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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 01-10-2013, 22.21.31   #1
0xdeadbeef
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L'oblio della filosofia politica

Ho una domanda semplicissima da farvi: come mai nessuno parla più di filosofia politica?
Posso comprendere come le cosiddette "grandi narrazioni" si siano obliate; ma si sono "politicamente" obliate,
mica "filosoficamente"...
Innanzitutto: cosa significa il termine "politica"? Capisco come certa retorica ammanti questo termine di
significati che ne hanno, completamente, stravolto il senso (basti pensare al celebre: "risolvere
i problemi da soli è egoismo; risolverli insieme è politica", di quel sacerdote di cui adesso non ricordo il
nome); ma se, come io credo congruo, definissimo la politica in maniera "weberiana" - da Max Weber -, allora
io credo che la definizione più azzeccata sarebbe questa: la politica è l'insieme delle forme e dei contenuti
di governo.
E allora: come mai tutto questo "assordante silenzio" (e parlo specificatamente di questo forum)?
Si ritiene, forse, superfluo discutere delle forme e dei contenuti di governo attuali? E perchè mai? Forse
si ha il timore di scendere al livello dei tanti, miserevoli, talk show? Ma mica ce lo ordina il dottore di
discutere di politica in quei termini...
Oppure (ed è ciò che io penso) si pensa che la politica possa sporcare l'immacolatezza del pensiero filosofico?
Platone scrive che Socrate "scende" al Pireo (dall'Acropoli), cioè "scende" nel luogo deputato ai traffici ed
al commercio DAL luogo deputato al pensiero "puro", e definisce "necessaria" tale discesa.
Una necessità che, oggi, nessuno riconosce più.
E' anche per colpa propria che la filosofia ha assunto il connotato dell'irrilevanza: non si vive di solo "essere".
Ma soprattutto non si vive di sola scienza (visto che il pensiero scientifico ha
obliato - solo nelle menti dei "semplici" però - lo stesso essere): in troppi sono arrivati a pensare, assurdamente, alla stessa politica come oggetto di sapere scientifico. "Politologia", "scienza politica" ed altre insensatezze siffatte oggi dilagano incontrastate. Ma dilagano in spregio di qualsivoglia razionalità.
Dilagano, ovvero, perchè dilaga la stupidità.
ciao
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Vecchio 02-10-2013, 06.59.59   #2
acquario69
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

proprio ieri ho visto in differita dall'estero dove vivo il programma report della gabanelli dal titolo "al posto giusto" e si parlava appunto di politica..o meglio di quello che e' a tutti gli effetti,esattamente il suo contrario,e che ormai da interi decenni ci sovrasta,in "progressione" peggiorativa esponenziale.
alcune semplici definizioni di politica:
-tutto cio che riguarda la vita pubblica
-amministrazione della cosa pubblica

ma esiste ancora una politica per come dovrebbe essere intesa e poi applicata?
ovviamente no e credo che questo possa ormai essere riconosciuto senza alcun minimo dubbio.
la cancrena del sistema e' talmente a uno stato avanzato che secondo il mio punto di vista l'unica cosa auspicabile sarebbe il suo decesso definitivo..
dunque la domanda centrale a mio avviso sarebbe;
come mai si e' arrivati a questo punto e perché?
rispondere a questa domanda aprirebbe dibattiti infiniti gia volte ripetuti ma nient'affatto superflui,(inteso in questo caso come del tutto inutile,svuotato di un qualsiasi potere decisionale effettivo atta a un possibile cambiamento)..come purtroppo si ha la netta sensazione,direi proprio fisica,che possa essere tale,praticamente per chiunque..ovvero i sudditi.
e questo potrebbe essere un primo approccio di base per la comprensione dei motivi che non se ne voglia piu nemmeno parlare..purtroppo.

ad ogni modo tutto questo oblio e disfacimento,non e' certo venuto così per caso..ora credo vengono a galla tutte le conseguenze di tutte quelle scelte,prese singolarmente una alla volta,sommandole per altrettante innumerevoli volte che ognuno "nel suo piccolo" ha adottato,sia per sua stessa meschina condiscendenza e collusione,contribuendo con le sue stesse mani a crearsi il cappio al collo in cui si e' fatalmente ritrovato.
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Vecchio 02-10-2013, 07.08.45   #3
gyta
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Citazione:
in troppi sono arrivati a pensare, assurdamente, alla stessa politica come oggetto di sapere scientifico. "Politologia", "scienza politica" ed altre insensatezze siffatte oggi dilagano incontrastate. Ma dilagano in spregio di qualsivoglia razionalità.
Premetto che penso di essere la persona meno adatta in qualità di partecipante al dibattito in questione poiché come è solitamente mia consuetudine -e non solo in questa occasione- mi rapporto nel confronto secondo quanto il mio pensiero e la mia riflessione mi suggeriscono prestando ben poca attenzione a ciò che il cosiddetto senso comune e la conoscenza storica sembrano voler privilegiare. Ad esempio “politica” in me non risveglia o risveglia poco il significato inteso come “atto di governare un popolo” quanto invece va ad animare il concetto di quei pensieri e di quelle scelte che definiscono la vita mentale dell’individuo e solo per estensione ed a margine intendo “politica” a rappresentanza di una determinata posizione amministrativa del governo statale di turno ed in questione. Per amore e particolare fede nella semplicità dei fondamenti della mente umana e per una sorta di inclinazione all’immediatezza dell’esperienza tangibile evito spesso e volentieri qualunque disquisizione che non parta e non scaturisca dall’esigenza diretta e definita alla soluzione di un problema da parte dell’individuo. Solo allora quando necessario cerco elementi che possano contribuire a fornire una maggiore chiarezza del problema in questione, la ricostruzione storica dell’origine del problema qualora sia possibile e l’aggiornamento dei mezzi a disposizione attraverso i quali poter direttamente agire qualora sia altrettanto possibile o perlomeno tentare una possibile spinta alla proposta risolutiva meditata. L’idea che per comprendere la realtà che m’investe personalmente dell’esigenza di una soluzione e di chiarezza io debba investire tempo ed energie verso l’apprendimento di ipotetiche soluzioni altrui seppure storicamente accreditate non mi rende affatto gratificata né ha il potere di coinvolgermi autenticamente di quell’interesse per la visione altrui quanto invece l’analisi diretta qualora il confronto sia con chi a parità di reale coinvolgimento e finalità si ponga in qualità di collaboratore alla ricerca di una reale soluzione alla questione realmente emergente, individualmente urgentemente sentita e per questo sollevata. Penso che questo mio sentire intorno alla questione (e non solo questa) sia ciò che determina in situazioni di scarsa o limitata condivisione l’assenteismo che poi in coro tutti miriamo a disapprovare. Ecco allora che penso sia più funzionale una condivisione diretta responsabilizzante che miri ai problemi reali centranti l’individuo che non il virare verso il pensiero ‘settarizzante’ delle corporazioni di pensiero. Allora in tal caso, nel caso di una centratura alla problematica individualmente esperita, la risposta e le proposte di risoluzione animeranno di nuova ed autentica vita l’antica arte del pensare e del ragionare assieme: sola realtà che consegna trasparentemente una aderente direttiva di organizzazione sociale. Attraverso la rappresentanza e l’accentramento di una democrazia virtuale esercitata per mano di un invisibile stato dai poteri assoluti in materia di amministrazione (nel nostro caso) si è perduta (mai fosse stata in procinto di esserci!) ogni caratteristica sociale e umana di tale aggregazione divenuta commistione di individui e cose, dove i confini (qualora fossero restati) si confondono. Questa confusione viene studiata sotto il nome di economia politica. Mentre sotto il nome di scienze politiche vengono a comparire quelle aride statistiche per le quali conviene o meno dare vita a guerre o finanziarle “segretamente” (che di segreto c’è solo l’omertà di nebbiosi ordinamenti giuridici “ad interpretazione”). La mia fotografia pecca di cinismo ma rappresenta in fin di conti il reale terreno spinto nell’imbuto delle formazioni mentali accademiche dalla cui conformazione si distanzierà solo chi dotato di particolare sensibilità umana e spirito di individuale libertà oserà porre in discussione i millenari giganti del pensiero oscuro in favore di una più semplice trasparente visione della legge di natura centrante l’equilibrio dello sfruttamento delle risorse umane, vite –individui!- comprese. Certo, ci si immagina che per sciogliersi da un imbroglio gigantesco si necessiti di un accorto conoscitore di imbrogli con esperienza fattiva nell’arte dell’imbroglio. Mi/vi chiedo: può un problema –tanto più se di vasta portata- essere risolto attraverso la medesima modalità mentale che l’ha generato? Può un sistema di pensiero che ha generato codici a barre risalire al concetto umano di individuo? O per l’appunto di quella “politica” [di cui il 3d] si è perduta dall’antica immagine sino alla reale (umana) funzione? L’arte della politica è l’arte dell’amministrare i beni o l’arte di giungere a riconoscere quali siano i supposti beni e quale il ruolo degli individui in quelli? Un analisi sociale, culturale, persino planetaria è in grado di rispondere al significato di ruolo dell’individuo in funzione di quelli senza confondere l’individuo e quelli? Oppure anche il concetto di ruolo è obbligatoriamente destinato a perdere il contesto di relazione ricalcando quel medesimo pensiero di funzione disumanizzante attraverso il quale ci si è confusi fra amministrazione e società?



------------------------------------------------------------------------

Assodate le causa del problema alla povertà interiore (l’individuo fuso in ruolo), quella materiale è a causa di scarsità di risorse perché insufficienti o più semplicemente perché trasparentemente sottratte attraverso banale millenaria coercitiva violenza?

Ed allora la strada di una autentica umana filosofia politica non dovrebbe occuparsi per priorità ad imparare a smascherare quei fondamenti che perpetuano e rendono possibile quella violenza? Ed una volta facilmente smascherati non toccherebbe ad un autentico organismo delle nazioni unite (e non al suo fantoccio) esercitare quelle pressioni necessarie all’avvio di una legislazione internazionale in materia di diritti umani nei quali dovrebbero entrare centrali l’abolizione della proprietà privata a favore del più naturale concetto di usufrutto? E quale preparazione filosofica e mentale sarà capace di portare questo discorso sino alle sue estreme naturali ed auspicate conseguenze senza che a monte non vi sia la stessa mente del singolo a mutare di comprensione, coscienza, responsabilità, trasparenza e maturità emotiva? Ed allora la domanda emerge chiara: può esistere una qualunque filosofia politica che si prospetti umanista scissa da un percorso di apprendimento all’autocoscienza analitica e all’introspezione umana?

PS
(In riferimento alla fotografia sulla coscienza della direzione politica in corso) Che cosa sono le multinazionali se non il recente volto del monopolio del potere ovvero del monopolio dell’amministrazione non solo delle risorse ma anche del frutto del lavoro di individui confinati per l’appunto in ‘ruoli’ ? Ecco il nuovo volto dello stato accentratore di monopolio! In un’impostazione politica, in una coscienza mentale di beni virtuali si investe, si ricicla, si appalta, si rivende il virtuale allontanandosi sempre più da una realtà non solo di coscienza di risorsa ma di coscienza di essere sostituito dal fantomatico concetto di forza virtuale, inderogabilmente sostituibile. Allora forse l’oblio di una filosofia politica non è che la trasparente denuncia di una realtà politica più virtuale del virtuale.
gyta is offline  
Vecchio 02-10-2013, 08.03.17   #4
sgiombo
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

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Ho una domanda semplicissima da farvi: come mai nessuno parla più di filosofia politica?
Posso comprendere come le cosiddette "grandi narrazioni" si siano obliate; ma si sono "politicamente" obliate,
mica "filosoficamente"...
Innanzitutto: cosa significa il termine "politica"? Capisco come certa retorica ammanti questo termine di
significati che ne hanno, completamente, stravolto il senso (basti pensare al celebre: "risolvere
i problemi da soli è egoismo; risolverli insieme è politica", di quel sacerdote di cui adesso non ricordo il
nome); ma se, come io credo congruo, definissimo la politica in maniera "weberiana" - da Max Weber -, allora
io credo che la definizione più azzeccata sarebbe questa: la politica è l'insieme delle forme e dei contenuti
di governo.
E allora: come mai tutto questo "assordante silenzio" (e parlo specificatamente di questo forum)?
Si ritiene, forse, superfluo discutere delle forme e dei contenuti di governo attuali? E perchè mai? Forse
si ha il timore di scendere al livello dei tanti, miserevoli, talk show? Ma mica ce lo ordina il dottore di
discutere di politica in quei termini...
Oppure (ed è ciò che io penso) si pensa che la politica possa sporcare l'immacolatezza del pensiero filosofico?
Platone scrive che Socrate "scende" al Pireo (dall'Acropoli), cioè "scende" nel luogo deputato ai traffici ed
al commercio DAL luogo deputato al pensiero "puro", e definisce "necessaria" tale discesa.
Una necessità che, oggi, nessuno riconosce più.
E' anche per colpa propria che la filosofia ha assunto il connotato dell'irrilevanza: non si vive di solo "essere".
Ma soprattutto non si vive di sola scienza (visto che il pensiero scientifico ha
obliato - solo nelle menti dei "semplici" però - lo stesso essere): in troppi sono arrivati a pensare, assurdamente, alla stessa politica come oggetto di sapere scientifico. "Politologia", "scienza politica" ed altre insensatezze siffatte oggi dilagano incontrastate. Ma dilagano in spregio di qualsivoglia razionalità.
Dilagano, ovvero, perchè dilaga la stupidità.
ciao


Per quel che mi riguarda non credo opportuno discutere di filosofia politica in un forum come questo perché la ritengo una materia di studio estremamente "schierata": declinabile in maniere estremamente contrastanti e conflittuali fra loro e non confrontabili pacatamente e proficuamente in un form come questo (personalmente da marxista discuterei volentieri in un forum di filosofia politica marxista, non certo con un seguace di Nietzche o anche della tradizione liberale estremistica corrente, perchè lo ritengo non costruttivo e foriero di spiacevoli incazzature).

Credo che in materia solo abbondanti (o per lo meno" illuminanti") letture, frequentazioni, esperienze di vita possano portare a positivi mutamenti di opinione o anche all' acquisizione di fruttuosi insegnamenti, non "fredde" e in qualche modo "istituzionalizzate" discussioni fra posizioni e scelte troppo reciprocamente contrastanti.

Ciao!
sgiombo is offline  
Vecchio 02-10-2013, 20.28.14   #5
0xdeadbeef
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

@ Acquario69
Io credo (e rispondo, con questo, anche a Sgiombo) che sia sempre molto difficile fare una analisi della
contemporaneità filosofico-politica. Credo anche però che se non ci prova la filosofia, allora...
Ma diciamoci la verità: la filosofia non ci prova (tranne lodevoli eccezioni, che pur vi sono) perchè ormai
essa è decaduta ad "accademia", ovvero ad un sapere specialistico, iper-astratto: da "laurea in" (filosofia),
appunto (è la scomparsa della necessità di "scendere al Pireo", come accennavo)
Ma vi è anche un altro motivo, filosofico, per cui, oggi, la filosofia non si occupa più di politica (sembra
un paradosso): la volontà di potenza dominante ha individuato nella filosofia un possibile nemico, ed ha fatto
in modo che essa fosse sostituita dalla scienza, che è certamente più "addomesticabile".
Naturalmente, parlando di "volontà di potenza dominante" non intendo riferirmi a certo "complottismo", che
vede le sorti del mondo decise a tavolino sempre e solo da pochi "intimi" (quale sollievo, e quale alibi
per i più...): la volontà di potenza dominante siamo, intrinsecamente, tutti noi (che viviamo fra agi
sconosciuti al 90% della popolazione mondiale - tanto che, invece di essere in giro a procacciarci il cibo,
stiamo qui a discutere "amabilmente" di argomenti tutto sommato superflui).
Ma tant'è: visto che abbiamo (noi "filosofi") elevato il "parricidio" ad atto fondante della nostra visione
del mondo; visto che siamo dei "senza patria"; "uccidiamo" pure il pensiero che ci dà da vivere (bene), ma
sempre con la consapevolezza che manca la controprova della nostra (della mia per primo) buona fede, cioè
che manca la possibilità della scelta "reale" fra il benessere ipocrita ed il malessere "etico".
Io credo che, innanzitutto, bisogna stabilire qual'è il significato del termine "politica".
Io ho proposto questa definizione: la politica è l'insieme delle forme e dei contenuti di governo. Dunque
non la politica come "dovrebbe essere", che vuol dire già spostarsi nel campo idealistico, ma la politica
per come "è".
Io penso che la politica sia necessaria, cioè che sia ineludibile. Perchè ineludibile è la distinzione fra
chi comanda e chi è comandato. Sempre, nella storia dell'uomo, vi è stata politica. E politica è anche quella
che vige fra gli animali cosiddetti "sociali": il ruolo del capobranco è un ruolo squisitamente politico.
E, naturalmente, politica vi è oggi, visto (e non potrebbe essere altrimenti) che vi è una forma e un contenuto
di governo: visto che c'è chi comanda e chi obbedisce.
Io credo che una simile, cruda, definizione di "politica" già contribuisca non poco a sgombrare il campo da certe
melliflue, ipocrite e rassicuranti definizioni (come quelle che hai riportato). E a, come dire, sbatterci in
faccia la realtà.
Una realtà che, è vero, ci vede sudditi; ma c'è suddito e suddito. C'è il suddito che mangia e c'è il suddito
che non mangia (e, se mi permetti, non è differenza da poco...).
Durante l'antica dinastia egizia (dunque qualche lustro fa...), il faraone Kety 3°, in punto di morte, fra
le raccomandazione che fece al figlio successore ne sottolineò una in particolare: "ricordati che chi possiede
beni non fomenta disordini".
Un vero e proprio "must", diremmo oggi, per regnanti di ogni tempo (alla faccia degli ingenui che cianciano di
"superamenti" e di "evoluzioni"...)
ciao
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Vecchio 03-10-2013, 00.28.27   #6
gyta
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

Citazione:
Io penso che la politica sia necessaria, cioè che sia ineludibile. Perchè ineludibile è la distinzione fra
chi comanda e chi è comandato.
E no. Questo non devi dirlo se non vuoi che i vivi s’incaxxino.
Ho parlato di violenza e di soprusi non per nulla.
Proprio per evitare l’equazione del comandante e del comandato
Diciamo che sopravviviamo alla violenza. Ma dirmi che apriamo il di dietro è altro. E non è quello che accade a molti.

Peraltro comprendo ed immagino che in realtà hai scritto ciò che hai scritto per denuncia e non per altro.
Citazione:
Sempre, nella storia dell'uomo, vi è stata politica. E politica è anche quella
che vige fra gli animali cosiddetti "sociali": il ruolo del capobranco è un ruolo squisitamente politico.
Lascerei stare la storia del capo branco, seppure metafora terrifica nella sua trasparente aderenza al reale. Ma non di e per tutti, come denunciato in precedenza, quando parlo di chi in ciò vede una posizione di violenza e non di accondiscendente sottomissione ma di possibile sopravvivenza. Raccontava un aneddoto su di un certo consigliere di governo di un monarca corrotto dell’antica cina che per potere sopravvivere ed essere in qualche modo utile alla parte sana del paese seppure limitatamente dovette a lungo fingersi pazzo.
Citazione:
Io credo che una simile, cruda, definizione di "politica" già contribuisca non poco a sgombrare il campo da certe
melliflue, ipocrite e rassicuranti definizioni
Io penso che una simile definizione di polica sporca il linguaggio e la mente. Altro è dichiarare la corruzione di ciò che dovrebbe per definizione essere la guida di un paese, l’arte di governare. Non l’arte della corruzione. Scusate i toni, più che sentiti.
Citazione:
Una realtà che, è vero, ci vede sudditi; ma c'è suddito e suddito.

Un attimo! Non c’è alcun suddito, alcuna sudditanza. Faremo un po’ schifo ma ancora uno straccio di carta dei diritti l’abbiamo firmata. In un momento come questo non sarà sentirci impotenti a ridarci la fiducia nella lotta collettiva!! Occhio. Se l’idealismo non serve niente lo sbandierare disfatta fa danni maggiori seppure invisibili nelle menti di chi ancora non è morto e non vuole morire.
Citazione:
il faraone Kety 3°, in punto di morte, fra
le raccomandazione che fece al figlio successore ne sottolineò una in particolare: "ricordati che chi possiede
beni non fomenta disordini".
Bene. Questo è l’esempio che la razionalità del pensiero anche da parte dei tiranni non può che portare alla chiarezza inderogabile. Su questo punto tutto. Spero anche voi!
Citazione:
alla faccia degli ingenui che cianciano di
"superamenti" e di "evoluzioni"..
Infatti il punto è che in questo contesto non serve nulla pronosticare, fare divinazioni, leggere all’indietro se non al solo scopo di rinunciare agli errori già commessi.
gyta is offline  
Vecchio 03-10-2013, 04.22.32   #7
acquario69
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Acquario69
Io credo (e rispondo, con questo, anche a Sgiombo) che sia sempre molto difficile fare una analisi della
contemporaneità filosofico-politica. Credo anche però che se non ci prova la filosofia, allora...
Ma diciamoci la verità: la filosofia non ci prova (tranne lodevoli eccezioni, che pur vi sono) perchè ormai
essa è decaduta ad "accademia", ovvero ad un sapere specialistico, iper-astratto: da "laurea in" (filosofia),
appunto (è la scomparsa della necessità di "scendere al Pireo", come accennavo)
Ma vi è anche un altro motivo, filosofico, per cui, oggi, la filosofia non si occupa più di politica (sembra
un paradosso): la volontà di potenza dominante ha individuato nella filosofia un possibile nemico, ed ha fatto
in modo che essa fosse sostituita dalla scienza, che è certamente più "addomesticabile".
Naturalmente, parlando di "volontà di potenza dominante" non intendo riferirmi a certo "complottismo", che
vede le sorti del mondo decise a tavolino sempre e solo da pochi "intimi" (quale sollievo, e quale alibi
per i più...): la volontà di potenza dominante siamo, intrinsecamente, tutti noi (che viviamo fra agi
sconosciuti al 90% della popolazione mondiale - tanto che, invece di essere in giro a procacciarci il cibo,
stiamo qui a discutere "amabilmente" di argomenti tutto sommato superflui).
Ma tant'è: visto che abbiamo (noi "filosofi") elevato il "parricidio" ad atto fondante della nostra visione
del mondo; visto che siamo dei "senza patria"; "uccidiamo" pure il pensiero che ci dà da vivere (bene), ma
sempre con la consapevolezza che manca la controprova della nostra (della mia per primo) buona fede, cioè
che manca la possibilità della scelta "reale" fra il benessere ipocrita ed il malessere "etico".
Io credo che, innanzitutto, bisogna stabilire qual'è il significato del termine "politica".
Io ho proposto questa definizione: la politica è l'insieme delle forme e dei contenuti di governo. Dunque
non la politica come "dovrebbe essere", che vuol dire già spostarsi nel campo idealistico, ma la politica
per come "è".
Io penso che la politica sia necessaria, cioè che sia ineludibile. Perchè ineludibile è la distinzione fra
chi comanda e chi è comandato. Sempre, nella storia dell'uomo, vi è stata politica. E politica è anche quella
che vige fra gli animali cosiddetti "sociali": il ruolo del capobranco è un ruolo squisitamente politico.
E, naturalmente, politica vi è oggi, visto (e non potrebbe essere altrimenti) che vi è una forma e un contenuto
di governo: visto che c'è chi comanda e chi obbedisce.
Io credo che una simile, cruda, definizione di "politica" già contribuisca non poco a sgombrare il campo da certe
melliflue, ipocrite e rassicuranti definizioni (come quelle che hai riportato). E a, come dire, sbatterci in
faccia la realtà.
Una realtà che, è vero, ci vede sudditi; ma c'è suddito e suddito. C'è il suddito che mangia e c'è il suddito
che non mangia (e, se mi permetti, non è differenza da poco...).
Durante l'antica dinastia egizia (dunque qualche lustro fa...), il faraone Kety 3°, in punto di morte, fra
le raccomandazione che fece al figlio successore ne sottolineò una in particolare: "ricordati che chi possiede
beni non fomenta disordini".
Un vero e proprio "must", diremmo oggi, per regnanti di ogni tempo (alla faccia degli ingenui che cianciano di
"superamenti" e di "evoluzioni"...)
ciao


si e' vero che la politica sia cosa ineludibile..io direi che per l'uomo qualsiasi scelta esercitata sia di per se "fare politica"

oggi,credo,ci troviamo a discutere (o forse sarebbe meglio dire,a non trovare più la discussione,come del resto tu stesso denunci) sulla leggittimita della politica,e in ultima analisi se sia costruttiva o distruttiva..forse questa distinzione non dovrebbe nemmeno esistere poiché il termine politica proprio per la premessa fatta sopra implica di per se la scelta e questa dovrebbe essere funzionale ed in nuce proprio per la conservazione della specie (oggi come non mai messa in pericolo,e questo vale sia per i sudditi di serie a che di serie b)..dal momento in cui determinate scelte (quindi politica) deviano da questa basilare assunzione..possiamo ancora parlare di politica?…questa e' anche la domanda che mi pongo.

un altra considerazione..
se avrei capito bene,dal tuo intervento dici:
Citazione:
Dunque
non la politica come "dovrebbe essere", che vuol dire già spostarsi nel campo idealistico, ma la politica
per come "è".
ok,ma non credi che questa tensione rivolta al cio' che dovrebbe essere sia per così dire il motore che ci muove verso.., magari si,un punto indefinito (idealistico?) ma che al contempo non ci fa rimanere fermi e se si rimane fermi,si ristagna e tutto cio' che ristagna alla fine degenera e muore..in fondo non parrebbe proprio questo il verificarsi ai nostri giorni?

si potrebbe anche approfondire ulteriormente il concetto di cosa la politica e'..e cosa dovrebbe essere,ma tralasciando (per il momento) il secondo aspetto,proviamo dunque a chiederci che cosa e' la politica..
intanto penso che la definizione stessa abbia assunto diversi significati e interpretazioni a seconda dell'epoca..la legittimazione di cui accenno sopra e' a mio modo di vedere tutta una serie di trasformazioni per cui quelle che erano ritenute "virtù" si siano inesorabilmente trasformate in "vizi"…il vizio della politica,come possiamo ben vedere ha finito per considerare solo l'aspetto individualistico..qui inteso come assoluto,ideologico,ed utilitaristico..che pretende cioè' di dettare "legge" alla comunità,e che anzi concepisce la società in funzione di esso,quindi ribaltando completamente il senso e dunque alla politica stessa…la conseguente privazione della dimensione sociale,isolandosi dalla comunità,incardina così i suoi valori in entità estranee all’uomo stesso.
dal momento che viene scardinato questo,chiamiamolo principio,che sarebbe (secondo me) alla base della politica stessa, (la fine dell'etica comunitaria?) non si entrerebbe così in una profonda contraddizione con tutte le conseguenze che noi oggi ben conosciamo? (o che si spera di conoscere)
acquario69 is offline  
Vecchio 03-10-2013, 22.04.23   #8
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

@ Gyta
Ma sì, era proprio questa la discussione che volevo sollevare. Finalmente, potrei dire, si parla di filosofia
politica...
Il mio intento era appunto quello di "sbattere in faccia la realtà": di descrivere la politica per come "è",
non per come "dovrebbe essere" (ma con uno scopo "nobile", che verrà fuori se, come mi auguro, questa discussione
proseguirà). In politica, cara Gyta, si dice che prima della fase propositiva è necessaria una profonda disamina
della realtà. E la mia disamina è essenzialmente quella che ho descritto.
Machiavelli, che era un gran conoscitore di cose politiche, diceva una cosa netta: "le lettere seguon sempre
drieto all'arme". E' questo quello che io definisco "peccato originale" della politica: la necessità di assumere
il potere PRIMA di poter proporre alcunchè (foss'anche la più "francescana" delle proposte).
La politica è necessariamente "sporca" proprio per questo (non a caso, nel dialogo platonico, Socrate "scende"
al Pireo dall'alto dell'Acropoli - quale mirabile metafora...). E' necessario comprenderne l'intrinseca
"sozzura", o altrimenti si è destinati a rimanere per sempre in un astratto ed etereo "iperuranio": è fondamentale
capire la necessità della "discesa".
T.W.Adorno pone una domanda che mi è particolarmente cara: "davanti ai vagoni piombati diretti ad Auschwitz
avreste voltato lo sguardo?". Ecco, l'aut-aut davanti al quale è impossibile fuggire. Ecco l'ineludibilità
della politica, perchè sia che si volti lo sguardo sia che non lo si volti si assume una posizione politica.
E' vero, qualche volta può esservi una "terza via" (l'esempio di Gandhi è forse il più pregnante), ma come tu
stessa riconosci essa è, troppo spesso, limitata. E limitata sia nei mezzi che negli scopi, oltre che
dipendere da momenti storici ben definiti (Gandhi, che pur prende il potere, nulla avrebbe potuto contro
la bestia nazista).
Sulla questione dei "sudditi" riprenderei ancora Machiavelli. Per lui il "principe" deve prendere il potere
usando qualsiasi mezzo (anche il più atroce). Una volta preso il potere, però, egli deve saper usare la
clemenza e la magnanimità. Ma non tanto perchè egli si sia trasformato in "giusto", ma allo scopo di mantenere
il proprio potere (il debole, dice Machiavelli, può sempre avvelenare o pugnalare alle spalle il forte).
Questo è esattamente l'intendimento di Kety 3°, al quale preme innanzitutto il mantenimento del potere alla
propria dinastia.
In realtà, del celebre detto machiavelliano: "il fine giustifica i mezzi" se ne è sempre data una interpretazione
distorta. Il mezzo, così come inteso da Machiavelli, cambia a seconda del fine; cioè se il fine è la presa o
il mantenimento del potere.
Certo, potremmo dire che è preferibile il mezzo di Machiavelli e di Kety 3° che non quello di Hitler o di
Settimio Severo (che dice al figlio: "onora i soldati e disprezza tutti gli altri"), ma questo non cambierebbe
alcunchè nella nostra analisi circa la genealogia del potere politico (anche se, cosa non certamente disprezzabile,
renderebbe maggiormente praticabile quella "terza via" di cui si parlava).
Oggi viviamo in una fase nella quale il potere politico si è stabilizzato. Alla fase di presa del potere (che
è individuabile, almeno per quanto riguarda l'occidente, nella Seconda Guerra Mondiale) è seguita una fase
che, per nostra fortuna, somiglia più a quella descritta da Machiavelli che non a quella di Settimio Severo.
Abbiamo avuto un periodo (dall'immediato dopoguerra fino al crollo del socialismo reale) nel quale il grado
di democraticità (personalmente preferisco parlare della democrazia come di un processo) è stato piuttosto
alto. Il crollo del socialismo reale ha però avuto delle ripercussioni profonde, e non immediatamente comprese
nella loro eccezionale portata.
Il grado di democraticità è andato progressivamente abbassandosi, fino ai livelli attuali (che considero minimi).
Io credo che il fattore che ha determinato l'abbassarsi del grado di democraticità sia individuabile nella
globalizzazione; che, provocando un calo del potere politico "nazionale", ha determinato appunto l'abbassarsi
del livello di "decisionalità" insito nel sistema politico che tale potere nazionale esprime (la democrazia,
appunto).
Insomma (e tanto per parlar chiaro): dimmi tu se, quando voti, non hai l'impressione di votare per la pappa o per il pan
cotto (come si dice dalle mie parti)...
Insomma ancora: io non so se sia o meno il caso di parlare di "sudditi". Ho però l'impressione di sapere che
il "grado di sudditanza" stia aumentando in maniera esponenziale.
ciao
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 03-10-2013, 23.38.25   #9
paul11
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

Ho una domanda semplicissima da farvi: come mai nessuno parla più di filosofia politica?...............


Ciao Oxdeadbeef
Alla domanda dell’oblio della filosofia politica hai risposto; oggi si studiano le scienze politiche.
Non darei ancora dei giudizi di valore si ciò sia giusto sbagliato, ma semplicemente capire che cosa è accaduto.
La filosofia politica dovrebbe avere capacità di sintesi delle varie discipline divenute scientifiche, dalla sociologia ,alla macro economia e alla politica appunto.
Ma la politica del “buon governo” ha necessità a sua volta di riuscire a chiarire cosa intenda per giustizia, organizzazione struttura dello stato, poteri in democrazia, metodi elettorali, libertà, uguaglianza,ecc.
Oggi è in crisi persino la teoria dello stato, intesa come struttura che organizza il bene comune dal punto di vista sociale ed economico e il rapporto con le libertà private.
Insomma la politica interessa molte definizioni sociali .

Una premessa propedeutica fra la diversità della filosofia politica e delle scienze politiche è che la prima cercava di costruire degli”apriori”. I termini di coscienza sociale e morale ad esempio sono in disuso, sono divenute immagini retoriche da “tromboni”. Ma è stata proprio la scienza con i suoi metodi a dubitare della coscienza e della morale. Il risultato è che le scienze politiche si studiano con lo stesso metodo della sociologia e della economia, per modelli statistici con incroci di indici .
Ciò che propongono i centri studi del Cnel, del Censis e di enti anche privati giuridicamente è lo stesso di enti economici di mercato o della Banca d’Italia, Nomisma, ecc.
Noi viviamo in mezzo a statistiche e dati perché studiano gli effetti:quì sta uno dei problemi.
Per l‘economia di mercato il focus è il consumatore, per la politica è l’elettore.La costruzione e le condizioni per “accalappiare” il consumatore o l’elettore è la capacità non più di analizzare le motivazioni aprioristiche in quanto non scientificizzabile, bensì verificare se una offerta di mercato, una propaganda elettorale, siano riusciti a muovere efficacemente il consumatore e l’elettore.

E’ lo strumento del consenso economico e politico che ormai è importante non quello in cui crediamo o siamo.
Guardiamo ad esempio l’importanza negli USA dello scontro finale in diretta tv fra i candidati presidenziali:è decisivo per mantenere gli indici o sopravanzare il contendente.
La scienza della comunicazione, la “visual” del prodotto ( il suo confezionamento come si presenta) come i lifting del candidato, la politica dell’immagine: tutti strumenti psico-sociali
Le motivazioni sono molto più focalizzate sugli interessi economici, sulle gratificazioni sociali, sugli status corporativi, sui poteri forti.
La politica è divenuta quindi molto simile all’economia nel momento in cui si sono disfatte storicamente le ideologie.Tutti si assomigliano , la democrazia vota …per non cambiare nulla.

Nelle democrazie è fondamentale il ruolo dei partiti e dei sindacati . Il loro “dovere” di rappresentanza delle istanze civili e sociali in termini di diritto dovrebbe muoversi trasversalmente e verticalmente nella società civile.
L’allontanamento da questo ruolo ha costruito “la cittadella del potere”, l’incapacità di dialogo fra istanze civili e rappresentanza politica che nel Parlamento democratico dovrebbe avere il luogo della discussione e della decisone. Oggi il potere quindi si autoreferenza .

Se la filosofia politica è divenuta scienza politica così come le discipline umanistiche , lo stesso iter lo ha subito la filosofia in generale.
Abbiamo perso dalla filosofia ciò che era “la grande cultura” con i suoi paradigmi universalistici.
La sua frammentazione nelle innumerevoli discipline scientifiche da una parte ha causato l’incapacità, essendosi persa nei rivoli sottili del “micro”, di non riuscire più a dare quel grande respiro culturale che generalmente determina “lo spirito di un tempo”: oggi mancano i referenti paradigmatici.
Dall’altra però le scienze hanno avuto il pregio di analizzare , anche se a loro modo, gli argomenti i linguaggi che apparivano “monoliti” nella filosofia e orami distanti dalla società, dall’uomo, dalla vita comune e dal linguaggio ordinario.
Oggi il “filosofare” è visto dall’uomo comune come un solipsismo elucubrativo.
I mass media hanno contribuito moltissimo a mandare in soffitta il filosofo , lanciando gli opinion maker e gli imbonitori .
Perchè tanto più è resa superficiale e banale la personalità umana e tanto più è prevedibile e condizionabile negli effetti.
paul11 is offline  
Vecchio 04-10-2013, 13.53.24   #10
maral
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Riferimento: L'oblio della filosofia politica

Citazione:
Io penso che la politica sia necessaria, cioè che sia ineludibile. Perchè ineludibile è la distinzione fra chi comanda e chi è comandato.
Ecco, come mi pare avere già accennato in altri interventi in altre discussioni una frase del genere in alcuni luoghi ti esporrebbe, caro Mauro, al rischio di una randellata in testa o di un colpo di zagaglia (se vuoi dai un'occhiata qui: http://www.massimofini.it/2012/democrazia-i-nuer-e-noi
Ma vengo alla questione inizialmente posta: come mai la filosofia politica risulta oggi e soprattutto in questo forum piuttosto trascurata?
In realtà di filosofi che si occupano di politica e scendono al Pireo ce ne sono ancora tanti, anche se si avverte di sicuro un progressivo tramonto della filosofia politica insieme a tutto il resto della filosofia, risultato di quella fine della filosofia che ben conosciamo e di cui ci ha parlato il secondo Heidegger. Il motivo è evidente, la filosofia passa la mano alla scienza e anche la politica diventa questione scientifica, ossia di tecnica economica da un lato e di tecnica retorica per gestire il consenso dall'altro, entrambe fini a se stesse, come ogni tecnica che si rispetti.
Lontanissimi sono i fasti della filosofia politica dell'illuminismo o del Leviatano di Hobbes che assegnano alla filosofia politica un'epoca di trionfi storici tali da protrarsi e moltiplicarsi per tutto l'800 con l'idealismo Hegeliano, il romanticismo anarchico fino ad arrivare al genio filosofico politico economico di Marx, che peraltro già sentiva il bisogno di ancorare la questione politica a qualcosa di ben più fondamentalmente scientifico: l'economia appunto. Anni luce sembrano separarci poi dalle utopie politiche di un Campanella o di un Tommaso Moro. Forse paradossalmente ci resta ancora vicino Machiavelli, con il suo Principe così funzionante per la volontà di potenza sola capace di tenere in piedi qualsiasi struttura sociale
In realtà, come per tutto il resto filosofico, il vero iniziatore della filosofia politica fu proprio Platone con quel dialogo fondamentale (e non certo solo in senso politico) che è "La Repubblica". La filosofia politica nasce con Platone come arte di guidare la polis affinché non si sfaldi sconquassata dall’ hybris degli interessi contrapposti nella gestione di quel surplus prodotto dalla rivoluzione tecnica dell'agricoltura e dell'allevamento (certamente la più grande rivoluzione compiuta dall’uomo). La filosofia sottrae così la gestione sociale del villaggio diventato città ai riti ispirati dalla mitologia allo scopo di mantenere razionalmente e quindi con presa ben più salda l'armonia nella società umana ed evitare con giustizia il travalicamento dei limiti. La politica è dunque per il greco antico come l'arte medica. Come nella preservazione del corpo fisico il medico ripristina l’equilibrato interagire di vari organi, così i bravi governanti della città devono saper costruire a mezzo della razionalità l’armonia delle parti sociali e i filosofi, con la loro visione d’assieme ispirata dal logos paiono proprio i più adatti a farlo, sono loro i competenti a quel fine supremo che è appunto il buon governo che opera con giustizia.
L’idea di Platone ha suggestionato e continua a suggestionare tutto l’Occidente, ma sappiamo che poi non è andata così, anzi, con la rivoluzione tecnologica industriale, l’hybris ha finito per essere considerato la vera e sola forza propulsiva del sistema sociale la cui capacità di sostenersi è stata identificata con la volontà di un continua crescere senza limite delle parti in continuo confronto competitivo, da cui in virtù del miraggio di una sorta di legge cosmica il migliore alla fine vince ai danni del peggiore e tutto va per il meglio. In tal modo del filosofo, della sua razionalità volta all’armonia equilibrata non c’è davvero più bisogno, mentre c’è bisogno del tecnico che fornisce le migliori armi per vincere nella competizione continua e del retore esperto nel persuadere al consenso. E questa è storia del 900 in cui la tecnica ha sottratto la politica alla filosofia come prima la filosofia aveva sottratto la gestione del villaggio alla ritualità mitologica Così la filosofia è diventata perdita di tempo a meno che non faccia da serva alla tecnica fornendole suggestioni e strumenti di potenza e il filosofo un perditempo sempre più consapevole di esserlo, mentre il buon governo è solo questione di crescita del bilancio economico e peggio per chi si ferma o scende che va inesorabilmente, per legge di natura, a finire all’inferno. Però la constatazione che anche il promesso paradiso del vincente si rivela alla fine sempre un inferno ove demoni in giacca e cravatta pungolano con i loro forconi e sono a loro volta senza sosta pungolati in attesa di crepare per l’eternità ci fa auspicare in un ritorno dei filosofi, ma io direi (o almeno spero) non per costituire un governo di filosofi che decidano chi comanda chi, ma per trovare il modo di convivere senza che nessuno comandi se non se stesso, per una questione di umano elementare rispetto, un po’ come fanno i Nuer che non sopportano ordini di nessun tipo e sanno vivere di pochissimo ma si ritengono ricchissimi essendo quel pochissimo tutto ciò che a loro serve e il resto lo ritengono disprezzabile, al contrario di noi che pur essendo ricchissimi ci sentiamo sempre in uno stato di estrema penuria, e le montagne di cose che abbiamo finiscono subito per non servire a nulla mentre sempre più ci disprezziamo reciprocamente e disprezziamo volentieri anche noi stessi.
Chissà magari un colpo di zagaglia in risposta a chi ritiene lecito e opportuno dare ordini in nome di sacre istituzioni fa sempre meno male del finire autocolpevolizzati nella discarica sociale dei non funzionanti. Chissà, anche la zagaglia è progresso.

Ultima modifica di maral : 04-10-2013 alle ore 22.11.33.
maral is offline  

 



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