meno lungo ma finito lasso di tempo), comunque ci apparirebbe parzialmente anch' esso.




Sgiombo:
(Anche se molte cose di me bambino sono in gran parte immutate nel mio corpo attuale: per esempio le successioni dei tipi di aminoacidi -non gli aminoacidi- delle mie proteine, le strutture proteiche e lipoproteiche di molte membrane e degli organuli di molte mie cellule, in particolare cerebrali; non le molecole lipoproteiche e proteiche di cui erano e sono costituiti: "il muro", non "i mattoni") Purtroppo la mia identità non solo mi appare ma anche è invecchiata (sarei pazzo, o per lo meno ridicolo, se credessi di sembrare vecchio mentre realmente sono esattamente, integralmente -e non solo parzialmente- lo stesso che in gioventù).
Pretendere di sembrare vecchi ma essere realmente giovani, alla mia età, sarebbe una patente dimostrazione di volontà di potenza (o delirio di onnipotenza).

Maral:
No, anche quei mattoni sono altri, non sono gli stessi (se non in senso del tutto astratto, come dire che tutti i mattoni sono parallelepipedi). Tu sei lo Sgiombo vecchio di adesso che non è in alcun modo lo Sgiombo bambino di allora, ma ha nella memoria l’immagine di uno Sgiombo bambino che attribuisce come tale (e non come memoria a se stesso) e pure questa memoria cambia. L’ente che in ogni istante appare è esattamente se stesso, ma non è lo stesso ente dell’istante precedente o successivo, resta sempre identico a se stesso, è un altro che appare, a meno di non considerare che l’ente è la sua stessa storia fin dall’inizio che via via mostra nei suoi aspetti la sua completa identità ontologica, un po’ per volta. Hai presente la storia della nave di Teseo? Si dice che essa sia stata conservata ad Atene per secoli sostituendo le assi che andavano usurandosi con nuove assi identiche. Ma alla fine come possiamo dire che la nave di Teseo fosse sempre quella?

Sgiombo:
Quei "mattoni" sono altri e non gli stessi, in senso del tutto concreto, esattamente come il fasciame della nave di Teseo.
Alcune parti di me (alcune membrane, alcune sinapsi, alcuni organuli di alcuni neuroni) sono sempre quelle di quando ero da bambino esattamente nello stesso senso in cui la nave di Teseo era sempre la nave di Teseo nei secoli in cui è esistita.



Sgiombo:
se dico che una mela è una mela non do nessuna informazione sul mondo reale a nessuno: potrebbero esserci qui davanti a me un milione di mele o nessuna mela, cosa che comunque ignorerei e che non comunicherei a nessuno.

Maral:
E cos’è una mela se non esattamente la mela che è? Diverso è dire per informare che cosa significa essere quella mela che è la mela che è e questo è un problema metafisico a cui ogni metafisica presenta (lascia apparire) risposte diverse. E la totalità delle risposte aventi senso (che va chiarito) sono esattamente la mela che è. Le tautologie esprimono quindi l’ontologia della mela che implica una specifica problematica metafisica che ne consente la fenomenologia.

Sgiombo:
Ogni, qualsiasi cosa (del tutto indefinitamente) è esattamente quella cosa che é.
Questa è una tautologia; infatti ora che l’ ho scritta e pensata (o meglio: da quando ne sono al corrente) so qualcosa di come si parla correttamente, ma non so nulla del mondo reale.
"Una mela é una mela" e "un ippogrifo é un ippogrifo" sono entrambe tautologie ma non ci dicono nulla sul fatto reale che le mele esistono e gli ippogrifi non esistono: non é per il fatto che una mela é una mela che le mele esistono, poiché esattamente allo stesso modo (tautologico) anche gli ippogrifi sono ippogrifi, e però non esistono.
Dunque le tautologie non sono conoscenze circa il reale, non esprimono alcunché, non dicono nulla della realtà (ontologia compresa): e infatti sul fatto che una mela sia una mela e non una pera sono perfettamente d’ accordo materialisti, idealisti, dualisti, (per riferirci a Varzi: moltiplicatori e unificatori, tridimensionalisti e quadridimensionalisti), e chi più ne ha più ne metta, non avendo le tautologie alcuna implicazione metafisica: non dicendo nulla, né di metafisica, nè di alcun altro argomento.

Ultima modifica di sgiombo : 31-10-2014 alle ore 15.07.38.
sgiombo is offline  
Vecchio 31-10-2014, 00.10.10   #44
acquario69
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Citazione:
Originalmente inviato da SinceroPan
ora il mio cruccio è : ma se Tecnica e Capitalismo sono Destinate ad Implodere E d'altra parte Non c'è più la Valvola della Religiosità.. DOVE si SFOGHERA' l'ANGST.. il mio timore l'hai già capito : nel Lungo T. sarà GUERRA o Eco o Armata..

be' anche per me non mi riesce proprio di non vedere innanzi a noi,solo scenari apocalittici…
ma a parte questo,credo ci porterebbe lontani dall'argomento in discussione

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Esattamente, le cose per apparire come ciò che sono richiedono tempo, ossia un diverso apparire sempre parziale e sempre un poco per volta. O magari un'esperienza trascendentale in cui però rischiamo di perderci per sempre.

ed e' punto questo che non si dovrebbe cadere nell'errore di considerare il parziale come l'intero..mi sembra,(per una volta almeno ) che così che si e' arrivati alla stessa "conclusione" del ragionamento che mi era venuto di stimolare attraverso il bel libro di Flatlandia

Citazione:
PS si noti che ogni cerchio con cui la sfera appare al quadrato non è un ente diverso, ma è solo un modo diverso di apparire della stessa sfera, e dunque la sfera è quella storia di cerchi.

Si,infatti.
ad ogni modo la sfera rimane sfera,sempre e comunque..indipendentemente da come lo vede il quadrato.

..e da qui (da tutto questo) secondo me si potrebbero cominciare ad aprire scenari,che consentirebbero un radicale cambiamento,e una possibile svolta in tutti i sensi e in tutti gli ambiti.
non sarebbe male riprenderlo da qui e svilupparne un argomento a parte..
acquario69 is offline  
Vecchio 31-10-2014, 15.09.31   #45
SinceroPan
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Citazione:
Originalmente inviato da SinceroPan
questa luce venga proiettata
su un muro a Velocità KOSTANTE.. se noi vivessimo IN quel muro vedremmo al mattino una luce sorgere al mattino lentamente dal NULLA.. poi questa luce ACCELEREREBBE il proprio movimento lineare sino a metà tragitto.. quindi DECELEREREBBE sino al tramonto dove scompare nel NULLA..[/b]'...
..


...

mi scuro x errore: ho invertito Accelererebbe con Decelererebbe e viceversa tra periferia e centro.. cmq il senso del discorso non cambia -- i punti di vista parziali de-formano la realtà.. o meglio: sono un'altra realtà della realtà.. entrambe vere ma diverse..
.
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Vecchio 01-11-2014, 20.05.08   #46
maral
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[quote=sgiombo]
Sgiombo:
Per realtà esperienziale intendo (credo senza alcun presupposto metafisico, nemmeno sottinteso, ma solo per convenzione linguistica) l’ insieme di sensazioni o percezioni che costituiscono ciascuna esperienza (fenomenica) cosciente (quella immediatamente esperita, la “propria” di ciascuno, e le altre che si possono postulare esistere).[quote]
Bà, ma se quello che dici è solo una convenzione linguistica nulla vieta di cambiarla con pari valore di verità (ossia 0), di che stiamo a discutere? Se è solo convenzione tutti hanno sempre ragione e torto allo stesso tempo.
Citazione:
Non vedo quali presupposti metafisici preesistenti (che, se sono metafisici, non possono essere esperiti perché trascendono l’ esperienza sensibile stessa) debbano essere necessari per intenderla (né come si possano dimostrare).
I presupposti metafisici si valutano sul piano logico di non contraddittorietà ad essi intrinseca (dunque in riferimento tautologico), non sul piano esperenziale. Se ad esempio presuppongo che A è A e non B, non posso arrivare a concludere che a un certo punto A è B, per un motivo logico intrinseco al presupposto di identità che esprime la tautologia di A.

Citazione:
Non mi sento di discutere sull’ interpretazione di Varzi, ma sinceramente non colgo la differenza fra:
a) appellarsi alla realtà esperenziale per valutare pregi e limiti delle metafisiche a rifletterli per quello che sono; e
b) vedere come la realtà esperenziale appare alla luce di diversi postulati metafisici per capirne gli effetti e valutarne le difficoltà logiche.
Bè, sono molto diverse. In a) valuti le metafisiche sulla base di un piano esperenziale che assumi come indiscutibile riferimento reale, nel secondo ti limiti a considerare come varia il significato dell'esperienza a seconda della prospettiva metafisica con cui la consideri, assumendo a riferimento la coerenza logica intrinseca implicita di quella metafisica. Nel primo caso c'è un punto di riferimento esterno alla metafisica che consideri (dunque arbitrario), nel secondo è tutto interno con riferimento al solo principio di non contraddizione (esattamente come in matematica si procede con le dimostrazioni per assurdo che non fanno riferimento ad alcuna esperienza esterna alla matematica stessa).

Citazione:
Sgiombo:
Per dire cha A diventa B non C’ è nessun bisogno di ammettere illogicamente, autocontraddittoriamente che ci sia alcunun momento in cui l’anfora al mattino in negozio (A) è proprio la stessa cosa dell’anfora alla sera in casa di Lara (B): il mattino è un certo lasso di tempo, la sera un certo altro, diverso lasso di tempo
Ma per dire questo tu devi assumere che l'anfora sia perfettamente separabile dagli avverbi "al mattino" e "alla sera", se non separi l'anfora dalla sua collocazione temporale infatti non puoi porne l'identità. Ma questa separazione non consiste proprio nell'assumerla astrattamente? (la qual cosa, nota bene, è perfettamente lecita, ma non lo è in termini ontologici)

Citazione:
(a parte il fatto che lo stesso pseudoproblema –ammesso e non concesso- si riproporrebbe tale e quale -solo spostato e non risolto- a proposito dell’ “apparire”: se -per assurdo- fosse come sostieni tu a proposito dell’ ente, allora anche a proposito delle sue manifestazioni fenomeniche o apparenze si dovrebbe inevitabilmente ammettere che “c’è di sicuro un momento in cui” l’ apparenza fenomenica de- “ l’anfora al mattino in negozio (A) è proprio la stessa cosa de-“-l’ apparenza fenomenica de- “-l’anfora alla sera in casa di Lara (B)”.
Questa è un'obiezione giusta che darebbe ragione al "primo Severino", che distingue enti diversi a ogni istante. Obiezione che tuttavia mi pare superabile ponendo l'accento sulla differenza tra essere e apparire: l'anfora è sempre la stessa nella successione storica e sempre comprende tutto il suo apparire che però viene ad apparire in successione a chi la considera. L'essere totale dell'anfora è dunque l'insieme di tutti i suoi apparire parziali, esattamente come un libro è l'insieme di tutte le parole che per capirle leggi una per volta e tuttavia il libro è sempre quello, dalla prima all'ultima parola.

Citazione:
Considerando la stessa cosa (prescindendo dall’ ipotesi della perdita del frammento) l’ anfora che al mattino é in negozio e alla sera è a casa di Lara non mi contraddico affatto perché non identifico la sua ubicazione spaziotemporale (mi contraddirei se dicessi che l’ ubicazione dell’ anfora, che é sempre quella cosa che è, al mattino in negozio è la stessa ubicazione che alla sera a casa di Lara).
Appunto, per non contraddirti devi ammettere che l'anfora sia considerabile separatamente dal quando essa è anfora.

Citazione:
Su cosa intendesse Eraclito con quella frase (ricavo da Wickipedia: In che misura la dottrina eraclitea del logos si opponesse al principio di non-contraddizione risulta pertanto poco chiaro, ed era oggetto di discussione tra gli stessi antichi greci.) credo che bisognerebbe chiedere a lui…
Bè la filosofia del divenire se l'è chiesto a lungo, fino ad assumere quella frase come definizione del divenire (essere e non essere insieme).

Citazione:
Sgiombo:
Certo, ma anche in questo modo i sensi non esperiscono (non possono esperire) l’ esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede (questa sì che sarebbe un’ autentica contravvenzione del P. dio N C!).
Esperiscono l’ inesistenza di qualcosa di immaginato (o ricordato o atteso, o sperato, ecc.), comunque qualcosa che si vede (quando esiste), e non l’ esistenza di qualcosa di esistente che non si vede (= percepiscono visivamente qualcosa che non si percepisce visivamente).
Ma per questo dico che tutto ciò che è deve apparire nel modo che gli è proprio e solo il niente non appare. Il punto è che non può apparire tutto immediatamente, ma per essere è tutto immediatamente fin dall'inizio, si tratta solo di aver pazienza, una pazienza infinita perché l'apparire ha un'infinità di cose da mostrare, nel frattempo ne percepiamo l'assenza (di ciò che non è ancora apparso, ma deve farlo, e di ciò che è già apparso e deve lasciare il posto a ciò che sta per apparire).
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Vecchio 01-11-2014, 20.09.29   #47
and1972rea
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Originalmente inviato da maral
Esattamente, le cose per apparire come ciò che sono richiedono tempo, ossia un diverso apparire sempre parziale e sempre un poco per volta. O magari un'esperienza trascendentale in cui però rischiamo di perderci per sempre.

PS si noti che ogni cerchio con cui la sfera appare al quadrato non è un ente diverso, ma è solo un modo diverso di apparire della stessa sfera, e dunque la sfera è quella storia di cerchi.
È interessante sottolineare che il quadrato di flatlandia non è logicamente in condizione di poter osservare l'evoluzione storica delle sezioni circolari della sfera in modo continuo, ma solamente discreto nel tempo. Questo significa che il quadrato può avere soltanto una visione induttiva dell'intera evoluzione che riconduce ad un unico ente coincidente con la sfera. Il quadrato vede un susseguirsi di cerchi concentrici di diverse dimensioni, ma tra un cerchio ed un altro non avrà mai la certezza che non ci sia un'altra figura geometrica o una diversa evoluzione di altre figure bidimensionali rispetto a quella che egli immagina esserci per induzione fra le reali figure che è in grado di rilevare. Fra le pieghe delle osservazioni che inducono il quadrato ad immginare l'ente sfera, quindi, vi possono essere, realmente , invece, evoluzioni e dinamiche di figure del tutto differenti che potrebbero indurre il quadrato ad immaginare enti del tutto differenti dalla sfera; il quadrato non può avere, cioè, alcuna contezza logica dell'evoluzione dell'ente che immagina, ma solo una certezza morale che poggia sopra il principio indimostrabile di un continuum spaziotemporale.
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Vecchio 01-11-2014, 20.30.57   #48
maral
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Originalmente inviato da sgiombo
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Il divenire non mostra alcuna contraddizione.
Mostrerebbe casomai una contraddizione il pretendere che il divenire si identifichi con la fissità o non-divenire.
Se l’ apparire è (reale in quanto tale: apparire), come tu dici, allora negargli “realtà ontologica” (in quanto tale, ovviamente) significa violare il P di N C., ovvero fregarsene della logica dell’ identità e fare un discorso insensato.
Ma nessuno ha mai detto che il divenire è la fissità immutabile, si dice solo che il divenire è l'apparire degli enti e che questo apparire è contraddittorio alla luce del principio di identità (che è tautologia)

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E’ lo stesso discorso dell’ ubicazione del vaso: accanto ad alcune caratteristiche che ne fanno “quella determinata mela” in ogni stagione in cui è esite, ve ne sono anche altre in primavera e non in autunno che ne fanno una mela acerba ed altre ancora in autunno e non in primavera che ne fanno una mela matura.
E in ragione di cosa stabilisci quali siano quelle appropriate per identificare cosa è proprio questa mela concreta (e non la mela in generale che è comunque arbitraria)?



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Per ragionare non abbiamo che le lingue.
Ergo ciò che tu chiami “apparire” è tutto ciò di reale (in quanto tale: tutto ciò che é) di cui possiamo ragionare.
Dovrei dedurne che di quello che chiami “essere” non è possibile parlare, ragionare: si deve (dovrebbe) tacere
Semplicemente non dobbiamo considerare ciò che appare (ed esprimiamo con i nostri discorsi) come l'essere. L'essere dell'ente è tutto l'apparire (la realtà coincide con la totalità dell'apparire), ma perché questo accada ci vuole un'infinità di tempo, dunque non bisogna per fretta considerare la parzialità che ci appare come totalità anche se, come dicevo. siamo sempre tentati a farlo per comodità di volontà di potenza.


Sgiombo:
(Anche se molte cose di me bambino sono in gran parte immutate nel mio corpo attuale: per esempio le successioni dei tipi di aminoacidi -non gli aminoacidi- delle mie proteine, le strutture proteiche e lipoproteiche di molte membrane e degli organuli di molte mie cellule, in particolare cerebrali; non le molecole lipoproteiche e proteiche di cui erano e sono costituiti: "il muro", non "i mattoni") Purtroppo la mia identità non solo mi appare ma anche è invecchiata (sarei pazzo, o per lo meno ridicolo, se credessi di sembrare vecchio mentre realmente sono esattamente, integralmente -e non solo parzialmente- lo stesso che in gioventù).
Pretendere di sembrare vecchi ma essere realmente giovani, alla mia età, sarebbe una patente dimostrazione di volontà di potenza (o delirio di onnipotenza).

Citazione:
Sgiombo:
Quei "mattoni" sono altri e non gli stessi, in senso del tutto concreto, esattamente come il fasciame della nave di Teseo.
Alcune parti di me (alcune membrane, alcune sinapsi, alcuni organuli di alcuni neuroni) sono sempre quelle di quando ero da bambino esattamente nello stesso senso in cui la nave di Teseo era sempre la nave di Teseo nei secoli in cui è esistita.
Ma non in senso concreto, Anche nella nave di Teseo può esserci rimasta qualche assicella identica dopo un secolo di continue sostituzioni, ma in realtà anche queste sono cambiate, proprio perché è cambiato tutto il resto, ossia il contesto "nave di Teseo" in cui si trovano. (a meno di non voler separare l'assicella dal contesto in cui si trova, ossia di volerla considerare in senso astratto, ma anche in tal caso sarebbe duro sostenere che l'intera nave di Teseo è rimasta esattamente la stessa solo perché vi sono 2 o 3 assicelle che non sono mai state cambiate)

Citazione:
Sgiombo:
Ogni, qualsiasi cosa (del tutto indefinitamente) è esattamente quella cosa che é.
Questa è una tautologia; infatti ora che l’ ho scritta e pensata (o meglio: da quando ne sono al corrente) so qualcosa di come si parla correttamente, ma non so nulla del mondo reale.
"Una mela é una mela" e "un ippogrifo é un ippogrifo" sono entrambe tautologie ma non ci dicono nulla sul fatto reale che le mele esistono e gli ippogrifi non esistono: non é per il fatto che una mela é una mela che le mele esistono, poiché esattamente allo stesso modo (tautologico) anche gli ippogrifi sono ippogrifi, e però non esistono.
Dunque le tautologie non sono conoscenze circa il reale, non esprimono alcunché, non dicono nulla della realtà (ontologia compresa): e infatti sul fatto che una mela sia una mela e non una pera sono perfettamente d’ accordo materialisti, idealisti, dualisti, (per riferirci a Varzi: moltiplicatori e unificatori, tridimensionalisti e quadridimensionalisti), e chi più ne ha più ne metta, non avendo le tautologie alcuna implicazione metafisica: non dicendo nulla, né di metafisica, nè di alcun altro argomento.
E infatti, la tautologia non ha valenza metafisica, solo ontologica, ossia non ci dice cosa sia l'ente e in che contesto possa apparire e in quale no. Ma cosa sia quello che c'è è una domanda a cui nessuna metafisica può dare risposta esaustiva, deve attendere che la sua fenomenologia sia completamente apparsa e non è attesa breve, ammesso abbia un termine, nel frattempo possiamo anche accontentarci, ma sapendo che ci accontentiamo.
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Vecchio 01-11-2014, 22.21.33   #49
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da and1972rea
È interessante sottolineare che il quadrato di flatlandia non è logicamente in condizione di poter osservare l'evoluzione storica delle sezioni circolari della sfera in modo continuo, ma solamente discreto nel tempo. Questo significa che il quadrato può avere soltanto una visione induttiva dell'intera evoluzione che riconduce ad un unico ente coincidente con la sfera. Il quadrato vede un susseguirsi di cerchi concentrici di diverse dimensioni, ma tra un cerchio ed un altro non avrà mai la certezza che non ci sia un'altra figura geometrica o una diversa evoluzione di altre figure bidimensionali rispetto a quella che egli immagina esserci per induzione fra le reali figure che è in grado di rilevare. Fra le pieghe delle osservazioni che inducono il quadrato ad immginare l'ente sfera, quindi, vi possono essere, realmente , invece, evoluzioni e dinamiche di figure del tutto differenti che potrebbero indurre il quadrato ad immaginare enti del tutto differenti dalla sfera; il quadrato non può avere, cioè, alcuna contezza logica dell'evoluzione dell'ente che immagina, ma solo una certezza morale che poggia sopra il principio indimostrabile di un continuum spaziotemporale.
Mi pare che questa osservazione riprenda il senso di quella precedente del quadridimensionalista che vede tutto il film, anche se alcuni fotogrammi possono sfuggirgli, mentre il tridimensionalista proietta ogni fotogramma e quindi sa di ciascuno di essi, ma in tal modo corre il rischio che gli sfugga il significato dell'intero film (un po' come se io, mentre leggo il libro mi fisso su ogni parola, articolo e preposizione, rischio che mi sfugga la storia che è data dal susseguirsi complessivo delle parole e non da ogni parola presa in sé).
Tornando all'esempio del quadrato, il quadrato ha visto una storia fatta di cerchi e forse è arrivato a chiamare questa storia "sfera", per il quadrato quindi la sfera non è un oggetto tridimensionale, ma una storia che procede per cerchi discontinui in un determinato modo che ne restituisce il senso di continuità, ma a un certo punto potrebbe chiedersi: e se tra un cerchio e l'altro qualcosa di importante mi fosse sfuggito? Qualcosa che non era un cerchio per cui la storia che ho chiamato sfera non aveva il senso di una sfera? Io ritengo che questo dubbio possa essere risolto rendendosi conto che in realtà quadrato e sfera appartengano alla stessa realtà-ente che necessita di apparire. Ossia che l'apparire dell'ente ha una necessità ontologica intrinseca che non può tradirne la metafisica (ciò che esso è), altrimenti sarebbe contraddizione (che non può fare apparire nulla). Il senso della storia completa è esattamente l'ente che la storia rappresenta al quadrato per come il quadrato la intende, l'ete è dato da questa unione nel modo in cui tale unione si realizza e la sfera è comunque sfera per il quadrato. La sfera ha in se stessa il quadrato che la conosce, non fuori di sé.
Non so se sono riuscito a spiegarmi, perché mantenendo questa metafora è piuttosto difficile, ma se leggo "I tre moschettieri" e mi sfuggono alcune parole, quel libro con quelle parole che mi sono sfuggite sarà esattamente l'ente ""i tre moschettieri letto da me" con il senso che gli è proprio e che sarà ente diverso da "I tre moschettieri letto da te" a cui quelle parole non sono sfuggite (ma magari ne sono sfuggite altre)

E qui riprendo anche l'osservazione di jeangene:
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Originalmente inviato da jeangene
Scusate se mi intrometto, ma questi A=A, B=B, C=C, A<>C... non presuppongono forse una pluralità? Una pluralità che però risulta evidente solamente a livello fenomenologico. "Là fuori", nell' "in sè" potrebbe "esserci" pluralità come indistinta totalità (in quest' ultimo caso si potrebbe al massimo parlare di totalità=totalità)
La pluralità è l'apparire degli enti che confluiscono nella medesima storia del tutto, ma mantengono ontologicamente la propria diversità, affinché il tutto possa apparire. Se l'in sé fosse indistinta totalità indifferenziata sarebbe niente in termini fenomenologici (ma il niente non può essere in alcun senso), poiché ciò che appare (e dunque è in modo da poter apparire nella completezza di ciò che è) sono solo gli enti in virtù del loro differenziarsi e quello che li differenzia è appunto il senso specifico a ogni ente del suo significare. La totalità unica che comprende questi enti non può che mostrarsi come pluralità ed essere fenomenologicamente tale, altrimenti parleremmo di quell'Essere parmenideo a cui, volendolo porre totalmente omogeneo, gli enti sono stati tolti e finisce così per equivalere appunto al niente.
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Vecchio 02-11-2014, 09.30.38   #50
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da maral
Mi pare che questa osservazione riprenda il senso di quella precedente del quadridimensionalista che vede tutto il film, anche se alcuni fotogrammi possono sfuggirgli, mentre il tridimensionalista proietta ogni fotogramma e quindi sa di ciascuno di essi, ma in tal modo corre il rischio che gli sfugga il significato dell'intero film (un po' come se io, mentre leggo il libro mi fisso su ogni parola, articolo e preposizione, rischio che mi sfugga la storia che è data dal susseguirsi complessivo delle parole e non da ogni parola presa in sé).
Tornando all'esempio del quadrato, il quadrato ha visto una storia fatta di cerchi e forse è arrivato a chiamare questa storia "sfera", per il quadrato quindi la sfera non è un oggetto tridimensionale, ma una storia che procede per cerchi discontinui in un determinato modo che ne restituisce il senso di continuità, ma a un certo punto potrebbe chiedersi: e se tra un cerchio e l'altro qualcosa di importante mi fosse sfuggito? Qualcosa che non era un cerchio per cui la storia che ho chiamato sfera non aveva il senso di una sfera? Io ritengo che questo dubbio possa essere risolto rendendosi conto che in realtà quadrato e sfera appartengano alla stessa realtà-ente che necessita di apparire. Ossia che l'apparire dell'ente ha una necessità ontologica intrinseca che non può tradirne la metafisica (ciò che esso è), altrimenti sarebbe contraddizione (che non può fare apparire nulla). Il senso della storia completa è esattamente l'ente che la storia rappresenta al quadrato per come il quadrato la intende, l'ete è dato da questa unione nel modo in cui tale unione si realizza e la sfera è comunque sfera per il quadrato. La sfera ha in se stessa il quadrato che la conosce, non fuori di sé.
Non so se sono riuscito a spiegarmi, perché mantenendo questa metafora è piuttosto difficile, ma se leggo "I tre moschettieri" e mi sfuggono alcune parole, quel libro con quelle parole che mi sono sfuggite sarà esattamente l'ente ""i tre moschettieri letto da me" con il senso che gli è proprio e che sarà ente diverso da "I tre moschettieri letto da te" a cui quelle parole non sono sfuggite (ma magari ne sono sfuggite altre)

E qui riprendo anche l'osservazione di jeangene:

La pluralità è l'apparire degli enti che confluiscono nella medesima storia del tutto, ma mantengono ontologicamente la propria diversità, affinché il tutto possa apparire. Se l'in sé fosse indistinta totalità indifferenziata sarebbe niente in termini fenomenologici (ma il niente non può essere in alcun senso), poiché ciò che appare (e dunque è in modo da poter apparire nella completezza di ciò che è) sono solo gli enti in virtù del loro differenziarsi e quello che li differenzia è appunto il senso specifico a ogni ente del suo significare. La totalità unica che comprende questi enti non può che mostrarsi come pluralità ed essere fenomenologicamente tale, altrimenti parleremmo di quell'Essere parmenideo a cui, volendolo porre totalmente omogeneo, gli enti sono stati tolti e finisce così per equivalere appunto al niente.
Capisco il tuo punto di vista, ma devi considerare il fatto logico che , mentre nel libro dei "tre moschettieri" puoi presumere che la sostanza e il senso del racconto non possano venire stravolte da una minima mancanza delle forme che li rappresentano, nel caso degli eventi reali non abbiamo alcuna certezza di cogliere in ogni istante la maggior parte dei fenomeni che ne rappresentano il senso; il quadrato potrebbe , cioè, cogliere solo una parte infinitesima della realtà rappresentativa della sfera, e deve essere conscio del fatto che fra la possibile infinitesima parte della realtà che rileva vi possa essere quella totalità di senso che gli sfugge e che scambia con la propria immaginaria costruzione del mondo.
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