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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 05-04-2013, 14.20.17   #291
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Originalmente inviato da ceccodario
Sai il problema di Kant è che essendo fossilizzato nel suo intento antimetafisico, si è rifiutato di prendere una precisa posizione ontologica al riguardo (sbagliando secondo me). Kant si è limitato ad affermare che esiste una soggettività, ed essendo questa trascendentale, è possibile una conoscenza oggettiva universale. La domanda da cui è partito è una domanda gneoseologica ("E' possibile una conoscenza universale?") non ontologica (cos'è la soggettività?). Successivamente i neokantiani ed Husserl hanno sposato l'idea di una coscienza trascendentale e l'hanno interpretata da un punto di vista ontologico come "condizione di esistenza dell'oggetto, oltre che dell'esperienza". Sul fatto che la nostra coscienza sia la condizione necessaria per fare esperienza (e quindi per conoscere il mondo) sono d'accordissimo; sul fatto che l'esistenza del mondo sia indipendente dalla coscienza no, sarei orientato verso posizioni più realiste. Supponiamo che la mia coscienza si annulli, io non riuscirei più a fare esperienza ma la realtà oggettiva continuerebbe ad esistere.
Ma io farei una distinzione fra Kant e le altre posizioni fenomenologiche. Uno dei cardini di Kant è la distinzione fra fenomeno e noumeno, quindi mi pare che Kant sia più possibilista. Infatti affermando l'inconoscibilità del noumeno non nega l'esistenza di una realtà indipendente dalla coscienza, afferma solo che essa rientrerebbe nella sfera di ciò che non è umanamente comprensibile per la struttura del nostro intelletto.
Kant ha evitato parecchi ostacoli, oltre alla soggettività non ha definito nemmeno il tempo e lo spazio. Ha semplicemente posto tali cose come presupposti della conoscenza, ha sostituito la metafisica con la filosofia trascendentale o, forse più propriamente, ha cambiato la posizione del problema. E' passato dal problema della conoscenza al problema delle condizioni che determinano la nostra conoscenza
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Vecchio 05-04-2013, 14.21.49   #292
CVC
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Originalmente inviato da maral
Credo che si possa a questo punto affermare che ciò che lega la realtà delle cose alla loro conoscenza sia il loro apparire (immediato o mediato da percorsi culturali), apparire che è anche apparizione di ciò che non appare e resta nascosto, ma che è alluso da ciò che è manifesto. Quindi la realtà è proprio ciò che appare nei vari modi in cui appare (nella sua apparente e mutabile verità o falsità).
I momenti positivi dell'apparire che manifestano la realtà possono essere così individuati:
1) C'è qualcosa (qualcosa appare)
2) Quel qualcosa è questa cosa (il qualcosa è definito da un contorno che lo delimita, per cui esso appare coscientemente come questa cosa e non altro)
3) Questa cosa è un oggetto che implica un soggetto che la coglie nel suo apparire.
4) Io sono il soggetto e pertanto sono qualcosa che c'è.
I 4 momenti si implicano necessariamente l'un l'altro, formando un cerchio chiuso che in termini logici potremmo esprimere in questi termini:
se e solo se c'è qualcosa quel qualcosa è una cosa, se e solo se c'è questa cosa c'è un io in grado di coglierla come tale, se e solo se c'è un io qualcosa appare e in tal modo il cerchio si chiude.
In tal modo sia la posizione oggettivistica che vuole la realtà confinata ai soli primi 2 momenti, sia quella solipsistica che la limita al terzo e al quarto risultano pure astrazioni incomplete e frammentarie della realtà in cui oggetto e soggetto si implicano costantemente l'un l'altro nella medesima unità circolare.
E' interessante notare che il pensiero scientifico nella sua forma logica più raffinata non nega questa circolarità complementare tra oggetto e soggetto, ma afferma che se per tutti i qualcosa riconosciuti come soggetti si trova il modo per cui il qualcosa che appare come oggetto è la medesima cosa, allora possiamo prescindere dalla differenza soggettuale e assumere quella cosa come realtà oggettiva in sé. Il soggetto quindi può scomparire dall'orizzonte di visione, non perché esso non rientri nella realtà, ma perché la realtà, definita e trattata da ogni soggetto in modo appropriato, è la stessa per tutti.
Ora questo modo appropriato che rende l'oggetto di conoscenza uguale per tutti i soggetti è appunto il metodo scientifico il quale prestabilisce i dati da considerare (quelli misurabili secondo standard convenuto), in quale forma esprimerli (quantitativa), come relazionarli (secondo modalità statistiche e matematiche), come verificarli (per ripetibilità in diversi contesti) affinché mostrino la loro stretta coerenza al metodo.
Ovviamente l'assunzione del metodo è solo funzionale a produrre quell'impressione di oggettività che permette di considerare irrilevante la reale differenza dei soggetti secondo la condizione che le condizioni interpretative poste dal metodo stesso siano assunte da tutti valide a priori per tutti.
Come trattiamo allora le cose che non appaiono come l'inconscio o la volontà? Il solo fatto che diamo un nome a queste cose significa che ne abbiamo una qualche conoscenza, le loro manifestazioni sono però per noi legate esclusivamente ai loro effetti. Se escludiamo i loro effetti noi non vediamo mai l'inconscio, non vediamo mai la volontà, eppure sappiamo che esistono.
Io penso che per quanto si vogliano superare le distinzioni fra fenomeno e noumeno, fra res cogitans e res extensa, alla fine non riusciamo a fare a meno di tornare ad inciamparci.
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Vecchio 05-04-2013, 19.01.36   #293
ceccodario
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

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Ma io farei una distinzione fra Kant e le altre posizioni fenomenologiche. Uno dei cardini di Kant è la distinzione fra fenomeno e noumeno, quindi mi pare che Kant sia più possibilista. Infatti affermando l'inconoscibilità del noumeno non nega l'esistenza di una realtà indipendente dalla coscienza, afferma solo che essa rientrerebbe nella sfera di ciò che non è umanamente comprensibile per la struttura del nostro intelletto.
Kant ha evitato parecchi ostacoli, oltre alla soggettività non ha definito nemmeno il tempo e lo spazio. Ha semplicemente posto tali cose come presupposti della conoscenza, ha sostituito la metafisica con la filosofia trascendentale o, forse più propriamente, ha cambiato la posizione del problema. E' passato dal problema della conoscenza al problema delle condizioni che determinano la nostra conoscenza
Esatto, proprio questo volevo dire: in "Ragion pura" Kant non si sofferma sulle questioni ontologiche di massimale importanza, e ciò può essere forse spiegato dal suo intento antimetafisico. E' chiaro poi che all'epoca di Kant, l'unica metafisica denotabile era quella tradizionale, di origine greca (quella di Cartesio, Spinoza, Galileo, Leibniz per intendersi). L'ontologia successiva a Kant (dei secoli IX-XX) che è riuscita a fare a meno del concetto di causa penso fosse fuori dal "frame of mind" di Kant, e se il maestro di Konigsberg sarebbe stato concorde o meno con essa è tutto da vedere.

Hai detto bene: Kant ha spostato il problema della conoscenza universale al problema dell'ontologia che fonda una tale conoscenza. E' proprio su quest'ultima che bisognerebbe indagare maggiormente, partendo dall'idea che una conoscenza non può prescindere da essa. E' chiaro che a livello conoscitivo soggetto e oggetto si implicano, e si escludono, a vicenda. Ora bisogna vedere quali sono i presupposti che permettono questa conoscenza.

Secondo me bisogna fare attenzione a non confondere epistemologia con ontologia e non farle coincidere. Supponiamo che io sia uno scienziato che scopra una nuovo tipo di batterio e lo chiami "il batterio di Dario". Il batterio stesso esisteva anni luce prima che io lo conoscessi, ed esso si manifestava anche prima, nonostante il mio intelletto non si era mai rivolto verso di esso. Inoltre questo batterio continuerà ad esistere alla mia morte, quando non potrò più rivolgermi verso di esso. Il nome "batterio di Dario" invece esiste in virtù della mia conoscenza del batterio stesso. Quindi, l'esistenza del batterio non dipende dalla mia conoscenza, l'esistenza del nome che gli ho dato sì. Tutti gli indefiniti oggetti che ancora non conosciamo, anche se attualmente non sono illuminati dal nostro "raggio conoscitivo", sono già pre-costituiti, pre-esistenti. Dopo aver teorizzato una certa conoscenza oggettiva basata su una certa soggettività, bisogna stare attendi a non far dipendere anche l'esistenza del mondo dalla soggettività e quindi dalla conoscenza, il passo è breve e pericoloso. Conoscenza implica esistenza, non viceversa! Occorre ridonare una certa indipendenza ontologica a ciò che conosciamo, riuscendo però a non inciampare nel dualismo cartesiano res cogita-res extensa (impresa ardua). Come scrive Heidegger in "Essere e tempo": "il fenomeno si manifesta dà sè stesso e per sè stesso" (quindi non per una coscienza che conosce).
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Vecchio 05-04-2013, 19.52.02   #294
maral
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Come trattiamo allora le cose che non appaiono come l'inconscio o la volontà? Il solo fatto che diamo un nome a queste cose significa che ne abbiamo una qualche conoscenza, le loro manifestazioni sono però per noi legate esclusivamente ai loro effetti. Se escludiamo i loro effetti noi non vediamo mai l'inconscio, non vediamo mai la volontà, eppure sappiamo che esistono.
Io penso che per quanto si vogliano superare le distinzioni fra fenomeno e noumeno, fra res cogitans e res extensa, alla fine non riusciamo a fare a meno di tornare ad inciamparci.
Noi non vediamo l'inconscio o la volontà come dati immediati in sé della conoscenza, vediamo invece qualcosa e questo qualcosa si presenta legato a qualche altra cosa, allude ad essa. Nel momento in cui questo qualcosa viene a definirsi questa qualche altra cosa può rimanere indefinita e nascosta, per quanto pur sempre allusa nella sua indefinitezza da ciò che ci appare. L'insieme di queste cose alluse che non ci appaiono, ma di cui ci appare il loro non apparire (e insieme il loro attendere di poter apparire) costituisce ciò che chiamiamo inconscio da cui le cose emergono come un diventare coscienti, un venire in luce rispetto a uno sfondo oscuro in ombra (che come tale ci appare).
La volontà esprime invece un modo di apparire della cosa che allude a un soggetto che la vuole ed è da essa voluto, anche la volontà costituisce quindi una caratteristica di ciò che appare (l'oggetto insieme al soggetto nel reciproco volersi) e può apparire inconscia se l'oggetto o il soggetto di questa volontà restano nascosti alla coscienza (apparendo il loro restare nascosti). La volontà è sempre una volere che quella cosa che si manifesta al soggetto come data possa apparire diversa (mostrare un'altra faccia di se stessa), nelle possibilità più o meno diverse che accompagnano il suo apparire.
Il pensiero pensante e la materia pensata sono originariamente presenti insieme, ugualmente espressi nell'unità originaria dell'essere che si rivela come qualcosa che c'è, in tutte le relazioni che esso pone per poter apparire e che, per poter apparire, li rappresenta distinti e in astratto separabili. Il problema cartesiano di trovare cosa lega la res cogitans con la res extensa è dunque fin dall'inizio risolto dal loro reciproco costante implicarsi.
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Vecchio 05-04-2013, 20.01.37   #295
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Originalmente inviato da maral
Certamente la forza della scienza consiste nel darsi un metodo di interpretazione e valutazione preciso e rigoroso. Il problema dell’oggettività però non è risolto dal metodo (a meno che non si postuli che è oggettivo ciò che il metodo postula come oggettivo e che tutti gli scienziati sono tenuti a priori ad accettare per tale).
Riprendo la definizione riportata da Wikipedia tentando di evidenziare i punti in cui la pretesa di oggettività mi pare arbitraria al di fuori di una soggettività condivisa (come proposto da Carnap per i filosofi del forum).

Le fasi induttive e deduttive appartengono comunque al modo di funzionare della mente dell’osservatore, non al fenomeno osservato, pertanto applicare l’induzione e la deduzione al fenomeno osservato significa o che nella “natura” vi è una logica intrinseca che accomuna osservatore e osservato entrambi capaci di funzionare in forma logica, o che l’ induzione e la deduzione alterano il fenomeno stesso. Io propenderei per la prima ipotesi.

La “raccolta dati” presuppone una selezione dei dati da raccogliere, questa selezione è prestabilita dal metodo che stabilisce sia quali sono significativi (misurabili, ripetibili) e quali interferenti (occasionali, soggettivi, non misurabili con gli strumenti a disposizione). Pertanto la lettura dei dati non è una semplice presa visione del reale, ma un processo selettivo, ove la selezione è compiuta dalla mente dell’osservatore in un contesto il più standardizzato possibile (pertanto artificiale, non naturale, comunque culturale). L’artificio sta nel separare il fenomeno riproducendolo in un contesto neutro, semplificato, preparato ad hoc dall’osservatore (ad esempio lo studio di una cinetica di reazione, lo studio secondo protocollo dell’effetto di un farmaco ecc.) affinché l’ipotesi predittiva sia definita in termini matematici. L’azione dell’ osservatore che priva il fenomeno in esame del suo contesto “naturale” per riprodurlo in un contesto artificiale è certamente un’interferenza soggettiva e fortemente riduttiva sull’oggettività in sé del fenomeno.

Siamo al punto chiave, la verifica. Teoricamente la verifica accurata dovrebbe salvaguardare l’osservatore da eventuali fuorvianti assunzioni soggettive della fase induttiva, La verifica non solo esclude ciò che non è riproducibile, ma permette di valutare il corretto rapporto di causalità, dunque l’effettiva capacità predittiva dell’ipotesi. Il problema è che comunque la verifica viene condotta nel medesimo contesto standard artificialmente costruito e questo per poter dare una risposta definitiva non ambigua (relativamente a condizioni che si sono separatamente prese in esame). Sicuramente la verifica potrà smentire l’ipotesi, ma non la smentisce per mancata corrispondenza alla realtà delle cose (che non accadono nei contesti standard controllati), ma per mancata corrispondenza causale nelle condizioni di significatività che il metodo assume per formulare il giudizio di verità. E’ una correttezza sintattica che si va a valutare nella pretesa, indimostrata e indimostrabile, che l’aderenza sintattica con il metodo esprima, quando confermata, un’aderenza al reale integro. Tale riduzione è certamente necessaria per arrivare a esprimere una teoria in termini matematico funzionali, ma è di nuovo una pretesa arbitraria e soggettiva.

Ed è proprio questo il limite del metodo scientifico che pertanto non dice nulla sulla verità intesa come corrispondenza tra ciò che si dice e ciò che è, ma decide la verità intesa come corrispondenza tra ciò che si dice e la regola su come si devono dire scientificamente le cose, ossia costruendo contesti scientificamente (e non naturalmente) pertinenti.

Sono certamente d’accordo su questo ultimo punto: il metodo scientifico accoglie ogni ipotesi predittiva matematicamente formulata in condizioni standard e la verifica in condizioni standard ove sia possibile una misura controllata, ripetibile, significativa e formulabile in termini matematici, perché è proprio questo che il metodo prescrive e la sua potenza consiste nel fatto che l’errore è pienamente ammesso perché l’ipotesi predittiva anche se verificata come teoria è comunque una verità relativa che potrà essere sempre inficiata. L’unica verità assoluta è il metodo stesso, la capacità insindacabile di giudizio che esso dichiara di avere sulla realtà. Ma è proprio questa la pretesa culturalmente arbitraria, “l’indimostrabile assioma” originario.
Aggiungo poi che il metodo non può assolutamente prescindere dalla tecnica, per cui non può oggi esistere una scienza senza una tecnica, perché la tecnica realizza quei contesti artificiali di controllo e misura (in scala sempre maggiore) che stanno alla base dei funzionamenti secondo la metodologia scientifica. Dal metodo stesso scaturisce la necessità inevitabile di un mondo artificiale (tecnicamente costruito), una sorta di mondo-laboratorio che è il mondo ove il giudizio scientifico trova riscontro.
E’ vero che c'è il metodo...ma non si pretende che lo scienziato/ricercatore abbia il paraocchi: il metodo non ha il significato di limite.... essocostituisce invece una guida di massima per richimare alcuni punti essenzili del processo di ricerca e soprattutto una piattaforma di lancio per ulteriori esplicazioni.

E’ poi vero che, nella pratica di ricerca, ci si riferisce a protocolli ad hoc, sia in singolo che in ambito di team di ricerca in continua interazione fra intuizioni, controlli/analisi dati, calcoli, ragionamenti induttivi e deduttivi, ecc….nei quali il ricercatore (il team di ricerca) esprime ogni soggettività e capacità del proprio processo cerebrale.

La cosa buona è che, per lo più, chi fa ricerca non è un automa…anzi, in genere, è in possesso, oltre che di creatività, conoscenza ed esperienza, anche di un “QI” superiore alla media: ne consegue che la più parte della strumentazione operativa e ludica di cui oggi disponimo è frutto sia del metodo che della genialità dei molti uomini passati e presenti che hanno saputo dare ai fenomeni dell’universo la loro specifica interpretazione realizzando la massima oggettività possibile con la più avanzata congruenza fra fenomeno dell’universo "là fuori" e risultanza del trovato in corso di ricerca.

Quindi le occasioni di soggettività ed inquinamento personale sul processo in corso di sperimentazione vanno ben oltre (e fortunatamnte) ciò che Maral cerca di intuire e stigmatizzare.…al fine di negare una oggettività cui egli non crede.

In effetti ha ragione di non crederci…dato che egli è capace solo di supporre che s’intenda perseguire una “oggettività assoluta”.
Ma il fatto è che nessuno pensa o pretende una oggettività assoluta: invero la oggettività del trovato in riferimento al corrispondente fenomeno dell’universo è raramente assoluta…anzi direi che non lo è mai...così come il metodo non ha alcuna pretesa di costituire verità...esso è solo pragmaticamente utile.

Solo nei casi di intuizioni geniali di geniali uomini, il sapere "scienza" si approssima asintoticamente alla congruenza coi reali fenomeni dell’universo "là fuori" sotto studio..quasi oggettività assoluta.

Ciononostante "constatiamo a posteriori" che i passi del sapere scientifico verso una “oggettività” della conoscenza dell’universo assumono sempre più un trend in crescendo esponenziale… complici il “metodo” e la genialità dei molti uomini che vi si sono dedicati in passato e vi si dedicano oggi.

Alla fine, comunque, direi che Maral ha ragione…solo che non sa quanto: solo i filosofi o aspiranti tali e adepti credono che il sapere possa essere assoluto…in realtà esso è sempre relativo ed approssimato rispetto al vero essere reale del fenomeno in studio.

Altri saperi, via via sempre meno relativi e più oggettivamente affidabili emegeranno a sostituire o contribuire alla oggettività dei saperi attuali.

Quindi non esiste una oggettività intesa come assoluta: l’oggettività del sapere scientifico è semplicemente, proprio per questioni di metodo, di un livello relativamente più affidabile in riferimento alla realtà dell’universo che non i saperi esplicati da altre discipline.

E’ tuttavia anche vero che l’attività delle ricerca scientifica è solo limitata allo studio del campo concernente.... l’immenso universo o multiverso che sia.

Alla fine direi che, in fondo, la genialità degli umani è materia abbastanza diffusa…solo che senza un metodo spesso si rivela vana.

La scienza è grande perchè unisce le due cose: genialità è metodo.

Concludendo, le fasi finali di una ricerca rivolta alla esplicazione di un trovato o di una teoria, sono costituite da controlli sperimentazioni funzionali, esplicazioni matematiche, diffusione su riviste specializzate e in rete…in modo che, quando riescono, danno livelli di carisma, di oggettività e garanzia di "oggettivo reale" (è constatazione!) che altre discipline in relazione ai propri “trovati” non danno e non possono dare proprio per mancanza di sperimentazione, matematizzazione, controlli incrociati fra i laboratori in rete, ecc….

Fu, in effetti, la sperimentazione e la matematizzazione la grande intuizione di Galileo che diede origine a quella particolare filosofia che chiamiamo “scienza moderna” e che costituì una vera e propria cesura rispetto ai vecchi saperi, non sperimentati, (ipse dixit!) degli aristotelici che ancora si insegnarono nelle università per tutto il ‘600…e, qualcosa, persino oggi.

Credo che di fronte ad una tale vastità di opere tutt’ora efficaci costituenti la “scienza moderna” con controlli, interazioni e risultanze “oggettive”…relativamente oggettive, s’intende… la critica di Maral alla bozza di metodo che, solo per darne un cenno, ho richiamato da Wikipedia, sia abbastanza inconsistente, vana e ben poca cosa…magari frutto di un qui quo qua o di misconoscenza dello specifico campo.
ulysse is offline  
Vecchio 05-04-2013, 20.41.40   #296
ulysse
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Ma io farei una distinzione fra Kant e le altre posizioni fenomenologiche. Uno dei cardini di Kant è la distinzione fra fenomeno e noumeno, quindi mi pare che Kant sia più possibilista. Infatti affermando l'inconoscibilità del noumeno non nega l'esistenza di una realtà indipendente dalla coscienza, afferma solo che essa rientrerebbe nella sfera di ciò che non è umanamente comprensibile per la struttura del nostro intelletto.
Non m'intendo di Kant...cerco solo di vedere quanto dici alla luce della vision dell'uomo della strada dell'uomo di oggi.

Quindi bene per l'esistenza di una realtà indipendente dalla nostra coscienza...viceversa è la coscienza che si forma e attua in riferimento alla realtà via via pensata e percepita.
Che cosa poi non sia umanamente comprensibile credo che ancora non sia dato sapere: infatti mi pare che sappiamo e comprendiamo dell'univero sempre più.
Quella del grande Kant mi pare affermazione arbitraria.
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Kant ha evitato parecchi ostacoli, oltre alla soggettività non ha definito nemmeno il tempo e lo spazio. Ha semplicemente posto tali cose come presupposti della conoscenza, ha sostituito la metafisica con la filosofia trascendentale o, forse più propriamente, ha cambiato la posizione del problema. E' passato dal problema della conoscenza al problema delle condizioni che determinano la nostra conoscenza
Ma, infatti non mi pare poi che Kant fosse così irragionevole: non conosciamo così per caso...occorre porsi in condizioni propedeutiche.

Sostituire la metafisica con le filosofia trascendetale mi pare fosse atto dovuto: lo interpreto come un avanzamento del pensiero del tempo.
Per quanto anche la filosofia trascendentale mi parrebbe piu' questione religiosa...di teologia insomma...ma forse allora ancora non si faceva distinzione fra filosofia e teologia o religione.

Per il tempo e lo spazio mancavano allora basi di conoscenza della fisica.
Ancora Newton era rimasto al "tempo" che scorreva da meno infinito a più infinito ed il concetto di velocità della luce era di là da venire.
Per definire qualcosa bisognava arrivare almeno fino ad Einstein.

In effetti mi trovo sempre in imbarezzo quando leggo di queste cose:
Non mi è mai chiaro se si tratta solo di storia della filosofia...di discussioni accademiche... o se proprio ci si crede...non si distingue fra storia e credenza!

Penso che nel primo caso la cosa sia ampiamente leggittima, anzi necessaria: occorre, è essenziale, una conoscenza delle posizioni culturali del passato.
Per il secondo caso non capirei come nella nostra attuale secolarizzata cultura si possano ancora coltivare di simili credenze.

Certo ognuno pensa e crede come vuole secondo suo imprinting e formazione, ma non sarebbe il caso di distinguere e operare una selezione?

Ma in effetti è proprio quello che tu hai cercato di fare in questo caso...però...
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Vecchio 08-04-2013, 11.13.22   #297
maral
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In effetti ha ragione di non crederci…dato che egli è capace solo di supporre che s’intenda perseguire una “oggettività assoluta”.
Ma il fatto è che nessuno pensa o pretende una oggettività assoluta: invero la oggettività del trovato in riferimento al corrispondente fenomeno dell’universo è raramente assoluta…anzi direi che non lo è mai...così come il metodo non ha alcuna pretesa di costituire verità...esso è solo pragmaticamente utile.
Come ho detto, nella lettura più accorta del pensiero scientifico, si sa bene che l'obiettivo non è l'oggettività assoluta dei contenuti della conoscenza, ma l'accordo delle soggettività. Ora o pensiamo che questo accordo sia in sé dato in origine e vada solo riscoperto (reso palese a se stesso), oppure che esso va imposto attraverso un metodo a cui tutti devono attenersi secondo principio autoreferenziale (altrimenti non si fa scienza, dunque dato che resta prefissato che solo a mezzo della scienza si conosce correttamente la realtà, non si conosce la realtà). Io penso che non vi siano dubbi sul fatto che la scienza adotti la strada dell'imposizione assiomatica dei principi del metodo, ossia che assuma il metodo come regola assoluta di conoscenza vera, non escludendo peraltro altre forme di conoscenza (finché non entrano in diretto contrasto con i principi di misurabilità controllata), ma relegandole a un ruolo del tutto secondario e marginale ai fini della conoscenza di quello che davvero c'è e si può controllare.
Un esempio dell'autoreferenzialità (arbitraria) della scienza emerge dalle tue stesse parole quando affermi, a riprova della validità del metodo scientifico, che i ricercatori hanno un elevato QI. Ma il QI è un parametro di valutazione scientifica, dunque il buon funzionamento del metodo è garantito dal fatto che chi lo fa funzionare possiede in buona misura una qualità che il metodo stesso ha fissato come va misurata e definito buona per il proprio funzionamento. In ultima analisi il metodo giustifica se stesso e non accetta altro da se stesso che possa giudicarlo.

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Solo nei casi di intuizioni geniali di geniali uomini, il sapere "scienza" si approssima asintoticamente alla congruenza coi reali fenomeni dell’universo "là fuori" sotto studio..quasi oggettività assoluta.
Se ammettiamo (e mi pare che tu lo abbia ammesso) che la scienza non dà una conoscenza oggettiva assoluta questa frase su un'approssimazione progressiva non ha senso. A cosa ci approssimiamo se l'oggettività assoluta resta fuori dal nostro campo di conoscenza anche scientifico?
Ci approssimiamo solo a una nostra pretesa di oggettività che è indimostrabile.
Certo, si può ribattere che le cose scientificamente spiegate, poi funzionano e questo sempre miglior funzionare per tutti dimostra l'oggettività della conoscenza maturata. Ma:
1- è dubbio che le cose realmente funzionino per quello che realmente sono nella loro effettiva interezza: ci saranno sempre aspetti che funzionano e altri che intrinsecamente non funzionano, ma che si può far finta che siano irrilevanti in relazione alle nostre de-finizioni.
2-Pure ogni funzionare implica un ambito in cui le cose possono funzionare, non un funzionare assoluto: un tostapane in mezzo al deserto del Sahara non funziona, proprio come non funziona la danza della pioggia in un contesto culturale che ne esclude radicalmente il senso.


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Credo che di fronte ad una tale vastità di opere tutt’ora efficaci costituenti la “scienza moderna” con controlli, interazioni e risultanze “oggettive”…relativamente oggettive, s’intende… la critica di Maral alla bozza di metodo che, solo per darne un cenno, ho richiamato da Wikipedia, sia abbastanza inconsistente, vana e ben poca cosa…magari frutto di un qui quo qua o di misconoscenza dello specifico campo.
La stessa affermazione sulla vastità di opere potrebbe portarla un teologo in merito alla religione cristiana o a quella induista e ai sensi esistenziali che esse producono. Il problema non è l'indiscutibile grandezza dell'opera scientifica, il problema è ritenere che quella magnifica opera di conoscenza umana esaurisca qualsiasi altra forma di conoscenza, ammettendola al massimo come un trastullo secondario rispetto al conoscere vero che permette di dominare la realtà. Se poi la mia crititica a quanto richiamato da Wikipedia sia inconsistente, mi sarebbe gradito sapere, qualora ne avessi tempo e voglia, di sapere dove e perché è inconsistente, altrimenti l'inconsistenza diventa solo tale rispetto all'ennesimo "ipse dixit" che la nostra storia culturale ci presenta anche quando lo vorrebbe negare.
Un saluto
maral is offline  
Vecchio 10-04-2013, 14.26.54   #298
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Come ho detto, nella lettura più accorta del pensiero scientifico, si sa bene che l'obiettivo non è l'oggettività assoluta dei contenuti della conoscenza, ma l'accordo delle soggettività.

Non intendo criticare le tue credenze filosofiche o pseudo tali, ma non puoi utilizzarle in relazione a modalità e sapere scientifico: siamo su un altro pianeta!

Infatti me ne scuso a priori e non metterla sul personale, ma il tuo post è tutto uno sproloquio! Per scongiurarlo e renderlo innocuo dovrò, di seguito, scrivere a lungo…sconfinando anche nella esplicazione ingenua.
Se vuoi puoi non leggere, ma perderesti molto.

Credo, infatti che alla base del nostro dissenso ci sia proprio il fatto che non si può valutare la realtà o l’oggettività scientifica relativa all’universo… utilizzando i concetti della filosofia…e tanto meno se inquinata di metafisica: infatti la sola corrente filosofica che la scienza ritiene di poter perseguire per lo scopo che si propone (la realtà dell’universo là fuori) è quella del “Realismo”.

E' dogma?...può essere!....ma la cosa è influente ...infatti, data la mia posizione geografica, io sò che per dirigermi a Roma devo prendere la corsia Sud dell'autrostrada.
Una volta, per non essere dogmatico, imboccai la corsia Nord, ma non arrivai a Roma!

Infatti lo scopo della scienza non è l’oggettività assoluta dei contenuti della conoscenza. Gli è semplicemente che, umanamente, l’oggettività assoluta non esiste: …non esiste per il sapere scientifico, ma nemmeno per nessun altro supposto o illusorio sapere.

L’oggettività può essere solo relativa e contingente.

Peraltro sembra tu non concepisca cosa siano, nella scienza, metodo, oggettività, soggettività, ecc…non ne concepisci i significati, le interrelazioni, gli scopi…le modalità, le possibilità ed i limiti pur esistenti e che si estendono, comunque, ben al di là e sempre più, di quanto non possano perseguire altre discipline concernenti la conoscenza del reale universo.
Citazione:
Ora o pensiamo che questo accordo sia in sé dato in origine e vada solo riscoperto (reso palese a se stesso), oppure che esso va imposto attraverso un metodo a cui tutti devono attenersi secondo principio autoreferenziale (altrimenti non si fa scienza, dunque dato che resta prefissato che solo a mezzo della scienza si conosce correttamente la realtà, non si conosce la realtà).
Infatti, per discipline diverse dalle varie branche scientifiche, non saprei quale conoscenza di realtà o di verità si persegua se non elucubrazioni e fantasie…d’altra parte è certo che l’estetica, l’etica, le emozioni e pulsioni umane hanno il loro valore nella soggettività dei singoli o nella generalità sociale: la scienza vi interviene scarsamente.

Ma è la “ricerca scientifica” che persegue la conoscenza dell’universo: altre discipline non se ne propongono lo scopo o se lo pongono confusamente, ma neppure dispongono di mezzi concettuali e strumentali adeguati per perseguire oggettivamente una tale conoscenza.

Per la scienza il “conoscere” significa disvelare via via la realtà dell’universo ancora non completamente disvelata nonostante che le attuali teorie in essere, ne permettano una interpretazione contingente in sè congruente.

Nessuno può sapere se sorgeranno o meno in futuro teorie meglio interpretanti.
Dalla esperienza passata credo che sì: nessuno pensa di essere giunto al culmine delle conoscenza dell’universo. E’ in questo senso che si attribuisce al trovato/teoria scientifica, una oggettività ed una congruenza con la realtà dell’universo di carattere non assoluto, ma contingente: l’oggettività/rigore è soprattutto nel metodo/modalità della ricerca che non nella risultanza...che invece è oggettivamente relativa e interagente con le altre risultanze.

E’, comunque, un fatto che la ricerca mette in atto mezzi e metodi che tale oggettività garantiscono proprio per il culminare del metodo nella sperimentazione, nella matematizzazione e nella condivisione delle risultanze e dei reiterati controlli sperimentali da parte di diversi laboratori/università del pianeta.

Di tutto questo il “metodo”…sfociante nel progetto, nel protocollo operativo e di controllo della sperimentazione…di volta in volta compilato ad hoc… è strumento indispensabile ed efficace.

Il metodo sarebbe assiomatica imposizione autoreferenziale?... Ma che significato ha?...
Sarebbe come dire che per postare in questo forum ci è arbitrariamente imposto un mezzo computerizzato autoreferenziale che assiomaticamente interpreta e trasforma in codici il nostro pensare! …E poi dice che non è uno sproloquio!?

Per il resto occorre sottolineare che non siamo più ai tempi in cui la genialità di un singolo, per semplice casuale intuizione, può introdurre varianti eclatanti nelle modalità di interpretazione dell’universo: oggi senza un team di supporto o un intero dipartimento alle spalle, non vali niente...oppure non ti resta che elucubrare sull'essere e il divenire...per le più rocambolesche ipotesi da soministrare agli studenti.
Citazione:
Io penso che non vi siano dubbi sul fatto che la scienza adotti la strada dell'imposizione assiomatica dei principi del metodo, ossia che assuma il metodo come regola assoluta di conoscenza vera, non escludendo peraltro altre forme di conoscenza (finché non entrano in diretto contrasto con i principi di misurabilità controllata), ma relegandole a un ruolo del tutto secondario e marginale ai fini della conoscenza di quello che davvero c'è e si può controllare.
Ma credo, invece, che i dubbi vi siano…e molto grossi!
Infatti le problematiche di autoreferenzialità assiomatica e dogmatismo, pur comuni a discipline semplicemente elucubranti, sono concetti che non toccano il sapere scientifico garantito da un ben più realistico e oggettivo pragmatismo sperimentale.

Per la scienza ogni teoria o trovato è oggettivamente valido oggi! Domani non lo sarà più...forse… se si troverà di meglio …e a questo “meglio” non ci sono limiti…nell’ambito dell’universo…purchè la cosa sia oggettivamente, sperimentalmente controllabile!

Comunque è certo che vale e si considera ciò che si può misurare e controllare…e sempre più con una sempre più efficace strumentazione…diversamente sarebbe arbitrio…. e quindi non scienza.

A conforto di questo esiste, a posteriori, che da quattrocento anni la risultanza del sapere scientifico è garantita, con trend di garanzia crescente ed in continua espansione migliorativa, dalla sperimentazione, esplicazione logico/matematica e ripetibilità della sperimentazione nei più diversi laboratori del pianeta.

Penso che non vi siano dubbi che il “metodo scientifico”, a partire da Galileo, operando una netta cesura dalla vecchia filosofia aristotelica (quella sì assiomatica e dogmatica), ha cambiato il mondo facendolo, se non migliore…più efficace: basta guardarsi attorno…è tutto tecnica e scienza!...possiamo deprecare, ma è un fatto da cui tutti attingiamo…e di cui non possiamo fare a meno!

Purtroppo, constatiamo, che l’ignoranza del sapere scientifico...sia teorico che applicativo… ignoranza a volte veramente dilagante... impedisce che il trend migliorativo sia continuamente in crescita, ma mediamente lo è…in crescita esponenziale!

Purtroppo da noi, per insipienza politica, l’entità della istruzione e della ricerca è di molto scemata e il fatto contribuisce alle cause della nostra crisi…attuale e futura.
Citazione:
Un esempio dell'autoreferenzialità (arbitraria) della scienza emerge dalle tue stesse parole quando affermi, a riprova della validità del metodo scientifico, che i ricercatori hanno un elevato QI. Ma il QI è un parametro di valutazione scientifica, dunque il buon funzionamento del metodo è garantito dal fatto che chi lo fa funzionare possiede in buona misura una qualità che il metodo stesso ha fissato come va misurata e definito buona per il proprio funzionamento. In ultima analisi il metodo giustifica se stesso e non accetta altro da se stesso che possa giudicarlo.
Ma mi pare un discorso involuto assai: l’autoreferenzialità non ha senso, la sperimentazione supera ogni involuzione del pensiero. Il discorso sul “QI” poi è veramente un arrampicarsi sugli specchi...non ha senso!!!

Comunque mi sembra logico che non si affidi la ricerca scientifica ad automi: è, infatti, con la genialità dei ricercatori, supportati dal metodo, che il sapere scientifico è esploso: tanto che oggi ne siamo pervasi…In tutto il mondo!
E poi non avrebbe ragione Hawking quando dice che la fiaccola del sapere è passata di mano!?

Purtroppo altri supposti saperi e discipline, pur esplicati, spesso, da persone geniali, privi di una qualunque metodica, continuano a rimuginare concetti e saperi emersi dal passato...senza alcuna garanzia di una qualche verità e innovazione
.....continua!


P.S.:
Per dare una idea semplice circa il significato di soggettività/oggettività si può riandare alla storia della definizione del “metro lineare”.
La storia è partita dalla quarantamilionesima parte del meridiano terrestre, alla fine del “700, ed è arrivata oggi, dopo varie definizioni, via via sempre più oggettivamente vicine alla lunghezza reale del metro, a definire il metro come la lunghezza percorsa dalla luce in 1/299.792.458 secondo: dice che si è migliorato verso una maggiore attendibilità e oggettività escludendo ogni possibile influenza dell’umano, dell’ambiente, della imprecisione strumentale della misura.

Tuttavia nessuno dice che la precisione e costanza è “assoluta”: non so come, ma non è detto che non si arrivi a precisare meglio…ottenendo una più costante “costanza” nel tempo.

Oppure si può dire che la definizione è autoreferenziale, dogmatica, inquinata dalla osservazione dell’uomo? Può essere, ma è ininfluente: la velocità delle luce è quella che è! …e anche che tale era quando nessun umano stava a guardare

Ultima modifica di ulysse : 11-04-2013 alle ore 11.27.55.
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Vecchio 10-04-2013, 20.13.50   #299
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Originalmente inviato da maral
Come ho detto, nella lettura più accorta del pensiero scientifico, si sa bene che l'obiettivo non è l'oggettività assoluta dei contenuti della conoscenza, ma l'accordo delle soggettività.
Ma, veramente, nessuno vuole perseguire l’inesistente.
Non compremdo cosa si intenda con "accordo delle soggettività"!?
Citazione:
Se ammettiamo (e mi pare che tu lo abbia ammesso) che la scienza non dà una conoscenza oggettiva assoluta questa frase su un'approssimazione progressiva non ha senso. A cosa ci approssimiamo se l'oggettività assoluta resta fuori dal nostro campo di conoscenza anche scientifico?
Gli è, come dicevo, che i concetti filosofici non valgono per la scienza!.
L’oggettività della scienza significa conformità ai fenomeni dell’universo fino ad arrivare, in un impensabile domani, ad esplicare compiutamente il grande fenomeno dell’intero universo/multiversi, ecc…: in fondo le grandi teorie interpretanti come la relatività, la quantistica, l’evoluzionismo neodarviniano, ecc…fanno questo...nel loro piccolo!

La sperimentazione/matematizzazione, simulando il fenomeno, garantisce, nel contingente, l’oggettività necessaria e sufficiente per i nostri scopi.

In un continuo “Work in progress”... domani garantirà di più…funzionerà meglio, con sempre maggior approssimazione alla fenomenologia dell’universo, magari scoprendo nuovi fenomeni da sperimentare e dare come certi...magari fino a scoprire un diverso...universo: è tale lo scopo ed il prodotto dell’indispensabile lavorio della ricerca!

Ma, come detto nella nota al precedente post, “oggettività” ha anche il significato di precisione e mantenimento sempre più spinto della “costanza” dei campioni costituiti come riferimento: per la scienza il pregio non è tanto nell'essere, ma nel divenire ed evolvere.

Comunque, il perseguimento e riferimento ad un inesistente "assoluto"...per'altro ignoto... non ha senso.
Citazione:
Ci approssimiamo solo a una nostra pretesa di oggettività che è indimostrabile.
L’oggettività assoluta è indimostrabile perché inesistente e sul piano dell’assoluto nemmeno serve e nessuno lo pretende: la sperimentazione, simulando il fenomeno, dimostra la realtà contingente…e domani di più…evolvendo, ecc…
E’ sempre stato così….basta riandare alla storia.

In ogni caso non è tanto il "metodo", nella sua globalità, che garantisce, ma, specificatamente, la sperimentazione, la matematizzazione, la ripetibilità della sperimentazione stessa in congruenza con le leggi fondamentali dell'universo oggi note.

Sono "modalità" che il "metodo" raccomanda come indispensabili per l'accoglimento di un trovato" nel contesto scientifico.
Citazione:
Certo, si può ribattere che le cose scientificamente spiegate, poi funzionano e questo sempre miglior funzionare per tutti dimostra l'oggettività della conoscenza maturata.
E’ cosi infatti: quando il fenomeno, sperimentalmente simulato, controllato e processato con tutti i crismi del metodo, funziona, allora lo si può dire oggettivamente noto ed acquisito alla scienza.
Citazione:
Ma:
1- è dubbio che le cose realmente funzionino per quello che realmente sono nella loro effettiva interezza: ci saranno sempre aspetti che funzionano e altri che intrinsecamente non funzionano, ma che si può far finta che siano irrilevanti in relazione alle nostre de-finizioni.
Ma che le cose funzionino per quello che “realmente” sono non interessa gran chè: interessa che funzionino in qualche modo per quello che possono e quello, come reale …per ora…si utilizza.
Poi diventerà meglio noto e sempre più: dipende da noi..dal darsi da fare della ricerca!
Infatti, quello che oggi non funziona, pur col massimo di approfondimento possibile, funzionerà domani! A che servirebbe, se nò, la ricerca?

Non è escluso, comunque, dalla stessa ricerca scientifica, ad es., un continuo approfondimento della più intima essenza della materia: a che servirebbero altrimenti i ciclotroni, lo LHC del CERN, la caccia ai neutrini sotto il Gan Sasso, ecc...?

Per il resto non è contemplato alcun far “finta” di irrilevanza: se c’è un problema, un sospetto di ignoranza, lo si risolve in qualche modo …o lo si demanda ad un futuro meglio attrezzato!

Ma non si danno solo i problemi che si risolvono o meno, …intervengono anche intuizioni geniali di uomini/team eccezionali che, nell’ambito del “metodo” confermano o cambiano e rinnovano il mondo, la storia…e la nostra vita: è incontestabile!
Citazione:
2-Pure ogni funzionare implica un ambito in cui le cose possono funzionare, non un funzionare assoluto: un tostapane in mezzo al deserto del Sahara non funziona, proprio come non funziona la danza della pioggia in un contesto culturale che ne esclude radicalmente il senso.
Il segreto consiste nell’accontentarsi…per ora… e guardare al futuro. Non possiamo aspettare, per l’uso e fruizione, che tutto sia completo e onnicomprensivo…non ci arriveremmo mai!

Infatti, il funzionare assoluto, diciamo perfetto, concepito come impossibile e, comunque, dispendioso, non è lo scopo dell’immediato! Interessa invece che qualcosa sempre più funzioni e ci serva per cavarcela: il concetto è sempre… Try and Error!...Work in progress!...Io… speriamo che me la cavo!...ecc….

E intanto ci serviamo di ciò che abbiamo raggiunto come piattaforma su cui poggiare per l'ulteriore progredire scientifico e tecnologico che la ricerca persegue, perfeziona ed innova.

Oggi usiamo il tostapane in casa nostra ed è già un progresso rispetto a 100 anni fa che non c’era! Se poi andiamo nel deserto qualcosa ci inventeremo: la storia insegna che si è inventato sempre più…nel tempo...proprio sotto la spinta deall esisgenza...sia come conoscenza scientifica, che come ricaduta tecnologica.

Quanto alla danza della pioggia non credo sia il “contesto culturale” scientifico attuale a non garantirne l’efficacia!...il problema è che non è matematizzata!
Citazione:
La stessa affermazione sulla vastità di opere potrebbe portarla un teologo in merito alla religione cristiana o a quella induista e ai sensi esistenziali che esse producono.
E sottinteso (inutile sottolinearlo) che la vastità del sapere scientifico, nelle sue varie branche, o è “work in progress” o è oggettivamente dimostrato e autoaggiornante/autocorreggente in conformità al “metodo”.

Non esiste niente del genere in una qualunque religione o filosofia: le vaste risultanze delle elucubrazioni cristiane o induiste o altro…costituisco forse opere immense, ma non sono matematizzate: mi pare siano un sovrapporsi incongruo, ampliato nel tempo, di ogni esplicazione e teoria…da cui l’adepto sceglie ed estrae ciò che gli aggrada e soddisfa allo scopo...soggeyyivamente...seco ndo proprio giudizio.
Citazione:
Il problema non è l'indiscutibile grandezza dell'opera scientifica, il problema è ritenere che quella magnifica opera di conoscenza umana esaurisca qualsiasi altra forma di conoscenza, ammettendola al massimo come un trastullo secondario rispetto al conoscere vero che permette di dominare la realtà.
Ma credo che la concreta realtà dell’universo, il misurabile e ponderabile, sia incontestabilmente sotto l’egida del sapere scientifico…concettualmente e strumentalmente attrezzato ad hoc oltre il pensabile.

Sarebbe presunzione immensa da parte di altre discipline intervenirvi …per quanto la cosa accada…magari accampando ideologie metafisiche o trascendentali spesso incongrue e contrastanti col buon senso: lo lascia supporre lo stesso titolo di questo topic!

Infatti lo scibile umano non è assolutamente esaurito dall’elucubrare e sperimentare scientifico: oltre il concretamente percepibile e misurabile esiste un intero altro mondo…. del sentimento, della affettività, dell’arte, dell’etica, del diritto, dell'organizzazione sociale,...a volere... anche della religione, ecc…

Per quanto, tuttavia, sia invitabile che un tale altro mondo sia sempre più eroso…da metodologie avvalentesi del metodo della scienza: evidentemente la invasività e forza del "metodo" è incontrastabile!

Comunque nessuno è obbligato, ma ognuno che si immetta nel campo del sapere, o di un presunto sapere, ci tiene ad assumere una qualche vernice di scientificità.
Infatti anche l'astrologia si ammanta di metodologia scientifica!
Al limite anche un pranoterapista, per dire, si auto nomina “scienziato”.
Ovviamente la scienza non ci ha a che fare!
Citazione:
Se poi la mia critica a quanto richiamato da Wikipedia sia inconsistente, mi sarebbe gradito sapere, qualora ne avessi tempo e voglia, di sapere dove e perché è inconsistente, altrimenti l'inconsistenza diventa solo tale rispetto all'ennesimo "ipse dixit" che la nostra storia culturale ci presenta anche quando lo vorrebbe negare.
Ennesimo ipse dixit? ...mi pare un incongruo rovesciamento delle parti!
Comunque dico inconsistente perché ingenuo: dopo quattrocento anni di esercizio e milioni forse miliardi di applicazioni…con una attuale esplicazione scientifica attiva oltre ogni limite, ecc…ancora presumiamo che non sia valido!...per quanto, il metodo è estremamente flessibile: ogni protocollo persegue il suo scopo...pur nell'ambito del metodo.

Comunque non ho preso in considerazione una specifica analisi perché:

1)- La stessa enunciazione di Wikipedia è estremamente ridotta …come una sorta di bozza, ….tanto per darne una idea…come era anche il mio intento.

2)- Il tuo criticare verte su un paradigma filosofico che non ha senso per la scienza: dovresti averlo ora capito dalle risposte che ho dato in questo post.

Infatti, da un punto di vista filosofico, in assenza di sperimentazione, matematizzazione, ripetibilità generalizzata, potresti anche avere ragione, ma, per il perseguire scientifico le tue critiche non hanno senso …la scienza non è filosofia ed è questo il tuo qui quo qua.

Ultima modifica di ulysse : 11-04-2013 alle ore 17.58.50.
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Vecchio 11-04-2013, 19.01.58   #300
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Originalmente inviato da jeangene
E' proprio questo che volevo evidenziare...
Citazione:
Io non nego l' esistenza di una realtà esterna al mio io empirico, voglio solamente far notare che il modo in cui ne ho esperienza è dettato dalle strutture del mio io. E' il mio io che da forma alla realtà esterna.
Veramente credo sia piu' corretto dire che il mio percepire e pensare "interpreta" la realtà del mondo "là fuori"...non le dà forma: l'universo "là fuori" è com'è...come si è evoluto e come diviene.

Accade anzi il contrario: è l'universo, la realtà là fuori, o quello che ne percepiamo, che via via su di noi influendo, evolutivamente, ci seleziona e ci crea.
Piuttosto che dare forma, al massimo noi possiamo solo inquinare...nel nostro piccolo mondo.
Citazione:
Inoltre non penso sia corretto parlare di due distinte realtà: io empirici e realtà esterna. Esiste un unica realtà in cui tutto si fonde che in filosofia si identifica con l' Essere.
Infatti non ci sono due realtà! Ce n'è una sola: la realtà concreta dell'universo "là fuori" che noi solo parzialmente o incompiutamente conosciamo o interpretiamo!
Di essa (realtà dell'universo) anche noi facciamo parte come uno dei tanti fenomeni: il fenomeno del vivente...sottofenomeno Homo Sapiens Sapiens...fino ai singoli fenomeni costituiti da ciascuno di noi!

L'altra realtà, di cui parlasi, è quella "approssimata" che scaturisce come intrpretazione che noi... la scienza invero... operiamo, nello sforzo di approssimare sempre piu' l'interpretazione alla realtà dell'universo "là fuori"...per mezzo della sperimentazione e matematizzazione.

Non dimentichimo che una ipotesi fondamentele della scienza è che l'universo "là fuori" sia matematizzabile...cioè esprimibile attraverso algoritmi.
Citazione:
E' assurdo per me pensare a due realtà che costantemente entrano in contatto e interragiscono come derivanti da due mondi diversi.
Infatti è assurdo...anzi non vero!
Ma veramente, ad essere proprio precisi, si potrebbe dire che esiste una unica realtà concreta dell'universo "là fuori"!
...E poi esistono, più o meno, altri 7 miliardi di realtà consitenti nel nostro "personale sentire" (l'io di ciascuno di noi) che i fenomeni del reale universo provocano, ma che su tali fenomeni non hanno alcuna influenza...hanno influenza, piuttosto, sul come li interpretiamo..in una specie di continuo feedback...del sentire, interpretare, percepire, sentire... ecc...
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