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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 18-10-2013, 15.28.11   #41
0xdeadbeef
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

@ Maral
Ma la volontà di potenza è degli uomini, non della tecnica (la quale, solo, serve ad essi).
Severino dice (e qui lo condivido) che le volontà di potenza dominanti si servono dell'apparato tecno-scientifico,
ma sarebbero pronte ad abbandonarlo nel momento in cui dovessero trovare qualche "tecnica" maggiormente
efficace al fine del loro dominio ("la preghiera che smuove le montagne").
In ogni epoca le volontà di potenza dominanti si creano il loro "Grande Fratello". Nell'antica Cina il potere
dell'Imperatore era legittimato dal "mandato celeste"; Silla diventa "dictator" per difendere la Repubblica;
l'assolutismo è legittimato dalla Chiesa (S.Paolo); la dittatura del "Soviet supremo" è la dittatura del
proletariato. Per venire alla stretta attualità, la stabilità del governo Letta è voluta dai mercati...
Hai dunque perfettamente ragione: un individuo o anche una "classe" è troppo debole per regnare "da sè" (cioè
solo in virtù della propria potenza).
E ha ragione Camus, quando ne: "L'uomo in rivolta" afferma che la rivoluzione francese è stata "anche" contro
Dio.
E dunque chi potrà mai contrastare la razionalità economica in quanto razionale? La risposta ce la suggerisce
ancora Severino, il quale afferma che il capitalismo terminerà nel momento in cui gli uomini (cioè le volontà
di potenza degli uomini) troveranno un altro strumento più potente (chissà: forse proprio la preghiera...).
E' allora che si svelerà la razionalità economica per ciò che è: un paravento che nasconde un potere politico.
ben preciso (ecco che allora, come in ogni tempo, l'"usurpatore" parlerà di razionalità tradita, cioè di
irrazionalità - ecco cosa intendevo per "peccato originale" della politica: la necessità di prendere il potere,
foss'anche, dicevo, per finalità "francescane").
ciao
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Vecchio 19-10-2013, 13.32.34   #42
maral
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

Certo Oxdeadbeef, la volontà di potenza è negli uomini e si serve della tecnica per realizzarsi, ma poiché la volontà di potenza non ammette limiti alla propria volontà, giungendo a vedere in se stessa la necessità della propria illimitatezza, essa trascende gli uomini e fa del come realizzarsi il proprio unico scopo a cui gli uomini potranno essere più o meno utili (alcuni sì e altri no e quelli che non lo sono saranno strumenti da sostituire, scartare o riprogettare). La volontà di potenza è essenzialmente volontà di controllo assoluto del divenire che per questo vuole il costantemente un divenire da poter sempre controllare. In quanto volontà che vuole controllare il divenire risponde a un'esigenza umana, ma volendo sempre necessariamente esplicitare la sua potenza, nega la necessità umana come suo fine, la trascende e la usa tecnicamente per se stessa.
La razionalità economica diventa quindi da mezzo per una giusta ed equilibrata ripartizione dei beni a mezzo per un continuo produrre fine solo a se stesso (dunque disumano perché non si cura dell'uomo anche se il tecnico dice di farlo e magari ci crede pure) che rappresenta l'unico senso possibile completamente autoreferenziale per la volontà di potenza: io volontà, posso tutto per mia volontà. e ancora: io volontà, selezionerò gli uomini che la pensano così, affinché essi siano strumenti efficaci per me stessa, essi saranno i servi prediletti, ma solo finché si manterranno a me funzionali. Lo vediamo costantemente nel mondo attuale, sommerso da una produzione continua ed esorbitante, sempre più eccessiva e al contempo sempre più insufficiente.
La volontà di potenza non distingue tra chi prega e chi non prega, se la preghiera è funzionale a produrre e consumare secondo pianificazione tecnica va benissimo (infatti qualsiasi oggettistica religiosa va benissimo se serve al mercato: una possibilità in più di produrre) e qui sta il grande vantaggio rispetto a quelle ideologie che selezionano a priori chi prega e chi no o come lo fa, tutto questo alla volontà di potenza tecnica non potrebbe importare di meno. E la volontà di potenza come si serve della religione si serve pure della politica, a patto che la politica le garantisca la massima funzionalità a se stessa, altrimenti la politica sarà giudicata inefficace, dunque inutilizzabile, dunque da separare ed eliminare come inciampo alla necessità di un crescente produrre che necessita di produrre sempre di più.
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Vecchio 19-10-2013, 23.22.55   #43
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

@ Maral
Ma la volontà di potenza è NEGLI uomini, non al di fuori di essi.
Sono gli uomini che non ammettono limiti alla propria volontà, non la volontà di potenza. E sono gli uomini
che fanno del come realizzarsi il loro unico scopo, e le varie tecniche potranno essere loro più o meno utili
(alcune sì e altre no, e quelle che non lo sono saranno strumenti da sostituire, scartare o riprogettare).
La razionalità economica non è un mezzo per un continuo produrre fine solo a se stesso, ma è il paravento
con cui le volontà di potenza dominanti mascherano la nuda verità del loro dominio (nell'età postindustriale
le aziende falliscono a grappoli, ma le banche, le quali sono espressione delle volontà di potenza
dominanti, non seguono certo la stessa sorte: è questo il genere di cose che vediamo costantemente nel mondo attuale).
Francamente, non capisco come si possa concepire la volontà di potenza come un qualcosa di staccato dall'uomo;
come un qualcosa dotato di vita propria.
ciao
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Vecchio 20-10-2013, 21.52.35   #44
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

@ Paul11
Una rigorosa analisi storico-concettuale del liberalismo politico non può, a mio avviso, non partire dai
fondamentali concetti espressi dalla filosofia empirista anglosassone.
Ad esempio, il concetto di "costituzionalità" (prima contro l'arbitrio del sovrano, poi, nei sistemi
democratici, contro quello della maggioranza) nasce già con Locke, il quale afferma che alla ragione, come
alla libertà, c'è sempre un limite (ed è da questa visione filosofica che Locke arriva a teorizzare la libertà
dell'uomo nella società, cioè la libertà politica, come una libertà limitata da certi diritti "naturali"-
giusnaturalismo).
Tuttavia, un liberalismo politico propriamente detto nasce solo durante il 700, per opera dei "Whigs", i quali
assumono fra i fondamenti della propria dottrina politica, oltre al contrattualismo e al giusnaturalismo (che
già Locke aveva considerato), anche la teoria della libertà economica, formulata da Adam Smith (sull'esempio
dei Fisiocratici francesi).
Dunque, io trovo, è fin dall'inizio che liberalismo politico e liberismo economico, per così dire, vanno a braccetto.
Il problema, chiamiamolo così, è che noi oggi distinguiamo questi due aspetti perchè, probabilmente, travisiamo
il significato storico che ha avuto proprio la "costituzionalità" in rapporto al diritto "naturale".
Mi spiego meglio: la libertà economica di A.Smith si fonda sul "laissez faire", non così è per la libertà
politica, appunto limitata dal diritto "naturale". C'è tuttavia, nel pensiero anglosassone, un passaggio-chiave
che ci sfugge: per Locke il diritto "naturale" era, come per Ugo Grozio, un diritto "evidente per sè". Un
diritto quindi che la ragione pone una volta e per tutte: un diritto, insomma, immutabile.
Non sarà così per il pensiero successivo a Locke. Tant'è che Hume parla di: "regole necessarie al vivere
sociale", e le individua nella convenienza, cioè nel perseguimento dell'utile individuale (che nella
prospettiva "provvidenzialistica" della filosofia anglosassone coincide con l'utile della collettività).
Ecco dunque come il "laissez faire", il lasciar perseguire il proprio utile all'individuo , si salda in
maniera fortissima alla libertà politica, e ne diventa parte indissolubile (diritto "naturale" è la stessa libertà,
e quindi sarà essa ad essere garantita dalla "costituzionalità").
Emblematica di questo travisamento di significato è proprio (lo accennavo) la posizione di B.Croce.
Dice Croce: "di un provvedimento sociale non si deve chiedere se esso sia liberistico (ovviamente Croce si
riferisce all'aspetto economico), ma se sia liberale, cioè se contribuisca ad ampliare la libertà e la dignità
degli uomini".
Ora, può anche darsi che Croce abbia ragione, ma non v'è dubbio che per quanto riguarda la cultura anglosassone
le cose siano andate diversamente, visto che essa non concepisce un "provvedimento sociale" che va nella
direzione contraria alla libertà individuale.
Perchè, ed è questo il punto, la libertà individuale non può contemplare nessun "sacro principio" (aveva
ragione Hume). E' per questo che liberalismo ed egualitarismo sono e saranno sempre inconciliabili.
Il discorso però è vasto ed anche discretamente complesso.
ciao
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Vecchio 21-10-2013, 13.57.29   #45
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

@ Gyta
Accolgo senz'altro la tua critica, e semplicemente perchè ritengo che essa non sia infondata (questo mi dà
modo anche di spiegare perchè ritengo che certe tue proposizioni pre-suppongano la visione idealista).
Quando affermi che la politica per "come è", o per come dovrebbe essere, è riducibile all'opinione di ogni
singolo individuo, il quale non può porsi "davanti" alla politica (come ci si pone davanti ad un quadro), ma
può solo porsi "dentro" la politica (può solo "esercitare" la politica), implitamente neghi valore a quella
che è chiamata "descrizione". Ovvero, implicitamente, operi una "sintesi" idealistica di soggetto e oggetto.
Tale (idealistica) visione è particolarmente chiara nell'affermazione: "quando una nazione sbaglia è nostro
dovere e compito correggerla".
A mio modo di vedere, questa affermazione è tutt'altro che "seria e chiara". O meglio: potrebbe anche esserlo,
ma sempre e comunque ponendosi da un punto di vista che presuppone la sintesi di soggetto ed oggetto.
E chi dice quando una nazione sbaglia? Lo diciamo noi? E su quale base lo diciamo? E che vuol dire quel: "è
nostro dovere e compito correggerla"?
Certo, se come Fichte noi pensiamo che l'"io" è il creatore della realtà; se come Hegel noi pensiamo che
l'idea è la verità, allora possiamo ben dire, secondo il nostro auto-determinarci, che una certa nazione
sbaglia. E possiamo credere che questa sia tutta la verità.
Ecco che allora, probabilmente, ci sentiremo in dovere di "redimere" questo sbaglio...
Ma, prima di continuare, ritengo opportuno sentire le tue considerazioni su quanto ho esposto.
ciao
(non pensando, io, di essere il creatore della realtà ho riconosciuto il mio sbaglio...)
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Vecchio 21-10-2013, 23.58.34   #46
paul11
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Paul11
Una rigorosa analisi storico-concettuale del liberalismo politico non può, a mio avviso, non partire dai
fondamentali concetti espressi dalla filosofia empirista anglosassone.
Ad esempio, il concetto di "costituzionalità" (prima contro l'arbitrio del sovrano, poi, nei sistemi
democratici, contro quello della maggioranza) nasce già con Locke, il quale afferma che alla ragione, come
alla libertà, c'è sempre un limite (ed è da questa visione filosofica che Locke arriva a teorizzare la libertà
dell'uomo nella società, cioè la libertà politica, come una libertà limitata da certi diritti "naturali"-
giusnaturalismo).
Tuttavia, un liberalismo politico propriamente detto nasce solo durante il 700, per opera dei "Whigs", i quali
assumono fra i fondamenti della propria dottrina politica, oltre al contrattualismo e al giusnaturalismo (che
già Locke aveva considerato), anche la teoria della libertà economica, formulata da Adam Smith (sull'esempio
dei Fisiocratici francesi).
Dunque, io trovo, è fin dall'inizio che liberalismo politico e liberismo economico, per così dire, vanno a braccetto.
Il problema, chiamiamolo così, è che noi oggi distinguiamo questi due aspetti perchè, probabilmente, travisiamo
il significato storico che ha avuto proprio la "costituzionalità" in rapporto al diritto "naturale".
Mi spiego meglio: la libertà economica di A.Smith si fonda sul "laissez faire", non così è per la libertà
politica, appunto limitata dal diritto "naturale". C'è tuttavia, nel pensiero anglosassone, un passaggio-chiave
che ci sfugge: per Locke il diritto "naturale" era, come per Ugo Grozio, un diritto "evidente per sè". Un
diritto quindi che la ragione pone una volta e per tutte: un diritto, insomma, immutabile.
Non sarà così per il pensiero successivo a Locke. Tant'è che Hume parla di: "regole necessarie al vivere
sociale", e le individua nella convenienza, cioè nel perseguimento dell'utile individuale (che nella
prospettiva "provvidenzialistica" della filosofia anglosassone coincide con l'utile della collettività).
Ecco dunque come il "laissez faire", il lasciar perseguire il proprio utile all'individuo , si salda in
maniera fortissima alla libertà politica, e ne diventa parte indissolubile (diritto "naturale" è la stessa libertà,
e quindi sarà essa ad essere garantita dalla "costituzionalità").
Emblematica di questo travisamento di significato è proprio (lo accennavo) la posizione di B.Croce.
Dice Croce: "di un provvedimento sociale non si deve chiedere se esso sia liberistico (ovviamente Croce si
riferisce all'aspetto economico), ma se sia liberale, cioè se contribuisca ad ampliare la libertà e la dignità
degli uomini".
Ora, può anche darsi che Croce abbia ragione, ma non v'è dubbio che per quanto riguarda la cultura anglosassone
le cose siano andate diversamente, visto che essa non concepisce un "provvedimento sociale" che va nella
direzione contraria alla libertà individuale.
Perchè, ed è questo il punto, la libertà individuale non può contemplare nessun "sacro principio" (aveva
ragione Hume). E' per questo che liberalismo ed egualitarismo sono e saranno sempre inconciliabili.
Il discorso però è vasto ed anche discretamente complesso.
ciao

La scuola empirista ha sicuramente influito nella storia. Ma gli inglesi si sono fermati alla monarchia costituzionale e parlamentare.
La differenza fra la filosofia politica e le scienze economiche è che non si può parlare di filosofia politica se non avendo come premessa la filosofia morale.
Nel momento in cui i valori ( libertà fraternità, uguaglianza) calano dalla morale nel diritto in Francia avviene la rivoluzione , mentre in Inghilterra Adam Smith scrive "il principio della ricchezza delle nazioni" : sono quasi storicamente contemporanei. Quei coloni inglesi sbarcati in america costituiranno una repubblica , non una monarchia.Mentre il valore in economia era quello d'uso e poi di scambio si creano fratture di pensiero fra le due discipline. Ma il materialismo storico insegna che l'economia è preponderante rispetto alla politica. La potenza egemonica inglese con il colonialismo, l'invenzione della macchina a vapore, segnano profondamente il passaggi definitivo dalla società feudale nobiliare alla società borghese capitalista.
Ma è fuori dall' Inghilterra che nascono le repubbliche e i moti rivoluzionai che infiammano nel periodo romanticista tutta Europa. Sono in Francia, ma soprattutto l'area tedesca che si trovano le tradizioni e il nuovo pensiero. E' Kant che ha illustrato più di qualunque altro il concetto di morale nella modernità, è Marx prendendo dall'idealismo di Hegel che scriverà con Engels il manifesto comunista. E' addirittura in Russia che appariranno prima Bakunin e Kropotkin per l'anarchismo e Lenin per il comunismo e Proudhon in Francia e la prima internazionale sarà in Francia. La coscienza di classe e le lotte dei diritti nno fanno parte della tradizione inglese.
Quel liberalismo=liberismo è tipico della scuola ultraconservatrice che circola soprattutto in Usa e Gran Bretagna: Reagan e la Tatcher li hanno rappresentati e hanno segnato un'epoca.
Il laburismo è un endemismo inglese delle dottrine socialiste importate altrove.

Il discorso è complesso poichè sono richiamate molte argomentazioni che meriterebbero di essere approfondite in termini filosofici.
Nel giusnaturalismo si scontrano le tesi degli empiristi inglesi, e dall'altra Kant, Spinoza fino a Rosseau. Sarebbe lunga spiegare (ma non è detto che prima o poi apra una discussione proprio sul giusnaturalismo), ma è come costruiscono le gerarchie dei valori cioè le priorità che si intuisce "da che parte stanno".

Mi sentirei di dire che se c'è un oblio della filosofia politica è perchè si annebbiato proprio il principio morale che ne è propedeutico. Senza questa scade in scienza politica anche se alcuni scienziati politici e sociologi di alto spessore culturale per i loro scritti arrivano alla filosofia.
Il filosofo ha la qualità di valutazione critica in forza di una morale, poi sta ad ognuno esserne d'accordo o meno con quel filosofo che declina la morale nei valori , nel diritto e nella politica. Ma non si ferma al'evento, nno è un cronicista che rincorre gli eventi.Il filosofo politico capisce l'impronta politica di un governo, di una organizzazione sociale poichè ne ha le chiavi di lettura che non sono gli opportunismi, le demagogie e il populismo tipici del "fare politica" per avere il potere. Il filosofo politico indipendente e con onestà intellettuale è la vera voce critica verso qualunque potere.

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Vecchio 22-10-2013, 17.46.45   #47
maral
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

Citazione:
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@ Maral
Ma la volontà di potenza è NEGLI uomini, non al di fuori di essi.
Sono gli uomini che non ammettono limiti alla propria volontà, non la volontà di potenza. E sono gli uomini che fanno del come realizzarsi il loro unico scopo, e le varie tecniche potranno essere loro più o meno utili
(alcune sì e altre no, e quelle che non lo sono saranno strumenti da sostituire, scartare o riprogettare).
La razionalità economica non è un mezzo per un continuo produrre fine solo a se stesso, ma è il paravento con cui le volontà di potenza dominanti mascherano la nuda verità del loro dominio (nell'età postindustriale
le aziende falliscono a grappoli, ma le banche, le quali sono espressione delle volontà di potenza dominanti, non seguono certo la stessa sorte: è questo il genere di cose che vediamo costantemente nel mondo attuale).
Francamente, non capisco come si possa concepire la volontà di potenza come un qualcosa di staccato dall'uomo; come un qualcosa dotato di vita propria.
ciao
Infatti non è staccata dall'uomo, non ha vita propria, ma l'uomo la pone staccata da sé e dà ad essa la sua vita affinché possa realizzarsi come pura volontà in sé, perché solo così potrà essere potente oltre ogni limite. Per cui non è più l'uomo che sceglie la tecnica migliore, ma è la tecnica che sceglie l'uomo più funzionale. E questo è lo stesso uomo che lo vuole, l'uomo che inconsciamente progetta costantemente il suo suicidio, il suo annientamento, perché probabilmente in fondo è proprio questo che vuole, ma lo vuole in nome della potenza. L'alienazione dell'uomo nella tecnica ripete il meccanismo dell'alienazione dell'uomo nel capitale precognizzato da Marx, ma la tecnica è ben più potente del capitale e usa anche il capitale rendendolo a se stessa funzionale.
Tu dici che nell'età post industriale sono le aziende a fallire e non le banche. In realtà falliscono sia aziende che banche, come ben sappiamo e falliscono perché non hanno applicato la tecnica migliore, non importa se per produrre cose o per gestire i capitali, falliscono perché risultano tecnicamente deficienti al fine tecnico del profitto, perché hanno funzionato male nel progetto tecnico che esige che produzione e consumo aumentino di continuo affinché si possa produrre sempre di più non importa cosa (soldi dal nulla, caramelle, petrolio, armi, tutto va bene), ma produrre di più affinché la macchina-treno corra sempre più potente e veloce verso la finale catastrofe, mostrando nelloa velocità tutta la potenza dei suoi motori spinti al massimo.
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Vecchio 23-10-2013, 13.54.39   #48
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

@ Paul11
Sono gli Inglesi però ad aver teorizzato quel concetto di libertà limitata che poi, politicamente, si
esprimerà nella "costituzione" (mentre la rivoluzione francese partorirà la democrazia illimitata, o altrimenti
detta "giacobina").
In realtà, a mio parere, nella cultura francese è presente un concetto che poco ha a che fare con la libertà
politicamente intesa: quello di "volontà generale". E allora non è certo per un caso che da questo concetto,
poi, sorgerà l'idea di una democrazia "assoluta" com'è appunto quella "giacobina".
Perchè mai esprimere dei valori "costituenti" (cioè al riparo dalle delibere della maggioranza) quando si
pensa che non esistano minoranze le cui idee contrastano con quelle della maggioranza? Quando appunto si
pensa che esista solo una volontà generale che è la sintesi di ogni volontà particolare?
Da questo punto di vista, io trovo che abbia ragione Von Hayek (ancora lui...), quando afferma una netta
distinzione fra il liberalismo anglosassone (che è liberalismo autentico) e il "costruttivismo" europeo-
continentale.
Da quale "substrato" nasce tutto questo? Certo, il discorso è lungo (anche molto affascinante). Potremmo,
davvero in maniera "scandalosamente sintetica", dire che la filosofia hegeliana permea in grande profondità
la cultura continentale, ma non quella anglosassone. Probabilmente potremmo anche rifarci in certo qual modo
a certi enunciati della Riforma protestante, che nel continente trovano argine nell'atteggiamento dei "prìncipi".
Presumibilmente non estraneo a tutto questo è il cosiddetto "rasoio di Ockham", ma non divaghiamo eccessivamente.
Resta, a mio avviso, il fatto che Von Hayek ha visto lungo quando ha visto una netta demarcazione fra la
cultura anglosassone e le altre, e soprattutto quando ha individuato il liberalismo autentico nella prima.
E non si tratta tanto di essere ultraconservatori o meno (lo stesso Von Hayek, sotto certi aspetti, non lo
era): si tratta di esplicare un'analisi descrittiva, e perciò il più possibile scevra da giudizi di valore.
Probabilmente nei paesi anglosassoni si è sempre avuto un basso grado di democraticità proprio perchè la
democrazia è un sistema di governo che pre-suppone l'eguaglianza ("i voti si contano, non si pesano", viene
comunemente detto). E l'eguaglianza mal si concilia con la libertà.
Se guardiamo alle politiche di Pericle, vediamo come esse sono rivolte alla re-distribuzione della ricchezza;
questo non avviene e non è mai avvenuto nei paesi anglosassoni (e questo è oggi il modello dappertutto, visto che
il concetto anglosassone della libertà individuale è quello storicamente vincente).
Probabilmente uno dei maggiori problemi per chi voglia seriamente fare della filosofia politica è proprio
quello riguardante il rapporto che intercorre fra libertà ed eguaglianza.
Da un certo punto di vista (poi naturalmente vi sono anche altre considerazioni), potremmo dire che l'oblio
della filosofia politica è dovuto all'oblio del concetto di eguaglianza (in favore di quello di "merito"
individuale, che però rimanda immediatamente alla libertà).
ciao
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Vecchio 23-10-2013, 23.45.25   #49
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

@ Maral
Ma no, io non credo che l'uomo ponga la volontà di potenza come staccata da sè.
Succede che l'uomo cerchi una potenza che lo trascende; ma che trascende non l'uomo, bensì la finitezza della
sua vita. Ecco allora che egli cerca l'"immortalità" nelle grandi gesta, nelle grandi opere; financo nella
"monumentalità" di un sepolcro. Ma la potenza è sempre "in lui": è sempre "lui", un preciso nome, che cerca
di trascendere la morte. All'uomo non interessa "la" potenza, ma la "sua" potenza.
Che gusto avrebbe il potente ad essere potente in un mondo in cui sono tutti potenti? La stessa potenza ne
perderebbe di senso. Che senso avrebbe il monumento funebre se tutti i sepolcri avessero la medesima
monumentalità? No, il potente vuole che neppure la morte sia quella "livella" il cui pensiero è spesso
fonte di consolazione per gli im-potenti.
Lo psicologo nietzschiano A.Adler afferma cose molto significative sul rapporto fra volontà di potenza e
depressione. Nel depresso, dice Adler, la volontà di potenza propria di ogni uomo non riesce a "sublimarsi",
e mostra quello che è forse il suo reale volto. La volontà di potenza del depresso, ove essa trovi terreno
favorevole, diventa allora volontà di sopraffazione, ed assume gli aspetti tipici del sadismo.
Ora, senza naturalmente voler approfondire la questione, mi sembra che Adler tocchi un tasto decisamente
interessante anche per il contesto della nostra discussione. Perchè mostra chiaramente quell'antagonismo,
quella competitività fra le varie volontà che il tuo ragionamento sembrerebbe negare, o quantomeno obliare.
Ma più di tutto il tuo ragionamento mi sembra obliare proprio la volontà di potenza così come Nietzsche la
descrive. Egli descrive infatti una volontà di potenza che è "spinta" originaria; che è la forza primordiale
e "inconfessabile" che muove l'uomo.
Deleuze afferma (a mio avviso acutamente) che la filosofia di Nietzsche rappresenta una vera e propria
"genealogia dei valori". Che essa scava nel profondo per mostrarci da che cosa il valore, che chiamiamo "morale",
si origina.
Il tuo ragionamento invece mi pare equiparare la volontà di potenza al valore morale. E' il valore morale
(qualsiasi valore morale, anche l'ideale politicamente inteso) infatti che l'uomo pone staccato da sè.
Ed è ad esso, quando fortemente sentito, che egli dà la sua vita.
A questo punto presumo tu possa dire: ma il valore morale, in quanto tecnica inconfessabilmente e forse inconsciamente
volta ad accrescere la volontà di potenza, è riconducibile alla volontà di potenza.
Certo, e questo è in fin dei conti anche quello che afferma Nietzsche. Ma Nietzsche dice anche che "Dio è
morto", cioè che l'Inflessibile è stato flesso (Severino). Ovvero ancora che "il re è nudo".
Questo significa che l'uomo non è più nella condizione di porre alcunchè di staccato da sè, perchè egli è
il "tutto" che è tutto ciò che c'è da sapere.
L'"ubermensch", l'oltreuomo, sa che non vi è nulla al di fuori di lui e della propria volontà di potenza.
ciao
(però io non ho visto nessuna banca fallire - se escludiamo Lehmann Brothers, cioè la prima)
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Vecchio 24-10-2013, 17.46.48   #50
gyta
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

Citazione:
E chi dice quando una nazione sbaglia? Lo diciamo noi? E su quale base lo diciamo?
Lo dice il buon senso delle migliaia di persone che si sentono trasformate in macchine per fare soldi.
Citazione:
E che vuol dire quel: "è nostro dovere e compito correggerla"?
Significa che ognuno personalmente privatamente concretamente secondo possibilità combatte ciò che spinge a perpetuare questa direzione dell’essere trasformato in macchina.

Significa sentire dentro questa realtà, esserne coscienti ed entrare ognuno secondo i propri tempi nell’attivismo, di una rivolta radicale di essere.

L’ “io” è il creatore della cosiddetta realtà, fosse anche per il solo motivo che l’affermazione di migliaia di “io” la vanno a determinare.
gyta is offline  

 



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