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Vecchio 19-01-2006, 22.46.58   #111
gyta
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Trovo la discussione molto stimolante
anche se di sicuro non ho conoscenze scientifiche adeguate per discutere in merito.
Ciò che semplicemente noto è il girare attorno pricipalmente al
significato di coscienza (autocoscienza) attraverso cui forse riuscire a venir a capo del dilemma: una ipotetica configurazione di tale coscienza, nella sua dinamica da "movimento innato" ("informazione" ad esempio del rna nel codice genetico) a "movimento che si auto-riconosce". [=parole mie di certo limitate!]
Veramente una domanda difficoltosa: cosa differenzia (se differenzia!) l'auto-informazione (>coscienza), l'unità "Gyta" dal suo "semplice" dna?



Contribuisco solo in questi termini cercando un qualche chiarimento di cosa s'intenda per

"coscienza" :

Con il termine coscienza si intende uno stato soggettivo di consapevolezza
sulle sensazioni psicologiche (pensieri, sentimenti, emozioni), e fisiche
(tatto, udito, vista.) proprie di un essere umano e su tutto ciò che accade
intorno ad esso. La soggettività della coscienza è data dal fatto che ogni
persona ha una propria modalità di rapportarsi alle esperienze e tale
modalità dipende in gran parte da un determinato stile culturale di
appartenenza. Ma cosa determina questa consapevolezza? Quali sono i canali
grazie ai quali un uomo è consapevole di se stesso e del mondo circostante?
In un individuo la consapevolezza di se stessi e dell'ambiente si struttura
grazie ad un insieme di funzioni psico-fisiologiche come la percezione, la
memoria, l'attenzione, l'immagazzinamento e l'elaborazione delle
informazioni, tutte dipendenti l'una dall'altra e controllate dal cervello.
Tutte le informazioni, sia esterne che interne, passano attraverso i nostri
organi recettori (occhi, naso, recettori muscolari) e, dopo aver raggiunto
il sistema nervoso, vengono da quest'ultimo elaborate.
La coscienza, quindi, è un processo che dipende esclusivamente dall'attività
del nostro corpo.
In alcune culture non occidentali la coscienze è considerata come un'essenza
metafisica, spirituale non ben definita distaccata dal corpo e dalle leggi
della fisica e dotata di una propria autonomia. Essa è, in molti sistemi
culturali, paragonata all'anima. Tuttavia l'accezione metafisica della
coscienza è solo una astrazione filosofica che non ha alcun fondamento nella
realtà e trae origine da diverse credenze religiose come un puro atto di
fede.


(Armando De Vincentiis )

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Vecchio 20-01-2006, 00.31.05   #112
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"La coscienza nelle neuroscienze" di -Francisco Varela-

Vorrei cominciare con una breve retrospettiva storica, che secondo me è
importante per capire quello che sta succedendo. Lo studio della coscienza
come oggetto di scienza è collegato evidentemente con le neuroscienze
cognitive, come si dice oggi. È un tema che come una malattia nevrotica è
stato rimosso, è ritornato, è stato rimosso una seconda volta e adesso
ritorna di nuovo. Ci sono periodi in cui viene messo completamente da parte
e altri in cui suscita una vera e propria infatuazione. [...]La coscienza
restava come qualcosa di mistico, di pertinenza dei filosofi, più che un
tema scientifico.
È stato necessario attendere l'inizio degli anni
Novanta, perché ancora una volta, in questo ciclo maniaco-depressivo della
storia della scienza, tutt'a un tratto, per l'intervento di una serie di
fattori che si potrebbero eventualmente analizzare, si facesse strada
finalmente l'idea che si potevano apprendere molte cose sulla cognizione:
come nasce un'idea di movimento, come si costruisce un ricordo, come
funziona l'emozione e così via, tutti i moduli in cui si articola la vita
cognitiva di un animale o di un essere umano. E finalmente fa la sua
comparsa qualcosa che mancava ancora e che sta in relazione di prossimità
assoluta con la vita dell'uomo: la coscienza, il vissuto. È nata allora
quasi improvvisamente una nuova ondata di quella che si chiama oggi scienza
della coscienza. E tutt'a un tratto è diventato accettabile, anzi
auspicabile, parlare di coscienza e chiedersi qual è l'apparato cognitivo
che rende possibile l'esistenza di un vissuto, l'esistenza di un mondo
fenomenico [phénoménal]
. Beninteso si parla sempre di animali - certi
direbbero che [la coscienza] si trova soltanto nell'uomo, altri direbbero
che è presente anche nei primati superiori. Ma, in tutti i casi, sotto
determinate condizioni, l'apparato cognitivo, di cui sappiamo ormai
parecchie cose, rende possibile l'apparizione di questo fenomeno unico
nell'universo che è avere un vissuto, o per usare l'espressione del filosofo
americano Thomas Nagel, autore di un famoso articolo: "Che effetto fa essere
un pipistrello" (1974), potersi porre la domanda "che cosa significa essere
qualcuno?" e, per implicazione, "che cosa vuol dire avere un'esperienza?".
Da questo momento comincia il gran boom della coscienza e nel boom della
coscienza c'è una fashion, una fascinazione del mistero, per quello che è
considerato lo zoccolo duro nello studio della coscienza, che non consiste
nello spiegare un fenomeno o una capacità o un'abilità cognitiva qualsiasi,
considerata difficile, ma essenzialmente a portata di mano per la ricerca
scientifica. Il problema duro è: che cosa ci permette di dire che c'è
un'emergenza della coscienza? Che cos'è la coscienza? [...] Il
problema è che la maggior parte dei miei colleghi scienziati,
come
dicevo poco fa, propendono per il programma riduzionista, e sono mossi
dal desiderio di trovare la coscienza da qualche parte, di trovare i
circuiti o il luogo della coscienza o, per usare la parola-chiave, i
correlati neuronali della coscienza
- in inglese the neuronal correlates
of consciousness, per cui viene universalmente usata l'abbreviazione NCC -
sempre in base alla speranza che i correlati neuronali della coscienza siano
a portata di mano e che, magari con un duro lavoro, sia possibile trovarli.
Per esempio uno scienziato del più alto livello, come Sir Francis Crick,
premio Nobel
, scopritore con Watson della struttura del DNA, che ha
dedicato una vita allo studio del cervello, è convinto di aver
identificato i circuiti responsabili dei fenomeni di coscienza
, e ha
scritto un libro intitolato L'ipotesi misteriosa, in cui si dice tra
l'altro: abbiamo scoperto che noi, con la nostra vita, la nostra esperienza,
non siamo che a bunch of neurones, un fascio di neuroni. Ecco un pensiero
decisamente riduzionista. Non sto facendo una caricatura, riprendo le parole
e le scelte di uno scienziato di grande statura, non di un tizio qualsiasi
che non ha dato nessun contributo alla scienza. Dunque la nozione di un
correlato neuronale della coscienza è veramente la posta in gioco
essenziale. In che cosa consistono i correlati neuronali della coscienza?
Sono stati trovati, o li dobbiamo ancora trovare? È possibile o impossibile?
Questo è il dibattito fondamentale.

>Qual è la sua posizione personale - che immagino antiriduzionista - in
questo dibattito?


C'è una tendenza, un vettore riduzionista, in cui la nozione di NCC occupa
veramente la maggior parte dei dibattiti e delle discussioni. Ma alcuni
di noi
- parlo a titolo personale, ma evidentemente non sono solo, anche
se siamo sempre un po' in minoranza - pensano che la questione posta in
questi termini non ha soluzione
, per la semplice ragione che il vissuto
in quanto tale è per principio logicamente ed empiricamente irriducibile a
una funzione neuronale. È quello che si chiama il problema duro della
coscienza. Ciò che appartiene al vissuto ha uno statuto o una natura che non
è spiegabile in termini di sistema neuronale. Se ne può trovare un
correlato, ma questo correlato
non cambia assolutamente il fatto che il
lato fenomenico [phénoménal] resta quello che è, un'apparizione
fenomenica
[phénoménal], un accesso fenomenico [phénoménal]
alla mia coscienza. Dunque bisogna mettere la discussione in termini
diversi, tenendo presente il fatto che il dibattito sulla coscienza è
cominciato e si è sviluppato per la maggior parte negli Stati Uniti, dove la
filosofia della scienza dominante che si chiamaphilosophy of mind, è una
filosofia di tipo analitico, che si interessa essenzialmente a dare buone
definizioni delle categorie e degli oggetti, mentre il mio background
filosofico è piuttosto quello della tradizione fenomenologica. Nella
tradizione fenomenologica il punto di partenza è
la natura del vissuto e
la spiegazione materiale del mondo, la spiegazione delle relazioni tra
l'elemento fenomenico
[le phénoménal] e il mondo. Non si tratta in
alcun modo di un tentativo di riduzione o di un tentativo di dissolvere
l'elemento fenomenico [le phénoménal] nell'empirico, perché sarebbe
un'impresa destinata a fallire. Qual è l'alternativa? L'alternativa è in un
certo senso evidente - non direi banale, ma evidente - solo che vi si
rifletta adeguatamente. Perché? Perché quando dico che la coscienza è il
vissuto, non parlo di qualcosa che esiste solo nella mia testa. Non
posso mettermi alla ricerca della coscienza a partire da un tratto di
circuito cerebrale. La coscienza non appartiene, per così dire, a un gruppo
di neuroni, appartiene a un organismo, appartiene a un essere umano, a
un'azione che si sta vivendo.
Non è proprio la stessa cosa. Che
cosa vuol dire precisamente? Vuol dire che non si può avere una nozione
della coscienza e della maniera in cui emerge, se non si prende in
considerazione il fatto che il fenomeno della coscienza appare in un
organismo ed è legato ad almeno tre cicli permanenti di attività. In primo
luogo è connesso in permanenza con l'organismo. Si dimentica troppo
facilmente che il cervello non è un fascio di neuroni sezionati in
laboratorio, ma esiste all'interno di un organismo
impegnato
essenzialmente nella propria autoregolazione, nella nutrizione e nella
conservazione di sé, che ha fame e sete, che ha bisogno di rapporti sociali.
Alla base
di tutto ciò che pertiene all'integrità degli organismi,
c'è infine il sentimento dell'esistenza, il sentimento di
esserci
, di avere un corpo dotato di una certa integrità,
appunto.
Per un aspetto essenziale la coscienza rientra nell'attività
permanente della vitalità organismica che, muovendosi sullo sfondo del
sentimento di esistere, è continuamente permeata, attraversata, da emozioni,
sentimenti, bisogni, desideri. In secondo luogo è evidentemente in
collegamento [couplage] diretto col mondo, o in interazione col
mondo
, attraverso tutta la superficie sensorio-motrice. Io
ho coscienza del bicchiere, nel senso che, quando vedo il bicchiere, dico:
ho coscienza di questo bicchiere. Ma il bicchiere non è un'immagine nella
mia testa, di cui io debba prendere coscienza dall'interno, Si è scoperto
che il bicchiere - questa è buona neuroscienza - è inseparabile dall'atto di
manipolarlo.
L'azione e la percezione costituiscono un'unità e il
mondo non esiste, se non in questo ciclo, in questo collegamento

[couplage] permanente. Io amo dire che c'è un'interazione col
mondo e che il mondo emerge solo grazie a questo collegamento
[couplage] che è una fonte permanente di senso. È un'evidenza
veramente massiccia, che si è costituita a partire dallo studio dei bambini,
dalla neurofisiologia della corteccia motoria e sensoriale, e via di
seguito. Ne potremmo parlare per diverse ore. Quando parlo di contenuti di
coscienza, e dico di vedere un bicchiere, il volto di un amico, il cielo,
non parlo di un tratto di circuito [circuiterie] neuronale che
capta un'informazione dal mondo e ne fa un correlato della coscienza
,
sto parlando di qualcosa che è necssariamente decentrato [excentré], che
non è nel cervello, ma nel ciclo, tra l'esterno e
l'interno, non esiste che nell'azione e nel ciclo, nello stesso modo
in cui il sentimento d'esistenza vive nel ciclo tra l'apparato neuronale e
il corpo.


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Vecchio 20-01-2006, 00.45.37   #113
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2)

Ma c'è ancora una terza dimensione, valida soprattutto per l'uomo - ma anche per i primati superiori - il fatto di essere strutturalmente concepiti per avere rapporti con i nostri congeneri, con individui della stessa specie, l'abilità innata, di un'importanza assolutamente centrale, che costituisce l'empatia, di mettersi al posto dell'altro, di identificarsi
con l'altro. Il rapporto tra madre e bambino non è che una faccenda di empatia. Non soltanto nell'infanzia, ma per tutto il resto dell'esistenza, la vita, la vita mentale, la vita della coscienza, la vita del linguaggio o la vita mediata dal linguaggio, l'intero ciclo dell'interazione empatica socialmente mediato, io non posso separarlo da ciò che chiamo coscienza. Dunque ancora
una volta non è all'interno della mia testa che tutto questo si
svolge
, ma in modo decentrato [excentré], nel ciclo. Il problema del neuronal correlate of consciousness è mal posto, perché la coscienza non è nella testa. Per esprimersi concisamente, la coscienza è un'emergenza che richiede l'esistenza di questi tre fenomeni, di questi tre cicli: con il corpo, con il mondo e con gli altri. I fenomeni di coscienza possono esistere solo nel ciclo, nel decentramento che esso comporta. Qual è in tutto questo il ruolo del cervello? Evidentemente il cervello ha un ruolo centrale, perché - la
cosa si può dire molto bene in inglese, con una espressione difficile da tradurre - è the enabling condition, la condizione di possibilità. Ripeto ancora una volta che la coscienza non è un segmento di circuiti cerebrali, ma appartiene a un organismo incessantemente coinvolto nei differenti cicli e che quindi è un fenomeno eminentemente distribuito, che non risiede solo nella testa. Il cervello da parte sua è essenziale perché contiene le condizioni di possibilità perché questo avvenga. È meraviglioso. La meraviglia del cervello è che permette per esempio il coordinamento sensorio-motore di tutta l'interazione, la regolazione ormonale che assicura il mantenimento dell'integrità corporea, e così via. Ma la nozione di neuronal correlates of consciousness in quanto tale è, per usare le parole
di Alfred Norton Whitehead, "una concretizzazione inopportuna". Non si può fare questa mossa senza escludere simultaneamente molti fatti importanti. Dunque la mia è una posizione antiriduzionista, ma al tempo stesso una posizione assai meglio fondata. Questo riguarda la nozione di ciclo, ma come la coscienza emerga dal ciclo è una nozione assai fluida.

-Lei parla di emergenza. Ci può spiegare meglio come funziona questo concetto nelle neuroscienze?

Sì, certo. In effetti la nozione di emergenza in tutto quello che ho detto e in tutto quello che penso riguardo a queste cose - né sono solo a pensarlo - è una nozione assolutamente centrale, in mancanza della quale si continua a restare, come accade nella maggior parte dei casi, in una visione dualista
del genere body/mind
, e non si arriverà mai a comprendere come un'attività di tipo sia cognitivo, sia cosciente possa essere collegata a una base materiale, senza essere ridotta a un'influenza materiale, come sia possibile un approccio non riduzionista alle basi materiali [della coscienza].
Come dev'essere intesa al nozione di emergenza? Ancora una volta bisogna gettare uno sguardo sulla storia, perché si tratta di una nozione che proviene dalla fisica, che, dall'inizio del secolo, si è sviluppata assieme alla fisica. Proviene dall'osservazione delle transizioni di fase o transizioni di stato o per dirlo più chiaramente di come si passa da un livello locale a un livello globale. Faccio un esempio banale. Sono in circolazione
[nell'atmosfera] innumerevoli particelle d'aria e d'acqua e tutt'a un tratto per un fenomeno di autoorganizzazione - questa è la parola chiave - diventano un tornado, un oggetto che apparentemente non esiste, non ha vera esistenza, perché esiste soltanto nelle relazioni delle sue componenti molecolari. Nondimeno la sua esistenza è comprovata dal fatto che
distrugge tutto quello che incontra sul suo passaggio. Dunque è un curioso oggetto. La nozione di emergenza ha avuto molti sviluppi teorici e in biologia si trova che i fenomeni di emergenza sono assolutamente fondamentali.
Perché? Perché ci permettono di passare da un livello più basso a un livello più alto,all'emergenza di un nuovo livello ontologico. Quello che era un ammasso di cellule improvvisamente diventa un organismo, quello che era un insieme di individui può diventare un gruppo sociale, quello che era un insieme di molecole può diventare una cellula.
Dunque la nozione di emergenza è essenzialmente la nozione che ci sono in natura tutta una serie di processi, retti da regole locali, con piccole interazioni locali, che messi in condizioni appropriate, danno origine a un nuovo livello a cui bisogna
riconoscere una specifica identità
.
Qui la parola identità è importante.
Quando si parla di una certa identità cognitiva, si pensa per esempio al fatto di un cane che si sposta, che decide se andare a destra o a sinistra, che ha un certo temperamento o un certo comportamento, una vita individuale. Si può dire benissimo che questa è la vita mentale, la vita cognitiva del cane: preferisce, sceglie, si ricorda ecc. ecc.Dove ha origine tutto questo? Nella visione delle neuroscienze l'origine è in quella serie
di interazioni, dunque nelle sue percezioni-azioni, nel
collegamento
[couplage] con il mondo, che fa emergere il livello transitorio di un aggregato, da una
specie di assemblaggio di tutti i moduli particolari che sono la percezione in quanto tale, l'azione in quanto tale, ecc. ecc. mettendoli insieme in una unità coordinata che sarebbe la vita cognitiva del cane. Qui c'è un salto.
Per noi è lo stesso. La nostra identità in quanto individui è di una natura del tutto peculiare. Da un lato si può dire che esiste. Mi dicono:Buongiorno, Francesco, ed io sono capace di rispondere, di avere delle relazioni con gli altri. Dunque c'è una specie di interfaccia, di collegamento [couplage] col mondo, che dà l'impressione di un certo livello di identità e di esistenza. Ma al tempo stesso questo processo è di natura tale che appunto, come in tutti i processi emergenti, io non posso
localizzare questa identità, non posso dire che si trovi qui piuttosto che là, la sua esistenza non ha un locus, non ha una collocazione spazio-temporale. È difficile capire che si tratta di una identità puramente relazionale e così nasce la tendenza a cercare i correlati neuronali della coscienza, per trovarli nel neurone 25 o nel circuito 27. Ma non è possibile, perché si tratta di una identità relazionale, che
esiste solo come pattern relazionale, ma è priva di esistenza sostanziale e materiale.
Il pensiero che tutto quello che esiste deve avere esistenza sostanziale e materiale è il modo di pensare più antico della tradizione occidentale ed è molto difficile cambiarlo.

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Vecchio 20-01-2006, 01.02.44   #114
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3

- Atomista, dunque?

Atomista se si vuole, ma soprattutto è un modo di vedere che si trova alla radice della filosofia materialista. Il fisicalismo più diffuso pretende che la sola esistenza è quella materiale. Ora il fatto interessante è che proprio in ambito scientifico e non filosofico, prima nella scienza e solo
in un secondo tempo in filosofia, è stata scoperta la nozione di emergenza.Che si possano dire oggi molte cose, che si possano impiantare anche delle equazioni su queste transizioni da un livello all'altro, dal locale al globale, per cui de facto la vita è qualcosa di troppo, una maniera d'essere nella natura che non è sostanziale ma, per così dire, virtuale - efficace ma virtuale - è una rivoluzione scientifica della più grande importanza.

- Accetta in questo caso di definirsi olista?

Il termine olista è superato, a mio avviso, perché risale all'epoca in cui c'è stato lo scontro tra l'idea che si potesse realizzare un programma riduzionista forte e una nozione filosoficamente motivata dall'esigenza di reagire contro quel programma. Qui non si tratta di olismo, ma di buona scienza. Si tratta di osservare una gran quantità di processi naturali, lo sviluppo e il funzionamento del cervello, l'organizzazione del sistema immunitario, l'organizzazione dei sistemi ecologici, che non possono essere
capiti se non si prende in considerazione la dialettica tra i due livelli, che l'olismo non ha mai veramente compreso. Dunque il termine olismo non è veramente appropriato. Quando parlo di emergenza, parlo di qualcosa che è centrale nella ricerca scientifica contemporanea, anche se molti non ne hanno ancora colto l'importanza. È un problema assolutamente essenziale - e
con questo chiudo questo piccolo a parte epistemologico - perché ciò che c'è di geniale nella nozione di emergenza è che, se da un lato un gruppo di neuroni in interazione con il mondo danno origine a una attività cognitiva, dall'altro, come in tutti i processi di emergenza naturale, una volta che ha avuto luogo l'emergenza di una nuova identità, quell'identità ha degli effetti, ha delle ricadute [causalité descendente] sulle componenti locali.
Che cosa vuol dire? Vuol dire che il concetto di emergenza ci permette per la prima volta di pensare la causalità mentale. Il mentale non è più un epifenomeno, non è più una specie di fumo che esce dal cervello. Al contrario, si può dimostrare scientificamente, logicamente e anche matematicamente che l'esistenza, l'emergenza di uno stato mentale, di uno stato di coscienza, può avere un'azione diretta sulle componenti locali, cambiare gli stati di emissione di un neurotrasmettitore, cambiare gli stati di interazione sinaptica tra neuroni e così via. Questo vuol dire che c'è un vero va-e-vieni tra ciò che emerge e le basi che ne rendono possibile l'emergenza, che impone di fare una descrizione completamente diversa del
posto della coscienza e della cognizione in generale - ma certamente della coscienza - nell'universo, non come livello fluttuante, ma come parte intrinseca della natura, come parte intrinseca alla dinamica del mondo naturale.
È questo che mi piace e che ci fa avanzare rispetto alla perenne
ripetizione di un dualismo che non porta da nessuna parte, senza dover ricorrere al riduzionismo, e senza che la coscienza perda il suo statuto fenomenologico [phénoménal], il suo statuto proprio. [...]
[...] Si parlava prima della riconcettualizzazione della percezione, degli oggetti del mondo. Fino a poco tempo fa si aveva un'idea rappresentazionista della percezione. Là c'è il bicchiere e dentro di me ho un'immagine. L'idea fondamentale che attualmente abbiamo di questa esperienza è di una inseparabilità dell'atto e della percezione. Adesso si scopre, tra l'altro che Husserl e Merleau-Ponty hanno esaminato a lungo questi argomenti e
hanno estesamente tematizzato l'inseparabilità di percezione e di azione.
Se si legge, per esempio, quello straordinario libro di Husserl che s'intitola Ding und Raum, Cosa e spazio, dove descrive in tutti i particolari il modo in cui le cinestesie del corpo vanno a costituire un oggetto, si vede l'incredibile finezza d'osservazione, propria del fenomenologo, con cui mostra cose che oggi vengono confrontate - e concordano perfettamente - con
i risultati delle neuroscienze. Lo stesso non si può dire dei filosofi
analitici, che si sono formati su un'analisi puramente esterna e non sono mai entrati in un confronto diretto con i dati empirici. Ne consegue che c'è sempre più la tendenza a fare della fenomenologia una fonte di riflessione, tanto più se ci si interessa alla coscienza, che è per così dire lo zoccolo duro della fenomenologia[...] "

(intervista integrale su:
http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=452 )

[L'ho trovato decisamente.. illuminante! ]



Gyta
gyta is offline  
Vecchio 20-01-2006, 09.58.16   #115
epicurus
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Messaggi: 2,725
Re: 3

Citazione:
Messaggio originale inviato da gyta
[L'ho trovato decisamente.. illuminante! ]

uauu, grazie gyta per questo pezzo interessantissimo; dico questo perchè questa posizione pluralistica era proprio quella che volevo difendere nel mio topic sull'identificazione di uno stato intenzionale. spero che questo la possa chiarire ulteriormente e far vedere a nexus e jack la plausibilità di tale tesi.


epicurus
epicurus is offline  
Vecchio 20-01-2006, 12.18.44   #116
kantaishi
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Dimostrazione dell'esistenza di Dio.

Salve,
se per voi Dio è uno che muore e poi risorge,tanto più è Dio uno che,da 40.000 anni a questa parte,va piantando sfingi e piramidi per tutto il mondo.
Dunque,fu chiesto a Ermete Trismegisto :"Chi è Dio?"
E lui rispose,mostrando le tre piramidi di Giza,:

"Come in basso,così in alto."

E,in questo mondo,c'è gente talmente intelligente da capire cosa intendeva dire.
Dunque,procurati una foto aerea della piana di Giza e osserva bene:vedrai le tre grandi piramidi,sopra il Cairo e Alessandria e sotto Menfi e Eliopoli e a destra il fiume Nilo.
Bene,in una notte di ciel sereno guarda in alto e cosa vedrai?
La via lattea (il Nilo) la costellazione di Orione con la cintura di tre stelle che sono disposte esattamente come le tre piramidi:stessa distanza(in scala)e stessa angolazione fra loro.
Dunque,quando Dio costruì le tre piramidi e fondò le quattro città,voleva ridurre in scala ciò che si vede in cielo.
Dio voleva dire:"Io abito nella costellazione di Orione."
E Gesù ?(quello vero non quello cattolico) chi voleva indicare con le parole:"Il Padre mio che è nei cieli"?
Ovviamente si riferiva alla costellazione di Orione,o anche semplicemente a Osiride.
Dimostrata l'esistenza del Dio Ebraico-Cristiano.
Da non cofondere con Allah,che è il Dio Universale.

Pace e bene.


Kant.
kantaishi is offline  
Vecchio 20-01-2006, 13.04.37   #117
kantaishi
Utente bannato
 
Data registrazione: 15-05-2004
Messaggi: 1,885
E mo'? Che fate?

Salve,
una volta capito di essere immortali e che Dio è praticamente l'Atlantideo Ermete Trismegisto, che ci state a fare qui sulla Terra?
Che prospettive avete?
Migliaia e migliaia di reincarnazioni qui su questa terra?
Che palle!!

La rana della pozzanghera ha capito che esiste l'Oceano Pacifico
e rimane ancora lì nella pozzanghera, lì per miliardi di anni?
Che palle!

Non sarebbe ora di far le valige e partire?

Ma,prima di partire,bisogna capire,capire esattamente.

Che Osiride e Iside siano sempre con voi.

Kant-Horus.
kantaishi is offline  
Vecchio 20-01-2006, 13.16.48   #118
nonimportachi
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Data registrazione: 04-11-2004
Messaggi: 1,010
Citazione:
Messaggio originale inviato da kantaishi
cerca su Internet !

[/b]

Detto fatto Kantay,

Questa è la carta:



"rappresenta l'Antartide nell'oceano atlantico ed è sutuata fra il Brasile e il Nord Africa.
La carta è perfetta come quelle che vengono stampate oggi"


perfetta?

dov'è l'Antartide?
nonimportachi is offline  
Vecchio 20-01-2006, 19.08.32   #119
kantaishi
Utente bannato
 
Data registrazione: 15-05-2004
Messaggi: 1,885
X Nomim-porta-chi.

Salve,
ma nel mio libro la carta non è così.
Si vede il Sud del l'oceano Atlantico e un'isola a 4000 Km più a Nord del Polo Sud e non c'è l'Antartide.
E Hankock non può sbagliarsi.
Andrò io in cerca su Internet della carta nella prospettiva
mostrata da Hancock.
Saluti.

Kant-Ay.
kantaishi is offline  
Vecchio 20-01-2006, 19.49.06   #120
nonimportachi
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Re: X Nomim-porta-chi.

Citazione:
Messaggio originale inviato da kantaishi
Salve,
ma nel mio libro la carta non è così.
Si vede il Sud del l'oceano Atlantico e un'isola a 4000 Km più a Nord del Polo Sud e non c'è l'Antartide.
E Hankock non può sbagliarsi.
Andrò io in cerca su Internet della carta nella prospettiva
mostrata da Hancock.



Salve Kant,

Temo che invece Hankock si sbagli nelle sue valutazioni e ci metta anche una buona dose di malafede. Temo che ti stia sbagliando anche tu, la carta di Piri Reis è questa, così come la vedi completa in ogni sua parte ed è su questa carta che Hankock costruisce le due tesi.

Temo che tu debba rivalutare le tue competenze archeologiche.
nonimportachi is offline  

 



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