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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 02-12-2013, 17.23.18   #141
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Per ciò che riguarda l'onnipotenza dell'Io, non la trovo assolutamente necessaria in vista d'un pensiero idealista. Anche se mi considero lo stesso ente con gli altri non vuol dire che avrò un illimitato potere su di me/altro. La conoscenza deve avere un limite per definirsi, una conoscenza totale è contraddittoria per definizione, percui anche il controllo totale lo è. Conoscere "il tutto" vuol dire limitarlo e così non vedere ciò che è oltre ad esso, oppure credere che il nulla possa "occupare un luogo" oltre il tutto considerato.

Avevo scritto qualcosa per rispondere a questo punto ma il messaggio non era stato inviato..

Ciao Oxd. facci sapere la tua!
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Vecchio 02-12-2013, 23.14.47   #142
maral
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
Diciamo che un oggetto può anche essere descritto approssimativamente, come in realtà succede sempre, percui il mio pigiama può essere nero e di pail, se poi si modifica un pò posso chiamarlo con lo stesso nome; allo stesso modo se la Luna per uno scontro con un meteorite perdesse parte della sua massa potremmo comunque chiamarla Luna, anche se, accettando un certo modo di usare la parola essere, potremmo dire che non è più l'oggetto di prima. Però il mio modo di usare quella parola è diverso e (mi pare) adeguato al discorso che tu stesso hai fatto circa l'essere originario; quando indico un oggetto indico al contempo il contesto in cui è inserito (cioè tutto "il resto" dell'universo), non lo indico di per sé, percui affermazioni circa il suo essere sono affermazioni circa l'essere del tutto. La Luna non smetterà mai di esistere finché l'universo si presenterà ma potrà certamente cambiare forma, il che, devo essere petulante, non vuol dire fargli perdere il proprio essere ma solo modificarne la modalità.
Dal punto di vista della logica analitica formale il tuo discorso è giusto, ma da quello della logica dialettico olistica no.
La luna che perde parte della sua massa non può in alcun modo essere la luna di prima, proprio perché nessuno dei suoi attributi che definiscono il suo non essere altro (e pertanto nessuno dei suoi altri) è trascurabile. In realtà ciò che si continua a chiamare a ragione luna è solo il concetto astratto e formale di luna, ossia una serie parziale e finita di attributi controllabili dal pensiero concettualizzante separati e presi in sé che si pretendono rappresentino la luna per intero. In realtà quindi il pensiero formale non si accorge di prendere la parte che ha separato dal tutto per il tutto e quando, come nelle scienze, compie le sue verifiche è di nuovo su questa astrazione che va a verificare. convinto che sia questa sola parte formale il vero oggetto reale.
Infatti tu dici:
Citazione:
La Luna non smetterà mai di esistere finché l'universo si presenterà ma potrà certamente cambiare forma, il che, devo essere petulante, non vuol dire fargli perdere il proprio essere ma solo modificarne la modalità
Che significa che l'essente può venire tenuto separato dalle sue modalità di essere quell'essente restando lo stesso anche se queste cambiano, mentre in realtà ciò che resta lo stesso non è l'essente in quanto tale, ma quella porzione definita di modalità dell'essente attuale tenuta separata che si ritrova anche negli essenti successivi e che il pensiero formale astratto pone come essenza al di sopra di tutti i concreti ed effettivi essenti.
L'essenza è un formalismo astratto che si vuole sia sostanza concreta.
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Vecchio 03-12-2013, 01.07.30   #143
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Maral:
Dal punto di vista della logica analitica formale il tuo discorso è giusto, ma da quello della logica dialettico olistica no.
La luna che perde parte della sua massa non può in alcun modo essere la luna di prima, proprio perché nessuno dei suoi attributi che definiscono il suo non essere altro (e pertanto nessuno dei suoi altri) è trascurabile. In realtà ciò che si continua a chiamare a ragione luna è solo il concetto astratto e formale di luna, ossia una serie parziale e finita di attributi controllabili dal pensiero concettualizzante separati e presi in sé che si pretendono rappresentino la luna per intero. In realtà quindi il pensiero formale non si accorge di prendere la parte che ha separato dal tutto per il tutto e quando, come nelle scienze, compie le sue verifiche è di nuovo su questa astrazione che va a verificare. convinto che sia questa sola parte formale il vero oggetto reale.
Infatti tu dici:
Citazione:
La Luna non smetterà mai di esistere finché l'universo si presenterà ma potrà certamente cambiare forma, il che, devo essere petulante, non vuol dire fargli perdere il proprio essere ma solo modificarne la modalità
Che significa che l'essente può venire tenuto separato dalle sue modalità di essere quell'essente restando lo stesso anche se queste cambiano, mentre in realtà ciò che resta lo stesso non è l'essente in quanto tale, ma quella porzione definita di modalità dell'essente attuale tenuta separata che si ritrova anche negli essenti successivi e che il pensiero formale astratto pone come essenza al di sopra di tutti i concreti ed effettivi essenti.
L'essenza è un formalismo astratto che si vuole sia sostanza concreta.


Veramente il mio pensiero credo sia molto più olistico che scientifico-formale. Hai analizzato solo una parte del mio testo, più avanti ho spiegato perché non credo che la Luna possegga le proprietà che tu gli additi. Questo modo di pensare il mondo, come formato da cose che possiedono proprietà, è ciò che critico, altrimenti direi come te che ad ogni istante ogni oggetto non-è più lo stesso in quanto cambia sempre seppur impercettibilmente, anche se per approssimazione possiamo chiamarlo con lo stesso nome.

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Vecchio 03-12-2013, 20.07.34   #144
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@ Tutti voi
Non è che l'Idealismo abbia teorizzato un "io" creatore, ma l'"io" creatore si è imposto, di fatto, nel
momento in cui l'Idealismo ha decretato la coincidenza di realtà e razionalità (di cosa in sé e di fenomeno,
potremmo dire con maggior riferimento al contesto della nostra discussione).
Kant, nella prima edizione della "Critica della ragion pura", parla di un: "io stabile e permanente che
costituisce il correlato di tutte le nostre rappresentazioni", e nella seconda edizione specifica che questo
"io" è sì principio supremo di ogni conoscenza, ma che tuttavia esso non è infinito, e non ha potere creativo.
In Fichte questo "io" diventa principio non di ogni conoscenza, ma della realtà stessa. Dice (giustamente)
Fichte: "non si può mai astrarre dalla propria autocoscienza". Ma questa autocoscienza è intesa da Fichte
come un principio assoluto, e creatore. L'"io" di Fichte non è, come lo era quello di Kant, condizionato da
una "materia-altra" rispetto ad esso. L'"io" di Fichte è un "io" nel quale la sintesi di realtà e razionalità
è già avvenuta, e pertanto è un "io" in-condizionato, e dunque assoluto e creatore.
Il punto dirimente, a mio parere, è allora questo: è di un "io" nel quale la sintesi è GIA' AVVENUTA che si
sta parlando? O è di un "io" nel quale la sintesi AVVIENE?
In altre parole: l'"io" di cui stiamo parlando è un "io" che ha coscienza della sintesi che avviene in esso?
O è un "io" che non ne ha coscienza (in quanto la sintesi lo precede - lo precede nell'infinitezza, come ovvio)?
Mi sembra che tutti noi (sia io che Maral ed Aggressor) si sia d'accordo nel ritenere la sintesi (naturalmente sto
parlando della sintesi soggetto/razionale-oggetto/reale) necessaria, cioè ineludibile. Anche dal mio punto di
vista, che dei tre è quello, diciamo, più "separatista", la sintesi non è e non può essere messa in discussione.
E' EVIDENTE che, come diceva Maral, l'"io" e l'oggetto sono aspetti parziali del medesimo intero. La mia
domanda è però questa: quando e dove avviene questa "reductio ad unum" (la sintesi)? Io dico appunto che essa
avviene nel soggetto. E il soggetto ne è consapevole (tanto che, dicevo, Levinas chiama la morte "assolutamente
altro". Ovvero la morte è il momento nel quale il soggetto assume su di sè la più radicale delle consapevolezze:
quella per cui termina ogni sua capacità di interpretare - a differenza di ogni altro momento, nei quali
invece egli ha ancora questa capacità -. La morte è, insomma, il termine della sintesi necessaria di soggetto
e oggetto; è il pre-annuncio, per il soggetto, della ineluttabilità del suo ri-dissociarsi dall'oggetto).
Ma esserne consapevoli non può che significare la presa di coscienza di una basilare distinzione di soggetto
e oggetto. Una distinzione che non è nel soggetto, ma che è fuori di esso (è chiara, Maral, la mia
accettazione del divenire...).
E' null'altro che la distinzione fra oggetto "gnoseologico" (il fenomeno) e oggetto "cosmologico" (la cosa in sè) di cui parla U.Eco. Con
quest'ultimo che, essendo fuori dal soggetto, mai esaurirà quanto il soggetto potrà dire di esso: mai nessuna "verità" potrà essere affermata in relazione ad esso.
un saluto
(spero di aver introdotto qualche elemento in più di riflessione)
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Vecchio 03-12-2013, 21.53.14   #145
maral
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Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
Veramente il mio pensiero credo sia molto più olistico che scientifico-formale. Hai analizzato solo una parte del mio testo, più avanti ho spiegato perché non credo che la Luna possegga le proprietà che tu gli additi. Questo modo di pensare il mondo, come formato da cose che possiedono proprietà, è ciò che critico, altrimenti direi come te che ad ogni istante ogni oggetto non-è più lo stesso in quanto cambia sempre seppur impercettibilmente, anche se per approssimazione possiamo chiamarlo con lo stesso nome.
Sì, se ben ricordo da discussioni precedenti (se sbaglio correggimi), tu ritieni che le qualità siano la semplice materia prima del mondo, ma il punto è che anche se partiamo dalle qualità il problema degli essenti si ripresenta. Il verde che è di questa cosa e la determina in combinazione con altre qualità come questa cosa a quest'ora del giorno resta pur sempre il verde di questa cosa e non il verde di altre cose, a meno di non estrarre una verdità comune a tutte le cose verdi in ogni ora del giorno che è ancora un concetto astratto e che, presa in sé come verde, si presenta come una forma astratta dell'astratto.
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Vecchio 07-12-2013, 18.44.36   #146
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Maral:
Sì, se ben ricordo da discussioni precedenti (se sbaglio correggimi), tu ritieni che le qualità siano la semplice materia prima del mondo, ma il punto è che anche se partiamo dalle qualità il problema degli essenti si ripresenta. Il verde che è di questa cosa e la determina in combinazione con altre qualità come questa cosa a quest'ora del giorno resta pur sempre il verde di questa cosa e non il verde di altre cose, a meno di non estrarre una verdità comune a tutte le cose verdi in ogni ora del giorno che è ancora un concetto astratto e che, presa in sé come verde, si presenta come una forma astratta dell'astratto.

Il punto focale del mio discorso è la distruzione del concetto dell'appartenenza delle qualità ad un soggetto separato o a se stante rispetto agli altri. Ho spiegato abbastanza approfonditamente nei post precedenti questo punto di vista, ma ripeto il questito fondamentale. A chi credi che appartenga il rosso della mela se la locuzione "mela" è solo un riferimento a quel particolare rosso e ad altre proprietà che tautologicamente ritieni essere possedute dalla mela stessa? Diciamo che esista un ente con una sola proprietà, l'essere sferico; a chi credi che appartenga la proprietà di essere sferico? Forse a qualche cosa di indefinito che si cela sotto la sfericità? Ma se pure esistesse questo qualcosa al di sotto della proprietà stessa come faremmo a distinguerlo dagli altri esseri sottostanti ad altre proprietà se ciò che riconosciamo degli enti sono le proprietà stesse tramite cui solo li discriminiamo?

La mia interpretazione è che queste qualità non ineriscano ad esseri particolari al di sotto di essi, cosicché nessuno di noi potrà identificarsi con una serie di caratteristiche che possiederebbe.


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Vecchio 07-12-2013, 20.33.37   #147
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Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
Il punto focale del mio discorso è la distruzione del concetto dell'appartenenza delle qualità ad un soggetto separato o a se stante rispetto agli altri. Ho spiegato abbastanza approfonditamente nei post precedenti questo punto di vista, ma ripeto il questito fondamentale. A chi credi che appartenga il rosso della mela se la locuzione "mela" è solo un riferimento a quel particolare rosso e ad altre proprietà che tautologicamente ritieni essere possedute dalla mela stessa? Diciamo che esista un ente con una sola proprietà, l'essere sferico; a chi credi che appartenga la proprietà di essere sferico? Forse a qualche cosa di indefinito che si cela sotto la sfericità? Ma se pure esistesse questo qualcosa al di sotto della proprietà stessa come faremmo a distinguerlo dagli altri esseri sottostanti ad altre proprietà se ciò che riconosciamo degli enti sono le proprietà stesse tramite cui solo li discriminiamo?

La mia interpretazione è che queste qualità non ineriscano ad esseri particolari al di sotto di essi, cosicché nessuno di noi potrà identificarsi con una serie di caratteristiche che possiederebbe.
Ovviamente quando parliamo del rosso o della mela è sempre di concetti astratti che parliamo. Dopotutto ritengo che attributi e sostanze (cosa sta sopra e può essere astrattamente tolto o sta sotto e permane) siano tra loro scambiabili nella realtà dei diversi essenti (vi sarà quindi il rosso proprio di questa mela, come la mela che è propria di questo rosso e saranno questi 2 essenti diversi tra loro strettamente interrelati).
La sfericità unica proprietà di un ente, appartiene positivamente a quell'ente e negativamente a tutti gli alti enti che sono non sferici, resta quindi una proprietà condivisa secondo modalità diversa (positiva o negativa). Possiamo considerare ad esempio come sferico quel solo ente compiutamente definito dal solo fatto che il suo volume sia 4/3 ∏ r^3 e chiamarlo sfera geometrica, pur tuttavia la sua sfericità perfetta sarà concretamente condivisa in modo negativo da tutti gli altri enti e per contro alla sfericità perfetta corrisponderà in modo positivo la sfera geometrica e in modo negativo tutti gli altri enti che a mezzo di tale proprietà alla sfera geometrica sono correlati.
In effetti ognuno di noi non può essere posto come la semplice somma delle sue sole caratteristiche positive, ma a questa va aggiunta l'apertura di queste caratteristiche positive alla loro specifica negazione e l'unicità ontologica della somma stessa (che è somma in sé infinita) in relazione con la molteplicità ancora infinita delle sue unità negazioni Quando parliamo di io e di tu è proprio dell'apparire di tali unicità infinite di cui parliamo, ma che prese da sole, staccate dai propri addendi, restano concetti astratti, ossia una sorta di riassunto che è pertanto solo una rappresentazione (dunque un falso) di ciò che veramente è questo io e questo tu.
Dire il vero implicherebbe poter dire tutto, ma ahimè il tutto è troppo grande da poter dire, per questo ciò di cui parliamo sono sempre rappresentazioni, finzioni che al massimo alla verità possono alludere con la loro apertura a un altro dire, ossia a un altro apparire che mai potrà essere saturato.

Ultima modifica di maral : 08-12-2013 alle ore 09.27.13.
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Vecchio 08-12-2013, 00.21.38   #148
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@ Aggressor
Se posso, a me sembra che tu, dicendo queste cose, non fai altro che riproporre il concetto di oggetto
"cosmologico" di Eco, ossia l'oggetto in relazione al quale "nessuna verità potrà mai essere affermata"
(aggiungere, come Peirce, che nessuna verità potrà mai essere pensata, non solo affermata, in quanto ogni
affermazione, ogni pensiero, significherebbe attribuire delle "qualità" a quel certo oggetto).
Però non risolvi certamente così il problema, per così dire. Perchè il problema consiste essenzialmente nel
cercare di stabilire se quell'oggetto "c'è" o non c'è, a prescindere dalle qualità che, solo successivamente,
possono essere pensate ed affermate da un interprete qualsiasi.
Che fine fa, nel tuo ragionamento, l'oggetto "cosmologico"? E' chiaro che tu lo fai coincidere con l'oggetto
"gnoseologico", ovvero l'oggetto del quale si sono pensate ed affermate delle qualità; ma è proprio per
questo che te ne chiedo la "destinazione". L'oggetto cosmologico "scompare"? E come può scomparire se tu
stesso hai detto che la Luna è "altro" da chi la pensa e la afferma e, comunque, "c'è" indipendentemente da
esso (non mi pare ci possano essere dubbi su questa tua posizione)?
Quindi l'oggetto cosmologico (o "cosa in sè", o "evento", detto in terminologie diverse) "c'è", e c'è pure
per un irriducibile della semiosi come Eco, visto che non vedo come possa essere altrimenti (altrimenti può essere, ma
appunto in chiave strettamente idealistica).
Tutto questo vuol dire che o si ammette che "c'è" la cosa in sè, o si ammette il soggetto creatore. Il mio
appunto è su una certa "terza via" che si vorrebbe (come mi par di capire), ma che non si può spiegare
logicamente.
ciao
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Vecchio 08-12-2013, 17.57.08   #149
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Oxd.:
E' EVIDENTE che, come diceva Maral, l'"io" e l'oggetto sono aspetti parziali del medesimo intero. La mia
domanda è però questa: quando e dove avviene questa "reductio ad unum" (la sintesi)? Io dico appunto che essa
avviene nel soggetto. E il soggetto ne è consapevole (tanto che, dicevo, Levinas chiama la morte "assolutamente
altro". Ovvero la morte è il momento nel quale il soggetto assume su di sè la più radicale delle consapevolezze:
quella per cui termina ogni sua capacità di interpretare - a differenza di ogni altro momento, nei quali
invece egli ha ancora questa capacità -. La morte è, insomma, il termine della sintesi necessaria di soggetto
e oggetto; è il pre-annuncio, per il soggetto, della ineluttabilità del suo ri-dissociarsi dall'oggetto).
Ma esserne consapevoli non può che significare la presa di coscienza di una basilare distinzione di soggetto
e oggetto. Una distinzione che non è nel soggetto, ma che è fuori di esso (è chiara, Maral, la mia
accettazione del divenire...).
E' null'altro che la distinzione fra oggetto "gnoseologico" (il fenomeno) e oggetto "cosmologico" (la cosa in sè) di cui parla U.Eco. Con
quest'ultimo che, essendo fuori dal soggetto, mai esaurirà quanto il soggetto potrà dire di esso: mai nessuna "verità" potrà essere affermata in relazione ad esso.
un saluto
(spero di aver introdotto qualche elemento in più di riflessione)


Posso cercare di essere ancora più chiaro spostando il discorso su un piano fisico. Ammettiamo che per ogni fatto esista una controparte materiale, ammettiamo cioè l'esistenza di un mondo obbiettivo che possiamo identificare, almeno per approssimazione, con quello descritto dalla fisica. In questo caso il pensiero troverebbe una controparte materiale, di qui, si potrà affermare solo approssimativamente che il pensiero non modifichi/crei la realtà. Perché, come ho cercato di spiegare è la forma della realtà esterna che ci interessa, è quella forma che si potrebbe dire venir interpretata dai soggetti conoscenti (non creata/modificata). Ma se il conoscere è -di per sé- un evento fisico, allora esso non può lasciare gli altri eventi fisici indipendenti nella forma, perché ogni oggetto fisico deforma gli altri con scambi di energia o informazione che possono essere pure istantanei. La meccanica quantistica che fa dell'approssimazione (cioè della parte più minuta della realtà) il suo campo di studi, ha infatti dovuto ammettere, come è in realtà scontato che sia, l'osservazione come evento di modifica del reale, in quanto contatto con la realtà. Se il mio pensiero è anche ciò che avviene nel cervello, e se il cervello è composto di materia che in continuazione ha relazioni con la materia "esterna" ad esso, allora il pensiero modifica ciò che è "esterno" a lui. Di qui il mio negare il ruolo di mero interprete imponibile all'uomo.

Ma tu chiedi del momento della sintesi. La mia risposta è che solo illusoriamente tu pensi di riferirti a certi oggetti al di fuori della sintesi che essi sono con gli altri oggetti (soprattutto a causa d'una questione cultural-linguistica).



Oxd.
Se posso, a me sembra che tu, dicendo queste cose, non fai altro che riproporre il concetto di oggetto
"cosmologico" di Eco, ossia l'oggetto in relazione al quale "nessuna verità potrà mai essere affermata"
(aggiungere, come Peirce, che nessuna verità potrà mai essere pensata, non solo affermata, in quanto ogni
affermazione, ogni pensiero, significherebbe attribuire delle "qualità" a quel certo oggetto).
Però non risolvi certamente così il problema, per così dire. Perchè il problema consiste essenzialmente nel
cercare di stabilire se quell'oggetto "c'è" o non c'è, a prescindere dalle qualità che, solo successivamente,
possono essere pensate ed affermate da un interprete qualsiasi.
Che fine fa, nel tuo ragionamento, l'oggetto "cosmologico"? E' chiaro che tu lo fai coincidere con l'oggetto
"gnoseologico", ovvero l'oggetto del quale si sono pensate ed affermate delle qualità; ma è proprio per
questo che te ne chiedo la "destinazione". L'oggetto cosmologico "scompare"? E come può scomparire se tu
stesso hai detto che la Luna è "altro" da chi la pensa e la afferma e, comunque, "c'è" indipendentemente da
esso (non mi pare ci possano essere dubbi su questa tua posizione)?
Quindi l'oggetto cosmologico (o "cosa in sè", o "evento", detto in terminologie diverse) "c'è", e c'è pure
per un irriducibile della semiosi come Eco, visto che non vedo come possa essere altrimenti (altrimenti può essere, ma
appunto in chiave strettamente idealistica).
Tutto questo vuol dire che o si ammette che "c'è" la cosa in sè, o si ammette il soggetto creatore. Il mio
appunto è su una certa "terza via" che si vorrebbe (come mi par di capire), ma che non si può spiegare
logicamente.


Dici che il problema è affermare o negare l'esistenza d'un oggetto a prescindere dalle sue proprietà; ma un oggetto particolare è proprio un insieme di proprietà. Non posso dirti se pegaso esiste se non so come è fatto (quali proprietà gli ineriscono); ed è proprio la forma delle cose "esterne" che l'uomo o qualsiasi altra entità modificano in continuazione (in realtà quella forma esterna non è indipendente dalla forma degli altri, per questo potremmo dire con più facilità che nessun oggetto ha -di per sé- una forma; cioè se il mobiletto di casa mia sparisse, la conformazione della mia casa cambierebbe di conseguenza, in che senso, allora, la mia casa avrebbe -di per sé- una certa conformazione?).
Attenzione poi, che quando ho parlato dell'autosufficenza della luna, ho sottolineato sempre l'appossimazione celantesi dietro quell'assunto; se dovessi dirlo in senso assoluto negherei ciò che ho affermato. Lega questo discorso a quello iniziale che ho fatto in questo post circa il correlato fisico del nostro pensiero. Anche se mi trasformassi o scomparissi la Luna più o meno sarebbe la stessa; tuttavia il cambiamento fisico correlato al mio cambiare o sparire deformerebbe la Luna stessa anche se poco. Quando dico che la luna esiste anche senza di noi, lo faccio solo per palesare la mia posizione scettica riguardo la creazione assuluta del mondo da parte dell'Io. Anche se il mondo "esterno" non è indipendente da Me, se Io cambio quello non è detto che si modifichi molto.

In questo mi sembra di trovare una buona sintesi tra idealismo e realismo; da un lato il mondo esterno dipende da Me, dall'altro esso manifesta anche una certa indipendenza, che è necessitata dall'impossibilità che una conoscienza sia totale (qui non mi soffermerò per dimostrare un simile assunto ora). Il che non vuol dire che esista una realtà in sé, ma solo che la realtà stessa non ha un potere illimito su di sé. Ciò che non posso modificare del reale non è qualcosa che possiede una forma indipendente dal mio Io, per questo comunque mi considero idealista e non credo al noumeno; ma questa interdipendenza, a livello d'una descrizione non troppo sottile della realtà, può essere, a volte, trascurata (più o meno la luna è la stessa se scompaio, ma a livello di fisica atomica essa cambia eccome).
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Vecchio 08-12-2013, 18.04.49   #150
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Ovviamente quando parliamo del rosso o della mela è sempre di concetti astratti che parliamo. Dopotutto ritengo che attributi e sostanze (cosa sta sopra e può essere astrattamente tolto o sta sotto e permane) siano tra loro scambiabili nella realtà dei diversi essenti (vi sarà quindi il rosso proprio di questa mela, come la mela che è propria di questo rosso e saranno questi 2 essenti diversi tra loro strettamente interrelati).
La sfericità unica proprietà di un ente, appartiene positivamente a quell'ente e negativamente a tutti gli alti enti che sono non sferici, resta quindi una proprietà condivisa secondo modalità diversa (positiva o negativa)


è soprattutto qui che nn ci capiamo. Con "Mela" tu indichi una certa rotondità e una certa rossezza situate in un certo luogo; in che senso la mela non è le sue proprietà, e in che senso cioè quelle gli appartengono?

Le proprietà della mela e la mela sono la stessa cosa. Mela è un modo abbreviato per riferirsi a certe cose che vedo nel mondo. Ma queste cose che vedo nel mondo non le posso indicare né sono indipendentemente dalle "altre" cose.

Di qui cerco di intuire un'unità del molteplice. Se esistono solo delle proprietà esse apprtengono all'essere, ma non a degli esseri che, al difuori delle proprietà stesse, non sono distinti l'uono dall'altro. Cioè se ci fosse qualcosa di astratto dietro le proprietà di ogni ente non potrei su di esso applicare un principio di distinguibilità poiché non identificandosi con le proprietà non sarebbe affatto diverso da altri esseri. Percui dietro ogni proprietà c'è lo stesso essere indistinto dagli altri; ma questo lo si può capire, ripeto, ponendo mente al fatto che nessuno è qualcosa (è fatto in questo o in quel modo) se non relaivamente (in co-esistenta=> ma una coesistenza da prendere sul serio) all'altro. L'altro è letteralmente contenuto nel concetto dell'oggetto a cui crediamo di riferirci separatamente, percui non può essere altro da esso. Si può tuttavia affermare che lo stesso essere cambi nella forma (nel tempo e nello spazio), senza con ciò essere "altro", ma solo, appunto, diverso. C'è un motivo per cui la parola diverso lascia trasparire anche una identità; questa identità la trovo nell'essere, o nel vero soggetto delle nostre frasi che è poi descritto sia con nomi propri che con attribuzioni (i nomi propri sarebbero attributi mascherati da soggetto).


Un saluto ancora

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