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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 23-01-2016, 23.36.20   #141
Hegel89
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da sgiombo
Concordo: quali che siano le valutazioni che se ne danno, lo scetticismo non é suprabile razionalmente e si possono avere credenze (anche nella verità delle scienze) solo alla condizione di ammettere almeno "un minimo di tesi indimostrabili di base": ogni credenza di verità é ipotetica, vale in quanto tale (verità) solo qualora le tesi indimostrabili che ne sono necessariamente "alla base" siano vere (il che, secondo la mia personale, soggettiva valutazione, non é poco; e non fa sì che qualsiasi credenza valga quanto qualsiasi altra, dalle superstizioni, alle religioni, alla scienza e alla filosofia razionalistica: ve ne sono di fondate su meno assunzioni arbitrarie indimostrabili -più razionalistiche- e di fondate su più assunzioni arbitrarie indimostrabili -meno razionalistiche-).

Signori,
verità scientifiche e verità di fede: questa divisione è quanto di più astratto ed esteriore.
Ciò che fa della verità qualcosa di vero è l'intero, e ciò che non è verità non è il falso, bensì soltanto qualcosa di non concreto, di indeterminato, che aspetta di trovare specificazione e riempimento.

La pretesa della scienza di porsi di fronte alla religione e rinnegarne la verità, come un infinito che si ponga in relazione con un finito staccato da sé, che pertanto nell'essere negato a sua volta nega l'autonomia dell'elemento negatore, rappresenta il punto di vista della riflessione comune che, ignorando qualsiasi traccia del principio superiore, non ha altri argomenti da esporre se non la propria mera certezza sensibile.
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Vecchio 24-01-2016, 01.59.01   #142
memento
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da green&grey pocket
Dobbiamo andare a ragionare su quale delle 3 prospettive risulta la più valida.
In ballo come nemico c'è la prospettiva sciettica, ossia che non esiste un fondamento che stabilisca una effettiva corrispondenza tra percepito e percetto, ossia che non esiste un fenomeno certo.
Questa sarebbe una crisi assai più grave di quella metafisica.
(e infatti è quella in cui si procede con più cura).
La mia posizione è proprio questa. Si possono distinguere l'oggetto e la percezione che abbiamo di esso? Per me no. Chi garantisce che esistano cose in sé? Visto? Stiamo ancora discutendo sopra una metafisica (tanto per tornare in topic). Nel caso dell'elefante rosa,è chiaro che noterei immediatamente l'alterazione di colore,inducendomi a dubitare di questa mia prima impressione sensoriale. Ma magari,una volta spente le luci,potrebbe apparire davanti ai miei occhi esterrefatti il primo esemplare vivente di elefante rosa. E quindi chi può dire con certezza quale sia il colore di un elefante? La Scienza,che si basa su una serie di casi sempre particolari? Sempre citando Einstein "nessun esperimento potrà dimostrare che ho ragione,uno solo potrà dimostrare che ho torto". E se facendo una metafora,l'elefante fosse la Verità,non appare subito evidente il suo carattere prospettico? Si colora di qualsiasi luce tu la illumini...
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Vecchio 24-01-2016, 12.54.24   #143
sgiombo
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da Hegel89
Signori,
verità scientifiche e verità di fede: questa divisione è quanto di più astratto ed esteriore.
Ciò che fa della verità qualcosa di vero è l'intero, e ciò che non è verità non è il falso, bensì soltanto qualcosa di non concreto, di indeterminato, che aspetta di trovare specificazione e riempimento.

La pretesa della scienza di porsi di fronte alla religione e rinnegarne la verità, come un infinito che si ponga in relazione con un finito staccato da sé, che pertanto nell'essere negato a sua volta nega l'autonomia dell'elemento negatore, rappresenta il punto di vista della riflessione comune che, ignorando qualsiasi traccia del principio superiore, non ha altri argomenti da esporre se non la propria mera certezza sensibile.

Critico soltanto ciò che ho capito (Hegel mi é sempre stato assolutamente indigesto fin dai lontani tempi del liceo: l' ho ammesso candidamente più volte) e cioé l' affermazione:

"verità scientifiche e verità di fede: questa divisione è quanto di più astratto ed esteriore".

Signore,
il fatto che le conoscenze scientifiche per essere vere richiedano necessariamente la condizione che sia vero un minimo di tesi indimostrabili (come l' esistenza di altre esperienze coscienti oltre quella direttamente esperita da ciascuno, l' intersoggettività della componente materiale naturale delle varie esperienze fenomeniche coscienti e il loro divenire ordinatamente secondo modalità o leggi universali e costanti; tesi tali che chiunque viene comunemente considerato sano di mente per lo meno -se anche non vi crede esplicitamente e consapevolmente- si comporta come se vi credesse) non pone affatto sullo stesso piano scienza e filosofia razionalistica (da una parte), filosofia irrazionalistica, religioni, superstizioni (dall' altra parte). O per lo meno vi é un criterio distintivo fra questi due ordini di credenze, che può essere valutato più o meno importante (personalmente lo ritengo importantissimo), ma comunque non può essere negato.
Infatti filosofie irrazionalistiche, religioni e superstizioni richiedono inoltre (in più, rispetto a quanto richiesto dalla scienza e dalle filosofie razionalistiche, ma anche, almeno implicitamente da quella che comunemente si considera la "salute mentale") diverse altre tesi indimostrabili quantomeno (cioé quando non anche, come spesso accade, decisamente autocontraddittorie e dunque assurde).
E per il criterio razionalistico del rasoio di Ockam (dunque per chi irrazionalisticamente assuma un atteggiamento razionalistico, come me personalmente) vi é una bella differenza fra credere un minimo di tesi indimostrabili in compagnia di chiunque non sia comunemente considerato pazzo (per lo meno implicitamente) e credere inoltre anche ad altre (sia detto en passant, di fatto solitamente più o meno strampalate; valutazione questa dl tutto soggettiva, lo so; ma certamente non decisiva ai fini della valutazione del razionalismo di un sistema di credenze).
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Vecchio 24-01-2016, 13.00.54   #144
sgiombo
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da Hegel89
Signori,
verità scientifiche e verità di fede: questa divisione è quanto di più astratto ed esteriore.
Ciò che fa della verità qualcosa di vero è l'intero, e ciò che non è verità non è il falso, bensì soltanto qualcosa di non concreto, di indeterminato, che aspetta di trovare specificazione e riempimento.

La pretesa della scienza di porsi di fronte alla religione e rinnegarne la verità, come un infinito che si ponga in relazione con un finito staccato da sé, che pertanto nell'essere negato a sua volta nega l'autonomia dell'elemento negatore, rappresenta il punto di vista della riflessione comune che, ignorando qualsiasi traccia del principio superiore, non ha altri argomenti da esporre se non la propria mera certezza sensibile.


Aggiunta alla precedente critica:
La scienza non pretende di negare la verità della religione (il resto della frase per me, che sono un proletario italiano, é "mandarino stretto, proprio dei frequentatori più esclusivi della corte celeste"), ma invece dal geocentrismo alla paleontologia, all' evoluzione biologica ne ha di fatto negate a bizzeffe.
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Vecchio 24-01-2016, 13.09.47   #145
Hegel89
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da memento
La mia posizione è proprio questa. Si possono distinguere l'oggetto e la percezione che abbiamo di esso? Per me no. Chi garantisce che esistano cose in sé? Visto? Stiamo ancora discutendo sopra una metafisica (tanto per tornare in topic). Nel caso dell'elefante rosa,è chiaro che noterei immediatamente l'alterazione di colore,inducendomi a dubitare di questa mia prima impressione sensoriale. Ma magari,una volta spente le luci,potrebbe apparire davanti ai miei occhi esterrefatti il primo esemplare vivente di elefante rosa. E quindi chi può dire con certezza quale sia il colore di un elefante? La Scienza,che si basa su una serie di casi sempre particolari? Sempre citando Einstein "nessun esperimento potrà dimostrare che ho ragione,uno solo potrà dimostrare che ho torto". E se facendo una metafora,l'elefante fosse la Verità,non appare subito evidente il suo carattere prospettico? Si colora di qualsiasi luce tu la illumini...

Quindi quale sarebbe la conseguenza di questa posizione scettica?
Sembra che la verità sia soltanto un non essere.

Ma il passato in realtà è ben determinato, e la sua verità è ciò che deve apparire nel suo risultato, cioè alla fine del proprio processo.
Perché questa è l'essenza della verità, signori, che qui ai più sfugge, che la verità non è sostanza, oggetto, bensì movimento, soggetto.

In modo che dunque ciò che chiamiamo vero non è qualcosa di morto e posto di fronte a noi, bensì è il nostro stesso risultato, che si concretizza in una realtà e si pone nelle mani della nostra stessa azione, che la determina.
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Vecchio 24-01-2016, 20.50.40   #146
sgiombo
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da Hegel89
Quindi quale sarebbe la conseguenza di questa posizione scettica?
Sembra che la verità sia soltanto un non essere.

Ma il passato in realtà è ben determinato, e la sua verità è ciò che deve apparire nel suo risultato, cioè alla fine del proprio processo.
Perché questa è l'essenza della verità, signori, che qui ai più sfugge, che la verità non è sostanza, oggetto, bensì movimento, soggetto.

In modo che dunque ciò che chiamiamo vero non è qualcosa di morto e posto di fronte a noi, bensì è il nostro stesso risultato, che si concretizza in una realtà e si pone nelle mani della nostra stessa azione, che la determina.

Credo che per discutere ci si debba intendere sui significati delle parole (simboli verbali) che su impiegano, eventualmente "traducendoseli" a vicenda.

Per me (e senza pretendere di imporlo ad altri) "verità" non ha mai significato "ciò che deve apparire nel risultato del passato). Anche perché -chiedo venia!- non comprendo che cosa possa essere il "risultato del passato": forse il presente? Ma allora se presentemente dico una menzogna, questa, in quanto "risultato del passato", sarebbe una verità?.
Non ha nemmeno mai significato "il nostro stesso risultato, che si concretizza in una realtà e si pone nelle mani della nostra stessa azione, che la determina": se compio la mia propria azione che determina il risultato reale (la realtà) costituito (-a) dal mio dire una falsità, allora la falsità che dico é verità?
Evidentemente mi sfugge qualcosa, ma per me la verità non é mai stata "movimento, soggetto", ma invece una determinata caratteristica di affermazioni dipendente dalle relazioni fra tali affermazioni circa la realtà e la realtà stessa.
Per esempio se in realtà piove e io dico "piove" é la caratteristica di tale affermazione, dipendente dalla relazione intercorrente fra essa e il fatto reale che piove.

Sta a vedere che oltre al "severinese", già sul quale ho grossissime difficoltà, ora mi tocca imparare anche l' "hegeliano"!
(Spero non te la prenderai: questa vuole solo essere una battuta per sdrammatizzare; se riusciremo a tradurci reciprocamente i nostri linguaggi sarò ben lieto di discutere anche con te, altrimenti pazienza: ciascuno di noi, nel massimo rispetto reciproco, discuterà con gli interlocutori con i quali riesce ad intendersi).
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Vecchio 24-01-2016, 22.52.15   #147
maral
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da green&grey pocket
La contradizione Maral sta nella percezione che appare come fenomeno, che pressupone un soggetto ed oggetto che si danno contemporaneamente nello stesso momento.
Appunto sta nella filosofia analitica (vedi più sotto).
E quale sarebbe il problema? Ossia per quale motivo si dovrebbe ritenere che esistano un soggetto e un oggetto, a seconda dei gusti oggettivistici o soggettivistici del filosofo di turno, in sé isolati al di là della relazione che li presenta come tali?

Citazione:
Quello che tu e Memento mi tirate in ballo è sorprendentemente il realismo ingenuo che sta dilagando ovunque negli ambienti accademici.

Ossia nella credenza che la RES sia dia immediatamente accessibile ai sensi.
Assolutamente no, la RES (intendendo per tale la cosa nella sua totalità identitaria ed esaustiva) non si dà né ai sensi né all'intelletto, al massimo si dà come tautologia (tanto intellettualmente banale quanto tremenda negli effetti). Ciò che si dà invece è la parte, per come definita dal suo apparire in un contesto specifico che ne fissa il contorno in modo da presentarne significato che, proprio in quanto parziale, non si conclude mai come definitiva definizione.

Citazione:
L'esempio da cui partono per problematizzare è l'elefante rosa.


Siamo in un circo dove vi è un elefante rosa.

posizione realista
l'elefante è rosa.

posizione intermedia
l'elefante è rosa perchè un faro lo sta illuminando come rosa.

posizione disgiuntiva.
o l'elefante è rosa, o il soggetto è sotto illusione.


anche dette

realismo ingenuo, fenomenologia e posizione del vel-vel.
La posizione più interessante è a mio avviso (nel suo senso metaforico che sarebbe tutto da chiarire) quella intermedia: ciò che ci appare dell’elefante è determinato da ciò che lo illumina, nell’accezione però che ciò che dell’elefante appare (il suo essere rosa) determina parimenti il modo di illuminarlo da parte del contesto dei soggetti (i severiniani "cerchi dell’apparire"). In altre parole l’impianto delle “luci di scena” non è indifferente all’elefante rosa che con la sua illuminazione mostra in scena. La relazione è reciproca e sempre aperta al suo evolversi nel significato che ora presenta e ogni pretesa di concludere che l’elefante è rosa e basta, oppure è rosa o il soggetto (o meglio i soggetti) è (o sono) vittima di un’illusione (con il conseguente implicito: possiamo verificarlo?), mirano a una conclusione tanto ingenua quanto indebita.
La corrispondenza tra soggetto e oggetto sta appunto nell’essere, l'uno per l'altro, nei termini della relazione che reciprocamente e appropriatamente li lega.


Citazione:
Ora a meno che non siamo nella vecchia posizione cartesiana, dove è un dio ex machina a stabilire una connessione tra i 2 lati della RES.

Dobbiamo andare a ragionare su quale delle 3 prospettive risulta la più valida.
In ballo come nemico c'è la prospettiva sciettica, ossia che non esiste un fondamento che stabilisca una effettiva corrispondenza tra percepito e percetto, ossia che non esiste un fenomeno certo.
Questa sarebbe una crisi assai più grave di quella metafisica.
(e infatti è quella in cui si procede con più cura).

La posizione bypassata è proprio quella kantiana, dove invece il fenomeno non può che essere inteso che come manifestazione categoriale o dell'intelletto della "cosa in sè".

Ovviamente io da bravo idealista la penso così alla Kant.
Ossia che il problema passa nelle mani del soggetto. .
Non ci sono due lati della RES. Che non ci siano in ambito noumenico mi pare evidente, ma nemmeno ci sono nei termini dell’apparire di qualcosa, proprio in quanto in questo determinato apparire è costantemente presente un ulteriore apparire che ora non appare, è compreso sinceramente l’apparire di una mancanza che c'è in ogni apparire di qualcosa. Non occorre riferirsi a un noumeno indecifrabile a priori, oppure una desolante (e contraddittoria) non corrispondenza tra soggetto e oggetto. Soggetto e oggetto sono sempre in perfetta corrispondenza relativa per la parte che appare, poiché appunto sono i termini sempre appropriati di una relazione che comprende sempre un’ulteriore mettersi in relazione, un ulteriore significare.
La totalità è adeguatamente rappresentata nella parte percepita e pensata dal soggetto proprio in virtù di questo continuo necessario procedere oltre il suo attuale accadere. Il procedere oltre è necessario, perché è implicito nell’essere, per qualsiasi cosa appaia, parte e non tutto.

Citazione:
Perchè da una parte non intendono minimamente l'astrazione, essi pensano che il concetto si incarni sempre in qualcosa.(definizione geniale e consolatoria di tanta ignoranza filosofica da parte di Aiello l'intervistatore di Severino).
Perciò quando fai riferimento all'astrazione della parte per il tutto, non intendono minimamente di che parli. .
L’astrazione (nei termini severiniani di concetto concreto dell’astratto, che dopotutto è vicino alla rivendicazione della scienza sui termini e sulla sintassi della sua scelta metodologica) la intendo proprio come assunzione del tutto necessaria della parte schematica per rendere possibile un qualsiasi discorso sensato e vero, ma vi è un’ulteriore astrazione (il concetto astratto dell’astratto) in cui questa parte, nel discorso concretamente astratto che si fa su di essa, viene presa come totalità conclusa (l’assunzione ad esempio che il modello descrittivo scientifico coincide con la medesima realtà, perché è verificata rispetto a essa, cosa letteralmente impossibile) ed è questa astrazione (concetto astratto dell’astratto) che è falsa.
Il “mio tutto” fenomenologico vorrebbe insomma essere, al di là di qualsiasi noumeno, semplicemente la parte che sa della sua apertura, ossia che sa di essere parte e tenta di mostrarsi sinceramente come tale nel suo darsi, ossia nel suo potersi dare come fenomeno relazionale che sempre apre a un ulteriore darsi. E’ proprio questa “ulteriorità” attesa e desiderata che credo non renda per nulla banale il “fenomeno che si dà”, ossia che si dà come quella parte che sempre veramente è nella relazione infinita di significati a cui partecipa.

Citazione:
Io ho paura di questo tuo lato, cioè che ti accontenti del decadimento del plutonio e non dell'uso sconsiderato o meno che se ne fa: nel senso di "parliamone" prima di agire.
Cioè prima di manipolare il plutonio forse la scienza doveva ragionare prima, e non accortasi dell'orrore, mandare una ridicola, per quanto nobile, lettera di pace.
E cioè la scienza o è un metodo, e allora deve stare zitta, o, come nella realtà è, è un apparato di potere come tanti altri. (e allora continuiamo a sentirli starnazzare e addirittura a fargli da zerbini dicendo che stanno facendo bene: no caro maral, il doveroso non è nel metodo, che scusami tanto è più una necessità per il lavor che fanno, ma tutto il contorno: cosa sto facendo, per chi lo sto facendo, la mia descrizione della realtà a chi giova a chi no etc...etc...)
Certo che la scienza è un apparato di potere, e come tecnoscienza è l’apparato di potere più forte finora apparso, poiché non c’è giustificazione migliore al potere di quello che essa conferisce, per cui ogni potere è potere solo in funzione del suo potere.
Quello stesso "parliamone" prima di agire, è oltremodo problematico, apre una marea infinita di problemi. Chi è autorizzato a parlare? Chi è competente a farlo? In che misura io e te, che pur tuttavia patiremo ogni conseguenza, ma che non siamo tecnici del ramo siamo autorizzati a parlarne? O non sarà forse solo il tecnico autorizzato a farlo in virtù della sua competenza che sola sa adeguatamente vedere e prevedere? E il tecnico del ramo ne parlerà in ragione della sua “umanità” o della tecnoscienza che lo assume in funzione e che esige che tutto ciò che si può fare si deve fare e si farà, nella misura in cui non pregiudica l’avanzamento tecnico scientifico nel suo progetto trasformativo che ha per fine solo la continua e progressiva reiterazione di se stesso? Questo è il punto chiave da risolvere: chi parla? Come se ne parla? Con quale linguaggio (e competenza linguistica) se ne potrà mai parlare?

Precisazione: in questa risposta alle osservazioni di green, ci sono molti elementi relativi alle osservazioni di Sgiombo (di cui prendo atto dell'intento di voler chiaramente e giustamente separare lo scientista dallo scienziato), a cui pertanto non risponderò direttamente per non ripetere.
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Vecchio 24-01-2016, 22.59.08   #148
maral
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da Sgiombo
Sta a vedere che oltre al "severinese", già sul quale ho grossissime difficoltà, ora mi tocca imparare anche l' "hegeliano"!
Sempre per rimanere sui termini della battuta: diciamo che il secondo è molto propedeutico al primo. Ma anche a Marx in fondo, no?
Come amava presentarsi Hegel ai suoi studenti "Io non sono un filosofo, io sono la filosofia"
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Vecchio 25-01-2016, 00.25.06   #149
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da sgiombo
Credo che per discutere ci si debba intendere sui significati delle parole (simboli verbali) che su impiegano, eventualmente "traducendoseli" a vicenda.

Per me (e senza pretendere di imporlo ad altri) "verità" non ha mai significato "ciò che deve apparire nel risultato del passato). Anche perché -chiedo venia!- non comprendo che cosa possa essere il "risultato del passato": forse il presente? Ma allora se presentemente dico una menzogna, questa, in quanto "risultato del passato", sarebbe una verità?.
Non ha nemmeno mai significato "il nostro stesso risultato, che si concretizza in una realtà e si pone nelle mani della nostra stessa azione, che la determina": se compio la mia propria azione che determina il risultato reale (la realtà) costituito (-a) dal mio dire una falsità, allora la falsità che dico é verità?
Evidentemente mi sfugge qualcosa, ma per me la verità non é mai stata "movimento, soggetto", ma invece una determinata caratteristica di affermazioni dipendente dalle relazioni fra tali affermazioni circa la realtà e la realtà stessa.
Per esempio se in realtà piove e io dico "piove" é la caratteristica di tale affermazione, dipendente dalla relazione intercorrente fra essa e il fatto reale che piove.

Sta a vedere che oltre al "severinese", già sul quale ho grossissime difficoltà, ora mi tocca imparare anche l' "hegeliano"!
(Spero non te la prenderai: questa vuole solo essere una battuta per sdrammatizzare; se riusciremo a tradurci reciprocamente i nostri linguaggi sarò ben lieto di discutere anche con te, altrimenti pazienza: ciascuno di noi, nel massimo rispetto reciproco, discuterà con gli interlocutori con i quali riesce ad intendersi).

Figuriamoci se mi offendo per una battuta, anzi mi fa piacere il tuo intervento.
Ad ogni modo qui si chiacchiera, non c'è bisogno di scusarsi per le proprie posizioni: chi si senta offeso è colui stesso a produrre, a sentire e ad avere questo peso come una propria mancanza.

Comunicare a vicenda i propri pensieri è quanto di più prolifico a entrambi i poli del discorso, quindi benvenga la "traduzione" e il confronto.

La frase riportata da Maral, che pure non so se sia mai stata realmente affermata da Hegel, "Io non sono un filosofo, io sono la filosofia", è quanto di più vicino a ciò che egli intendesse in generale.

Ho notato un'altra volta la distinzione tra scienza e religione: <La scienza non pretende di negare la verità della religione> (Sgiombo).
Non è che la religione sia ciò che è errore e la scienza sia ciò che è giusto: bisogna dividere i due ambiti, sì, ma solo su un piano orizzontale, che riguarda non tanto la correttezza o meno in assoluto (anche se infine è anche questo...), quanto ambiti differenti. Cioè: la cosiddetta scienza è la scienza della Natura, mentre la religione è la scienza di Dio, lo Spirito.
I quali, per così dire, - in breve - sono due lati della stessa medaglia.
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Vecchio 31-01-2016, 20.32.58   #150
and1972rea
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Riferimento: Il tramonto della metafisica

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Originalmente inviato da green&grey pocket
Dovremmo però specificare meglio allora cosa intendiamo per legge universale.


Penso infatti sopratutto alle costanti universali.
Queste come le risolviamo?
Non sono forse una legge universale?

D'altronde esiste ancora chi studia in fisica teoretica questioni che risolvano la stessa domanda di un concetto di legge univesale.
(d'altronde lo stesso concetto di "forza" è sulla buona via per essere universale)

Ossia per opera di fantasia l'effetto precede la causa, che di solito è ricavato dall'esperimento, fossanco mentale (anzi sopratutto).

In questo senso la priorità è matematica.

La decidibilità del sistema invece è una altra questione (da Hume per finire a Popper) a parer mio.

Se no dovremmo parlare di decidibilità di legge univerale.
E appunto dopo Tarski, questo è impossibile.

Ma per un affare di logica, non per via della contradizione tassonomica dei differenti campi di sapere. (Come mi sembra di evincere dall'intervento di Andrea.)
Ma spero che ci chiaremo più avanti, non sono sicuro di aver capito bene la questione.

Saluti.
Le costanti universali sono tali perché la loro misura non cambia in ragione del tempo e dello spazio in cui le si misura, e valgono universalmente rispetto all'insieme dei fenomeni naturali che noi percepiamo attraverso i nostri modelli di interpretazione della Natura; essendo stabili e costanti quei modelli, è giocoforza che lo siano anche le costanti che li descrivono.
Prendiamo, ad esempio ,il concetto di circonferenza, il luogo geometrico di tutti i punti equidistanti da un punto detto centro, ebbene, questo modello astratto della matematica si adatta a descrivere un gran numero di fenomeni presenti in natura, lì rappresenta molto bene in alquante situazioni empiriche, e la natura si adegua sempre molto precisamente a tutte le proprietà di questo nostro ente metafisico; una di queste proprietà è universalmente costante e non varia a seconda del tipo di circonferenza che si osserva ;ovunque ed in ogni tempo in cui si osserva un fenomeno analogo ad una circonferenza in natura ,infatti, troviamo che il suo perimetro sarà sempre tre volte e qualche cosa il proprio diametro, il pi greco, quindi, é una proprietà universale anche in fisica (non solo in matematica), poiché si riferisce ad un modello matematico (la circonferenza) che descrive anche fenomeni fisici; allo stesso modo questo vale anche per la velocità della luce, essa è una proprietà di un modello costante che noi applichiamo alla realtà ogni volta in cui rileviamo un fronte d'onda elettromagnetico ; questo si propaga nel nostro modello metafisico di spazio vuoto da un determinato punto ad un altro sempre e solo in un altrettanto determinato lasso di tempo, a prescindere dal sistema di riferimento in cui lo osserviamo, la velocità della luce in questo nostro modello non cambia mai, poiché essa stessa è una proprietà costituente di quel modello, allo stesso modo di come lo è il rapporto fra la circonferenza ed il proprio diametro. Alcune leggi della fisica, quindi, le chiamiamo universali e alcune costanti universalmente costanti ,poiché riteniamo i nostri modelli invarianti rispetto a sé stessi ed universalmente validi.
and1972rea is offline  

 



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