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Cultura e Società - Problematiche sociali, culture diverse.
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Vecchio 11-05-2008, 09.12.48   #51
gyta
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Riferimento: Sull' anarchismo : riflessioni sparse

Volevo portare qualche contributo al femminile e riconsiderando alcune risoluzioni cui giungono la maggior parte dei pensatori e critici dell'anarchismo ho reputato fosse sulla medesima linea e più utile portare delle integrazioni, al femminile sì, ma riguardanti tutt'altro campo di pensiero, eppure sostanzialmente coincidenti nelle premesse e nelle conclusioni, o per meglio dire, percorrenti due linee parallele ed alquanto corrispondenti nell'apparato radicale.

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Scrive Malatesta:
<< La miseria abbruttisce l'uomo e per distruggere la miseria bisogna che gli uomini abbiano coscienza e volontà. La schiavitù educa gli uomini ad essere schiavi e per liberarsi dalla schiavitù v'è bisogno di uomini aspiranti alla libertà. L'ignoranza fa sì che gli uomini non conoscano le cause dei loro mali e non sappiano rimediarvi, e per distruggere l'ignoranza bisogna che gli uomini abbiano il tempo ed il modo d'istruirsi.
Il governo abitua la gente a subire la legge ed a credere che la legge sia necessaria alla società

Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue frazioni, pretenda, imponga, prenda da sé tutti i miglioramenti, tutte le libertà che desidera, man mano che giunge a desiderarle ed ha la forza di imporle; e propagandando sempre tutto intero il nostro programma e lottando sempre per la sua attuazione integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre di più fino a che non ha raggiunto l'emancipazione completa.

L'oppressione che, oggi, più direttamente preme sui lavoratori, e che è la causa principale dì tutte le soggezioni morali e materiali cui i lavoratori sottostanno, è l'oppressione economica, vale a dire lo sfruttamento che i padroni e i commercianti esercitano su di loro, grazie all'accaparramento di tutti i grandi mezzi di produzione e di scambi.
Per sopprimere radicalmente e senza pericolo di ritorno questa oppressione, occorre che il popolo tutto sia convinto del diritto che esso ha all'uso dei mezzi di produzione, e che attui questo suo diritto primordiale espropriando i detentori dei suolo e di tutte le ricchezze sociali e mettendo quello e queste a disposizione di tutti.
Ma si può ora stesso metter mano a questa espropriazione? Si può oggi passare direttamente, senza gradi intermedi, dall'inferno in cui si trova ora il proletariato, al paradiso della proprietà comune?

Gli operai producono tutto e senza di loro non si può, vivere: quindi sembrerebbe che rifiutando il lavoro essi potessero imporre tutto ciò che vogliono. Ma l'unione di tutti i lavoratori anche di un sol mestiere, anche di un sol paese, è difficile ad ottenere, ed all'unione degli operai si oppone l'unione dei padroni. Gli operai vivono alla giornata e, se non lavorano, presto mancano di pane; mentre i padroni dispongono, mediante il denaro, di tutti i prodotti già accumulati, e quindi possono tranquillamente aspettare che la fame abbia ridotti a discrezione i loro salariati.

[..]in tutti i casi resta sempre il fatto primordiale che la produzione, in sistema capitalistico, è organizzata da ciascun capitalista per il suo profitto individuale e non già per soddisfare come sarebbe naturale, nel miglior modo possibile, i bisogni dei lavoratori. Quindi il disordine, lo sciupio di forze umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori inutili e dannosi, la disoccupazione, le terre incolte, il poco uso delle macchine ecc. - tutti mali che non si possono evitare se non levando ai capitalisti il possesso dei mezzi di lavoro e quindi la direzione della produzione.

Presto dunque si presenta per gli operai, che intendono emanciparsi o anche solo di migliorare seriamente le loro condizioni, la necessità di attaccare il governo, il quale, legittimando il diritto di proprietà e sostenendola colla forza brutale, costituisce una barriera innanzi al progresso, che bisogna abbattere colla forza se non si vuole restare indefinitamente nello stato attuale e peggio.

Dalla lotta economica bisogna passare alla lotta politica, cioè alla lotta contro il governo; ed invece di opporre ai milioni dei capitalisti gli scarsi centesimi a stento accumulati dagli operai, bisogna opporre ai fucili ed ai cannoni che difendono la proprietà, quei mezzi migliori che il popolo potrà trovare per vincere la forza con la forza.

Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza.

E per raggiungere questo scopo supremo noi crediamo necessario che i mezzi di produzione siano a disposizione di tutti, e che nessun uomo, o gruppo di uomini possa obbligare gli altri a sottostare alla sua volontà né esercitare la sua influenza altrimenti che con la forza della ragione e dell'esempio.
Dunque, espropriazione dei detentori dei suolo e del capitale a vantaggio di tutti, abolizione del governo. Ed aspettando che questo si possa fare: propaganda dell'ideale; organizzazione delle forze popolari; lotta continua, pacifica o violenta secondo le circostanze, contro il governo e contro i proprietari per conquistare quanto più si può di libertà e di benessere per tutti. >> (1919) (1)

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A "replica" delle argomentazioni più che corrette del Malatesta faccio seguire quest'escursus di Laura Boggio Gilot (scritto invece nel 1987) :

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<< [..]All'evidenza di grandi risorse scientifiche fa riscontro un allarmante grado di malessere e di ignoranza sociale. Secondo i resoconti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, esistono nel mondo 600 milioni di persone malutrite e di queste circa 15-20milioni muoiono ogni anno di fame, inoltre i dati di crescita demografica fanno prevedere che nel 2000 la popolazione della Terra raggiungerà circa 6 miliardi di unità e che l'80% di queste saranno abitanti di paesi sottosviluppati. Se a tutto ciò si aggiunge il problema dell'inquinamento ecologico e la più grave minaccia nucleare, si arriva facilmente a dedurre che oggi il nostro mondo è all'alba di un collasso e che, in un era che ha visto il trionfo della tecnologia e la conquista di vari corpi celesti del sistema solare, esiste un tasso di distruttività capace di annientare l'intero globo terrestre.

Se poi da un'analisi della situazione generale del pianeta Terra passiamo ad una verifica più limitata delle condizioni delle nostre società urbane, vediamo che tutto, natura ed ambiente, è devastato da un tasso di crescente disarmonia che si evidenzia nella violenza interpersonale, nella malattia mentale ed in quel particolare tipo di devianza che comprende lo scetticismo, l'assenza di valori ed il culto dei beni di consumo che mina alla radice la crescita della società.

Ciò che rende davvero sconcertante, oltre che drammatica la situazione del nostro pianeta è che per la prima volta in milioni di anni di evoluzione le minacce alla sopravvivenza sono provocate dall'uomo, ovvero hanno matrice sostanzialmente psicologica.
I mali del mondo riflettono la disarmonia della psiche umana e si pongono come sintomi di un disagio profondo che alberga nella mente individuale. >>

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segue..

(1) da "il programma anarchico" Malatesta Errico
visionabile su http://www.federazioneanarchica.org/
gyta is offline  
Vecchio 11-05-2008, 09.14.04   #52
gyta
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Già queste considerazioni le trovavamo nei medesimi anni e prima in Fromm e nei suoi saggi sulla società, dove denunciava la veloce corsa verso una direzione di annichilimento generale dovuto, secondo lui principalmente alla corsa industriale dove la meccanicità via via si sostituiva alla creatività indispensabile al benessere psicofico, e quindi ad una progressiva disumanizzazione delle qualità della vita, accentuando sempre più l'affermazione dell'istinto della morte sulla vita.

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la Boggio continua con..

<< Come dice Duane Elgin, la degradazione dell'ambiente, l'alienazione, il decadimento urbano e la sofferenza sociale sono specchi della nostra limitata visione del mondo: il nostro mondo esterno riflette quello interno, e l'avidità, l'ignoranza o il male che stanno dietro la crisi del globo sono segni di una basilare immaturità psicologica dell'uomo moderno.

Perché l'intelligenza che è approdata a tante oggettive conquiste non riesce a proteggere la dimensione umana?
La risposta può essere dedotta sia dalle statistiche della neurofisiologia che mostrano come solo la minima parte del cervello è attivata, sia dai rilievi della psicologia che documenta come solo una modesta parte delle potenzialità della psiche è attualizzata nella coscienza ordinaria.

Queste considerazioni sulla distruttività dell'agire umano da un lato e sullo scarso sviluppo delle sue potenzialità dall'altro sembrano convergere nella dimostrazione che qualcosa si è bloccato nell'evoluzione dell'uomo e che al progresso scientifico non corrisponde un adeguato progresso conoscitivo e spirituale. Mai come ora sembra urgente lo studio della "coscienza" quale area connessa alla volontà ed al pensiero, alla conoscenza ed all'amore, e da finalizzarsi non solo alla cura dell'ordinaria patologia, ma anche alla cura di quella sindrome collettiva che è l'offuscamento delle motivazioni esistenziali e la relativa confusione tra il bene e il male nelle scelte individuali.

Secondo l'analisi di alcuni importanti studi psico-sociologici, il disagio della società attuale ed il conseguente smarrimento individuale sui significati ed i compiti della vita sono collegabili ad una visione del mondo riduttiva che influenza negativamente i credi ed i valori su cui l'uomo basa la sua esistenza. Tale visione è frutto di una concezione scientifica che dicotomizza l'unità della vita, codificando l'esistere come un fatto meramente materiale. Secondo il meccanicismo newtoniano che ha informato la visione della scienza negli ultimi secoli, l'universo è costituito di materia, definita in una rigida dimensione spazio-temporale che soggiace al principio di causalità, e si muove nel vuoto. L'universo materiale esclude la presenza di Dio che ne rimane fuori e non ha nulla a che fare con la natura concreta della realtà umana.

Oltre ad una visione meccanicistica della realtà, la nostra cultura ha ereditato una visione razionalista che ha come modello di base il dualismo cartesiano che divide la res extensa dalla res cogitans e separa il reame della materia da quello della mente.
Questi principi sono confluiti in una concezione deterministica e positivistica dell' esistenza che la definisce come uno strano accidente limitato nello spazio-tempo, e ostracizza la realtà spirituale oltre i confini di ciò che è reputato reale.

La separazione tra materia e spirito ha condotto allo sviluppo di una cultura della fisicità che ha privilegiato l'identificazione dell'uomo con i portatori del corpo e della mente concreta, invece che con l'intera unità bio-psico-spirituale.

Se i vantaggi di una cultura razionalista e materialista si sono visti nello sviluppo tecnologico e scientifico, gli svantaggi sono apparsi evidenti nello svilimento dei significati spirituali ed etici dell'uomo moderno.
Identificato con l'intelligenza razionale e con la dimensione della fisicità, l'uomo ha sempre più prodotto oggetti e beni di consumo trascurando valori e significati che non trovano una collocazione concreta e spazio-temporale secondo i canoni culturali.

Dedicato all'azione più che alla contemplazione, ed alla produzione più che alla creazione, l'uomo moderno è andato perdendo il senso della poesia, della musica e della bellezza, mentre il trionfo di miti concreti ha sempre più incrementato la competizione e la corsa al successo monopolizzando l'umana intenzionalità in una dimensione orizzontale della vita.

Se tutto ciò, da un punto di vista individuale, si è tramutato in un'atrofia delle potenzialità umane più alte che sono spirituali ed intuitive, dal punto di vista collettivo ha portato ad uno scadimento di valori e significati esistenziali ed al trionfo di una cultura materialista che si muove in senso antiestetico e antiecologico.

Nel complesso, ad un innegabile miglioramento delle condizioni oggettive di vita si contrappone nella nostra era una sorta di agonia dell'anima che si manifesta nella carenza di valori e virtù e nell'alienazione dell'uomo dalla sua matrice trascendente. Volto a ciò che è "concreto" ed "oggettivo" e separato dalla sua sorgente immanifesta, l'uomo si separa dal senso si Dio, dell'Amore, dell'Eternità, e conseguentemente diventa preda della paura e della solitudine, della violenza e della malattia mentale.

Va da sé la comprensione che, in una cornice concettuale che trascura la qualità per la quantità, non possono esistere i presupposti per la pace e l'amore tra gli uomini.

La divisione tra materia e spirito è un elemento essenziale della frantumazione della società moderna e della compartimentazione della nostra cultura, i cui elementi più vistosi sono la separazione tra scienza e fede e la conseguente esclusione della ricerca di significati etici dal contesto scientifico.

Alla repressione del sacro ed alla mistificazione dei significati trascendenti della vita fa riscontro l'esclusione della realtà spirituale dal modello della conoscenza scientifica e l'identificazione di quest'ultima con la dimensione razionale. Dato l'assunto che la realtà è solo quella dell'ambito dello spazio concreto, ne è derivato un criterio di scienza che studia solo i fenomeni del mondo sensibile dal punto di vista quantitativo e che non è ricollegato ad alcun principio di etica o di conoscenza superiore: <<Questi metodi della scienza prescindono dal carattere cosmico delle qualità pure e addirittura le mettono in dubbio, perché non possono cogliere l'intreccio dei modi esistenziali corporei, psichici e spirituali che compongono le gradazioni dell'esistenza>>. Seguendo un modello empirico la scienza ha percorso vie oggettive e razionalistiche di ricerca escludendo tutto ciò che è il "trascendente", il "noetico", lo "spirituale" dal contesto della verità.
In maniera opposta alla scienza, la fede ha privilegiato la conoscenza spirituale e la ricerca di significati etici della vita, divenendo la depositaria della morale, ma sovente separandosi dalle esigenze della vita corporea e dallo sviluppo culturale. Dal punto di vista conoscitivo, la fede si è rivolta alla sola esperienza mistica dell'universo divino sdegnando qualunque verifica razionale della realtà trascendente. Nonostante che, come diceva Einstein, la scienza senza la fede sia zoppa, e la fede senza la scienza sia cieca, le due discipline si sono rivolte in due opposte direzioni che hanno frantumato la realtà in un ambito metafisico oggetto della ricerca scientifica, e in ambito metafisico oggetto della ricerca spirituale. In tal modo la scienza è divenuta il reame dell'oggettivo e si è mossa lungo le linee di ricerca volte al particolare, mentre la fede è diventa il reame del soggettivo e si è mossa lungo le linee di ricerca intuitiva che ha affondato la conoscenza nella realtà "universale". >> (2)




Vediamo che le due posizioni (Malatesta e Boggio) non sono affatto contrastanti ma, oltre che esemplificative, integranti direi l'una all'altra; dove Malatesta accenna o punta maggiormente alla superficie del disagio espresso dall'individuo che <individuo> non può essere, portato com'è dalla cultura del potere capitalista e schiavizzante all'alienazione individualmente e quindi come collettività, la Boggio amplia la carrellata verso un approfondimento tematico mirando ancor più allo sviscerare dei punti di quella cultura che hanno fatto sì che l'alienazione avanzasse sino a divenire virus; non tanto puntando l'obiettivo esclusivamente sul concetto di monopolio delle ricchezze ma del come e del perché questo sia stato non solo possibile ma anche perpetuato fondamentalmente come modello emulativo nei secoli. E la risposta è, sì sempre nella direzione del potere-cultura ma, ancor prima in quegli stessi presupposti di ricerca e direzione che hanno segnato nel profondo il confine tra l'oggettivo-materiale e l'irrealtà, instillando così il seme della schizofrenia sin dai primi passi dell'indagine umana e del suo percorso sociale (occidentale).


Gyta


(2) da "Forma e sviluppo della coscienza" -Laura Boggio Gilot
(ed.Asram Vidya -1987)
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Vecchio 11-05-2008, 14.13.17   #53
nexus6
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Mettevi d’accordo. C’è un Frollo che pare viva in un paradiso terrestre italico (sul resto, boh, mah, che sarà!), solo a volte turbato dal ladro d’auto e dal vicino rumoroso (che l’anarchico dovrebbe forzatamente disciplinare in qualche modo come fosse una filosofia del regolamento sui condomini e non una profonda aspirazione morale) ed un Anakreon che vive in un mondo devastato da violenze, stupri, morti ammazzati, in una situazione di terrore creata dai media per spostare il vero problema che impaurisce gli italiani e non solo, ovvero: l’insicurezza del lavoro ovvero dell’esistenza. Mondo dove, secondo voi, vi sarebbero millemila indizi per dimostrare la cosa su cui siete d’accordo: che i singoli vanno ammansiti per non deviare nel caos. E’ quello che avviene. Siete buoni cittadini e bravi italici. Voi non sbandiererete in piazza il drappo della pace contro le prossime operazioni militari internazionali (Iran, probabilmente e sotto il pacifista Don B.) in cui si imbarcherà anche l’Italia ed è già qualcosa. A vostro favore, voglio dire, mentre tutti gli altri addormentati ipocriti saranno lì tentando di rompere la noia di un sabato di shopping, agitando qualche bandiera arcobaleno.

Dovreste liberarvi, emanciparvi da voi. E’ un qualcosa di intimo, di spirituale, è l’aspirazione, la tensione interiore che sentite e che reprimete per vivere nelle nostre società. Nessun anarchico, vero e non autoritario mascherato, vi potrà mai costringere a vivere in una “società anarchica”, per rispondere a Frollo. Mai. Sarebbe impostura ancor più criminale ed assurda, poiché falso socialismo libertario e su questo mettono soprattutto in guardia l’altra frangia degli anarchici, i cosiddetti individualisti (Stirner e co., anche se lui non si definiva tale) che criticano i compagni anarchici proprio sul concetto di “società”, ma non di amministrazione, Anakreon. Chi volesse “estirpare” anche l’amministrazione, intesa come organizzazione, sarebbe semplicemente un uomo che vorrebbe vivere completamente isolato e senza rapporti di alcun tipo con altri uomini. Ma questo non è anarchismo e nemmeno homo homini lupus, quanto la negazione assoluta di ogni socialità (che non è presente in nessun anarchico) e dunque pure dei valori di uguaglianza, libertà e blablabla che le varie ideologie tentano di realizzare. Anche gli anarco-individualisti, nonostante focalizzino la loro analisi sull’individuo, sulla sua coscienza per la propria futura emancipazione, prevedono e tentano di proporre e di immaginare come potranno avvenire i rapporti tra gli uomini: cooperazioni, patti, contratti etc. dunque organizzazione/amministrazione, del lavoro ad esempio. L’anarchismo distingue essenzialmente, come detto, tra organizzazione e governo. Ed è palese che ragioniamo con i concetti cui siamo abituati, diritto, contratti, etc. ma è chiaro che un “contratto” libero in una società libertaria non sarà certo un “contratto” come inteso nelle nostre attuali società! Sarà l’uomo, il singolo ad essere differente, poiché autonomo e responsabile ove ora è suddito ed alieno a sé ed agli altri a causa dell’impostura, sì, innaturale (io ho usato «artificiale»), dell’autorità millenaria di uomini su altri uomini. E non mi mettete in bocca parole che non è detto (la balzana idea che «l’anarchismo sarebbe il semplice slittamento da un diritto ad un altro»); cristo, gli artifici della retorica li hanno codificati appvnto i latini e, beh... nei sei vn figlio tv, come anche io, Anacreò.

Per il resto chi volesse approfondire il discorso sull’anarchismo penso possa ben farlo con tutto ciò che è stato scritto ed i riferimenti bibliografici, che mi hanno aiutato nella breve sintesi sul concetto (e dunque non ho vaneggiato su nulla e se da anarchico ti sentissi offeso dalle mie parole, due son le cose: o non mi sono ben spiegato io e gli altri o non hai letto a fondo ciò che è stato scritto).
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Vecchio 11-05-2008, 14.13.50   #54
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Citazione:
Originalmente inviato da Anakreon
Ma chi dice che il genere umano universalmente costituito in società civile diffusa regga sé stesso meglio, che sappiano reggerlo singolarmente alcuni uomini che presiedano al governo ?:
è una concettura e neppure fondata su indizii.
No, Anakreon, sei tu che mi devi portare validi ed innumeri indizi che la situazione in cui una ristretta elité di uomini regga tutto il genere umano possa farlo meglio di esso stesso. E ti rendi ben conto del cortocircuito in queste domande, vero? Dovrebbero paragonarsi due modi diversi di concepire e di condursi dell’uomo, quando uno dei modi (quello che sto tentando di spiegare) mai ha avuto la possibilità di attuarsi su larga scala e naturalmente viene scongiurato come fosse la peste bubbonica. Le domande che ponete sull’anarchismo non le porreste se si fosse capito cosa è anarchia (e cosa non lo è) e direi che concorre al pari la mia non chiarezza, con la difficoltà di far breccia nel pensiero dominante.

Si tratta di ragionare in modo altro, poiché come ben ammoniva Stirner, «sarebbe come domandarsi come si comporterebbe uno schiavo nel momento in cui venisse liberato: non lo so!»

Mi chiedi, nonostante questo cortocircuito logico, degli indizi: innanzitutto rileggi la discussione, poiché indizi ve ne sono e più d’uno e stanno nel regno del simbolico, oltre che nella realtà; stanno in una lettura analitica (e leggete quanto ha scritto Gyta) oltre che nel dispiegarsi timido della coscienza umana a cui è stato posto ogni ostacolo affinché la propria voce rimanesse fievole ed assente. Nonostante ciò, molteplici sono stati i tentativi di realizzare le proposte anarchiche nella storia recente, numerosi sono i tentativi di moralizzare l’economia tentando di liberarla dal capitalismo, proponendo soluzioni alternative «più etiche» anche all’interno della dominante economia di mercato (vedi cooperazione, microcrediti, monete locali, etc.); questi sono indizi, non che si vada verso l’anarchismo, ma che i singoli stanno prendendo progressivamente coscienza che devono iniziare a muoversi autonomamente, dentro e fuori le istituzioni costituite e questo indubbiamente è ciò a cui la propaganda anarchica mira.

L’indizio principe è che il sistema «globalizzazione», con la sua religione neoliberista ed il mito di un capitalismo (etico?!), sta iniziando a scricchiolare fortemente e che le nostre «democrazie» abbiano perso quel valore di sostanza che eppure la maggior parte dei cittadini immaginano ancora abbiano! L’opinione pubblica, anche quando la si intende come semplice somma dell’opinione dei singoli, è sostanzialmente monopolio oligarchico ovvero controllato da pochi partiti di pensiero dominanti (e non mi confondete con Grillo, badate, che rifornisce uno di quei partiti di pensiero di cui parlo e forse il più velenoso, ovvero quello della rivoluzione senza evoluzione, della massa senza il singolo). Da ciò ogni anarchico si tiene lontano e continua ad ammonire che è pericoloso sobillare le folle, senza la coscienza di ciò che si sta compiendo. Il singolo deve emanciparsi da sé. Gli imbonitori ed i sobillatori non ne hanno coscienza, essendo solo l’altra faccia di ciò che vorrebbe combattere. Se girate la moneta su cui è riprodotta la faccia di Don B., troverete quella ululante di Grillo.

Questo è molto pericoloso. E basta ciò a farmi prevedere un futuro a breve-medio termine non affatto roseo. L’umanità è affamata di un altro quadro –radicalmente differente- in cui dipingere il futuro, poiché la cornice di questo attuale è ormai consunta e cade rovinosamente a pezzi, come tutte le precedenti cornici che si sono succedute nei millenni. Ma in più abbiamo enormi capacità distruttive rispetto al passato, che continuiamo ad affinare.

Tutto è connesso, non siamo monadi, ogni crisi del lavoro o economica, sociale o personale, ogni mancanza di libertà ed uguaglianza (la quale, Frollo, non è appiattimento ed uniformità, come attualmente viene in sostanza concepita nonostante Trilussa, ma arricchimento e diversità, proprio per l’uguaglianza di mezzi e di possibilità di base); questo dice (anche) l’anarchia, ripeto (e chi di passaggio leggesse questo scritto, nei precedenti troverà una più ampia spiegazione di quanto detto). Questi, seppur solo abbozzati, mi paiono più che forti indizi a favore del fatto che pochi o pochissimi uomini non riescano e possano continuare a ben gestire e condurre svariati miliardi di persone, a cui stanno sottraendo il presente ed il futuro.
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Vecchio 11-05-2008, 14.14.29   #55
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L’alternativa è: progressivamente sperimentare altro, seppur sembra molto complesso, ma la posta in gioco mi pare piuttosto alta, non trovate?

Poiché si stanno compiendo sotto gli occhi di tutti le generali manovre per attuare quelle capacità distruttive. Ogni tanto, qualche (fortunato ed inatteso!) casus belli ed ecco che gli Stati nazionali decidono, contro ciò che pensano i propri cittadini (dunque tentando di circuirli come avvenuto per esempio per l’Iraq), di rianimare un’economia che si regge ormai su uno stato permanente, non di guerra al terrore, ma di guerra e terrore. Il consenso, nonostante un’opinione pubblica muta, intesa come coscienza collettiva, pare sia ancora necessario per mediare le istanze della società civile con quella dei gruppi di potere oligarchici che, di fatto fuori dall’agone politico, prendono le decisioni.


Gli anarchici propongono il loro “altro”, tentando di realizzare i loro principi: libertà ed uguaglianza (che genericamente non sono i medesimi degli altri, poiché nell’anarchismo sono inscindibilmente uniti e non scissi dai mezzi, perciò, Frollo, non continuiamo a confondere le acque); alcune delle proposte certo sono (ed erano) estreme e sono, in sostanza, quelle comuniste (da qui anche il nome anarco-comunismo). Come si potrebbero eliminare le disuguaglianze nei mezzi e nelle possibilità? Esistono, poiché in sostanza affermano gli anarchici, continuano a persistere classi di persone che non hanno affatto inizialmente uguali mezzi per realizzarsi, non hanno uguali opportunità (questa sarebbe “uguaglianza”) e poi, nella loro vita, saranno come burattini destinati a lavori manuali o intellettuali, senza reale possibilità di scelta e dunque libertà.

Quest’arma la si agita demagogicamente perché va tanto di moda, fa fashion (le pari opportunità e blablabla), ma in realtà rimane nell’aere fritto quando in sostanza dalla nascita ogni singolo è limitato in quanto a possibilità ed opportunità dalla classe in cui è destinato a crescere, dal reddito o dalle ricchezze della propria famiglia o ancora oggi dal sesso e dall’etnia, per esempio, barriere che vengono poste all’ingresso di ogni individuo nella società. E poi la presenza di “mercati asimmetrici”, per esempio, dove il potere è sostanzialmente detenuto solo da una certa categoria ed è un potere di conoscenza, informativo, come quello delle banche nei confronti degli investitori: questa è totale mancanza di uguaglianza ovvero di libertà, poiché le due cose non sono scisse e senza l’una l’altra è zoppicante. Un consenso non cosciente, non critico a cui vengono negate informazione e conoscenza, è un falso consenso, è un cavillo capestro, è una falsa libertà. E’ immorale.

Le proposte della frangia “comunista” dell’anarchismo sono, dunque, quelle proprie del comunismo (e le potete leggere nel post di Gyta nelle parole di Malatesta), anche se non tutti gli anarchici concordano con esse (per esempio Stirner che elogia invece la proprietà privata). Queste differenze tra le proposte anarchiche, naturali ed organiche all’anarchismo, proprio per le sue caratteristiche, si inscrivono tutte essenzialmente nel quadro di base che ho delineato (con l’aiuto dei riferimenti bibliografici e dunque non mi sono inventato nulla, Anakreon) e discendono essenzialmente da un diverso modo di concepire gli ideali di libertà ed uguaglianza, rispetto ad altre ideologie, che è totale, è massimo, è etico, come detto.
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Vecchio 11-05-2008, 14.15.17   #56
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Un certo accordo, un certo modo di organizzare una società libertaria si rigenera continuamente nell’individuo poiché esso è responsabile e si rende conto che solo questa consapevolezza porterà a sempre maggiore libertà ed uguaglianza.

Secondo quali convenzioni sociali si muoverà una singola società libertaria? Come scaturiranno? Con Stirner, rispondo «non lo so», ma sicuramente saranno liberamente create dai singoli che si rendono conto in autonomia che possono vivere insieme in modo armonico e non imposto dall’alto, tendendo alla realizzazione delle potenzialità di ognuno ed eliminando la coercizione, la sopraffazione, il dominio di qualsiasi gruppo o uomo su ogni altro. Non si prescrive come un condomino debba regolarsi con l’altro, sarebbe davvero un balzano modo di concepire l’anarchia! Responsabilità e mutua solidarietà, aiuto e sostegno reciproco, con questi che non saranno principi a cui aderire (con regole, regolamenti e leggi), ma scaturiranno dai singoli, potranno dirimersi gli attriti, le questioni che via via si presenteranno. Anarchia non è libertà «assoluta» ovvero, per esempio, non è libertà di ammazzare! Ma, sicuramente, non è nemmeno libertà o autorità di mettere in prigione l’assassino e buttare la chiave. Proprio dai principi suddetti potrà scaturire un diverso modo di rapportarsi all’altro e dunque anche verso colui che presenta comportamenti anti-umani, sarà diversa la percezione individuale e collettiva, saranno diversi gli uomini: chi è l’assassino? Perché non abbiamo avuto cura di lui? Come fare ora per fargli comprendere il significato del suo gesto? Queste le domande che vi avevo posto, ma che naturalmente si sono evitate, tranne Frollo, che butterebbe la chiave, non preoccupandosi troppo che quell’assassino è stato prodotto dalla società in cui vive simpaticamente.

La persona, non come monade, ma come individuo prezioso ed unico in rapporto ad altri, è dunque al centro contro ogni tipo di istituzione costituita che tende a radicarsi ed a replicarsi nel tempo. La persona è la società, la società è la persona, poiché non vi può essere libertà ed uguaglianza del singolo se anche solo uno non può ambire ad esserlo, libero ed uguale (ai «lettori»: ci sono vari approfondimenti nei post precedenti e dunque pure coloro che vorrebbe rispondervi sono invitati a leggerli).


Chiudo con qualche illuminante frase di Stirner (da “L’Unico e la sua proprietà”):

«Il fatto che il comunista veda in te l’uomo, il fratello, è solo l’aspetto domenicale del comunismo. Secondo l’aspetto feriale del comunismo, invece, egli non ti considera affatto soltanto come uomo, ma come lavoratore umano o come uomo lavoratore.»

«Continuerà sempre a succedere che uno cerca un altro perché ne ha bisogno oppure che uno si adatta a un altro perché ne ha bisogno! Ma la differenza è questa: allora il singolo si unirà veramente al singolo, mentre prima essi erano legati da un vincolo.»

«Si chiederà:"Ma che succederà quando i nullatenenti diventeranno forti? A che tipo di eguaglianza si arriverà?" Allo stesso modo si potrebbe pretendere di predire l’ora esatta in cui un bambino nascerà! Che farà uno schiavo quando avrà spezzato le sue catene? Non si può far altro che - stare a vedere.»


Bellissimo, spirituale ed eloquente sul fatto che Stirner non si definiva anarchico, questo passo:

«Ma se "la libertà" è veramente il fine a cui tendete, allora sviscerate fino in fondo i compiti che essa pone. Chi deve liberarsi? Tu, io, noi. E da che cosa? Da tutto ciò che non sei tu, che non sono io, che non siamo noi. Io sono dunque il nocciolo che deve essere liberato da ogni involucro, da ogni guscio limitante. Che cosa rimarrò se io sarò liberato da tutto ciò che io non sono? Soltanto io e nient’altro che io. Ma a questo io la libertà non ha niente da offrire. Che cosa dovrà succedere quando io sarò libero? La libertà non ne parla, così come i nostri governi si limitano a rilasciare i prigionieri, dopo che hanno scontato la pena, e li spingono in una libertà che è solo abbandono.
Ma se la libertà viene agognata per amore dell’io, perché non scegliere allora l’io stesso come punto di partenza, punto di mezzo e punto d’arrivo? Forse che io non valgo più della libertà? Non sono io a liberarmi, non sono il primum? [...] La libertà v’insegna soltanto a sbarazzarvi, a disfarvi di tutto ciò che vi pesa, ma non v’insegna chi siete. "Via, via!" è il suo grido di battaglia e voi, seguendolo volonterosi, gettate via perfino voi stessi, "rinnegate voi stessi". Ma l’individualità vi richiama invece a voi stessi e parla così: "Torna in te!".»

«L’individuo proprio è il libero nato, il libero per natura; il libero, invece, è soltanto un maniaco della libertà, un sognatore esaltato.»


Libero persino dal concetto stesso di libertà. Se del resto ne sono simpatizzante, di questo ne sono amante .

Anche se Frollo mi dirà:
a che’ me serve tutto ciò,
magno e bevo a sazzietà
de che me dovrei preoccupa’?


Un saluto...

Antonio
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Vecchio 11-05-2008, 16.11.34   #57
nexus6
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Muri che caddero un po' troppo tardi...

P.S.

Vista anche la parallela discussione sul comunismo, ci tengo a fare una fondamentale precisazione, già peraltro accennata: non confondiamo quello che è stato il socialismo reale con l’anarchismo; i socialisti anarchici, capirono ben presto a cosa avrebbe portato in concreto il marxismo e furono in effetti espulsi dal partito alla fine dell’ottocento. Furono gli unici pensatori profeti sulla storia del secolo passato e sin da subito sperarono nella fine della dittatura bolscevica nei lontani anni ’20 del novecento, quando effettivamente molti nostri politici “comunisti” sono rimasti attaccati alla mammella ideologica e materiale del comunismo russo sino a non molti anni fa, tra cui il compagno Walter, dirigente del piccì.

Chi è utopico e chi è realista, in questo senso?

Domande poste negli scritti precedenti. Se vi va.
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Vecchio 11-05-2008, 17.44.54   #58
frollo
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Riferimento: Sull' anarchismo : riflessioni sparse

Pessima la metrica della tua terzina, ma vabbè...
Rispondo ora solo sulle punizioni e le responsabilità della società, visto che tu ancora non mi dici chi, in una società senza governo dovrebbe prendere delle decisioni tipo vendere l'Alitalia oppure togliere l'ICI o dichiarare guerra alla Svizzera. Magari più tardi mi ci dedico ancora un po', anche se mi devi promettere che studierai un po' di più gli endecasillabi e Trilussa
Le responsabilità sono sempre individuali. Considero inaccettabile un ragionamento che possa soltanto lontanamente ipotizzare che "la società" abbia una seppur minima responsabilità sulle scelte e le azioni omicide di un pazzo criminale.
Tutti viviamo nella stessa società, tutti abbiamo problemi alcuni anche gravi, NON TUTTI diventiamo assassini o serial killer. Questo, anche se tu proverai a dire che le sensibilità diverse di ciascuno elaborano in maniera diversa gli imput che ricevono, è la prova provata che comunque ciascuno, nonostante tutte le difficoltà cui è sottoposto, è sempre in grado di decidere. Se decide di diventare un criminale la responsabilità è solamente sua, e ti prego di non tirarmi in ballo in quanto componente della società, perchè io con quel criminale non voglio proprio averci nulla a che fare! !000 persone e con problemi anche 1000 volte peggiori, al suo posto non avrebbero fatto quello che ha fatto lui, quindi per me non ci sono attenuanti e non devo domandarmi proprio un fico secco. Ci sono dei limiti che non si devono mai oltrepassare, per nessun motivo. Chi lo fa, per cortesia paghi la pena. Se la pena prevede che se ne stia 10 anni in prigione, che ci resti. Se la pena prevede l'ergastolo... che si butti via la chiave!
Sul carattere rieducativo o punitivo della pena, se ne può parlare (per quanto che vuoi rieducare in un ergastolano che non uscirà più di prigione?) e pure sull'umanità da osservare nelle carceri. Ma non sulla inflessibilità della pena e sul fatto che l'unico responsabile del crimine è chi delinque. La società non c'entra un fico secco.

Mo' però s'è fatto tardi,
m'è venuto un languorino
ciò du' spaghi cardi cardi
vado a famme 'no spuntino!
(Perchè qua se parla a ortranza,
poi te scordi de la panza!)
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Vecchio 11-05-2008, 18.41.28   #59
Anakreon
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Governanti e governati.

Caro Nesso,

ammonisci:

“Mettevi d’accordo. C’è un Anakreon che vive in un mondo devastato da violenze, stupri, morti ammazzati, in una situazione di terrore creata dai media”

Attento !:
la nostra discordia non depone a favore della Tua opinione che gli uomini possano conseguire un consenso universale, pur mancando un’autorità che deliberi, quand’ essi dissentano, ed una potestà che li costringa, quando persistano nel dissenso.

Comunque sia, come ho già sopra annotato, penso saper distinguere l’esagerazione di coloro, i quali diffondono per professione notizie, dalla verità delle cose.

Per altro, che gli uomini non siano propriamente agnellini inclini a stringersi miti in greggi pacifici, è cosa che chiunque, il quale conosca un poco delle gesta passate e presenti della nostra specie, non può negare.

Detto ciò, è pur vero gran parte degli uomini vivono in società civili, senza troppe difficoltà; ma è anche vero che, in queste società civili, sono autorità e potestà che reggono e correggono i cittadini:
posso pur concederTi che potremmo congetturare che fosse cosa superflua; ma m’è difficile concederTi che l’esperienza, quella al meno passata, perché quella futura è nel grembo dei numi, attesti indubitatamente che sia stata e che sia cosa superflua.

Affermi:

"Nessun anarchico, vero e non autoritario mascherato, vi potrà mai costringere a vivere in una “società anarchica”, Mai. Sarebbe impostura ancor più criminale ed assurda, poiché falso socialismo libertario e su questo mettono soprattutto in guardia l’altra frangia degli anarchici, i cosiddetti individualisti che criticano i compagni anarchici proprio sul concetto di “società”, ma non di amministrazione."


Volendo essere maligno, potrei anch’io ammonirVi:
prima metteteVi d’accordo tra Voi anarchici, poi dateci notizia di quello che volete, sperate, temete e noi esamineremo attentamente i Vostri argomenti, pronti anche a concedere a Voi, ma anche a noi stessi, tanto più di libertà e tanto meno di governo, quanto convenga a questo nostro incontentabile genere umano.

Ma non sono maligno, quindi trascorro oltre.

Osservi:

“Chi volesse “estirpare” anche l’amministrazione, intesa come organizzazione, sarebbe semplicemente un uomo che vorrebbe vivere completamente isolato e senza rapporti di alcun tipo con altri uomini. Ma questo non è anarchismo e nemmeno homo homini lupus, quanto la negazione assoluta di ogni socialità “.

Sia pure.

Ma codesta Tua amministrazione, come l’appelli, a me pare una dissimulazione di quello che è in sostanza un ordine civile, fondato su leggi, regole, autorità che le pongano e custodi che le facciano rispettare.

Se può darsi il tempo, quando ogni uomo non avrà necessità alcuna, per la propria ed altrui utilità, che alcun altro uomo imponga che debba fare e lo costringa, se non faccia; allora a che servirebbe mai l’amministrazione ?:
forse a disporre ordinatamente quello che tutti già sanno o possono sapere senz’autorità né potestà altrui ?;
ma se già il sanno o possono saperlo !;
o forse concedi che alcuni potrebbero continuare ad ignorarlo ovvero, pur sapendolo, non volessero farlo ?:
ma allora l’amministrazione non dovrebbe forse imporre loro, con autorità o con potestà, ciò che loro dispiacerebbe ?;
e così non ricadremmo forse nel governo che volevi sopprimere ?.

Comunque sia, se alcuno, allettato dalla soppressione del governo, volesse estirpare anche l’amministrazione, come l’appelleresti ?:
anarchico ?;
delinquente ?;
eversore ?.

Ciò domando non perché, intendi bene, voglia giocare coi nomi, ma perché mi sorge gravissimo il timore che codeste Tue distinzioni, tra amministrazioni e governi, tra uomini che vogliono vivere civilmente ed uomini che rifiutano ostinatamente ogni vita civile, non siano feraci di liti e risse future, tra gli anarchici moderati e quelli estremi, ripetendo in somma, proprio quei mali che volevi estirpare.

Lamenti :

“E non mi mettete in bocca parole che non è detto (la balzana idea che «l’anarchismo sarebbe il semplice slittamento da un diritto ad un altro»); “

Non ci permetteremmo mai:
siamo qui per capire.

Per certo la cosa è un po’ singolare:
togli il governo, ma lasci l’amministrazione;
togli la potestà, ma lasci i contratti;
togli l’autorità, ma lasci la società civile.

Abbi pazienza, ma a me la cosa pare assai intricata, per non dire oscura, se non per altro perché mi sorge un domanda:
se alcun uomo deviasse dall’ordine disposto per consenso universale, concedendo sia possibile un consenso universale presente e futuro, in virtù di che gli altri uomini potrebbero costringerlo, posto che nessun’autorità e tanto meno potestà fosse concessa ?;
potrebb’egli forse deviare a suo arbitrio, impunemente, con danno di tutti ?;
oppure escludi assolutamente che un tale evento possa accadere ?;
ma se l’escludi, suppongo che Tu l’escluda perché opini che la natura umana abbia in sé la facoltà di regolarsi e di temperarsi spontaneamente in una società civile perfettamente amministrata.

Ma allora Ti domando:
perché non potrebb’essere soppressa anche l’amministrazione, se tutti sapessero amministrare sé stessi perfettamente ?.

Veramente mi è più facile capire Diogene di Sinope, quando sprezzante, ad Alessandro re dei Macedoni, il quale gli aveva domandato che desiderasse, rispose che si togliesse dalla luce del Sole, affinché non gli facesse ombra,

Voglio dire:
una libertà veramente piena, posto che pur si dia ad un mortale, non dovrebbe spregiare ogni utilità che ci viene dagli altri ?;
se in ogni caso quello, che non ho dal governo, debbo avere dall’amministrazione; quello, che non ho dal contratto civile, debbo avere dal contratto libero, come Ti piace appellarlo senza tuttavia definirlo; quello, che non ho dalla società civile, debbo avere dalla società libertaria, la quale anche riceve nome da Te; proprio non so come Tu possa dire che non trasferisci l’autorità, ma la sopprimi; che non dissimuli la potestà, ma l’everti.

S’aggiunga che l’essere oppresso per consenso universale, dubito mi farebbe più felice, che sarei s’io fossi oppresso per arbitrio d’uno solo o di pochi; anzi, in questo caso forse potrei avere speme di liberazione, ma in quell’altro, che speme mai potrei avere ?.

M’opponi:

"No, Anakreon, sei tu che mi devi portare validi ed innumeri indizi che la situazione in cui una ristretta elité di uomini regga tutto il genere umano possa farlo meglio di esso stesso. Dovrebbero paragonarsi due modi diversi di concepire e di condursi dell’uomo, quando uno dei modi mai ha avuto la possibilità di attuarsi su larga scala "

E dici pure il vero, al meno per quel che possiamo sapere degli eventi passati:
ma proprio perché nessuna esperienza mai fu fatta, le Tue sono solo elucubrazioni senza fondamento:
non necessariamente false per sé stesse, ma che apertamente confliggono coll’esperienza quotidiana degli uomini e delle gesta umane.

Per altro, se le Tue elucubrazioni confliggono cogli eventi presenti, nessuno può negare che in un lontano futuro esse non possano essere la verità della vita umana universale:
chi, cinquant’anni or sono, avrebbe supposto che Germani e Francesi, per secoli bellicosamente opposti in contese cruente per conquistare le regioni del Reno, potessero convivere in un medesimo e comune instituto ?.

Ma per ora i popoli, le genti, le fazioni, le sette paiono ancor troppo ferocemente l’un contro l’altro armati, così che pare piuttosto opportuno sperare una potestà ed un’autorità più costringenti, che più rilassate.

Tu stesso hai citato il caso della Mesopotamia:
ma quel caso non dimostra quanto poco i popoli, le genti, le fazioni, le sette siano inclini a convivere pacificamente, in virtù d’un’amministrazione comune ?.

Everso il duce che li reggeva con mano crudele, ma sicura, s’è aperta la voragine d’una lotta ancor più crudele di tutti contro tutti:
non è un bell’indizio, da cui argomentare non dico paci universali, tolta ogni autorità, ma al meno dissidii meno cruenti e dissensi meno rovinosi, tolta una potestà feroce.

Concludi:

“Questi, seppur solo abbozzati, mi paiono più che forti indizi a favore del fatto che pochi o pochissimi uomini non riescano e possano continuare a ben gestire e condurre svariati miliardi di persone, a cui stanno sottraendo il presente ed il futuro. “

Ma hai per certo che tutti quegli uomini, se potessero reggersi in una società libertaria, come l’appelli, farebbero molto meglio e non precipiterebbero sé stessi e tutti gli altri in una rovina universale ed irrimediabile ?.

A Te pare che gli uomini siano condotti malamente da pochi governanti, i quali, quasi fossero numi discesi dal cielo, facciano e disfacciano a proprio arbitrio.

A me pare che, per lo più, i popoli abbiano i governi che si meritano e che troppo spesso, se le cose volgano al peggio, accusino delle avversità i rettori supremi, scusando sé stessi perché necessitati e costretti, quando sono turpemente e stoltamente consenzienti:
il che, se non depone a favore della prudenza dei governanti, men che meno depone a favore dell'intelligenza dei governati.

Anakreon.
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Vecchio 11-05-2008, 18.54.07   #60
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Riferimento: Sull' anarchismo : riflessioni sparse

Citazione:
Originalmente inviato da frollo
Considero inaccettabile un ragionamento che possa soltanto lontanamente ipotizzare che "la società" abbia una seppur minima responsabilità sulle scelte e le azioni omicide di un pazzo criminale.
Non sono affatto d’accordo con quanto dici ed il mio pensiero è quanto di più lontano dal tuo.

Propriamente è l’opposto, come logicamente si può evincere da quanto ho scritto in precedenza. Non siamo monadi sconnesse dalle altre (oltre che hobbesiano, sei anche leibniziano), non esistono eventi separati: la famiglia, l’ambiente e la società sono spesso i più importanti responsabili delle “scelte e delle azioni omicide di un pazzo criminale”.

Rifiuto in toto quello che hai scritto, anche a proposito della pena e della mancanza di senso di umanità che si evince dalle tue parole.

Beh, almeno su questo punto abbiamo chiarito i rispettivi pensieri.

Chiarisco pure che è di Trilussa che non me ne frega un fico secco .

Antonio

p.s. l'anarchismo è totalmente anti-militarista e contro ogni tipo di guerra (come anche la Costituzione Repubblicana, art. 11), pensavo fosse chiaro. Per le altre domande, ripeto, o non hai letto o fai finta di non leggere ciò che ho scritto, ma te lo ridico: dipende da cosa sarà l'"Alitalia" o l'"ICI" in siffatte società federate e da come muteranno e vorranno organizzarsi gli uomini e perciò anche i mezzi di comunicazione e spostamento, che potranno essere gestiti in modo non burocratico e senza autorità centrali, collegandosi e rapportando tante federazioni tra loro per il comune interesse, pensa alle cooperative, per fare un esempio di non-anarchia; sicuramente le decisioni, ogni decisione andrà presa in modo il più possibile aperto, collettivo e diretto, magari proprio stile cooperativa (anche se quelle attuali si inscrivono nell'economia di mercato, perciò la mia è solo un'analogia non libertaria, seppur ispirata a principi di partecipazione, giustizia ed apertura), ma ancora una volta ti dico che è impossibile dire ora "chi" dovrà prendere decisioni sull'"Alitalia". Ti invito a rileggere quanto ho scritto, poiché probabilmente non lo hai fatto. Poi, personalmente, non sono un teorizzatore dell'anarchismo né esperto economista, ma non ha grande valore, secondo me, negarlo a priori continuando a portare queste domande. Se si considerano giusti i principi dell'Anarchia, credo sia altrettanto etico e giusto, e non affatto utopico o ingenuo, lo sforzo teorico di proporre risposte a queste domande. Anche tu non hai risposto a molte domande rimaste in sospeso, anche se non ho continuato a ripetertele.
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