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Vecchio 03-04-2013, 00.02.55   #281
maral
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Citazione:
Ulysse: Ma ho mille volte citato il metodo scientifico di Galileo ove la sperimentazione e la esplicazione matematica sono prevalenti per l’oggettività.
Certamente la forza della scienza consiste nel darsi un metodo di interpretazione e valutazione preciso e rigoroso. Il problema dell’oggettività però non è risolto dal metodo (a meno che non si postuli che è oggettivo ciò che il metodo postula come oggettivo e che tutti gli scienziati sono tenuti a priori ad accettare per tale).
Riprendo la definizione riportata da Wikipedia tentando di evidenziare i punti in cui la pretesa di oggettività mi pare arbitraria al di fuori di una soggettività condivisa (come proposto da Carnap per i filosofi del forum).

Citazione:
Il metodo scientifico o sperimentale si articola in due fasi:
• fase induttiva (cioè dallo studio di specifici dati sperimentali si giunge alla formulazione della regola universale)
• fase deduttiva.
Le fasi induttive e deduttive appartengono comunque al modo di funzionare della mente dell’osservatore, non al fenomeno osservato, pertanto applicare l’induzione e la deduzione al fenomeno osservato significa o che nella “natura” vi è una logica intrinseca che accomuna osservatore e osservato entrambi capaci di funzionare in forma logica, o che l’ induzione e la deduzione alterano il fenomeno stesso. Io propenderei per la prima ipotesi.

Citazione:
La fase induttiva si divide inoltre in:
• osservazioni e misure (in questa fase si utilizza la strumentazione opportuna e si raccolgono i dati)
• formulazione di un’ipotesi, si tenta cioè di spiegare il fenomeno, mediante la “lettura” dei dati sperimentali.
La “raccolta dati” presuppone una selezione dei dati da raccogliere, questa selezione è prestabilita dal metodo che stabilisce sia quali sono significativi (misurabili, ripetibili) e quali interferenti (occasionali, soggettivi, non misurabili con gli strumenti a disposizione). Pertanto la lettura dei dati non è una semplice presa visione del reale, ma un processo selettivo, ove la selezione è compiuta dalla mente dell’osservatore in un contesto il più standardizzato possibile (pertanto artificiale, non naturale, comunque culturale). L’artificio sta nel separare il fenomeno riproducendolo in un contesto neutro, semplificato, preparato ad hoc dall’osservatore (ad esempio lo studio di una cinetica di reazione, lo studio secondo protocollo dell’effetto di un farmaco ecc.) affinché l’ipotesi predittiva sia definita in termini matematici. L’azione dell’ osservatore che priva il fenomeno in esame del suo contesto “naturale” per riprodurlo in un contesto artificiale è certamente un’interferenza soggettiva e fortemente riduttiva sull’oggettività in sé del fenomeno.

Citazione:
La fase deduttiva si distingue in:
• verifica dell’ipotesi (si sottopongono i dati ad una verifica rigorosa, si fanno delle controprove, ecc.)
• formulazione di una teoria, (enunciato), nel caso in cui l’ipotesi venga confermata.
Siamo al punto chiave, la verifica. Teoricamente la verifica accurata dovrebbe salvaguardare l’osservatore da eventuali fuorvianti assunzioni soggettive della fase induttiva, La verifica non solo esclude ciò che non è riproducibile, ma permette di valutare il corretto rapporto di causalità, dunque l’effettiva capacità predittiva dell’ipotesi. Il problema è che comunque la verifica viene condotta nel medesimo contesto standard artificialmente costruito e questo per poter dare una risposta definitiva non ambigua (relativamente a condizioni che si sono separatamente prese in esame). Sicuramente la verifica potrà smentire l’ipotesi, ma non la smentisce per mancata corrispondenza alla realtà delle cose (che non accadono nei contesti standard controllati), ma per mancata corrispondenza causale nelle condizioni di significatività che il metodo assume per formulare il giudizio di verità. E’ una correttezza sintattica che si va a valutare nella pretesa, indimostrata e indimostrabile, che l’aderenza sintattica con il metodo esprima, quando confermata, un’aderenza al reale integro. Tale riduzione è certamente necessaria per arrivare a esprimere una teoria in termini matematico funzionali, ma è di nuovo una pretesa arbitraria e soggettiva.

Citazione:
In pratica il metodo scientifico è un modo di conseguire informazioni sul meccanismo di eventi naturali proponendo delle risposte alle domande poste: per determinare se le soluzioni proposte sono valide si utilizzano dei test (esperimenti) condotti in maniera rigorosa….(aggiungo io…fino alla matematizzazione)
Ed è proprio questo il limite del metodo scientifico che pertanto non dice nulla sulla verità intesa come corrispondenza tra ciò che si dice e ciò che è, ma decide la verità intesa come corrispondenza tra ciò che si dice e la regola su come si devono dire scientificamente le cose, ossia costruendo contesti scientificamente (e non naturalmente) pertinenti.

Citazione:
La rigorosità del metodo scientifico risiede nel fatto che una teoria non è mai definitiva ma è suscettibile di modifiche o di sostituzioni, qualora vengano alla luce nuovi aspetti non ancora considerati. Il metodo scientifico richiede una ricerca sistematica di informazioni e un continuo controllo per verificare se le idee preesistenti sono ancora supportate dalle nuove informazioni. Se i nuovi elementi di prova non sono favorevoli, gli scienziati scartano o modificano le loro idee originarie.
Il pensiero scientifico viene quindi sottoposto ad una costante critica, con eventuale modifica, ma anche ad una rivalutazione: è questo che lo rende così grande ed universale.
Sono certamente d’accordo su questo ultimo punto: il metodo scientifico accoglie ogni ipotesi predittiva matematicamente formulata in condizioni standard e la verifica in condizioni standard ove sia possibile una misura controllata, ripetibile, significativa e formulabile in termini matematici, perché è proprio questo che il metodo prescrive e la sua potenza consiste nel fatto che l’errore è pienamente ammesso perché l’ipotesi predittiva anche se verificata come teoria è comunque una verità relativa che potrà essere sempre inficiata. L’unica verità assoluta è il metodo stesso, la capacità insindacabile di giudizio che esso dichiara di avere sulla realtà. Ma è proprio questa la pretesa culturalmente arbitraria, “l’indimostrabile assioma” originario.
Aggiungo poi che il metodo non può assolutamente prescindere dalla tecnica, per cui non può oggi esistere una scienza senza una tecnica, perché la tecnica realizza quei contesti artificiali di controllo e misura (in scala sempre maggiore) che stanno alla base dei funzionamenti secondo la metodologia scientifica. Dal metodo stesso scaturisce la necessità inevitabile di un mondo artificiale (tecnicamente costruito), una sorta di mondo-laboratorio che è il mondo ove il giudizio scientifico trova riscontro.

Citazione:
Ulysse: Nella realtà oggettiva universale è vero che c'è un continuo scambio nel senso che i miei atomi vengono dalle stelle ..ed alle stelle ritorneranno... nel ciclo di alcune cinquine di miliardi di anni, ma finchè ci sono io, essi sono ben saldi ed autogestenti autonomi nel mio corpo...questo, per lo meno, mi pare affermi la scienza, la chimica, la cosmologia, la biologia, la paleontologia, ecc...
Bè, qui il poeta sei tu... Che gli atomi che ti compongano, anche quelli che costituiscono il tuo tessuto nervoso e cerebrale tu possa tenerteli ben saldi addosso è una pretesa molto illusoria da un punto di vista scientifico (anche se molto umana da un punto di vista esistenziale), visto che il nostro organismo pare rinnovi periodicamente tutte le cellule che gli appartengono in virtù dei processi metabolici e catabolici di cui è affetto, qualche lustro e hai sostituito praticamente tutti i tuoi atomi. Forse quei vecchi atomi perduti che sono fuggiti via non torneranno subito alle stelle, ma restano a disposizione nel mondo, magari per altri organismi attraverso i quali il mondo possa continuare a conoscersi.
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Vecchio 03-04-2013, 00.46.23   #282
Giorgiosan
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

L'dealismo dogmatico di Berkeley che nega l’esistenza della realtà esterna, non è convincente, certo la materia e la sua frammentazione può dare questa illusione ma è una illusione naif e lo sappiamo.

Sì, tutto ciò che conosciamo, il nostro sapere è simbolico quindi non c'è identità fra la "cosa fuori" e l'idea della cosa fuori, ma non c'è neppure la "cosa in se".

A me sembra che pur potendo dialetticamente o, meglio, con discorso, sostenere, senza infrangere il principio di non contraddizione, che l'io è unico, che la realtà fuori dell'io non esiste, questi discorsi siano niente più di un gioco filosofico, non ricerca di sapienza.

Non c'è identità, è ovvio, ma c'è una corrispondenza "funzionante" fra la nostra conoscenza simbolica e la realtà, ed anche questo è ovvio, esiste il mio io ma anche quello del mio prossimo, ed anche questo è ovvio.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 03-04-2013, 10.15.24   #283
jeangene
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Originalmente inviato da gyta
Il cosiddetto “metodo scientifico”, ovvero la ricerca e la sperimentazione, è messo in atto da esseri umani
e sta alla loro intelligenza critica ritenerlo come parte del processo di conoscenza e non come risposta totale
al problema della conoscenza.

E' proprio questo che volevo evidenziare..

Citazione:
Originalmente inviato da ulysse
Infatti è così: l'universo reale non dipende dall'osservatore...magari a volte siamo noi che non riusciamo a disvelarlo.

Ecco appunto, se proprio vuoi essere un critico oggettivo, puoi solo constatare che l’universo non ha dipendenza da noi…esisteva, anzi, ben prima di noi...

Io non nego l' esistenza di una realtà esterna al mio io empirico, voglio solamente far notare che il modo in cui ne ho esperienza è dettato dalle strutture del mio io. E' il mio io che da forma alla realtà esterna.

Inoltre non penso sia corretto parlare di due distinte realtà: io empirici e realtà esterna. Esiste un unica realtà in cui tutto si fonde che in filosofia si identifica con l' Essere.
E' assurdo per me pensare a due realtà che costantemente entrano in contatto e interragiscono come derivanti da due mondi diversi.

Un saluto
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Vecchio 03-04-2013, 15.20.03   #284
ceccodario
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Originalmente inviato da jeangene
Bella domanda..
Provo a risponderti con quanto ho letto su Husserl su Filosofico.net:

La coscienza é dunque il risultato ultimo e indubitabile della riduzione, non ulteriormente riducibile ad altro: Husserl la chiama residuo fenomenologico . Non si tratta però della coscienza empirica dei singoli individui: anche questa, infatti, é sottoponibile ad una riduzione, che la liberi dai suoi caratteri meramente empirici. Il residuo fenomenologico é invece la coscienza pura o trascendentale , che non necessita di altre condizioni antecedenti per esistere: tutto é neutralizzabile e riducibile a riduzione, il mondo e Dio, le scienze e la teologia, ad eccezione dell'io puro, che però non é una sostanza ma é la funzione originaria e universale della coscienza che costituisce il mondo. Rispetto ad essa, il mondo naturale é trascendente, ma esiste e ha senso solo tramite gli atti della coscienza: quest'ultima infatti é intenzionalità, cioè é sempre coscienza di qualcosa.

La fenomenologia, avendo il suo fondamento nell'evidenza dell'io trascendentale, é definita da Husserl come idealismo trascendentale , differente dall'idealismo psicologico alla Berkeley , ma anche da quello kantiano, il quale persevera nel mantenere un mondo di cose in sè come concetto limite. A differenza dell'idealismo tradizionale, quello trascendentale non nega l'esistenza del mondo, ma ha come unico fine il chiarimento del senso di questo mondo . Su questa base, Husserl può asserire che la filosofia può solo rivelare il senso del mondo, non mutarlo. Il rischio del primato accordato all'io può consistere in una forma di solipsismo, che rinchiuda il soggetto in se stesso e lo renda irraggiungibile agli altri e incapace di accedere lui ad essi. Sempre nelle Meditazioni cartesiane Husserl si prende la briga di mostrare che l' intersoggettività é costitutiva della soggettività trascendentale; per il pensatore ebreo, infatti, io originariamente ho esperienza del mondo come intersoggettivo, cioè come ' un mondo che é per tutti ed i cui oggetti sono disponibili a tutti '. Entro questa sfera comune io tento di delimitare la sfera specifica di quel che é 'mio proprio', ma questo presuppone il concetto di 'altro'. In questo modo, si dirada l'apparenza di solipsismo, pur continuando a valere il principoio secondo cui tutto quel che é per me, compresi gli altri soggetti, possono attingere il loro senso esclusivamente dalla mia sfera di coscienza.

Un saluto
Husserl è un filosofo eccezionale che a me piace tantissimo. Con "Idee per una fenomenologia" ha veramente dato un enorme contributo a questi problemi.
Tuttavia la teoria di Husserl, così come quella di Cartesio, rimane comunque un fondazionalismo (la pura coscienza è fondamento ontologico ed epistemologico). Secondo me, da quello che ho studiato, il riduzionismo ontologico della teoria di Husserl fa quasi coincidere l'ontologia (cio che è, indipendentemente da ciò che sappiamo) con l'epistemologia (ciò che sappiamo). L'unica sfera ontologica indipendente di puro essere è la coscienza trascendentale, tutto il resto è dipendente da essa. L'unico piano di realtà esistente è la realtà coscienziale permanente. Se la coscienza di spegne, il mondo non esiste più, se il mondo si spegne la coscienza continua ad esistere: mondo implica necessariamente una coscienza, ma non viceversa.
Supponiamo che io veda con i miei occhi un elefante allo zoo, successivamente penso ad un elefante rosa. Per Husserl i due oggetti esperiti (l'elefante percepito con i sensi e l'elefante rosa pensato) differiscono in quanto quello sensitivo è più "vivido" e ha un più forte contenuto sensoriale, tuttavia a livello ontologico essi esistono allo stesso modo in quanto sono entrambi intesi dalla mia coscienza. L'elefante rosa e l'elefante dello zoo sono entrambi oggetti reali poichè esperiti da una coscienza.
Secondo me occorre uscire da questo relativismo e conciliare la teoria dell'intenzionalità di Husserl con una realtà indipendente dalla coscienza, una realtà che non sparisca allo scomparire della mia coscienza (in questo senso sarebbe un ritorno al realismo cartesiano). La coscienza è sì intenzionale, ma si rivolge verso una realtà che ha uno statuto ontologico indipendente da essa. Servirebbe sia un'ontologia negativa: per quanto io mi sforzi di immaginare trasparente il tavolo davanti a me, esso è comunque un tavolo di legno; sia un ontologia positiva: ci sono indefiniti oggetti da scoprire, già esistenti anche se ancora non li abbiamo esperiti.
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Vecchio 03-04-2013, 15.51.21   #285
ceccodario
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Originalmente inviato da CVC
Io credo non esista una soluzione del problema che risolva come definire la soggettività indipendentemente dall'oggettività o viceversa. Credo che la realtà da noi percepita si fondi su di un'interdipendenza fra le due realtà, ma che allo stesso tempo per saperne di più su fatti isolati ci è più utile separarle. Ma a questo punto siamo già sulle tracce di Kant: la realtà dipende dalla costituzione della nostra intelligenza, la quale può essere sintesi o analisi.

Non mi è chiaro come il trascendentalismo non risolva il problema dell'intersoggettività.
A mio parere non sostiene che l'unico soggetto esistente è il mio io, ma che l'unico soggetto che la mia mente può comprendere come soggetto è il mio io. E c'è una bella differenza, poichè non nega l'esistenza di altri io, anzi secondo me la presuppone come necessaria perchè appartenenti alla stessa natura del mio io. Ossia l'io non è concepito come un fatto isolato, ma come l'unica possibile fonte della certezza della realtà.
Trascendentale in senso kantiano-husserliano significa sia condizione necessaria affinchè io faccia esperienza, ma anche condizione necessaria affinchè l'oggetto esperito esista. Quest'ultima prospettiva è secondo me assai problematica poichè riduce ad oggetto tutto ciò che è altro da me. Le altre persone per me esistono solo come oggetti, e la loro esistenza è dipendente dal mio io trascendentale. Se tutto ciò che non è il mio soggetto è accessibile solo come oggetto, allora avremmo una visione del mondo piuttosto strumentale secondo me, che negherebbe una comprensione delle altre soggettività. Prendiamo il caso di un medico che deve curare un paziente: sarebbe molto diverso se il medico vedesse questo paziente anche come soggetto oltre che come oggetto di cura (gli esperimenti medici terrificanti dei nazisti sulle persone durante la seconda mondiale è forte testimonianza secondo me). In una prospettiva trascendentale magari potremmo ammettere l'esistenza di più io, però io credo più per senso comune che per coerenza con i punti cardini della teoria. Sul problema dell'intersoggettività mi è stato molto d'aiuto "Il visibile e l'invisibile" di Merleau Ponty.
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Vecchio 04-04-2013, 08.08.33   #286
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Trascendentale in senso kantiano-husserliano significa sia condizione necessaria affinchè io faccia esperienza, ma anche condizione necessaria affinchè l'oggetto esperito esista. Quest'ultima prospettiva è secondo me assai problematica poichè riduce ad oggetto tutto ciò che è altro da me. Le altre persone per me esistono solo come oggetti, e la loro esistenza è dipendente dal mio io trascendentale. Se tutto ciò che non è il mio soggetto è accessibile solo come oggetto, allora avremmo una visione del mondo piuttosto strumentale secondo me, che negherebbe una comprensione delle altre soggettività. Prendiamo il caso di un medico che deve curare un paziente: sarebbe molto diverso se il medico vedesse questo paziente anche come soggetto oltre che come oggetto di cura (gli esperimenti medici terrificanti dei nazisti sulle persone durante la seconda mondiale è forte testimonianza secondo me). In una prospettiva trascendentale magari potremmo ammettere l'esistenza di più io, però io credo più per senso comune che per coerenza con i punti cardini della teoria. Sul problema dell'intersoggettività mi è stato molto d'aiuto "Il visibile e l'invisibile" di Merleau Ponty.

Per come la vedo io una realtà indipendente dalla coscienza è pur sempre osservata con la coscienza, ed infatti Kant diceva che la coscienza è la condizione necessaria di ogni nostra conoscenza. La scienza affida il giudizio all'esperimento, ma l'esperimento è pur sempre un qualcosa di artificiale, costruito dall'uomo, regolato da ragione e coscienza.

Ultima modifica di CVC : 04-04-2013 alle ore 09.24.35.
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Vecchio 04-04-2013, 15.24.18   #287
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Originalmente inviato da CVC
Per come la vedo io una realtà indipendente dalla coscienza è pur sempre osservata con la coscienza, ed infatti Kant diceva che la coscienza è la condizione necessaria di ogni nostra conoscenza. La scienza affida il giudizio all'esperimento, ma l'esperimento è pur sempre un qualcosa di artificiale, costruito dall'uomo, regolato da ragione e coscienza.
Sai il problema di Kant è che essendo fossilizzato nel suo intento antimetafisico, si è rifiutato di prendere una precisa posizione ontologica al riguardo (sbagliando secondo me). Kant si è limitato ad affermare che esiste una soggettività, ed essendo questa trascendentale, è possibile una conoscenza oggettiva universale. La domanda da cui è partito è una domanda gneoseologica ("E' possibile una conoscenza universale?") non ontologica (cos'è la soggettività?). Successivamente i neokantiani ed Husserl hanno sposato l'idea di una coscienza trascendentale e l'hanno interpretata da un punto di vista ontologico come "condizione di esistenza dell'oggetto, oltre che dell'esperienza". Sul fatto che la nostra coscienza sia la condizione necessaria per fare esperienza (e quindi per conoscere il mondo) sono d'accordissimo; sul fatto che l'esistenza del mondo sia indipendente dalla coscienza no, sarei orientato verso posizioni più realiste. Supponiamo che la mia coscienza si annulli, io non riuscirei più a fare esperienza ma la realtà oggettiva continuerebbe ad esistere.
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Vecchio 04-04-2013, 16.18.25   #288
Giorgiosan
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Non era una posizione anti metafisica quella di Kant ma anti metafisica dogmatica e dispotica, in partilcolare contro quella delle scuole riformate.

Tuttavia, anche questa specie di conoscenza è, in certo senso, da considerare come data, e la metafisica è in atto [esiste realmente], se non come scienza, almeno come disposizione naturale (metaphysica naturalis).

Kant intende rivedere il metodo della metafisica che è diverso dall'intenderlo come anti metafisico tout court
Giorgiosan is offline  
Vecchio 04-04-2013, 19.57.44   #289
maral
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Credo che si possa a questo punto affermare che ciò che lega la realtà delle cose alla loro conoscenza sia il loro apparire (immediato o mediato da percorsi culturali), apparire che è anche apparizione di ciò che non appare e resta nascosto, ma che è alluso da ciò che è manifesto. Quindi la realtà è proprio ciò che appare nei vari modi in cui appare (nella sua apparente e mutabile verità o falsità).
I momenti positivi dell'apparire che manifestano la realtà possono essere così individuati:
1) C'è qualcosa (qualcosa appare)
2) Quel qualcosa è questa cosa (il qualcosa è definito da un contorno che lo delimita, per cui esso appare coscientemente come questa cosa e non altro)
3) Questa cosa è un oggetto che implica un soggetto che la coglie nel suo apparire.
4) Io sono il soggetto e pertanto sono qualcosa che c'è.
I 4 momenti si implicano necessariamente l'un l'altro, formando un cerchio chiuso che in termini logici potremmo esprimere in questi termini:
se e solo se c'è qualcosa quel qualcosa è una cosa, se e solo se c'è questa cosa c'è un io in grado di coglierla come tale, se e solo se c'è un io qualcosa appare e in tal modo il cerchio si chiude.
In tal modo sia la posizione oggettivistica che vuole la realtà confinata ai soli primi 2 momenti, sia quella solipsistica che la limita al terzo e al quarto risultano pure astrazioni incomplete e frammentarie della realtà in cui oggetto e soggetto si implicano costantemente l'un l'altro nella medesima unità circolare.
E' interessante notare che il pensiero scientifico nella sua forma logica più raffinata non nega questa circolarità complementare tra oggetto e soggetto, ma afferma che se per tutti i qualcosa riconosciuti come soggetti si trova il modo per cui il qualcosa che appare come oggetto è la medesima cosa, allora possiamo prescindere dalla differenza soggettuale e assumere quella cosa come realtà oggettiva in sé. Il soggetto quindi può scomparire dall'orizzonte di visione, non perché esso non rientri nella realtà, ma perché la realtà, definita e trattata da ogni soggetto in modo appropriato, è la stessa per tutti.
Ora questo modo appropriato che rende l'oggetto di conoscenza uguale per tutti i soggetti è appunto il metodo scientifico il quale prestabilisce i dati da considerare (quelli misurabili secondo standard convenuto), in quale forma esprimerli (quantitativa), come relazionarli (secondo modalità statistiche e matematiche), come verificarli (per ripetibilità in diversi contesti) affinché mostrino la loro stretta coerenza al metodo.
Ovviamente l'assunzione del metodo è solo funzionale a produrre quell'impressione di oggettività che permette di considerare irrilevante la reale differenza dei soggetti secondo la condizione che le condizioni interpretative poste dal metodo stesso siano assunte da tutti valide a priori per tutti.
maral is offline  
Vecchio 05-04-2013, 09.07.51   #290
Giorgiosan
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Originalmente inviato da jeangene

Io non nego l' esistenza di una realtà esterna al mio io empirico, voglio solamente far notare che il modo in cui ne ho esperienza è dettato dalle strutture del mio io. E' il mio io che da forma alla realtà esterna.


Non ti sembra che se è il tuo io che da forma alla realtà esterna, e l'dealismo, pure con certi eccessi, lo ha ben argomentato anche la realtà esterna abbia dato forma e dia forma al tuo io?
Giorgiosan is offline  

 



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