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Vecchio 06-02-2013, 14.29.01   #191
ulysse
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da Sgiombo
Sgiombo:
In realtà … è nell’ambito delle strutture cerebrali, che si svolge” il comportamento….ecc…
Citazione:
Ulysse:
…conseguente ad un qualche pensamento!
Magari è un automatismo appreso.....ma non giustifica un "comportamento"…
Sgiombo:
No. E’ la neurofisiologia del cervello, non la coscienza che la accompagna, a causare il comportamento, come vuole la chiusura causale del mondo fisico: in questo avvengono unicamente trasformazioni di materia (massa e/o energia) in altra materia, ecc… secondo proporzioni definite, universali e costanti e niente che non sia materia (quindi nemmeno la mente) vi può determinare effetto alcuno.
Chiusura causale?....forse determinismo?...esiste?
Comunque, pur ignari di come da neurofisiologia emerga pensiero…tuttavia esso emerge!

Le trasformazioni materia/energia, ecc... avvengono secondo leggi fisiche, ma sono io/mente emersa che indirizzo/controllo modi e scopi.
Banalmente, è come il sistema auto/autista: l’auto funziona secondo leggi fisiche nelle sue trasformazioni materia/energia/cinematismi, ma sono io/guidatore che decido dove andare.
Citazione:
Sgiombo:
A parte il fatto che concordo che… <<In assenza dell’organo cerebrale,…..la ”coscienza” è assente>>. Ma ciò non significa affatto che il funzionamento dei tre chili di cervello sia la coscienza, …… vi coesiste (però in un’ altra, diversa coscienza)

Citazione:
Ulysse:
Diversa coscienza!? .... dove?... quale?
Senza cervello non c’è coscienza…quindi è il processo cerebrale che elabora interattivamente stimoli/emozioni/elucubrazioni, ecc….da cui emerge coscienza.
Citazione:
Sgiombo:
Il mio cervello lo puoi vedere tu (ergo: la sua visione accade nell’ ambito della tua esperienza cosciente e non nella mia, esso è un -possibile- insieme di percezioni nella tua coscienza.
Un simile discorso mi pare fuori da ogni logica: credo, comunque, che il tuo cervello funzioni anche se non lo osservo!
D'altra parte, comunque, le mie percezione/stimoli sono elaborati nel mio processo cerebrale e assurgono a mia coscienza.
Citazione:
Ulysse:
Infatti cervello e coscienza non sono affato la stessa cosa: non siamo il nostro cervello, ma siamo, con sensazioni/pensiero/coscienza, ecc…ciò che il nostro processo cerebrale elabora, ecc…
Sgiombo:
Ciò che il ns. cervello elabora, ecc. non sono che potenziali d’ azione ed eccitazioni o inibizioni trans-sinaptiche (che terminano in azioni, .... contrazioni di muscoli, ecc... ...fino al comportamento) e non noi, le ns. sensazioni, la ns. coscienza.
Già detto prima: con i tuoi potenziali d’azione, il processo cerebrale elabora comunque e dalla sua complessità imperscrutata ne emerge pensiero/coscienza che decide/controlla nel continuo feed-back interattivo.
Citazione:
Ulysse:
Quindi è un tutt’uno: il dipolo ed il campo di forza fanno parte dello stesso fenomeno: campo/materia intrinsecamente connessi!
Sgiombo:
Puoi ritagliare arbitrariamente gli eventi come vuoi, ma non puoi impedire al polo positivo del magnete di essere diversa cosa dal polo negativo, anche se necessariamente con esso coesiste.
Ma in un “sistema funzionale” gli elementi non sono identici:…essi, concreti o astratti che siano, interagiscono e concorrono al risultato.
Per il processo cerebrale la risultanza è il pensiero…da cui, fra l’altro, anche il “comportamento”.
Citazione:
Ulysse:
Comunque è un fatto: il tuo cervello non funziona nella mia coscienza o viceversa: infatti … il mio cervello con coscienza emergente, resta il mio ed il tuo resta il tuo.
Sgiombo:
Ovvio che i nostri rispettivi cervelli restino nostri, ma il mio cervello funziona nella coscienza di chi lo osservi funzionare ……e non nella mia; né la mia coscienza è nel mio cervello, che contiene unicamente neuroni, gliociti, assoni, dendriti, sinapsi ecc.
I cervelli sono costituiti comunque da neuroni, assoni, dendriti, sinapsi ecc…
Quindi a me pare sempre uno strano discorso: che un cervello debba e possa funzionare nella coscienza di chi osserva mi parrebbe illogico…già non sappiamo nemmeno come funzioni in noi!?
Cosa suggerirebbe un tale scambio?
Citazione:
Ulysse:
…….. il chirurgo, credo, resta cosciente quando il paziente perde la sua di coscienza...di norma!...magari, caso speciale, possono restare anche entrambi coscienti!
Sgiombo:
Nelle celebri esperienze del neurochirurgo Wilder Penfield i pazienti erano operati in anestesia locale e restavano coscienti (anche perché altrimenti non avrebbero potuto collaborare con lui, dire cosa sentivano allorché lui stimolava elettricamente le loro aree sensitive, ecc.).
Ho letto di questa metodica sul cervello a "cielo aperto"…ma credo che essa confermi quanto dico: Il paziente mantiene ben salda la sua coscienza ed il chirurgo la sua: lo stesso paziente "cosciente", collabora col chirurgo...cosciente!.
Citazione:
Sgiombo:
Tutti i cervelli potrebbero benissimo spiegare il comportamento di chi li possiede anche se non fossero accompagnati da coscienza (…..un’ altra cosa, irrilevante, contrariamente al cervello, ai fini del comportamento) così come Descartes pensava degli animali (non: così come io credo accada agli animali) non umani.

Negli animali inferiori prevale un comportamento istintuale:con l'evolvere le specie animali tendono ad assumere comportamenti più adattativi e meglio coerenti con l’ambiente rispetto al quale assumono gradi di libertà e coscienza di sè.
Noi umani facciamo il salto e pensiamo che il massimo del comportamento cosciente si attui proprio nella nostra specie.…tanto che riteniamo che i nostri cosiddetti istinti, piuttosto che “inalienabili”, possano definirsi “pulsioni” controllabili da ragione e coscienza di essere coscienti.
Citazione:
Ulysse:
La mi gatta, nel saltare sulla sedia, valuta l’altezza e calcola la corrispondente spinta necessaria per arrivarci.
Non salta, invece, direttamente sul tavolo perchè "valuta saggiamente" che esso sia troppo alto e decide di astenersi: questo è un pensare/cosciente delle proprie possibilità…un comportamento dettato da pensiero di gatto cosciente di sè!
Sgiombo:
No, questo è semplicemente un comportamento; anche una macchina priva di coscienza lo potrebbe attuare benissimo.
Ma non hai notato la frase che ho appositamente scritta:
….un comportamento dettato da pensiero di gatto cosciente di sè!
Il gatto ed il robot, infatti, possono fare la stessa cosa, ma il gatto è vivo e sa quello che fa, ha coscienza del comportamento e decide, il robot non ha vita e anche se fa, non sa e non ha coscienza di quello che fa!

Per quanto…magari è impossibile… ma i film citati nel precedente post…”Blade Runner” e “L’Uomo Bicentenario” avevano proprio questo di coinvolgente e sconvolgente!

Niente di scientifico, ovviamente, fantascientifico anzi, ma l’ipotesi del film (certo non voluta dai costruttori) era che il robot, acquisendo esperienza, apprendendo (intelligenza artificiale), potesse evolvere verso la coscienza del proprio essere …umanizzandosi in qualche modo.
Citazione:
Sgiombo:
il cervello non può generare nulla di non materiale (infatti “genera” solo il comportamento) per la chiusura causale del mondo fisico (i materialisti più conseguenti sono costretti ad essere “eliminativisti”)
Eliminativisti!!! …chiusura casuale!....
La tua è comunque una affermazione azzardata…priva di fondamento..in qualche modo ideologizzata!
In realtà la grande ipotesi è che dall’organo cerebrale emergano pensiero e coscienza..altrimenti da cosa?...andiamo per esclusione!
Certo il neuroscinziato ancora non sa come! …ed è questo il grande problema del secolo!
Citazione:
Ulysse:
Aggiungo ora (critica a me stesso) che quel che importa è la considerazione/supposizione che noi ne facciamo: se il robot ci “appare” dotato di coscienza non siamo più di fronte ad una macchina e sarebbe immorale consideralo tale: che sia robot o umano entra anche nella nostra coscienza.
Sgiombo:
Allo stesso modo dovresti dire che se il sole ci “appare girare intorno alla terra, allora effettivamente gira intorno alla terra (la questione morale è tutt’ altro –interessantissimo- argomento).
Infatti la questione morale non è questione oggettiva come la relatività orbitale Terra/Sole.
La questione morale, invece, è soggettiva: i tedeschi non avrebbero gasato gli ebrei se non fossero sati disumanizzati: il manifesto incitante alla “caccia” degli ebrei mostrava shifose pantegane!

Allo stesso modo, inversamente, io, a torto o a ragione, antropomorfizzo la mia gatta, ne umanizzo i comportamenti conseguenti a pensiero e non emersi da semplice istinto: in conseguenza, sono moralmente coinvolto nelle sue esigenze fisiche e spirituali.
Citazione:
Ulysse:
Veramente anche l’animale, …. necessita della coscienza delle coordinate di sé: io sono leone e tu gazzella!...e viceversa.
Ne consegue il reciproco comportamento:
Il leone ha coscienza del proprio essere leone e insegue.
La gazzella sa di essere gazzella e fugge.
Sgiombo:
La gazzella ha bisogno di fuggire, il leone di inseguire, cose che in teoria possono benissimo accadere senza le rispettive esperienze coscienti perché le determina (il fuggire e l’ inseguire) il cervello e non la coscienza.
Il cervello è solo un organo…come sarebbe il fegato…non influisce se non ne emerge pensiero…volizione, ecc…

Comunque è difficile dire cosa veramente influisca sull’agire!
Magari alla base del cacciare e del fuggire influiscono gli istinti evolutivamente formatisi.

In ogni caso i reciproci comportamenti “predatori”/ “predandi” sono troppo ”adattivi” per pensare che siano solo automatismi esenti da un qualche pensiero e coscienza di sé.
ulysse is offline  
Vecchio 06-02-2013, 19.08.37   #192
CVC
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Originalmente inviato da gyta
Detta così è un po’ fraintendibile.. (seppure anch’io ad un certo livello lo creda)..
Forse intendevi con “medesima” il fatto che (come aggiungevi nella frase che seguiva)
siamo noi nell’atto di riconoscere l’ “Altro” come identità (identità differente/ distinta da noi)
a fornirgliela quella uguaglianza, poiché intesa intrinseca al concetto di identità.. ?
Tu avevi detto

"La realtà di cui andiamo cercando un luogo ed una identificazione non è che il nome che diamo
a ciò che sperimentiamo e che come un mosaico distinguiamo in infiniti pezzi. "

Al che io ho risposto domandando se ciò che hanno in comune gli infiniti pezzi del mosaico non fosse il fatto di avere la medesima identità.
Con ciò intendevo dire che includiamo nel concetto di realtà tutte quelle infinite realtà diverse (i pezzi del mosaico) che prese singolarmente si mostrerebbero come realtà di specie differenti fra loro.
Il fatto di rinchiudere tutte le diverse realtà in una è il nostro limite in quanto identità, il fatto di avere un'identità ci obbliga a pensare ad una realtà unica che comprenda le altre.
Per noi è necessario fare così per avere un orientamento, e l'orientamento ci serve per sopravvivere.
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Vecchio 06-02-2013, 20.58.38   #193
sgiombo
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Ulysse:
Amico Sgiombo,
Sembra che io, tu o entrambi facciamo un pò di confusione…e, reciprocamente, non comprendiamo ciò che diciamo!

Sgiombo:
D’ accordo.
Infatti, ad esempio, mi attribuisci la seguente affermazione:
"Sembra, per parte tua, che il “comportamento”, non avendo origine dall’organo cerebrale, sia autonomo e indipendente da “pensiero” e “coscienza” che é quasi esattamente il perfetto contrario di quanto ho sempre sostenuto, in particolare in questa discussione.
Poi tiri in ballo ancora la solita epifisi, con la quale le mie convinzioni circa la questione materia/pensiero (o cervello/coscienza) non hanno mai avuto nulla a che vedere.
E inoltre ti stupisci del mio razionalismo (“Devo, tuttavia, confessare che non capisco la coerenza del tuo discorso …tanto più che affermi di essere alieno da convincimenti trascendentali, metafisici o di qualche filosofia orientale”).

Penso che sia il caso di arrenderci all’ evidenza di una totale incomunicabilità fra di noi (io almeno non ho più la pazienza di rispondere per filo e per segno a tutti i tuoi fraintendimento delle mie convinzioni; e immagino che per te non sia diverso).
Quindi per parte mia interromperei qui la discussione serenamente, senza malevolenza nei tuoi confronti: stammi bene!
sgiombo is offline  
Vecchio 10-02-2013, 18.27.43   #194
ulysse
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Originalmente inviato da sgiombo
Ulysse:
Amico Sgiombo,
Sembra che io, tu o entrambi facciamo un pò di confusione…e, reciprocamente, non comprendiamo ciò che diciamo!
Citazione:
sgiombo:
D’ accordo.
Infatti, ad esempio, mi attribuisci la seguente affermazione:
"Sembra, per parte tua, che il “comportamento”, non avendo origine dall’organo cerebrale, sia autonomo e indipendente da “pensiero” e “coscienza” che é quasi esattamente il perfetto contrario di quanto ho sempre sostenuto, in particolare in questa discussione.

Ecco… vedi?... il quì quò quà!?
Mentre sostieni che il “comportamento” è emanazione del solo cervello….io mi sfianco a dire, parendomi ovvio, che, proprio insieme col cervello, pensiero e coscienza vi sono inevitabilmente implicati e coinvolti.
Se poi anche tu concordi con quanto dico (cioè che pensiero e coscienza sono coinvolti nel "comportamento") allora la discussione, il contrasto, non avrebbe avuto e non ha ragion d’essere!

Quanto alla ghiandola ipofisaria era solo una mia estremizzazione...al limite...per assurdo!…Incompresa!

Quindi è vero: i fraintendimenti ci sono…ma non so se solo o quanto da parte mia.
Comunque portare avanti il discorso è estrema fatica…e, purtroppo, anche inutile!
Magari ci incontreremo di nuovo su di un terreno meno irto di difficoltà e meno ambiguo!
ulysse is offline  
Vecchio 11-02-2013, 09.18.12   #195
gyta
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Citazione:
Tu avevi detto

"La realtà di cui andiamo cercando un luogo ed una identificazione non è che il nome che diamo
a ciò che sperimentiamo e che come un mosaico distinguiamo in infiniti pezzi. "

Al che io ho risposto domandando se ciò che hanno in comune gli infiniti pezzi del mosaico non fosse il fatto di avere la medesima identità.
Con ciò intendevo dire che includiamo nel concetto di realtà tutte quelle infinite realtà diverse (i pezzi del mosaico) che prese singolarmente si mostrerebbero come realtà di specie differenti fra loro.
(cvc)
Ok.

Citazione:
Il fatto di rinchiudere tutte le diverse realtà in una è il nostro limite in quanto identità, il fatto di avere un'identità ci obbliga a pensare ad una realtà unica che comprenda le altre.
(cvc)


Penso sia più un limite del linguaggio che non un nostro limite, che non un limite insito alla mente
(che sia più un limite insito al linguaggio atto a rappresentare tramite rapporto
che non un limite proprio alla capacità mentale più integra).
Al di sotto di tutto c’è un’intuizione capace di cogliere anche l’inadeguatezza
del termine identità a designare quel noi capace di intuire e discernere.
Ciò che intuiamo e sintetizziamo sotto il termine identità non abbraccia distinzioni spazio temporali,
non sino al momento in cui attraverso il linguaggio nominandola limitiamo nel tempo e nello spazio quell’esperienza
costringendola entro parametri francamente distanti da ciò che sperimentiamo nel profondo.

C’è un punto dove l’analisi filosofica dell’esperienza può giungere al suo limite a causa del linguaggio atto a definirla
costretto entro una rappresentazione tramite rapporto o può proseguire in una forma di linguaggio o per meglio dire
di coscienza capace di continuare oltre il limite di quel linguaggio a rappresentazione tramite rapporto
entrando nel campo della mistica dove il linguaggio che prima emergeva dal contrasto (rappresentazione
tramite rapporto) ora percorre centrale la via sintattica dell’intuizione dove ciò che viene a delinearsi
è l’esperienza sganciata dai concetti limite spazio temporali.
In un certo senso possiamo paragonare la filosofia alla psicologia e la mistica alla psicoanalisi,
queste ultime due strade in un terreno anarchico dell’esperienza dove lo spazio tempo si dilata
sino a convergere in un terreno-dimensione che lo trascende,
la trascesa è al contempo inclusione e superamento.
Così come al contrario il legame fra due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno realizza
il fenomeno dimensionale acqua. Ma questo ultimo rapporto preso alla lettera può essere fuorviante
al tema indagine intorno alla realtà-sostanza a-dimensionale, di cui già la presunta definizione
linguistica può sortire da nuovo limite verso la comprensione esperienziale.

Antichi scritti ispirati definiscono la realtà con le seguenti parole:
Ciò attraverso cui l’occhio vede, l’orecchio ode (etc..)"
Ciò attraverso cui ogni realtà è
Ed a questo livello di indagine l’io, il me e l’altro-da-me
sono trascesi nel senso di cui sopra, ovvero al contempo
inclusi e superati poiché proiezioni infinite di qualcosa che si manifesta.
Parafrasando un certo Eckhart “ l'occhio, attraverso il quale io vedo
è lo stesso occhio attraverso cui sono veduto

mettendo al centro del linguaggio non il contrasto che crea la relazione
ma la relazione stessa eletta ad assoluto, a soggetto intrinseco.
All signor Eckhart verrebbero attribuite nel particolare queste parole:
l'occhio, nel quale io vedo Dio, è lo stesso occhio, da cui Dio mi vede;
il mio occhio e l'occhio di Dio, sono un solo occhio e una sola conoscenza

Ma amando l’essenziale del significato levo ogni incognita e colgo
la sintassi che sta alla base di quella affermazione.
Scompare il dualismo ma al contempo anche il concetto di unità.

Vederlo come unità sarebbe nuovamente tornare al limite del linguaggio procedente per contrapposizione.
Dove c’è un prima ed un dopo, un qui ed un là, un ora ed un non ora.
Le speculazioni intorno a questo differente linguaggio riporterebbero quella coscienza capace
di cogliere oltre le limitazioni nuovamente entro il terreno dei limiti.
Ecco perché all’inizio dei miei commenti affermavo non fuori né dentro.
Qualcuno potrà commentare sia comodo autoreferenziale non replicabile un procedere di questo tipo..
Ma francamente, il nostro fine qual è? Quello di giungere a comprendere o quello di confermare la validità
di ciò che consideriamo logico ed apparentemente non paradossale?

Argomentazione quella che segue decisamente ambiziosa per la sottoscritta visto che la mia riflessione
è ispirata a una conoscenza molto elementare del linguaggio matematico..
Se la realtà si spiegasse attraverso quella logica non radicante il paradosso
ditemi allora come tutta la matematica che pur funziona nel suo gioco
radica proprio sul fondamento di un irrazionale intrinseco ed a conferma del reale?
Achille raggiunge la tartaruga, del gatto nulla si può dire oppure non sono che il simbolo di un linguaggio
inadeguato ad esprimere il cuore del reale? Eppure se tutto è rapporto ovvero se la sintassi sulla quale
si fonda il nostro linguaggio è atta ad esprimere il reale allora la diagonale di un quadrato di lato unitario
sarebbe ben rappresentabile tramite numero frazionario ovvero come rapporto.
E’ interessante notare che nella rappresentazione matematica la definizione dell’insieme dei numeri reali
è dato dal’unione dell’insieme dei numeri razionali e dei numeri irrazionali.
Mentre la cosiddetta logica diretta apparentemente razionale (secondo cui a non può essere non a)
applicata al contesto matematico della realtà intesa come insieme “Universo” resterebbe bloccata
all’insieme dei numeri razionali non potendo accettare dimostrazioni apparentemente paradossali
riguardo all’indagine del reale o universale che si voglia.
Il linguaggio matematico fondamentalmente più rigoroso di quello dell’apparente logica diretta
(“a non può essere non-a”) contempla nel proprio argomentare quegli apparenti paradossi
che l’uso approssimato della ragione sembra invece non saper affatto superare,
giungendo invece ben a rappresentare ciò che definiamo reale.
La mistica dal canto suo riesuma troppo di frequente quella sorta di deus ex machina”
riuscendo solo ad allontanare sempre più quei ricercatori autentici ben poco propensi a tappare la falla del reale
con il concetto obsoleto e non ben definito di mistero divino.

Concludo queste riflessioni con un sorriso di apertura d'ispirazione Amletica..
Ci son più cose in cielo e in terra
di quanto non ne contempli la nostra filosofia

Ultima modifica di gyta : 11-02-2013 alle ore 21.44.51.
gyta is offline  
Vecchio 11-02-2013, 23.35.48   #196
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Originalmente inviato da gyta
Ok.




Penso sia più un limite del linguaggio che non un nostro limite, che non un limite insito alla mente
(che sia più un limite insito al linguaggio atto a rappresentare tramite rapporto
che non un limite proprio alla capacità mentale più integra).
Al di sotto di tutto c’è un’intuizione capace di cogliere anche l’inadeguatezza
del termine identità a designare quel noi capace di intuire e discernere.
Ciò che intuiamo e sintetizziamo sotto il termine identità non abbraccia distinzioni spazio temporali,
non sino al momento in cui attraverso il linguaggio nominandola limitiamo nel tempo e nello spazio quell’esperienza
costringendola entro parametri francamente distanti da ciò che sperimentiamo nel profondo.

C’è un punto dove l’analisi filosofica dell’esperienza può giungere al suo limite a causa del linguaggio atto a definirla
costretto entro una rappresentazione tramite rapporto o può proseguire in una forma di linguaggio o per meglio dire
di coscienza capace di continuare oltre il limite di quel linguaggio a rappresentazione tramite rapporto
entrando nel campo della mistica dove il linguaggio che prima emergeva dal contrasto (rappresentazione
tramite rapporto) ora percorre centrale la via sintattica dell’intuizione dove ciò che viene a delinearsi
è l’esperienza sganciata dai concetti limite spazio temporali.
In un certo senso possiamo paragonare la filosofia alla psicologia e la mistica alla psicoanalisi,
queste ultime due strade in un terreno anarchico dell’esperienza dove lo spazio tempo si dilata
sino a convergere in un terreno-dimensione che lo trascende,
la trascesa è al contempo inclusione e superamento.
Così come al contrario il legame fra due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno realizza
il fenomeno dimensionale acqua. Ma questo ultimo rapporto preso alla lettera può essere fuorviante
al tema indagine intorno alla realtà-sostanza a-dimensionale, di cui già la presunta definizione
linguistica può sortire da nuovo limite verso la comprensione esperienziale.

Antichi scritti ispirati definiscono la realtà con le seguenti parole:
Ciò attraverso cui l’occhio vede, l’orecchio ode (etc..)"
Ciò attraverso cui ogni realtà è
Ed a questo livello di indagine l’io, il me e l’altro-da-me
sono trascesi nel senso di cui sopra, ovvero al contempo
inclusi e superati poiché proiezioni infinite di qualcosa che si manifesta.
Parafrasando un certo Eckhart “ l'occhio, attraverso il quale io vedo
è lo stesso occhio attraverso cui sono veduto

mettendo al centro del linguaggio non il contrasto che crea la relazione
ma la relazione stessa eletta ad assoluto, a soggetto intrinseco.
All signor Eckhart verrebbero attribuite nel particolare queste parole:
l'occhio, nel quale io vedo Dio, è lo stesso occhio, da cui Dio mi vede;
il mio occhio e l'occhio di Dio, sono un solo occhio e una sola conoscenza

Ma amando l’essenziale del significato levo ogni incognita e colgo
la sintassi che sta alla base di quella affermazione.
Scompare il dualismo ma al contempo anche il concetto di unità.

Vederlo come unità sarebbe nuovamente tornare al limite del linguaggio procedente per contrapposizione.
Dove c’è un prima ed un dopo, un qui ed un là, un ora ed un non ora.
Le speculazioni intorno a questo differente linguaggio riporterebbero quella coscienza capace
di cogliere oltre le limitazioni nuovamente entro il terreno dei limiti.
Ecco perché all’inizio dei miei commenti affermavo non fuori né dentro.
Qualcuno potrà commentare sia comodo autoreferenziale non replicabile un procedere di questo tipo..
Ma francamente, il nostro fine qual è? Quello di giungere a comprendere o quello di confermare la validità
di ciò che consideriamo logico ed apparentemente non paradossale?

Argomentazione quella che segue decisamente ambiziosa per la sottoscritta visto che la mia riflessione
è ispirata a una conoscenza molto elementare del linguaggio matematico..
Se la realtà si spiegasse attraverso quella logica non radicante il paradosso
ditemi allora come tutta la matematica che pur funziona nel suo gioco
radica proprio sul fondamento di un irrazionale intrinseco ed a conferma del reale?
Achille raggiunge la tartaruga, del gatto nulla si può dire oppure non sono che il simbolo di un linguaggio
inadeguato ad esprimere il cuore del reale? Eppure se tutto è rapporto ovvero se la sintassi sulla quale
si fonda il nostro linguaggio è atta ad esprimere il reale allora la diagonale di un quadrato di lato unitario
sarebbe ben rappresentabile tramite numero frazionario ovvero come rapporto.
E’ interessante notare che nella rappresentazione matematica la definizione dell’insieme dei numeri reali
è dato dal’unione dell’insieme dei numeri razionali e dei numeri irrazionali.
Mentre la cosiddetta logica diretta apparentemente razionale (secondo cui a non può essere non a)
applicata al contesto matematico della realtà intesa come insieme “Universo” resterebbe bloccata
all’insieme dei numeri razionali non potendo accettare dimostrazioni apparentemente paradossali
riguardo all’indagine del reale o universale che si voglia.
Il linguaggio matematico fondamentalmente più rigoroso di quello dell’apparente logica diretta
(“a non può essere non-a”) contempla nel proprio argomentare quegli apparenti paradossi
che l’uso approssimato della ragione sembra invece non saper affatto superare,
giungendo invece ben a rappresentare ciò che definiamo reale.
La mistica dal canto suo riesuma troppo di frequente quella sorta di deus ex machina”
riuscendo solo ad allontanare sempre più quei ricercatori autentici ben poco propensi a tappare la falla del reale
con il concetto obsoleto e non ben definito di mistero divino.

Concludo queste riflessioni con un sorriso di apertura d'ispirazione Amletica..
Ci son più cose in cielo e in terra
di quanto non ne contempli la nostra filosofia
Non so se ho ben compreso la trama del tuo ragionamento, mi sembra tu voglia intendere che il linguaggio ha dei limiti nel rappresentare il reale (come del resto la matematica), e che l'essenza del reale ci viene fornita dall'intuizione. Penso anch'io che sia così, se poi però vogliamo tentare di spiegarcelo il reale, allora dobbiamo ricorrere al linguaggio ed alla matematica.
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Vecchio 13-02-2013, 08.28.37   #197
gyta
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Citazione:
Penso anch'io che sia così, se poi però vogliamo tentare di spiegarcelo il reale, allora dobbiamo ricorrere al linguaggio ed alla matematica.
(cvc)

Si, verso un linguaggio al servizio della mente nella sua completezza , che dia posto alla percezione intuitiva.
Un linguaggio che necessita di una sempre maggiore criticità sintattica,
di un ampliamento che includa all’identificazione di ciò che percepiamo la metafora e si sleghi sempre più
dalla rigidità di una prospettiva d’immagine limitatamente tridimensionale e volutamente oggettiva;
forse allora senza la pretesa di un oggettività potremo gradualmente giungere, integrando il pensiero all’analisi introspettiva,
ad un linguaggio rappresentativo del reale esperienziale maggiormente condivisibile.
Come? Non lo so.. proviamoci..
D’altronde se ci atteniamo man mano ad un indagine parallela alla nostra maturità emotiva interiore
allora le risposte che diamo potranno essere usate man mano per svelarci a noi stessi..
In un certo senso è già quello che facciamo quando riflettiamo per davvero nei nostri dialoghi assieme..

All’inizio come nella musica potrà apparire un'integrazione cacofonica
rincuorandoci all’ispirazione degli esperimenti di Cage
forse potremo giungere ad una comunicazione capace di trasmettere qualcosa in più
che non il solo significato “binario”..

Citazione:
e che l'essenza del reale ci viene fornita dall'intuizione

Diciamo che l’intuizione non resta più marginale all’analisi,
come probabilmente sino in fondo mai lo è per davvero stata..
Oltretutto penso che l’intuizione a differenza di come viene definita
sia comunque ad un determinato livello mediata dall’influenza rappresentativa della mente razionale solo che ciò avviene nel profondo e non solo attraverso il bagaglio di conoscenze coscienti e la logica su cui si fonda non è sempre direttamente estrapolata dal contesto preso in esame ma dal totale delle informazioni che appartengono per forza di cose alla totalità di ciò che si esamina e da chi esamina..
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Vecchio 15-02-2013, 08.52.26   #198
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Si, verso un linguaggio al servizio della mente nella sua completezza , che dia posto alla percezione intuitiva.
Un linguaggio che necessita di una sempre maggiore criticità sintattica,
di un ampliamento che includa all’identificazione di ciò che percepiamo la metafora e si sleghi sempre più
dalla rigidità di una prospettiva d’immagine limitatamente tridimensionale e volutamente oggettiva;
forse allora senza la pretesa di un oggettività potremo gradualmente giungere, integrando il pensiero all’analisi introspettiva,
ad un linguaggio rappresentativo del reale esperienziale maggiormente condivisibile.
Come? Non lo so.. proviamoci..
D’altronde se ci atteniamo man mano ad un indagine parallela alla nostra maturità emotiva interiore
allora le risposte che diamo potranno essere usate man mano per svelarci a noi stessi..
In un certo senso è già quello che facciamo quando riflettiamo per davvero nei nostri dialoghi assieme..

All’inizio come nella musica potrà apparire un'integrazione cacofonica
rincuorandoci all’ispirazione degli esperimenti di Cage
forse potremo giungere ad una comunicazione capace di trasmettere qualcosa in più
che non il solo significato “binario”..



Diciamo che l’intuizione non resta più marginale all’analisi,
come probabilmente sino in fondo mai lo è per davvero stata..
Oltretutto penso che l’intuizione a differenza di come viene definita
sia comunque ad un determinato livello mediata dall’influenza rappresentativa della mente razionale solo che ciò avviene nel profondo e non solo attraverso il bagaglio di conoscenze coscienti e la logica su cui si fonda non è sempre direttamente estrapolata dal contesto preso in esame ma dal totale delle informazioni che appartengono per forza di cose alla totalità di ciò che si esamina e da chi esamina..
Io credo che il linguaggio sia intrinsecamente legato al pensiero, non che linguaggio e pensiero siano la stessa cosa, ma sono strettamente dipendenti l'uno dall'altro. Senza l'uno non potrebbe esserci l'altro. Linguaggio e pensiero permettono all'uomo di poter essere obbiettivo, l'obbiettività permette all'uomo di mettere in atto i suoi scopi. L'intuizione rappresenta un pò un mistero in quanto pare uscire dal e ritornare nel nulla, comunque mi sembra chiaro che le intuizioni non abbiano solo un'accezione positiva, non esistono solo buone intuizioni, ci sono uomini che sono andati incontro alla rovina per aver seguito delle cattive intuizioni. E' l'uomo obbiettivo che ha conquistato il progresso, grazie anche alle intuizioni, ma non prima di avere obbiettivamente separato le intuizioni buone da quelle cattive.
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Vecchio 28-02-2013, 16.20.41   #199
gyta
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comunque mi sembra chiaro che le intuizioni non abbiano solo un'accezione positiva, non esistono solo buone intuizioni


Hai ragione. Bisogna aver raggiunto un alto grado di pulizia da preconcetti per poter giungere
a quel terreno pulito e fertile dell’intelligenza diciamo incontaminata dove ogni riflessione viene colta
in base al cuore delle considerazioni e delle finalità che l’hanno generata.
In questo clima allora l’intuizione non è più giocata da disposizioni interiori totalmente inconsce.
Non è un argomento che si possa chiarire in poche parole e passaggi.. diciamo che lo intendo in un certo senso la sintesi di un percorso psicoanalitico che prosegue ben oltre la ricostruzione di un io cosiddetto sano (o pacificato) giungendo sino a monte di quell’io nell’analisi pulita del processo percettivo, quello relativo alla coscienza di sé sino al terreno della coscienza diciamo ‘priva di oggetto percettivo’, seppure la definizione è da intendere come semplice indirizzo e naturalmente non in modalità acritica.
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credo che il linguaggio sia intrinsecamente legato al pensiero, non che linguaggio e pensiero siano la stessa cosa, ma sono strettamente dipendenti l'uno dall'altro

Non è certo argomento che si possa esaurire in poche considerazioni nemmeno questo..
In un certo senso penso che il pensiero si formi e si formuli attraverso il linguaggio
ecco perché trovo essenziale che il linguaggio non si esaurisca e si fermi al pescare intorno
all’espressione percettiva di altri ed in qual senso assodata ma sia e diventi ricerca tanto
da poter giungere individualmente a scoprire quali e quanti mondi esistenti sembrano non poter esistere
non poter venire alla luce a causa di una sorta di incapacità a fornire quel sentire profondo di suoni,
di azioni, quei movimenti interiori predisposti a dare luce, a compiere, a realizzare, a completare la nascita. Molti dei nostri pensieri, della nostra stessa coscienza sono quasi inderogabilmente frutto di una pre-organizzazione di ciò che è e deve essere il percepire e lo sperimentare l’essere.. tanto che molti voci interiori ancora in nascere sembrano quasi impossibilitate a venire in vita, ad essere accolte attraverso l’azione attiva dell’esprimerle restando solo una sorta di substrato in potenza tristemente destinato all’oblio, al buio, a quella sorta di vuoto che talvolta sentiamo tristemente emergere ed inondarci,
non avendo mai ascoltato quel richiamo sotterraneo sconosciuto tendiamo ad evitarlo come si trattasse di una mancanza da evitare presto senza accorgerci che in quel vuoto, in quella zona d’ombra o di buio risiede un potere grandissimo, la nostra identità rimossa.
Non credo certo di aver dato abbastanza luce in questo magro argomentare.. solo un abbozzo.. riflessioni abbozzate..

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E' l'uomo obbiettivo che ha conquistato il progresso, grazie anche alle intuizioni, ma non prima di avere obbiettivamente separato le intuizioni buone da quelle cattive.
Quello che tu individui o chiami obiettività finalizzata al progresso non è che un pianeta linguistico,
un mondo costruito intorno ad una bussola ben precisa, un aspetto del raziocinio della mente umana.
Quanti e quali altri progressi e mondi con differenti bussole, con l’integrazione di aspetti differenti di quel raziocinio della mente umana?
Spesso il linguaggio si amplia nell’incontro di una realtà esterna che s’impone al nostro sguardo..
allora ampliamo i nostri vocaboli per dare un nome a qualcosa che prima sembrava non appartenere al nostro mondo, qualcosa che credevamo non conoscere e solo tramite la visione esterna abbiamo dovuto riconoscere. Eppure ciò che ora conosciamo e che forniamo di una realtà e di un nome non è che proiezione di un aspetto infinitesimale di quel linguaggio ancora privo si suono che si concretizza marciando attraverso quel canone bussola di quel determinato e alimentato aspetto del raziocinio della mente umana. Quanti altri mondi e linguaggi espressi, portati alla luce se non attendessimo la strada usuale del riconoscimento tramite proiezione, seppure talvolta e a un certo livello quasi obbligato?
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Vecchio 01-03-2013, 08.30.36   #200
CVC
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Originalmente inviato da gyta
Hai ragione. Bisogna aver raggiunto un alto grado di pulizia da preconcetti per poter giungere
a quel terreno pulito e fertile dell’intelligenza diciamo incontaminata dove ogni riflessione viene colta
in base al cuore delle considerazioni e delle finalità che l’hanno generata.
In questo clima allora l’intuizione non è più giocata da disposizioni interiori totalmente inconsce.
Non è un argomento che si possa chiarire in poche parole e passaggi.. diciamo che lo intendo in un certo senso la sintesi di un percorso psicoanalitico che prosegue ben oltre la ricostruzione di un io cosiddetto sano (o pacificato) giungendo sino a monte di quell’io nell’analisi pulita del processo percettivo, quello relativo alla coscienza di sé sino al terreno della coscienza diciamo ‘priva di oggetto percettivo’, seppure la definizione è da intendere come semplice indirizzo e naturalmente non in modalità acritica.
Questo lavoro non è prerogativa esclusiva della psicoanalisi, basta guardare la prima regola del metodo di Cartesio, «Non prendere mai niente per vero, se non ciò che io avessi chiaramente riconosciuto come tale; ovvero, evitare accuratamente la fretta e il pregiudizio, e di non comprendere nel mio giudizio niente di più di quello che fosse presentato alla mia*mente*così chiaramente e distintamente da escludere ogni possibilità di dubbio».
Credo non sia necessario psicanalizzarsi per mettere chiarezza nei propri pensieri, è sufficiente abituarsi a ragionare in modo matematico.

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Non è certo argomento che si possa esaurire in poche considerazioni nemmeno questo..
In un certo senso penso che il pensiero si formi e si formuli attraverso il linguaggio
ecco perché trovo essenziale che il linguaggio non si esaurisca e si fermi al pescare intorno
all’espressione percettiva di altri ed in qual senso assodata ma sia e diventi ricerca tanto
da poter giungere individualmente a scoprire quali e quanti mondi esistenti sembrano non poter esistere
non poter venire alla luce a causa di una sorta di incapacità a fornire quel sentire profondo di suoni,
di azioni, quei movimenti interiori predisposti a dare luce, a compiere, a realizzare, a completare la nascita. Molti dei nostri pensieri, della nostra stessa coscienza sono quasi inderogabilmente frutto di una pre-organizzazione di ciò che è e deve essere il percepire e lo sperimentare l’essere.. tanto che molti voci interiori ancora in nascere sembrano quasi impossibilitate a venire in vita, ad essere accolte attraverso l’azione attiva dell’esprimerle restando solo una sorta di substrato in potenza tristemente destinato all’oblio, al buio, a quella sorta di vuoto che talvolta sentiamo tristemente emergere ed inondarci,
non avendo mai ascoltato quel richiamo sotterraneo sconosciuto tendiamo ad evitarlo come si trattasse di una mancanza da evitare presto senza accorgerci che in quel vuoto, in quella zona d’ombra o di buio risiede un potere grandissimo, la nostra identità rimossa.
Non credo certo di aver dato abbastanza luce in questo magro argomentare.. solo un abbozzo.. riflessioni abbozzate..

Credo sia una questione di integrazione, alcuni pensieri si integrano con altri e sopravvivono, altri non si integrano e scompaiono. Quanto più è ricco il linguaggio di una persona e tanto maggiore è la possibilità di agire su questo processo di integrazione e non integrazione per i propri scopi.


Citazione:
Quello che tu individui o chiami obiettività finalizzata al progresso non è che un pianeta linguistico,
un mondo costruito intorno ad una bussola ben precisa, un aspetto del raziocinio della mente umana.
Quanti e quali altri progressi e mondi con differenti bussole, con l’integrazione di aspetti differenti di quel raziocinio della mente umana?
Spesso il linguaggio si amplia nell’incontro di una realtà esterna che s’impone al nostro sguardo..
allora ampliamo i nostri vocaboli per dare un nome a qualcosa che prima sembrava non appartenere al nostro mondo, qualcosa che credevamo non conoscere e solo tramite la visione esterna abbiamo dovuto riconoscere. Eppure ciò che ora conosciamo e che forniamo di una realtà e di un nome non è che proiezione di un aspetto infinitesimale di quel linguaggio ancora privo si suono che si concretizza marciando attraverso quel canone bussola di quel determinato e alimentato aspetto del raziocinio della mente umana. Quanti altri mondi e linguaggi espressi, portati alla luce se non attendessimo la strada usuale del riconoscimento tramite proiezione, seppure talvolta e a un certo livello quasi obbligato?
Io non penso all'obbiettività come ad un pianeta linguistico, mi riferivo piuttosto (vagamente diciamo, per non scandalizzare i cultori del filosofo) all'imperativo categorico di Kant: "Agisci in modo tale che la tua volontà possa, in forza della sua massima, considerare se stessa come istituente nello stesso tempo una legislazione universale."
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