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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 30-12-2002, 21.20.28   #41
visechi
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Per carità, solo se ne avete voglia e se soffrite d'insonnia...

Interessante questo thread; finalmente sono riuscito a leggere tutti gli interventi, quanto attentamente lo giudicherete voi. Se non mi è sfuggito qualcosa, rilevo che nessuno ha avuto la sfrontatezza di cimentarsi nell'ardua impresa d'indicare qualche valore universale che, se condiviso, ci potrebbe avvicinare, per gradi e successive approssimazioni, alla Conoscenza.
Per il mio intervento prendo spunto dall'inizio, dalle parole del buon Carol (amico di vecchia data):
Citazione:
"… che vi sono diritti umani universali, radicati nella natura della persona, nei quali si rispecchiano le esigenze oggettive di una legge morale universale… che vi sono diritti umani universali, radicati nella natura della persona, nei quali si rispecchiano le esigenze oggettive di una legge morale universale… che vi sono diritti umani universali, radicati nella natura della persona, nei quali si rispecchiano le esigenze oggettive di una legge morale universale…"
Bene! Chiedo, quali possono essere questi valori universali? Siamo in condizione d'individuarne qualcuno?
Potrei provare io … il diritto alla vita … questo è un valore universale? Per essere considerato tale non dovrebbe mai essere messo in discussione, neanche in presenza dei più efferati delitti. Viceversa, siamo consapevoli del fatto che troppo spesso è calpestato, che la Chiesa stessa sovente l'ha posto in subordine rispetto ad altri valori … è stato, in sintesi, relativizzato … in determinate circostanze e in determinati contesti storici è assurto a valore fondamentale, altre bellamente sopraffatto da urgenze di diversa natura.
E' un valore universale? Una legge morale universale a tutela del diritto umano universale non dovrebbe mai, in alcun caso, contemplarne la soppressione … eppure … eppure la storia dell'umanità insegna; è lì a testimoniare che anche in questo caso il diritto alla vita può essere relativizzato … in merito m'impedisco giudizi morali.
In conseguenza a questa amara constatazione (l'amarezza è dovuta al fatto che mi rendo ben conto che è impossibile dichiarare assoluto quello che io definirei essere IL DIRITTO PER ANTONOMASIA) ho l'ardire di teorizzare ed immaginare l'esistenza di un'ipotetica 'scala gerarchica universale dei diritti'. In quanto tale intangibile. Vado oltre, detta scala gerarchica sarebbe, nella mia visione allucinatoria, la sommatoria dei diritti che umanamente (solo umanamente poiché stiamo cincischiando intorno all'uomo e alle sue certezze ed incertezze) e a ragion veduta possono essere annoverati fra quelli fondamentali, ma che, avulsi dal contesto e valutati singolarmente, mai potrebbero assumere una dimensione assoluta. In sintesi, universale diverrebbe la scala dei valori che vedrei composta e costituita da valori relativi (classico esempio di una sommatoria di elementi che consegue un valore finale ben più elevato della somma dei singoli valori intrinseci a ciascun componente). Mi piace immaginare che questa somma universale di valori relativi sia molto complessa e variegata. Ipotizzo pure che intimamente (cioè non la scala in sé, ma la sua composizione interiore) non sia statica ma dinamica, che i suoi componenti varino nella posizione assunta e si plasmino sulla scorta delle situazioni e delle esperienze, che contempli l'esistenza di una grande mole di diritti intermedi che s'inseriscono con tutta la propria urgenza nelle intersezioni fra valori e diritti confliggenti.
Per chiarire meglio proporrei questo percorso: un semplice, complesso viaggio nella realtà contingente.
Il diritto alla vita assume sempre un valore estremamente elevato nell'ipotetica scala universale, ma mai un valore assoluto ed universale intrinseco. Detto diritto mai e poi mai potrà essere espunto dall'ipotetica scala di valori universale, ma la sua posizione gerarchica dipenderà dal contesto storico, ambientale e soprattutto, questo e ciò che mi preme evidenziare maggiormente, sarebbe assolutamente relativa e soggettiva … Per comprendere appieno questa mia astrusità, proporrei d'immaginare una situazione in cui ci si debba decidere della vita e della morte di due persone (fatti concreti, purtroppo spesso registrabili nella realtà quotidiana). La vita di una rappresenta, al tempo stesso, la morte per l'altro individuo … camera da parto in un qualsiasi ospedale del mondo… si deve scegliere per la vita della madre o del nascituro … l'assenza della scelta rappresenterebbe la morte sicura di entrambi, per cui si è costretti a scegliere (non sono fatti ipotetici) … la vita di uno è la morte certa dell'altro e viceversa … è chiaro che in queste condizioni sia 'facile' (solo nel senso che comunque si opterebbe per la vita) optare sempre per il diritto alla vita, ma un diritto alla vita assolutamente parziale, che contempla la morte dell'altro individuo… la scelta sarebbe lacerante. In questa dannatissima ipotesi ci troveremmo ad aver tutelato, rispettato, esaltato etcc… (chi vuole può aggiungere quello che più gli piace) il diritto alla vita relativamente all'individuo 'salvato' (soggetto … diritto e valore soggettivo); viceversa, avremmo soggiaciuto ad un'altra urgenza in relazione (RELATIVAMENTE) all'altro soggetto 'non salvato', rispetto al quale non abbiamo ottemperato all'obbligo imperativo di esaltare il suo diritto alla vita (che astruso.. spero di essere stato chiaro).
Questo ragionamento non è statico. La scelta che si opera - salvare la madre piuttosto che il nascituro - non è da considerare come una scelta definitiva e definita sulla base di presunti valori universali immodificabili; basterebbe inserire qualche piccola variante al caso ... che so, una madre affetta da tumore - che truce, sono casi avvenuti - per far variare la scala di valori … in questo caso la vita per il nascituro diventerebbe, forse, più urgente e universale rispetto alla salvaguardia del diritto riferito alla madre, presumibilmente comunque già condannata a morire … qualcuno provi a parlarne con chi deve assumere la decisione … si tratta di affetti.
Son consapevole che quanto sopra da me rappresentato a livello teorico evidenzia un relativismo etico solo in funzione dei soggetti che soggiacciono alla scelta, quindi, al limite, avrei posto in evidenza non tanto il relativismo dei valori in sé, ma al più la diversa significatività che gli stessi assumerebbero in relazione ai soggetti che, nel caso in ipotesi, presentano interessi divergenti.
Ma un ulteriore sforzo immaginativo (ben poca fantasia… sempre solo casi concreti … accaduti) potrebbe permetterci di enucleare e porre sotto una luce indagatrice (un flash, un raggio laser, un microscopio nucleare) il cuore del problema…
I Valori possono essere relativi in sé? (almeno a livello umano… ma del resto di questo stiamo parlando)
Anche in questo caso credo di poter affermare di sì. Se la vita fosse un valore assoluto, universale, lo sarebbe sempre e comunque, a prescindere dal contesto, anche se lo stesso (diritto) dovesse venire a contatto con altri valori posizionati, nell'ipotetica gerarchia, in un gradino inferiore. Parlo del diritto ad una vita sufficientemente 'normale'. Intendo con ciò una vita che possa assicurare al suo 'fruitore' un buon livello probabilistico relazionale con il prossimo, tale da permettergli una 'normale' (sempre fra parentesi per evitare connotazioni moralistiche) vita psichica. E' risaputo che in alcuni casi questa possibilità è assolutamente preclusa già prima della nascita. Parlo di quei disgraziatissimi casi di profonde malformazioni che sicuramente precluderebbero al nascituro (che comunque potrebbe sopravvivere anche autonomamente in stato vegetativo) una proficua interazione col mondo circostante. Parlo anche di quei malaugurati casi per cui l'umanità (intesa come sentimento) ammetterebbe e spesso auspicherebbe il ricorso all'aborto terapeutico.
In questi casi è universale il diritto alla vita?
Nei casi di accanimento terapeutico (sappiamo tutti, immagino, quel che intendo) è prioritario, universale e intangibile il dovere del soggetto nei confronti della vita o diventa prioritario il suo diritto a veder la fine della propria sofferenza, anche psichica??? Risposte difficili a quesiti complessi, tanto intricati da non permettere d’immaginare un approccio al problema predefinito o univoco che s’imperni su archetipi o teoremi statici. L’esperienza, l’interazione con il mondo circostante, in sintesi, la vita stessa ci costringe ad operare un continuo, incessante, snervante, macchinoso riposizionamento dei valori insiti nell’ipotizzata ‘scala universale’. Il rapporto con la vita non è e non potrebbe mai essere altro che dialettico e, di conseguenza, il loro posizionamento (dei differenti diritti o valori) non è mai definito nel tempo.
Io immaginerei l'esistenza di un 'corpus etico universale' costituito da tanti elementi relativi, mai eliminabili, in eterno rapporto dialettico l'uno con l'altro (potremo anche provare ad immaginare quali possono essere questi elementi costitutivi… questi mattoni elementari del corpus etico che rappresenta l'eticità universale).


segue
visechi is offline  
Vecchio 30-12-2002, 21.22.44   #42
visechi
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post 2/2
Immagino che questi 'costituenti elementari relativi', che necessariamente devono essere ricompresi all'interno dell'ipotizzato 'corpus etico universale', non abbiano una valenza statica ma, piuttosto, siano inseriti all'interno della scala gerarchica in un continuo 'fluttuante movimento a scorrimento' interno. Fluttuazione che nella mia allucinazione vedrei posta in dipendenza a differenti gradazioni d'intensità e di pregnanza massime e minime che, volta per volta, farebbero assumere ai molteplici e variegati ‘costituenti elementari’ differenti posizioni gerarchiche in base al contesto, alla situazione e ai soggetti. Immagino pure che questi 'mattoni elementari' in alcun caso debbano assumere un'intensità troppo prossima allo zero, pena la loro possibile espulsione dalla scala universale. Questa fluttuazione interna è determinata dalla situazione che si deve fronteggiare, per cui, alle volte, il diritto alla vita assumerebbe un valore elevato a scapito di altri mattoni elementari, altre una posizione più defilata a vantaggio di altri costituenti.

Credo che quanto da me farneticato (lo so, è solo una farneticazione) possa essere il paradigma teorico ideale per l'umana convivenza (tanto si cercava).
Teoria, non certo pratica, la pratica è ben altra cosa. Non sarà mai la rappresentazione corretta della Conoscenza Assoluta, cosa che, acquisendo per verosimile la sua esistenza, a parer mio, non è umanamente raggiungibile se non per atto di fede dogmaticamente indotta o per esperienza mistica dalla quale sono alquanto distante. Mi rendo infatti perfettamente conto che questo ragionamento ci potrebbe condurre a prendere contatto con una relatività tipicamente umana. Vale comunque la pena di porci il problema dell'esistenza di un qualcosa di più elevato ed assoluto… io propenderei per il si. Credo che potrebbe esistere (non riuscirei mai ad escluderlo) una dimensione, forse divina, in cui il nero e il bianco, nell'esperienza umana solitamente compenetrati fra loro, riacquistino le intere e complete proprie caratteristiche elementari e genuine … ma credo anche che sia umanamente impossibile arrivare a Conoscere questa dimensione, per cui immagino che l'unico ausilio che ci conduca al suo cospetto possa essere solo e sempre un atto di fede e non la pretesa della Conoscenza.

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Non senza prima aver fatto pubblico atto di contrizione per la lunghezza, ma si sa, sono estremamente prolisso, già che ci sono proseguo … chi vuol leggere, legga. Per chi invece avvertisse un forte stato confusionale dovuto alla lunghezza, all'astrusità o alla pochezza del contenuto (sappia solo che la sua confusione non potrà mai essere paragonabile alla mia), gradisca tutta la mia comprensione; a questi rivolgo un saluto; se è giunto fin qui vuol dire che almeno la metà l'avrà pur letta … ciao!
Ho letto con estremo interesse la dotta spiegazione impartitaci da David in ordine alla Verità Oggettiva insita nell'esperienza del colore.
Citazione:
L’esperienza e quindi la Conoscenza del Rosso è qualcosa di oggettivo e nient’affatto legato ai gusti e alle mode del momento: il rosso ha una sua dinamica ben precisa, ha una sua vita con delle leggi e delle regole che attua sempre e costantemente quando si manifesta. Newton ce ne ha parlato dal punto di vista matematico. Goethe da quello spirituale. Sono entrambe visioni oggettive del rosso se non solo si studiano i due insegnamenti ma si mettono in pratica attraverso esperimenti e meditazioni. Il rosso posso dire di conoscerlo personalmente. Quando vedo il rosso so cosa significa, lo so interpretare, so che effetti ha sull’uomo, sulla sua salute, sui suoi pensieri: so che volontà ha il rosso. E’ solo una Verità, ma il metodo è quello. Scienza e Spirito fanno Conoscenza, non ideologia, né religione, né dogma. La Conoscenza è una Via, non un obiettivo.
Nell'esempio si fa cenno al colore rosso e all'esperienza che si trae dall'osservazione dello stesso. Cercherò di evitare di scantonare e di essere coerente con la metafora utilizzata. Immagino che il rosso sia stato utilizzato esclusivamente per consentire a tutti di focalizzare un termine di paragone cui far costante riferimento. In pratica, partendo dall'esperienza del rosso penso si voglia suggerire che, almeno in questa occasione, sia possibile esperire un qualcosa di oggettivo. La misurazione delle onde prodotte dal colore rosso attesterebbe un'oggettività misurabile a prescindere dal soggetto percepente. Intrigante, assolutamente interessante.
Ho la sensazione che concentrare l'attenzione sui diversi soggetti che esperiscono il rosso sia fuorviante. L'unica via per relazionarsi correttamente col rosso parrebbe essere quella di prestare attenzione alla misurazione stessa che renderebbe un risultato sempre coerente, mai artefatto. Quel che mi preoccupa non è tanto la fonte che emana ciò che è sottoposto ad analisi e misurazione, piuttosto la misurazione stessa e ancor più la decodifica del risultato del rilevamento. Noi osserviamo facendo ricorso a strumentazioni tecnologiche più o meno sofisticate (la vista è un senso fallace … esempio dei daltonici … due soggetti, due esperienze diverse). Gli strumenti utilizzati sono dei congegni, dei marchingegni, dei dispositivi tecnici opportunamente tarati al fine consentire una corretta interazione con le nostre capacità sensoriali ed ‘esperenziali’ (boh!!!!). Noi li abbiamo costruiti in funzione della nostra capacità di osservare e di esperire in un determinato modo e non in un altro (cavolo, se dico idiozie spero che me lo facciate notare… sarei ben felice di ammetterlo). Questi marchingegni registrano l'esperienza in un determinato modo - in quel determinato modo e non in un altro - giusto perché sono stati tarati in funzione delle nostre capacità sensoriali. Anche la decodifica dei risultati ottenuti è in funzione delle nostre attitudini a percepire in quel determinato modo. Ovvio immaginare che nel caso la nostra percezione fosse del tutto distorta o anche minimamente falsata, pure i mezzi approntati per la misurazione dell'effetto e la conseguente decodifica risentirebbero negativamente di questi effetti distorsivi, per cui avremmo comunque un'esperienza soggettiva, dipendente dalla nostra soggettività percettiva. Vivremmo, attraverso questi strumenti, un'esperienza soggettiva frutto di una realtà che potrebbe anche essere oggettiva (posto che ve ne sia una). Oppure, ancora più arzigogolato e cavilloso, potrebbe essere che l'impossibilità a registrare oggettivamente i fenomeni sia da ascrivere alla mancanza di oggettività dei fenomeni stessi, nel senso che la realtà circostante è assolutamente mutevole e sempre funzionale al soggetto che percepisce. Potrebbe essere che ciò che noi avvertiamo come reale sia in effetti una concezione dell'uomo, un costrutto umano teso a rendere esperibile il fenomeno e praticabile l'esperienza. Su questo argomento esistono vari paradossi in fisica (lo studio delle particelle subatomiche ... non mi cimento, non sono un fisico … PER YGRAMUL, sto' leggendo quel favoloso libro intitolato 'Il Tao della fisica' … complesso, molto complesso … chissà se alla fine sarò riuscito a capirne qualcosa) e nella logica (la possibilità, al momento solo teorica, di un viaggio nel tempo che ci permetta d'interagire proficuamente con il vissuto - nel senso di produrre alterazioni apprezzabili dell'esperienza precedente -). Un esempio dei paradossi logici è fornito dalla storiella che segue (copiata di sana pianta da una rivista scientifica specializzata):

“Un critico d’arte del futuro fa visita a un pittore del XX secolo che all'epoca del critico è considerato un grande artista. Osservando le opere che il pittore produce in quel momento, il critico le trova mediocri e conclude che l’artista deve ancora realizzare i suoi dipinti che tanto hanno impressionato le future generazioni. Il critico mostra quindi al pittore un volume in cui sono riprodotte queste opere più tarde; questi riesce ad impossessarsene di nascosto, costringendo il critico a ritornarsene a mani vuote, e poi comincia a copiare meticolosamente su tela le illustrazioni. Così le riproduzioni esistono perché sono copie dei dipinti e i dipinti esistono perché sono copie delle riproduzioni… i dipinti vengono all'esistenza senza che nessuno debba dedicare uno sforzo creativo alla loro realizzazione”

Mi chiedo quali sono gli autentici e quali le copie???
Detto questo, qualcuno mi dica, nell'ipotesi, di quale realtà oggettiva stiamo parlando????
Ciao
visechi is offline  
Vecchio 31-12-2002, 01.58.28   #43
Respirazzurro
RESPIRAZZURRO
 
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E' possibile che dica idiozie dopo essere stato investito dal treno di parole sopra di me(lo dico con simpatia).
A parte questo,credo che come ha già detto qualcuno nei vari post,che il relativismo sia un dato di fatto.
Un dato di fatto nel senso che mi sembra veramente indimostrabile l'esistenza di valori etici assoluti.
Già se analizziamo la parola,ci accorgiamo di una cosa.
Oggi quando parliamo di Etica,intendiamo un comportamento di un certo tipo,ossia un corretto agire morale,la nozione che ne abbiamo è già orientata qualitativamente verso il Positivo,intenso nel pericolosissimo senso comune.Avere Etica,non significa però,avere un giusto comportamento.
Come tutti voi sapete,la parola deriva dal greco e significa "Scienza del comportamento" o "Filosofia dei costumi" e significati affini,ma non troverete mai"Corretto agire morale" o cose simili.
L'Etica nasce asettica,è un contenitore vuoto,riempito qualitativamente in modo differente dai vari filosofi e da ognuno di noi.
L'etica di cui parla David è un tipo di Etica,l'etica del cistianesimo,riportata poi dal papa,etica relativa al Cristianesimo;cristianesimo da cui ci sentiamo indipendenti perchè magari non andiamo a messa e non aderiamo a tutti i principi evangelici,ma che come goccia che scava la roccia è penetrato in alcune sue basilari fondamenta in noi per secoli.
Oggi quando parliamo di etica,abbiamo in mente l'etica cristiana,magari depurata dei suoi accenti più peculiari ma pur sempre etica cristiana.E quindi Relativa a....
Secondariamente,c'è da notare una seconda cosa,ossia che è sbagliato essere convinti dell'esistenza di Verità etiche universali per tutti gli uomini,regolanti l'agire umano e che non si possono non riconoscere perchè chiunque lo sostenga sarebbe banalmente smentito dai fatti e dalla non dimostrabilità.Non solo.
Se invece si sostiene che bisogna stabilire norme etiche uguali per tutti,in modo che diventino universali,si tratterebbe di un atto normativo,ed in quanto tale sottoposto alla consueta violazione che si presenta davantiad ogni codice,legislativo o etico che sia.
Ciò quindi rivelerebbe in modo imbarazzante l'essenza comunque relativa dell'etica.
Saluti,a presto.
Respirazzurro is offline  
Vecchio 31-12-2002, 12.47.25   #44
steppenwolf
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Grazie personalmente a visechi e respirazzurro per gli interessanti interventi.
Possiamo anche smettere, nelle premesse dei nostri interventi, di rimbalzarci la palla della dimostrazione della relatività dei valori morali in quanto ne siamo tutti convinti e, soprattutto, ben altri pensatori hanno dedicato la loro vita e salute mentale al riguardo. Pertanto, entro direttamente nel nocciolo della vicenda (una bozza di tavola universale di valori relativi).
Avrei un’obiezione da muovere a visechi laddove, per comodità, postula che il più elevato diritto relativo sia quello alla vita. In realtà tale diritto illuminista è il portato di una concezione umanista oggi non più attuale.
Per farti un esempio, nell’epoca fascista a ragione consideravano più elevato il diritto alla vita della nazione; nel mondo globalizzato il più elevato diritto dovrebbe essere il diritto alla vita dell’umanità: in questo senso riacquisterebbe credito la teoria della ragion di stato (elevata di un gradino nella: ragion dell’umanità) e, conseguentemente, i nemici dell’umanità potrebbero essere eliminati fisicamente (cosa inconcepibile se si rimane ancorati alla concezione della singola vita umana come sommo bene).
Fin qui tuttavia, ho svolto una precisazione banale in quanto penso che molti (eccettuato qualche filosofo) sacrificherebbero volentieri la vita di un dittattore per la salvezza di milioni di persone.
Siccome non ho niente di nuovo da dire, provo a dire qualcosa di cattivo. Io sarei favorevole a sacrificare la vita umana non solo dei dittattori (in base ad un evidente calcolo numerico con le vite risparmiate) ma anche di coloro i quali violano altri beni (che elencherò).
In sostanza, non penso che la vita umana sia il sommo bene e che a seconda della quantità di vite umane si debba fare una gerarchia di valori relativi (p.es., ed in ordine decrescente: diritto alla vita dell’umanità, diritto alla vita di un continente, di uno stato, etc…),
Secondo me non è importante che si viva necessariamente tutti, ci sono altre cose più importanti.
Conseguentemente, sarei disposto a sacrifiare la vita di chi p. es., pur non uccidendo neanche una formica incenerisse ettari di bosco in quanto l’ambiente è un bene di tutti che supera il valore della vita umana del singolo. Ugualmente, chi radesse al suolo una città d’arte in ipotesi disabitata dovrebbe subire la stessa sorte in quanto il patrimonio artistico universale è un bene comune mentre la vita del teppistello è, al più, una sfiga comune.
Conseguentemente, secondo me la vita del singolo deve cedere il passo ogni volta che sia incompatibile con un bene comune (l’ambiente, il patrimonio culturale, etc…).
Infine, caro visechi, pur avendo molto apprezzato il tuo intervento, non ho capito il tuo inciso religioso nel nostro tema laico ma al riguardo ci rivedremo tra poco nella nuova discussione che intendo lanciare sulla chiesa come farmacia in cui si vende la religione come medicina psicologica per il mal d’esistere. Ti anticipo solo che ritengo la fede una rinuncia a pensare e cioè una bestemmia per il laico.
steppenwolf is offline  
Vecchio 01-01-2003, 18.51.43   #45
sisrahtac
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Ma proviamo ad uscire dal limitato sistema uomo.La vita umana sarebbe il valore supremo?La Natura non la deve pensare così,vista l'esistenza di terremoti e varie calamità naturali.Anzi,la vita umana e dell'intera umanità non valgono proprio niente,in quest'ottica,che,tra l'altro,risulta anche più "oggettiva",inquanto travalica le varie individualità umane.E' che noi siamo egocentrici e megalomani.La nostra vita vale tanto solo per noi e,al massimo,per i nostri simili,giusto per una questione di simpatia e solidarietà.Quindi anche il valore supremo risulta essere solo frutto del nostro egoismo.Bella la vostra pretesa di valori oggettivi.
sisrahtac is offline  
Vecchio 01-01-2003, 19.56.47   #46
david
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E’ apprezzato, credo non solo da me, il fatto che in questo forum ( pensato inizialmente come una grande “provocazione” ispiratrice di fecondi pensieri) gli interventi siano non solo piuttosto lunghi ( la cosa richiede fatica per chi pensa e scrive, non solo per chi deve leggere…) ma anche seri, impegnati, “lavorati e smussati” sempre di più. Per questo ringrazio tutti coloro che sono fino ad ora intervenuti, tale impegno si sente e si legge con grande facilità.
Però, ne converrete, l’impegno non basta. Occorre arrivare a qualche risultato se vogliamo che i nostri ragionamenti arrechino un che di fecondo per le nostre vite.
Iniziamo allora a stabilire qualche punto di base ai ragionamenti fin qui espressi da tutti; prima infatti di giungere a porre esempi “universitari” come il diritto alla vita a favore della madre o del figlio morenti partirei dall’ A B C, da concetti “elementari” quindi. Poi da lì ognuno di noi potrà costruirci un solido edificio teorico e si spera pratico. Però è importante ripartire dalle fondamenta dell’edificio.
Quando ho fatto l’esempio della Volontà intrinseca del colore ROSSO volevo parlare di un esempio-base ma molto chiaro di come di un tema considerato “universalmente” soggettivo come il colore, i suoi effetti, la nostra simpatia per esso è in realtà un tema assolutamente Oggettivo: certamente gli strumenti che noi adoperiamo per “vedere” il rosso, cioè i nostri occhi, possono mal funzionare, possono soffrire di daltonismo e confonderlo col verde, oppure costruire strumenti meccanici più precisi ma difettosi e comunque limitati. Ma come non posso dire che se esistono due uomini ciechi allora la vista non è un senso realmente ed oggettivamente esistente perché non è posseduta dall’intero genere umano così non posso dire che non possiamo fidarci della vista perché esistono i daltonici…giusto?
Il concetto-base, mattone per costruire qualcosa è in questo caso che il ROSSO ha una sua dinamica ben precisa, a prescindere dal carattere dell’osservatore e dalla simpatia di quest’ultimo…il ROSSO è attivo, si espande, ti viene addosso, ti sfida e lo fa sia che tu sia un tipo flemmatico che un collerico: la differenza sta nella REAZIONE, e qui si parla di SOGGETTIVITA’: il collerico si innervosisce, l’automobilista si ferma, il toro carica, il flemmatico non si accorge di nulla e va per la sua strada…Se di fronte a noi stanno elementi OGGETTIVI, SOGGETTIVA è quindi solo la nostra prima e istintiva reazione. Ma l’uomo, l’uomo sano almeno, ha la possibilità di non fermarsi alla reazione istintiva, bensì di andare oltre, così come stiamo facendo noi adesso in questo forum: in questo consiste la LIBERTA’ così tipica dell’uomo, cioè di non essere costretti sempre ad un determinato comportamento o ad una reazione “meccanica” o “animale”: l’uomo può anche decidere di comportarsi in maniera diversa rispetto al proprio istinto, dietro ad un determinato ragionamento.
Se questo processo ci è ben chiaro abbiamo costruito il primo muro portante del nostro edificio dove confrontarci le idee.
Siamo partiti da un mattone elementare, l’azione del colore, e siamo giunti ad un concetto OGGETTIVAMENTE accettato da noi tutti: dicendo questo sappiamo che NON TUTTO E’ RELATIVO ( che sarebbe un controsenso enorme: se tutto è relativo, il relativo è oggettivamente corrispondente al tutto!), c’è invece qualcosa di OGGETTIVO ( la dinamica del colore, la possibilità dell’uomo di scegliere diversamente dal proprio istinto) e qualcosa di RELATIVO ( la diversa reazione di ciascuno di noi all’attività del colore).
Niente assolutismi, niente fondamentalismi, niente fede cieca ( né cristianeggiante ma neppure nel relativismo): parte allora la conoscenza, ancora parziale ma già con qualche mattone ben solido e resistente.
Chi ci raggiunge ora in questo edificio per continuare a costruire delle solide mura?
david is offline  
Vecchio 02-01-2003, 21.21.07   #47
steppenwolf
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1/2
Scusate la lunghezza dei due interventi che licenzio ma la carne al fuoco è tanta e, soprattutto, ho intenzione di alleviarvi della mia presenza. Per il favore che vi faccio andandomene, vi chiedo in cambio il permesso di poter dire la mia sulle molte questioni ancora pendenti.
Il relativismo etico può essere vissuto in due modi: c’è la maniera nichilista dei filosofi, per i quali l’affermazione che tutto è relativo costituisce un punto di arrivo (Catharsis, se non ho frainteso il suo pensiero) e c’è la maniera propositiva di coloro i quali pensano che l’affermazione su riportata costituisca solo un punto di partenza (visechi, se non ho frainteso il suo pensiero).
E’ una questione di indole personale, la filosofia non c’entra niente (tutt’al più un po’ di psicologia spicciola).
Personalmente, penso che costruire qualcosa sulle fondamenta del relativismo etico sia uno sporco lavoro ma che qualcuno…
David mi chiede conto della mia convinzione nel relativismo etico.
Potrei annoiarlo con dissertazioni filosofiche mentre lui mi potrebbe allietare alla stessa maniera. Alla fine ci arcorgeremmo di essere entrati in un labirinto inestricabile: in filosofia, infatti, non ci sono soluzioni esatte (!) ma solo sviluppi (più o meno) coerenti delle proprie premesse (!) e in questo senso penso che sapremmo entrambi svolgere più o meno coerentemente le nostre premesse.
L’adesione a queste premesse è, secondo me e come anticipato, un fatto di carattere; pertanto, per rispondere a david non mi nasconderò dietro l’autorità degli argomenti degli importanti filosofi che la pensano come me (lui ne avrebbe altrettanti dalla sua parte e riprodurremmo indegnamente una disputa che può essere letta nelle importanti opere dei rispettivi riferimenti culturali, cui pertanto rinvio) ma mi limito a… buttarla sui sentimenti e più precisamente in letteratura.
Quella che segue è la trascrizione di uno dei brevi racconti (“Indivia violetta”) di cui si compone “Das Abenteuerliche Herz” di Junger nella traduzione italiana fattane da Quirino Principe per le edizioni Guanda, Milano, 2001.
/// Fui colto da un accesso di golosità quando mi accorsi di una particolarissima qualità di indivia, di colore violetto, esposta in vetrina. Non fui affatto stupito di ciò che mi dichiarò il venditore: che l'unico tipo di carne adatto ad accompagnare un simile piatto era la carne umana. Anzi, ne avevo già avuto l'oscuro presentimento. Ne nacque una lunga conversazione sulla maniera di preparare l’indivia, e poi scendemmo alle celle frigorifere nelle quali vidi gli uomini pendere alle pareti come lepri alla porta d'una bottega di selvaggina. Il venditore fu particolarmente colpito dal fatto che io, in quella circostanza, rivolgessi la mia attenzione esclusivamente ai pezzi provenienti dal bottino di vere battute di caccia, e non certo a quelli ingrassati in serie di allevamenti: <<Più magri, ma - non lo dico per fare pubblicità - di gran lunga più aromatici>>. Le mani, i piedi e le teste erano esposti in speciali piatti, e portavano attaccati piccoli cartellini con i prezzi. Mentre risalivamo la scala, osservai: <<Non sapevo che in questa città l’incivilimento fosse già tanto progredito>> e a questa frase il venditore parve sorpreso, per un istante, ma poi la ricambiò con un sorriso amabilissimo. ///
Caro david, come esempio di oggettività mi porti un caso che, a mio sommesso avviso, non regge e cioè una dotta dissertazione sull’interpretazione oggettiva del colore rosso come colore attivo e su questa base neghi addirittura che abbia un senso la frase “tutto è relativo”. Ogni cosa va intesa con i famosi grani di sale. E’ relativo tutto ciò che riguarda le dottrine umanistiche (era sottinteso). Se porti un esempio matematico è chiaro che lì c’è qualcosa di assoluto. Sempre che non mi provochi. Perché allora potrei dirti che tutta la matematica si regge sul concetto di numero e che il numero postula un’idea e che un’idea è una nozione soggettiva in quanto non esistono due cose assolutamente identiche etc… Così, quando tu mi parli del rosso, io ti potrei dire che il rosso non esiste ma che esistono tante tonalità di rosso, etc…Tuttavia, siccome adopero i famosi grani di sale, mi fermo qui. Come io ti concedo che si può parlare in termini assoluti nel campo delle scienze matematiche tu mi devi concedere che nel campo umanistico (nel cui ambito riconduco una discussione sul relativismo etico) non c’è proprio niente di assoluto.
steppenwolf is offline  
Vecchio 02-01-2003, 21.22.25   #48
steppenwolf
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2/2
David, il mio dissenso da te diventa però incolmabile quando ci confidi di credere nel libero arbitrio e citi come esempio la reazione razionale che sappiamo imporre ai nostri istinti primitivi. Anche qui, non posso certo confutare le tue premesse (dipendono dal carattere) ma la coerenza del loro sviluppo mi pare venire meno. Infatti, potrei risponderti che il governo razionale dei propri istinti animali dipende da un fattore genetico determinato (e determinabile) e cioè la forza di volontà. Solo in via approsimativa possiamo parlare di libero arbitrio: siccome, cioè, non si conoscono ancora tutte le variabili che incidono sul comportamento umano (l’ambiente naturale e sociale, l’educazione ricevuta, l’indole, la genetica) la previsione di una determinata reazione umana ad uno stimolo dato è, al momento, non determinabile. Inoltre, oltre a me (che credo nell’agire vincolato) e a te (che credi nel libero arbitrio), ci sono coloro i quali credono nella semplice casualità dell’agire umano! Personalmente, credo che il libero arbitrio sia un concetto escogitato dalla “maggioranza” per consentire (all’istituzione chiesa come all’istituzione Stato) il rimprovero ad un soggetto “di opposizione” di un’azione colpevole, che viceversa non avrebbe senso.
Conclusivamente, sono altri i motivi per i quali avevo detto che è prematuro fare qualcosa di più che una mera ipotesi scolastica di costituzione mondiale (lo sporco lavoro che qualcuno dovrà pur fare, ma non ora). Siccome questi motivi consistono in impedimenti pratici (non teorici!) allo stato insuperabili, li elenco e mi congedo molto cordialmente.
La prima questione riguarda il metodo e cioè: prima di scrivere una costituzione mondiale dovremmo darci delle regole procedurali (le cosidette regole del gioco) e qui si rischia subito di arenarci (anzi, è praticamente certo!). E’ chiaro infatti che le regole procedurali hanno un immediato riflesso sul contenuto della costituzione: se, p. es., si scegliesse il metodo della votazione maggioritaria, la pena di morte entrerebbe senza necessità di dibattito nella costituzione! Negli ordinamenti statuali contemporanei, che dettano le regole per comunità più o meno omogenee, detto metodo può anche andare bene (nel senso che la maggioranza degli asiatici è favorevole alla pena di morte e la maggioranza degli europei è contraria ed ognuno agisce di conseguenza in casa propria). La fondamentale regola democratica però non può trovare applicazione in caso di culture troppo eterogenee. Che fare allora? Si consideri inoltre che occorrerebbe dare un valore alla partecipazione dei singoli stati alla votazione (qualcosa di simile alla attribuzione delle quote millesimali nelle riunioni di condominio). Più voti allo stato più popoloso? Con una cultura più antica? Con uno sviluppo culturale più recente? Cos’è lo sviluppo culturale? Dovremmo valutare l’estensione geografica? E che dire del potere economico? Nemmeno si può tralasciare di valutare quello militare.
Secondo motivo ostativo (di contenuto): cosa succederebbe al momento di discutere della proprietà privata? Per me la proprietà privata è qualcosa di più che un istituto giuridico: è un bisogno psicologico, è un’estensione della personalità, è una gratificazione per il lavoro. Non ci rinuncerei mai e sarei disposto a diventare cattivo per affermarne la necessità. Cosa?! Mi suggerite di parlarne con calma con dei cubani filomarxisti!?
Terza obiezione (di convenienza personale): credete che convenga a noi, buoni e cari vecchi europei, metterci a contrattare con il resto del mondo? Il contenuto di un contratto è il risultato del confronto tra due forze contrattuali. La forza contrattuale è inversamente proporzionale alla necessità di contrattare (pensate al monopolista dell’acqua nel deserto e a 100 avventori assetati) e, per quanto mi risulta, alcuni popoli su certi argomenti non sono ancora disposti a scendere a compromessi.
Buon anno a tutti e un sincero grazie per le molte cose che mi avete insegnato.
steppenwolf is offline  
Vecchio 03-01-2003, 00.59.02   #49
david
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IL GRANDE COCOMERO

Qui stiamo di fronte al famoso muro insormontabile, caro steppenwolf, perché io, detto sinceramente e con rispetto nei tuoi confronti, non vedo come né io né altri possiamo interagire a livello costruttivo, “creativo” con un essere che si ritiene non dotato del libero arbitrio.
Tu, ritenendoti un fascio di nervi che reagisce in modo automatico agli stimoli esterni, a mo’ di vegetale particolarmente evoluto ma solo per complessità fisica e non per Coscienza ( che naturalmente ritieni impossibile), hai preso la via più semplice e comoda per non porti delle Domande e cercare delle Risposte, semplicemente perché dal tuo punto di vista è impossibile porsele.
Non c’è nulla di particolarmente intelligente nel ritenersi un “grande cocomero” ma è quello che succede se si esclude il concetto del libero arbitrio umano. Se tu sei un grande cocomero non ha una grande importanza il fatto che tu continui a cercare di spiegare la tua visione dell’uomo, dei sentimenti e del pensiero agli altri grandi cocomeri; tu, dal tuo punto di vista, anche se TUO è in questo caso un termine del tutto improprio, esprimi concetti che in realtà non sono altro che il prodotto di una reazione passiva a stimoli esterni. Praticamente tu non esisti, e di questo vuoi convincerci tutti; ma il perché tu voglia convincere dei grandi cocomeri non si capisce…
Il presupposto del fatto che noi siamo qui in questo forum per confrontarci, spiegarci e dialogare sta nel fatto che tutti noi siamo liberi ( se pur parzialmente, o meglio potenzialmente) di accettare o meno, criticare o meno, stimare o meno il concetto espresso dagli altri. Se riteniamo che tale analisi e sintesi compiuta da noi sia solo un’illusione e che in realtà ogni nostro pensiero non sia altro che una combinazione non libera ma chimica di cellule nervose tu, il sottoscritto, gli altri mirabili opinionisti di questo forum, da buoni grandi cocomeri, faremmo meglio a soddisfare ben altri istinti che non il districarsi difficoltoso dei meandri della Sophia…
Il presupposto di ogni dialogo e di ogni comprensione è che di fronte a sé si abbia un individuo dotato della libertà di riflettere, accettare o rifiutare l’opinione altrui. Se tu neghi veramente tale possibilità, e prima di tutto per coerenza devi negarla a te stesso, ogni tuo intervento è fumo, illusione, pura espressione biomeccanica di particelle stupide ma talmente furbe da illuderti di essere…un essere pensante.


david is offline  
Vecchio 03-01-2003, 01.35.36   #50
Respirazzurro
RESPIRAZZURRO
 
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Io intendo la filosofia come scienza della conoscenza,ma come conoscenza esatta,credo che si possa segnare solo un certo tipo di filosofia,ad esempio la filosofia del linguaggio,la pura logica proposizionale,in quanto sovrintende ad un campo creato dall'uomo e quindi limitato e soprattutto conoscibile.I vari altri tipi di filosofia(Teoretica,della scienza,etc...) sono tutto fuorchè conoscenza esatta,e men che meno filosofia morale che si occupa ad esempio proprio del relativismo etico .
Mi sembra che il tuo tentativo, David, sia un tentativo romanticamente platonico di mettere la filosofia al servizio della politica.Inoltre,escludi ogni dogmatismo ma fare questo è già un ostacolo alla conoscenza da te agognata,infatti l'iter conoscitivo deve contenere al suo interno in potenza anche gli assolutismi(intesi come maturazione delle proprie esperienze intellettuali e conseguente proprio dogmatismo)pur potendoli attuare molto in là nel tempo,credo, e pur riducendosi a individuali convincimenti a cui tutti prima o poi giungono.
Nulla al mondo,è oggettivo.
Tu parli della dinamica del colore come qualcosa di oggettivo e ne parli dicendo del rosso"Ti viene addosso,ti sfida" poi distingui la reazione ad esso.Ma già dire che ti viene addosso e ti sfida è una tua reazione,è il tuo filtrare l'impatto col colore.Quella che presenti come dinamica è già reazione.Può essere oggettivo per te stesso,ma quindi vero soggettivo.L'oggettivo,se esistesse, riguarderebbe l'inconvertibilmente Esatto ma l'esatto non esiste.
Neanche nella scienza,esiste il certo.
Infatti una teoria deve nascere falsificabile per essere accettata,deve contenere potenziali elementi falsificatori e una volta superato l'esame sarà corroborata pubblicamente,ma la sua accettazione sarà valida fino a quando sarà trovata una nuova teoria che se anche non la smentirà ma semplicemente la completerà,renderà la prima nel complesso falsa.Questo diceva Popper e precedentemente anche Peirce.
Questo è importante ricordare per togliersi dalla testa illusioni seppur dolci.
Esiste il vero soggettivo,non l'oggettivo,ed esiste una scienza a carattere fallibile e rivedibile,non la scienza esatta.Ci possiamo accontentare dell"Altamente probabile",mi direte che due più due fa quattro,ma i numeri,come sapete, sono nomi posti dalle persone allo scopo di contare.O meglio il calcolo è vero nel ristretto campo fittizio da noi creato,come quello del linguaggio.
Comunque non trovo logica,nel tuo criticare Steppenwolf per le sue teorie,dici che siamo in questo forum per dialogare e scambiarci idee e poi rifiuti le sue,pur radicalmente diverse dalle tue?Proprio tu che desideri la conoscenza?Mi sembra chiaro che se uno la pensa diversamente da te, ti"attacchi",proprio qui sta lo scambio,il fattore arricchente,se accettiamo solo teorie che ci piacciono,addio mondo...!
Per quanto mi riguarda,poi è chiaro che se affermo l'inesistenza di una Verità,vuol dire che quando parlo ritengo quello che dico non la vera via da seguire,ma la Mia teoria,comunque attuale e in divenire.Non mi contraddirei cosi banalmente.
Con questo,ho finito,a presto.
Respirazzurro is offline  

 



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