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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 02-09-2013, 22.05.55   #21
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

@ Maral
Chiedevo appunto a Jeangene (e chiedevo a me stesso...) se fosse congruo pensare ad un Essere che si situa
nel tempo ("dire ciò che non è è forse equivalente a dire ciò che non è più, o non è ancora?").
A me sembra che ogni ragionamento sull'Essere porti, in radice, quel senso dell'Essere come "sostanza" di
cui parlava Aristotele. E che perciò, forse, sbagliamo persino nel parlarne in questi termini, senza cioè
tener in troppo conto un significato del termine "Essere" che rimanda ad un significato privilegiato, e non
ad uno fra i tanti.
Nei "frammenti postumi", Nietzsche stesso afferma: "per vivere è necessario aver fede di fermare il flusso
assoluto", cioè è necessario l'errore di pensare all'"Essere" (come riporta Severino). Tale fede coincide
con la volontà, la qual volontà pone essa stessa un "inflessibile", ma lo pone causalmente: "per vivere" (ecco
perchè Severino afferma che Nietzsche si muove pur sempre all'interno di una visione "diveniente").
A me sembra che Nietzsche colga appieno tutto il senso di un Essere che Severino, allo scopo (allo scopo...)
di riaffermarlo senza cadere in contraddizione, afferma come eterno ed immutabile (per far ciò, per evitare
cioè la contraddizione che così acutamente rileva, è costretto però a negare una evidenza come la trasformazione
delle cose).
A me, francamente, sembra un prezzo molto elevato da pagare. Voglio dire: non che Severino neghi esplicitamente
il fatto che le cose subiscano delle trasformazioni; ma mi pare proprio che intenda il loro Essere come un
qualcosa di privilegiato, cioè come una "sostanza" eterna ed immutabile cui altri "accidenti" (per dirla
aristotelicamente) sono gerarchicamente subordinati.
E voglio ancora dire: mi sembra si sia molto lontani da quell'"oltreuomo" nietzschiano le cui basi, dicevo,
ritroviamo in un umanesimo che accetta il proprio limite (che è, in radice, quello di non potersi fondare su
nessuna certezza), e lo "oltrepassa" in nome della stessa vita; una vita (Nietzsche docet) da vivere "come se",
e dunque kantianamente, fossimo certi del nostro sapere; la qual cosa io trovo equivalente a dire: come se
l'inflessibile non fosse flesso (come se, nel flusso assoluto, fosse individuabile l'Essere).
Insomma: del tutto francamente devo dirti che certa terminologia (la Gioia gloriosa dell'eternità) mi
richiama alla mente un'altra terminologia, ad essa molto affine se non nell'accettazione del divenire - con
la relativa edificazione degli immutabili -: ovviamente sto parlando del linguaggio della Fede religiosa.
Insomma ancora: mi sembra che per quanto Severino si sforzi di dare un fondamento logico (e la sua logica è,
fino a un certo punto, ineccepibile) all'Essere, egli ricada un pò sulle orme di quell'Aristotele di cui
dichiara l'illogicità (dicevo appunto che a me appare un Severino che "ribalta" i principi-cardine della
weltanschauung occidentale, ma che sostanzialmente li mantiene). E lo fa affermando un Essere come sostanza
privilegiata (cioè un Essere eterno).
La visione severiniana (ma anche aristotelica) di un Essere che è e non può non essere, non può che pre-supporre
il fatto che le cose avvengano necessariamente. Quindi quello che definisci "apparire illogico della terra
isolata" avviene perchè non potrebbe essere altrimenti (la visione severiniana non contempla la possibilità,
come ovvio, ma solo la necessità).
Dunque non esiste la possibilità che la visione "perfetta" di Severino abbia potuto affermarsi sulla visione
della Terra Isolata: non esiste, ovviamente, per Severino (che qui mostra, e non a caso, interessanti
analogie con il pensiero di Hegel). Ma cosa significa quell'"affermarsi"? Beh, a mio modo di vedere non può
che significare proprio "affermarsi", e ci si "afferma" solo nel confronto: nel "conflitto".
Ecco perchè, a mio modo di vedere, esiste necessariamente un, come dire, "nucleo" di illogicità in qualunque
cosa (essente) che appare: è l'illogicità di cui si serve la volontà di potenza allo scopo di "affermarsi".
E' la "bugia", spesso pietosa, che ci serve per vivere. Come diceva Nietzsche.
ciao
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Vecchio 02-09-2013, 23.15.05   #22
maral
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
Ma a questo punto bisognerebbe introdurre un'altra fondamentale domanda: che cos'è il Nulla?
Il Nulla (riflessione mia) forse è definibile solo negativamente, come "ciò che non è". Ma dire "ciò che non è" è forse equivalente a dire "ciò che non è più, o non è ancora"? Ovvero: può l'Essere situarsi nel tempo?
Ecco, Severino qui dichiara la sua assoluta incompatibilità con il principio di non contraddizione, ed afferma che l'Essere non può situarsi nel tempo; che l'Essere è ciò che è in eterno, oppure semplicemente non è.
E dunque: possiamo dire che una certa cosa (un "vivente") E' la medesima cosa anche dopo una trasformazione (anche dopo che il vivente è passato a miglior vita...)?
Qui ho molti dubbi (che certamente nemmeno Severino mi dissipa) sul fatto che lo si possa dire o meno. Il concetto di Nulla lo lascerei fuori causa, perchè fuorviante (per i motivi di cui sopra): parlerei, in
maniera più esistenziale e drammatica, di Morte.
Poiché il nulla è quell'essente che in assoluta coerenza con se stesso non è, il suo non essere non può venire temporalizzato (non può esservi alcun passato in cui il nulla era o futuro in cui il nulla sarà, perché questo contraddirebbe l'identità del nulla con se stesso) e per la medesima ragione di rigore identitario qualsiasi essente che non sia il nulla non può mai trovare alcun luogo temporale in cui sia un non essente. La temporalizzazione per Severino può solo riguardare l'apparire degli essenti, apparire che è descritto come un continuo sopraggiungere degli enti nei cerchi degli eterni e oltrepassarli, una sorta di continuo venire in scena e uscirne , ove l'uscita è necessità di compimento. Dunque ci appare un non apparire ancora, un apparire ora e un non apparire più di ciò che tuttavia sempre è e pure questo apparire e scomparire a sua volta appare e scompare.
Ciò che a me lascia perplesso è che se l'apparire resta comunque legato allo scomparire che necessariamente lo contraddice come si potrà mai parlare di un totale concreto apparire (perché proprio in questo consiste la manifestazione della Gloria in cui la Terra Isolata è compresa per destino) dell'eternità dell'essente, la sua concreta completezza ontologica? O la Gioia (la Resurrezione che segue al Venerdì Santo della Morte per citare le parole del filosofo) sta appunto nella percezione di questo eterno susseguirsi degli eterni essenti ben oltre la staticità del mero discorso logico fondato sul principio linguistico di non contraddizione? un'ulteriorità a cui sembrano alludere le parole citate da Gyta ove il dispiegamento infinito non si arresta in alcuna configurazione definitiva e la strada non si trova mai sbarrata da alcuno spettacolo conclusivo tanto da sembrare che in questo orizzonte di Gioia Parmenide incontri finalmente Eraclito cosicché la stabilità logica dell'Essente che non può essere mai altro da ciò che è trova fusione con l'inarrestabile fluire fenomenico di un inarrestabile sorgere e tramontare, in cui il tramonto coincide con l'aurora alla quale tanto radicalmente pare contrapporsi?
E' questo che mi risulta difficile afferrare nelle parole del filosofo il cui discorso non è per nulla mistico: la conciliazione tra ciò per logica deve essere e ciò che fenomenicamente concretamente appare e non può che in tal modo apparire in virtù di una contraddizione logica essenziale all'apparire stesso.

Jeangene:
Citazione:
E' la sostanza che sta a fondamento degli enti che cambiando configurazione/forma li fa cambiare/divenire, ma in questo gioco la sostanza fondante rimane sempre sè stessa, non deriva dal nulla e non si annienta nel nulla.
La tua è un'obiezione di tipo aristotelico, che separa nell'ente ciò che è essenziale (che lo sub-stanzia) e permane e ciò che non lo è e dunque può variare: se la sostanza resta immutata l'ente può variare restando se stesso. Per Severino invece questa separazione non è attuabile, ossia non si può (se non per arbitraria volontà di farlo) separare il tipo di moti elettronici in LA da quello che è LA che non potrà pertanto mai diventare LS. L'essere acceso di LA non è una caratteristica secondaria sottraibile se si vuole (basta saper come fare) da quell'essente che è LA in quanto tale, nemmeno a livello di caratteristiche elettroniche. Se il movimento degli elettroni è diverso, LA e LS a cui queste differenze competono sono essenti diversi che non potranno mai diventare l'uno l'altro (la lampada che si accende e poi si spegne non può essere la stessa).

Gyta: gli essenti per Severino non sono affatto monadi, ma l'esatto contrario, essi sono perpetuamente in relazione. sono configurazioni peculiari, ma globali che comprendono nella propria prospettiva particolare ogni essente ed è questo che dà a loro un significato specifico, ma sempre aperto. Vale per ogni Gyta (ognuna delle quali ha qualcosa in comune con le altre in modo da poterla chiamare con lo stesso nome) come per ogni granello di polvere: tutti costituiscono un diverso eterno significare che nulla esclude dai suoi rapporti. Per comprendere Severino dobbiamo abbandonare la visione oggettuale-particellare della cosa (madre di tutte le guerre, dice il filosofo ribaltando la massima eraclitea) per assumere quella relazionale, per la quale la diversità non è mai separazione, ma consiste nelle diverse modalità di relazione proprie dell'Essere. Banalizzando, se parlassimo in termini fisici sarebbe come passare dalla meccanica dei corpi materiali precisamente definiti dalle discontinuità dei loro contorni a quella ondulatoria in cui ogni essente è una particolare configurazione modulata dell'intero esistente.
Quanto alla seconda domanda provocatoria, certo anche il dolore è un essente e pertanto dobbiamo ammettere che anche al dolore compete l'eternità, ma il dolore proprio della visione della Terra Isolata è per sempre superato (compreso, oltrepassato) dall'apparire del non isolamento della Terra. La Terra Isolata è la visione che dà della Terra la Volontà di Potenza che ne esige l'isolamento estremo fino all'annientamento per illudersi della sua capacità di controllo e dominio (compreso il voler controllare, dominare e annientare il dolore). La Terra Isolata con il dolore che la abita trova superamento nella comprensione non separata di se stessa e in tal modo il dolore non è più dolore: la Passione che culmina nella morte del Venerdì Santo è così per sempre compresa nella Gloria effettiva della Resurrezione che per Destino compete a ogni essente in quanto tale.
Il dolore è il risultato prospettico del voluto isolamento di ogni essente e pertanto non è più dolore che conosciamo mano a mano che sopraggiunge il non isolamento di tutti gli essenti in cui il dolore viene compreso nel compiuto e necessario oltrepassare.
maral is offline  
Vecchio 02-09-2013, 23.25.45   #23
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

@ Gyta
Non trovo affatto tu sia provocatorio. Anzi, pur essendo io un estimatore del pensiero di Severino faccio mie
certe tue osservazioni, ribadendoti però che, a mio parere, stai focalizzando troppo su una parte (quella che
io chiamo "cura"), della sua teoresi. E questo, sempre a parer mio, non ti consente di comprenderne appieno
la vastità, nonchè la profondità.
In sintesi: Severino non dice solo che ogni attimo dell'esistenza è eterno (concetto sul quale neanche io
ho problemi a parlare di metafisica, di Brahma e di Atman, come puoi vedere dai miei post(s).
Severino dice ANCHE che è con l'abbraccio del principio del divenire delle cose che si origina tutta la cultura
(preferisco il termine tedesco "weltanschauung") occidentale. E che l'abbraccio di questo principio porta
necessariamente alla "morte di Dio", al nichilismo, alla rimozione di qualsiasi limite: all'avvento totale
ed incondizionato della volontà di potenza.
Poi dice anche di altre cose, ma già solo l'averci offerto una analisi così profonda di queste basta e avanza
per farne un grande filosofo (ovviamente a parer mio, ma è un parere che non rinuncia ad essere oggettivamente
valido).
Quando, ad esempio, parli di un uomo che "devia verso il sonno di un automatismo sublimato, rinnegando di
fatto il proprio potere e la propria potenza", o di "potenziale interiore umano", stai parlando di idee o
di fatti? Cioè: sei tu che pensi vi sia uno specifico potenziale interiore nell'uomo, o questo è un fatto?
Se lo definisci "fatto", ovviamente io subito ti chiederei di spiegare perchè la realtà non coincide con il
"fatto" -almeno mi sembra di capire che anche per te la realtà non sia poi proprio "ideale"...
Viceversa, se lo definisci idea, o opinione (tua), ti inviterei a cercare di far prevalere la tua idea. Con
quali mezzi non mi pronuncio, visto che la storia non l'hanno mai fatta i profeti (ma gli uomini d'arme,
diceva Machiavelli).
Insomma: Severino ci sta dicendo in cosa consiste il "conflitto", e perchè esso è, nella società occidentale,
ineliminabile. Non mi sembra poco.
Poi il "conflitto" può essere eliminato in vari modi (c'era F.Fukuiama che, fino a qualche anno fa, predicava
la pacificazione mondiale sotto l'egida del pensiero liberale). Uno è quello degli stati "totalitari", i
quali, memori della "pax romana", parlano di "volere del popolo" ed altre amenità, appunto, totalizzanti.
Muovendomi su un piano più consono al livello di questa discussione (che è filosofico, non politico), potrei
forse dire che la soluzione storico-materialista del "conflitto" non mi convince (lo accennavo in risposta a
Sgiombo). Non mi convince essenzialmente perchè se la realtà è quella che è (se l'Essere è, potremmo dire
con altra terminologia), e non coincide col nostro pensiero, allora ciò vuol dire che realtà ed idealità
sono separate, e la loro sintesi può avvenire solo con la volontà più potente che si afferma su quella più
debole (ogni "rivoluzione" ha avuto bisogno innanzitutto di vincere militarmente).
E questo ci riporta a quello che in psicologia viene definito "sentimento di separazione e solitudine", la
cui origine Severino indica nell'abbraccio del principio diveniente delle cose (io divento "altro" a me
stesso come agli altri essenti, divento un individuo). Un sentimento di separazione e solitudine che non
si sintetizza se non col prevalere di una potenza "agente" (cioè più potente delle altre). Ecco il nichilismo,
io trovo, in una delle sue espressioni più radicali. Un nichilismo che Severino ci dice "destino" per chi
abbraccia il principio diveniente delle cose (è in questo "punto" che la mia opinione comincia a divergere
da quella di Severino).
ciao
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Vecchio 03-09-2013, 00.16.08   #24
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

@ Jeangene
E perchè mai questi sarebbero deliri...
Quindi il tempo come un qualcosa che la coscienza intuisce? Certamente un punto di vista che ha, come dire,
un illustre albero genealogico. E che in parte condivido.
Severino dice che questo computer acceso che ho tra le mani è eternamente un computer acceso che io ho
tra le mani (va beh che è piacevole fare questi discorsi ma non esageriamo...), cioè che il tempo non esiste
se non come apparenza. Non saprei, con tutta la stima che ho per Severino questo concetto mi è ostico, e
soprattutto se penso che implica, necessariamente, un'infinità di universi paralleli.
Personalmente, propendo più per la visione del tempo che ha Heidegger, che lo identifica con l'Essere (in
estrema sintesi: il tempo coincide con l'Essere perchè è di un Essere specificamente umano che Heidegger
parla, cioè del solo essente che ha coscienza del passato e del futuro, che quindi costituiscono "strutturalmente"
l'Essere specifico dell'uomo).
Non che, ovviamente, la tesi di Heidegger sia immune da solide critiche, e nemmeno che sia priva di "metafisicità".
ciao
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Vecchio 03-09-2013, 08.33.44   #25
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Originalmente inviato da maral
Jeangene: La tua è un'obiezione di tipo aristotelico, che separa nell'ente ciò che è essenziale (che lo sub-stanzia) e permane e ciò che non lo è e dunque può variare: se la sostanza resta immutata l'ente può variare restando se stesso. Per Severino invece questa separazione non è attuabile, ossia non si può (se non per arbitraria volontà di farlo) separare il tipo di moti elettronici in LA da quello che è LA che non potrà pertanto mai diventare LS. L'essere acceso di LA non è una caratteristica secondaria sottraibile se si vuole (basta saper come fare) da quell'essente che è LA in quanto tale, nemmeno a livello di caratteristiche elettroniche. Se il movimento degli elettroni è diverso, LA e LS a cui queste differenze competono sono essenti diversi che non potranno mai diventare l'uno l'altro (la lampada che si accende e poi si spegne non può essere la stessa).

Non capisco..

Io penso che esista una sostanza fondamentale che sta a fondamento di ogni cosa: del mare, dei monti, di un tavolo, di una penna, di un gatto, di un ricordo, di un pensiero.
La parte di sostanza che ora sta formando il mare, un giorno potrebbe formare un monte, o un pensiero e viceversa. La differenza fra questi enti sta nella "configurazione" della sostanza.
La differenza fra LA e LS starebbe quindi nella "configurazione", non sarebbe una differenza "sostanziale".

Citazione:
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@ Jeangene
Quindi il tempo come un qualcosa che la coscienza intuisce? Certamente un punto di vista che ha, come dire,
un illustre albero genealogico. E che in parte condivido.

Le mie naturlamente sono solo supposizioni, giochi di pensiero.

Il tempo potrebbe essere una intuizione della coscienza data dalla sua capacità di estendersi ai nostri ricordi e alle nostre proiezioni (che sono entrambe nel momento presente) vivendole rispettivamente come passato e come futuro.

La seguente supposizione fa un po' acqua:
"Forse l' Essere è senza tempo, ed è il nostro ricordare le sue diverse "configurazioni" che ce lo fa apparire diveniente."

Come potrebbe attuarsi una successione di configurazioni/stati in una dimensione dove non esiste il tempo?

Per questo dico che sono solo giochi di pensiero.

Ultima modifica di jeangene : 03-09-2013 alle ore 14.38.33.
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Vecchio 03-09-2013, 10.48.25   #26
maral
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

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Originalmente inviato da 0xdeadbeef
Ecco perchè, a mio modo di vedere, esiste necessariamente un, come dire, "nucleo" di illogicità in qualunque
cosa (essente) che appare: è l'illogicità di cui si serve la volontà di potenza allo scopo di "affermarsi".
E' la "bugia", spesso pietosa, che ci serve per vivere. Come diceva Nietzsche.
ciao
Condivido questa tua riflessione che è proprio quanto ho tentato di dire in merito alle perplessità sul pensiero di Severino accennate nel mio intervento precedente (scritto prima di leggere le tue ultime considerazioni, il che mi fa sospettare che tutto sommato l'inesistenza del tempo non è così estranea a quanto ci accade...).
Da un lato mi sembra comunque che il principio di identità abbia una valenza (a differenza del principio di non contraddizione che riguarda specificatamente il nostro dire) che va oltre la regola logica, che sia quindi un principio ontologico fondamentale, anche se aperto in chiave metafisica: ogni cosa è sempre ciò che è, ma resta sempre aperto cosa quella cosa sia (in quanto il cosa sia emerge non dalloa cosa in sé, ma dalla cosa per il suo essere per altro). Forse il divenire, inteso come un mutante apparire in cui ha senso il percorso dal non apparire ancora al non apparire più (e non come un mutante essere), è quanto emerge fenomenicamente proprio da questa apertura di ogni essente necessariamente significante al susseguirsi ininterrotto di significati in cui continuamente si incarna dando rappresentazione di sé, apertura che mai può chiudersi alla luce dell'eternità essenziale dell'apparire stesso.
L'accadere fenomenico del mondo e di noi stessi, per quanto irrazionale possa risultare è dunque inevitabile per il semplice fatto di esistere, appartiene esso stesso alla necessità logica di ciò che è e altrimenti non può essere.
Questo non significa che ammettendo la contraddizione nulla si possa dire, ma solo che ogni dire non è mai in sé conclusivo (si può dire, qualsiasi sia il linguaggio usato, solo fino a un certo punto, senza alcuna possibilità di definire quel punto all'interno di quel linguaggio) e che la manifestazione concreta della Gloria degli essenti non può apparire in altro modo se non nel loro continuo emergere come eterni significanti sempre aperti a un diverso ulteriore significare in cui il significare niente non può trovare luogo esattamente come il significare tutto e il significare niente, come il significare tutto è proprio ciò che vuole e non può non volere la Volontà di Potenza che fa della Terra una Terra Isolata e del senso di una narrazione il delirio assoluto della follia.
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Vecchio 03-09-2013, 13.34.34   #27
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@ Sgiombo
Non pensi che dire "relativamente solido" (sto naturalmente parlando del principio etico) sia equivalente a
dire non-solido?
Ne vediamo un esempio proprio in questi giorni, nel momento in cui un noto personaggio afferma proprio la
relatività della legge giuridica (e una legge giuridica si fonda sempre su di un principio etico)...
Non credi, in altre parole, che se cominciassimo a fare eccezioni (se cominciassimo cioè a flettere l'inflessibile,
per dirla con le parole di Severino), queste eccezioni si moltiplicherebbero fino alla "morte della legge
giuridica", ovvero fino alla morte del principio etico che la sorregge?
Ecco, parafrasando Severino direi che parlare di "relativamente solido" rappresenti un instradarsi in un
"destino" che non può avere come sbocco altro se non la morte del principio etico, che una volta "flesso"
non può che perdere il suo stesso Essere, la sua stessa "sostanza" fatta di inflessibilità.
Il problema, per come lo vedo io, non è la "trasgressione", ma il fatto che la trasgressione non sia più
percepita come tale, ma come giusta istanza critica verso lo stesso principio, come legittima "flessione"
dello stesso (vedi, a tal proposito, come il personaggio di cui sopra sia restio a chiedere la "grazia", e
vedi anche come questo stesso termine, "grazia", non possa che richiamarci ad altre e ben evidenti "inflessibilità").
Lo stesso Kant, di cui citi la formulazione dell'"imperativo categorico", è costretto a fondare la moralità
sull'Essere trascendente (non esplicitamente ma questo fa).
ciao
(ti ho mandato un messaggio privato, ma non me lo fa spedire. Ora riprovo)
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Vecchio 03-09-2013, 17.10.13   #28
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Citazione:
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Non capisco..

Io penso che esista una sostanza fondamentale che sta a fondamento di ogni cosa: del mare, dei monti, di un tavolo, di una penna, di un gatto, di un ricordo, di un pensiero.
La parte di sostanza che ora sta formando il mare, un giorno potrebbe formare un monte, o un pensiero e viceversa. La differenza fra questi enti sta nella "configurazione" della sostanza.
La differenza fra LA e LS starebbe quindi nella "configurazione", non sarebbe una differenza "sostanziale".

Allora dimmi Jeangene qual'è questa sostanza fondamentale (e in sé immutabile, quindi fondamentalmente sempre identica a se stessa) che sta all base di tutto? Perché proprio su questo problema è nata la filosofia più di 2000 anni fa in Grecia. Cosa sta alla base di tutto? L'acqua? Il fuoco? L'Essere? L'energia? Un tipo di particelle sub atomiche? Il divenire stesso?
Severino dice che ogni cosa per intero è fondamentale perché ciascun essente proprio per l'essente che è, è fondamentale.
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Vecchio 03-09-2013, 19.47.03   #29
sgiombo
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Citazione:
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@ Sgiombo
Non pensi che dire "relativamente solido" (sto naturalmente parlando del principio etico) sia equivalente a
dire non-solido?
Ne vediamo un esempio proprio in questi giorni, nel momento in cui un noto personaggio afferma proprio la
relatività della legge giuridica (e una legge giuridica si fonda sempre su di un principio etico)...
Non credi, in altre parole, che se cominciassimo a fare eccezioni (se cominciassimo cioè a flettere l'inflessibile,
per dirla con le parole di Severino), queste eccezioni si moltiplicherebbero fino alla "morte della legge
giuridica", ovvero fino alla morte del principio etico che la sorregge?
Ecco, parafrasando Severino direi che parlare di "relativamente solido" rappresenti un instradarsi in un
"destino" che non può avere come sbocco altro se non la morte del principio etico, che una volta "flesso"
non può che perdere il suo stesso Essere, la sua stessa "sostanza" fatta di inflessibilità.
Il problema, per come lo vedo io, non è la "trasgressione", ma il fatto che la trasgressione non sia più
percepita come tale, ma come giusta istanza critica verso lo stesso principio, come legittima "flessione"
dello stesso (vedi, a tal proposito, come il personaggio di cui sopra sia restio a chiedere la "grazia", e
vedi anche come questo stesso termine, "grazia", non possa che richiamarci ad altre e ben evidenti "inflessibilità").
Lo stesso Kant, di cui citi la formulazione dell'"imperativo categorico", è costretto a fondare la moralità
sull'Essere trascendente (non esplicitamente ma questo fa).
ciao
(ti ho mandato un messaggio privato, ma non me lo fa spedire. Ora riprovo)

Effettivamente ciò che caratterizza i tempi di decadenza come il presente (per lo meno in Occidente) non è tanto la violazione della morale (che è ubiquitaria, data l’ imperfezione umana), quanto la mancanza della consapevolezza della trasgressione stessa, in conseguenza di una carenza di senso morale (mi pare che questo si intenda generalmente per nichilismo).

Quando ero giovane (tempi oggettivamente molto meno infami dell’ attuale, indipendentemente dall’ “illusione prospettica” per la quale da giovani sembrava tutto più bello) le puttane esistevano eccome, ma si vergognavano, se interrogate dicevano di fare le casalinghe o le pettinatrici (non si diceva “estetiste” allora) mentre adesso si vantano dei loro facili e spropositati guadagni e sono continuamente riverite in TV, presentate alle bambine come virtuosi esempi da seguire (cominciò quel viscido leccaculo filo-PD unanimemente conosciuto come “lo stuoino”, sdoganando Moana Pozzi -definita dai giornalisti “donna bellissima, intelligentissima e coltissima”, allorché morì di epatite virale: una malattia professionale nel suo caso in quanto trasmessa anche e soprattutto sessualmente, che avrebbe contratto “durante un viaggio di istruzione ed ulteriore elevamento spirituale in India”-; qualche anno fa, in una trasmissione che andava in onda fra le ore 19 e 20 e consisteva in un quiz in cui si doveva indovinare la professione di vari personaggi attraverso opportune domande e indizi vari, quell’altro gigione-rassicurante-padri-di-famiglia di Fabrizio Frizzi presentò fra l’ altro uno che esercitava il mestiere dell’ attore-porno: così, fra un salumiere, un’ insegnante, un barbiere e un ferroviere, una professione come un altra, assolutamente rispettabilissima, in modo che bambini e bambine potessero imparare come si vive dignitosamente e rispettabilmente; per la cronaca dal Vaticano, onnipresente in TV coi suoi solerti commissari politici e sempre pronto a criminalizzare chi usa anticoncezionali o vorrebbe morire dignitosamente soffrendo il meno possibile, non arrivò alcun commento scandalizzato).
(Fine dello sfogo).

Tuttavia credo che anche il nichilismo stesso, così correttamente inteso, in diversa (anche molto diversa) misura sia presente in ogni tempo e in ogni società, e che comunque la solidità dei principi morali vigenti nei vari contesti culturali, come tutto ciò che è naturale e a maggior ragione tutto ciò che é umano, sia comunque relativa (se non altro è evidentissimo il fatto che può vigere più o meno solidamente solo nel limitato tempo di esistenza dell’ umanità): la perfezione non esiste, nemmeno per chi neghi il divenire (ed è per lo meno discutibile che le società premoderne e fortemente caratterizzate dalla religione siano fissiste e negatrici del divenire: a me non pare proprio).
Ma a parte queste considerazioni di fatto vi sono uomini dalla fortissima tempra morale e senso del dovere che non sono affatto teisti, magari sono atei o agnostici (mentre vi sono tantissimi teisti e religiosi in senso tradizionalista e premoderno che in fatto di etica sono fra i peggiori nichilisti).

Mi sembra proprio che i conti con la pretesa severiniana dell’ origine del nichilismo dalle concezioni (quasi ubiquitarie in tutti i tempi) che affermano il divenire non tornino.

Scrivimi pure direttamente all’ indirizzo:
Sgiombo@alice.it

Stammi benone!
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Vecchio 03-09-2013, 21.03.11   #30
jeangene
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Riferimento: Riflessione su: "Intorno al senso del nulla" (E.Severino)

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Allora dimmi Jeangene qual'è questa sostanza fondamentale (e in sé immutabile, quindi fondamentalmente sempre identica a se stessa) che sta all base di tutto? Perché proprio su questo problema è nata la filosofia più di 2000 anni fa in Grecia. Cosa sta alla base di tutto? L'acqua? Il fuoco? L'Essere? L'energia? Un tipo di particelle sub atomiche? Il divenire stesso?
Severino dice che ogni cosa per intero è fondamentale perché ciascun essente proprio per l'essente che è, è fondamentale.

Naturalmente non lo so.
Forse ciò che mi ha portato a pensare ad una sostanza fondamentale é l' indagine scientifica che ci ha mostrato come un oggetto sia formato da molecole, quindi da atomi, quindi da particelle subatomiche.
Non so perché, ma a me sembra logico pensare che dietro a queste particelle subatomiche si nasconda qualcosa di ancora più fondamentale, qualcosa di unico e omogeneo, non so se questo possa essere chiamato Essere.
jeangene is offline  

 



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