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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 23-12-2009, 15.33.15   #161
epicurus
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Riferimento: Dio non esiste

Ciao Franco, come scrissi poco più sopra, ti invito ad usare la funzione QUOTE per fare delle citazioni. Se hai qualche dubbio sul suo funzionamento, sarò lieto di aiutarti in privato.

epicurus is offline  
Vecchio 23-12-2009, 22.56.33   #162
Leporello
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Riferimento: Dio non esiste

Debbo riconoscere di essere sostanzialmente d'accordo con quanto hai scritto.
Citazione:
Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
Penso che il perno di tutto il discorso di Leporello sia questo: "Poichè ciò che è contradditorio è anche impossibile" [...]

mi vorrei concentrare sul binomio Dio = necessario.

Mi chiedo, mi contraddico se penso che Dio non esista? Sinceramente, non vedo motivo per cui dovrebbe esserci contraddizione. C'è contraddizione se penso ad un quadrato circolare, o ad un triangolo con 4 lati, o ad uno spazio senza estensione.
La sottolineatura è mia!
Nel pezzo che ho appena quotato rileggo, in altri termini, ciò che ho scritto nel mio primo post, e che ricopio ed incollo qui di seguito (tagliando alcune parentesi per snellirne la lettura):
Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
la proposizione “dio esiste” (oppure: “dio è esistente”) è evidente in se stessa (...) ma non anche rispetto a noi, poiché non cogliamo immediatamente il rapporto necessario che di essa unisce tra loro il soggetto (cioè "dio") ed il predicato (cioè "esistente"), in quanto non abbiamo alcuna conoscenza positiva dell’essenza divina (cioè, all'inizio non sappiamo se Dio è effettivamente “l’essere per essenza”).
In altre parole, noi nel presente stato di vita, non avendo un’intuizione diretta dell’essenza divina (infatti, su quale base -se escludiamo la fede- possiamo dire, all’inizio dell’indagine, che dio è [...] “l’essere per essenza”?), non possiamo affermare immediatamente l’esistenza di dio; soltanto dopo averne dimostrato l’esistenza [...], comprenderemo che è impensabile la sua non esistenza (...). Ma tutto ciò, all’inizio dell’indagine, non implica l’evidenza immediata che dio esiste, perché, di fatto, prima di averne dimostrata l’esistenza non abbiamo un vero concetto di dio; e quindi [...] possiamo benissimo pensare che Dio non esista.
Su questo, quindi, sembra che siamo sulla stessa lunghezza d'onda; ripeto, infatti, che se prima non si dimostra che la realtà è contingente, contraddittoria, non si potrà trovare alcun punto di partenza per dimostrare l'esistenza di dio.

A riprova di cio, prima dell'ultima replica di Franco ho scritto:
Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
[...]le vie/prove dell'esistenza di Dio sono vie/prove per dimostrare la contingenza dell'essere
[...]
se non si comprende la contingenza della realtà, non si potrà giammai postulare/dimostrare/ect., l'esistenza di Dio. Dunque, per poter dire filosoficamente qualcosa di Dio si dovrebbe indagare l'essere, ossia bisognerebbe "aprire gli occhi" su quelli che ho chiamato i "segni di contingenza della realtà"
Se dal discorso che ho fatto qualcuno ha inteso che io abbia voluto postulare (come dato di fatto) la contingenza della realtà, sono affari suoi; il mio voleva e vuole essere soltanto un discorso di metodo, ossia con esso cerco di capire quale potrebbe essere il punto di partenza adeguato per cominciare la ricerca delle prove che possano condurre all'ammissione dell'esistenza di dio (senza per questo voler imporre niente a nessuno, anzi sperando che qualcuno dica: "proviamo a vedere quali sono queste prove per dimostrare la contingenza della realtà"... ossia: "proviamo a verificare se è fondato un discorso che miri a dimostrrare la contingenza della realtà": quest'ultimo sarebbe un discorso sui contenuti, quello, invece, da me portato avanti negli interventi precedenti a questo, è di metodo).

Citazione:
Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
Volendo argomentare kantianamente, l'esistenza non può essere un predicato logico dell'essenza, l'esistenza ed essenza sono su due piani diversi. Infatti mi pare che tutto ciò che esiste, può essere pensato non-esistente senza contraddizione. Semplicemente perchè l'esistenza non è una caratteristica delle cose, ma è ciò che fonda le caratteristiche e le rende reali.
Per quel che riguarda questa seconda parte del tuo intervento.
Le prime due affermazioni sono perfettamente condivisibili.
Per quel che riguarda la prima. Già Tommaso d'Aquino (per citarne uno soltanto) aveva distinto essere ed essenza; quest'ultima è il "modo di essere" di ciascun ente; infatti ogni cosa è/esiste secondo una misura, ossia ciascuna cosa è determinata (Hegel stesso, all'inizio della sua "Logica" lo dice chiaramente che il puro essere non è [non è in termini assoluti, ossia è impensabile, l'essere è sempre un essere determinato]) e se tale identità o "modo di essere" non ci fosse ci sarebbe il puro nulla, e quindi mancherebbe ciò che si dovrebbe pensare: la realtà se non è identificata o determinata in qualche modo, non esiste; l’essere, se non è qualche cosa, è nulla!
Da questo punto di vista, sì, essenza ed esistenza sono su due piani diversi (credo di non fare torto ad Aristotele se dico che l'una è ciò che può essere [così e così], ossia la potenza, e l'altra è l'atto; in altre parole: l'essenza permette di rispondere alla domanda: "cos'è?", l'esistenza, invece, permette di rispondere alla domanda: "c'è?"). Ecco perchè kant scrive che "l'essere è la posizione di una cosa".

Per quel che riguarda la seconda.
Tu scrivi: "tutto ciò che esiste, può essere pensato non-esistente senza contraddizione"; or bene, tutto questo cosa significa? semplicemente che "tutto ciò che esiste" non ha in sè la ragione del proprio essere, perchè se ce l'avesse in sè non potrebbe "essere pensato non-esistente"; in altre parole, che "tutto ciò che esiste" non è necessario, non è essere per essenza (perchè, se fosse per essenza, il suo modo di essere sarebbe l'essere stesso, ma potendosi pensare non-esistente ciò stesso esclude la necessità del suo essere), ossia ancora, che "tutto ciò che esiste" non ha in sè la ragione del proprio essere (anche qui, infatti, se tale ragione ce l'avesse in sè, non potrebbe "essere pensato non-esistente").
Ora, queste riflessioni suscitano una domanda: se "tutto ciò che esiste, può essere pensato non-esistente senza contraddizione", ossia se tutto ciò che esiste non è necessario (in quanto, come ho già detto, non ha in sè la ragione del proprio essere), "perchè c'è l'ente piuttosto che il nulla?". Che è come dire: "quale e dove è la ragion d'essere delle cose, dato che essa non è in loro?"

Ma ripeto, e -credo- ripeterò ancora, non è pacifico, nè condiviso o accettato da tutti che "tutto ciò che esiste, può essere pensato non-esistente senza contraddizione", poichè quella tra virgolette può essere considerata una definizione della contingenza (anche qui, però, deve essere dimostrato che essa è una definizione di contingenza).
Cmq., con queste riflessioni ti saluto, in attesa di tue eventuali repliche.

Gaetano T.
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Vecchio 23-12-2009, 23.25.48   #163
Nikolaj Stavrogin
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Riferimento: Dio non esiste

Citazione:
Per quel che riguarda questa seconda parte del tuo intervento.
Le prime due affermazioni sono perfettamente condivisibili.
Per quel che riguarda la prima. Già Tommaso d'Aquino (per citarne uno soltanto) aveva distinto essere ed essenza; quest'ultima è il "modo di essere" di ciascun ente; infatti ogni cosa è/esiste secondo una misura, ossia ciascuna cosa è determinata (Hegel stesso, all'inizio della sua "Logica" lo dice chiaramente che il puro essere non è [non è in termini assoluti, ossia è impensabile, l'essere è sempre un essere determinato]) e se tale identità o "modo di essere" non ci fosse ci sarebbe il puro nulla, e quindi mancherebbe ciò che si dovrebbe pensare: la realtà se non è identificata o determinata in qualche modo, non esiste; l’essere, se non è qualche cosa, è nulla!
Da questo punto di vista, sì, essenza ed esistenza sono su due piani diversi (credo di non fare torto ad Aristotele se dico che l'una è ciò che può essere [così e così], ossia la potenza, e l'altra è l'atto; in altre parole: l'essenza permette di rispondere alla domanda: "cos'è?", l'esistenza, invece, permette di rispondere alla domanda: "c'è?"). Ecco perchè kant scrive che "l'essere è la posizione di una cosa".

Per quel che riguarda la seconda.
Tu scrivi: "tutto ciò che esiste, può essere pensato non-esistente senza contraddizione"; or bene, tutto questo cosa significa? semplicemente che "tutto ciò che esiste" non ha in sè la ragione del proprio essere, perchè se ce l'avesse in sè non potrebbe "essere pensato non-esistente"; in altre parole, che "tutto ciò che esiste" non è necessario, non è essere per essenza (perchè, se fosse per essenza, il suo modo di essere sarebbe l'essere stesso, ma potendosi pensare non-esistente ciò stesso esclude la necessità del suo essere), ossia ancora, che "tutto ciò che esiste" non ha in sè la ragione del proprio essere (anche qui, infatti, se tale ragione ce l'avesse in sè, non potrebbe "essere pensato non-esistente").
Ora, queste riflessioni suscitano una domanda: se "tutto ciò che esiste, può essere pensato non-esistente senza contraddizione", ossia se tutto ciò che esiste non è necessario (in quanto, come ho già detto, non ha in sè la ragione del proprio essere), "perchè c'è l'ente piuttosto che il nulla?". Che è come dire: "quale e dove è la ragion d'essere delle cose, dato che essa non è in loro?"

Ma ripeto, e -credo- ripeterò ancora, non è pacifico, nè condiviso o accettato da tutti che "tutto ciò che esiste, può essere pensato non-esistente senza contraddizione", poichè quella tra virgolette può essere considerata una definizione della contingenza (anche qui, però, deve essere dimostrato che essa è una definizione di contingenza).
Cmq., con queste riflessioni ti saluto, in attesa di tue eventuali repliche.

Gaetano T.

Ok, sembri essere sulla linea d'onda di Copleston vs Russell, nel memorabile dibattito della BBC.

In pratica, scopriamo che Dio è necessario solo a posteriori, perchè non possiamo inferire nulla a priori su di lui.

Il fatto che tutto ciò che è esistente può essere pensato "non-esistente" significa che non c'è contraddizione logica a negar alcun ente, tantomeno Dio. Dunque è l'idea stessa di "ente necessario" che non stà in piedi. Il voler chiamare le cose "contingenti", solo per poi metterci un "necessario" dietro (la cui idea dovresti spiegarla meglio, visto che accetti la critica kantiana ad essa), è un passaggio che fai tu. Io non vedo nessun motivo per cui dovrei dividere le cose in contingenti e necessarie, e dire "Ohibò! Ma tutto è contingente, mettiamoci dietro il necessario, sennò mi contraddico da solo!"

In pratica argomenti in un modo, ma vedi che non stà in piedi, e postuli Dio. Io non capisco questo modo di impostare gli argomenti. Se non stà in piedi lo si fa crollare, non si postula per forza qualcosa che lo sistemi. Se vedi che chiamando le cose "contingenti", devi (a detta tua) postulare un necessario che, però, a rigor di logica, non sussiste proprio, allora niente, lascia perdere.

Un'altra cosa, dovresti spiegarmi meglio cosa intendi con "ha dentro di sè la causa della sua esistenza".
Nikolaj Stavrogin is offline  
Vecchio 24-12-2009, 01.26.51   #164
Leporello
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Riferimento: Dio non esiste

Egregio signor Franco, con tutto il rispetto, credo che lei abbia letto superficialmente i miei precedenti interventi, e si sia lanciato, un po' alla garibaldina, nel dare le risposte, sviando -mi pare- l'obiettivo.
Adesso tento, con un po' di pazienza, di far emergere la verità di questa mia affermazione.

Nel suo ultimo post lei ha scritto:
Citazione:
Originalmente inviato da Franco
[...] In risposta la tuo: “La dimostrazione dell’esistenza di Dio, però, non è frutto della ricerca di dio (come se, in qualche modo, percepissimo in anticipo l’oggetto della nostra ricerca, e ne volessimo approfondire gli aspetti), quanto piuttosto è la conclusione necessaria di una riflessione che parte dalla consapevolezza maturata di fronte ad un fatto: la realtà di cui abbiamo “esperienza e conoscenza” è contraddittoria (ossia impensabile), in quanto non ha in sé la ragione del proprio essere (questo dato, comunque, non è immediato, in quanto a sua volta esso è il risultato di uno studio e di un’analisi condotti su ciò di cui abbiamo esperienza; dunque, bisogna studiare l’essere-in-quanto-essere in profondità per sapere che dio c’è).”

Scrivevo:
Mi chiedo quale sarebbe mai questo fatto a partire dal quale dovrebbe essere dedotta la necessaria esistenza di ciò che anche tu chiami "Dio". Se il "fatto" cui ti riferisci è quello da te presentato, allora esso stesso non si dà; e non si dà perchè non può darsi, giacché la realtà che vorresti porre come non auto-fondantesi, non può in ragione della propria non-auto-fondatezza trovare necessariamente il proprio limite in un piano dell'essere diverso da sè. Il tuo ragionamento è un autentico sofisma nel quale vorresti giungere ad una dimostrazione a partire da principia a loro volta necessitanti una fondazione che non possono pretendere e di cui non possono godere.

A ciò hai replicato con:
“1° - le "vie" (come le chiama Tommaso) o "prove" sono 5 (ma potrebbero anche essercene di più o di meno) perchè tanti sono i "segni di contingenza" che Tommaso scorge nell'essere di cui ha esperienza e conoscenza.
Io, infatti, non ho mai parlato (come dici tu) di un solo "fatto a partire dal quale dovrebbe essere dedotta la necessaria esistenza" di Dio.
In questo senso, le vie/prove dell'esistenza di Dio sono vie/prove per dimostrare la contingenza dell'essere. Dicevo, infatti, nel mio precedente intervento che il fatto della contingenza della realtà non è immediatamente evidente, "non è immediato, in quanto a sua volta esso è il risultato di uno studio e di un’analisi condotti su ciò di cui abbiamo esperienza".”


- La comunicazione si fa subito difficile… Non ci intendiamo sulla sintassi della lingua italiana leporello? Pensi che io ne faccia un problema aritmetico? Hai forse inteso curarti di evitare che io non ti ritenessi al corrente del fatto che le vie di Tommaso sono cinque?

- A meno di non volere tirare in ballo fumose teorie sulla verità, sei stato proprio tu a scrivere ciò che segue:

“la dimostrazione dell’esistenza di Dio” piuttosto è la conclusione necessaria di una riflessione che parte dalla consapevolezza maturata di fronte ad un fatto: la realtà di cui abbiamo “esperienza e conoscenza” è contraddittoria (ossia impensabile), in quanto non ha in sé la ragione del proprio essere”

Ecco il fatto a cui mi riferisco. Che esso sia per te da intendere come qualcosa di non-immediato non cambia la sostanza del problema e del mio rilievo: il fatto a cui ti riferisci non si pone, non si dà, e non si dà perché si fonda su presupposti a loro volta necessitanti una fondazione di cui non possono godere.

Per rispondere, prendo le mosse da queste sue ultime riflessioni, per poi allargare le mie considerazioni e tentare di replicare sulle altre cose.

-Non riesco a capire perchè i presupposti su cui poggia (o poggerebbe) la dimostrazione della contingenza della realtà "non posso godere" a loro volta di una "fondazione/dimostrazione".
Questa affermazione, ai miei occhi, è gratuita, ed andrebbe a sua volta dimostrata (ho scritto un'altra volta, che in filosofia non esistono questioni "passate in giudicato").
Per chiarire cosa intendo, credo/spero possa essere utile l'esempio del II teorema di Euclide: esso non è immediatamente evidente, ossia la verità del suo enunciato non si coglie appena lo si ascolta per la prima volta. Esso, piuttosto, per essere dimostrato, necessita della conoscenza del primo teorema di Euclide e di quello di Pitagora, i quali, a loro volta, non sono immediatamente evidenti (ossia anch'essi vanno dimostrati); ciò non toglie, comunque, che essi, singolarmente presi, affermino dei "fatti".
E' un fatto (ripeto certamente da dimostrare, ma resta pur sempre un fatto) che "il quadrato costruito su uno dei cateti è equivalente al rettangolo che ha per dimensioni l'ipotenusa e la proiezione del cateto stesso sull'ipotenusa" (I di Euclide), e a partire da esso, si dimostra un altro fatto, e cioè che "il quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti" (Pitagora); e così, posto anche quest'ultimo, si dimostra che "il quadrato costruito sull'altezza relativa all'ipotenusa è equivalente al rettangolo che ha per lati le proiezioni dei cateti sull'ipotenusa" (II di Euclide)... ciascuno di questi enunciati non perdere di un briciolo di verità solo perchè trova il suo fondamento in un altro enunciato che a sua volta si fonda su un altro ancora (e così via discorrendo, sino a giungere a delle proposizioni evidenti).
Da qui possiamo dedurre una legge generale: dimostrare non significa altro che far vedere che un asserto è necessariamente connesso con altre proposizioni evidenti (immediatamente o mediatamente evidenti): in questo senso la catena delle dimostrazioni può anche essere lunghissima.
Mi chiedo, tutto ciò non potrebbe valere anche per la contingenza (la quale, ripeto, va dimostrata, come va dimostrato il primo teorema di Euclide ed il teorema di Pitagore)?
E se dovesse essere dimostrata la contingenza, essa non potrebbe servire come punto di partenza per dimostrare l'esistenza di Dio (allo stesso modo di come i due teoremi che ho citato -e particolarmente il secondo- sono il punto di partenza per dimostrare il II teorema di Euclide)?

-Cerco, adesso, di allargare un tantino l'orizzonte.
A domande rispondo.
Il motivo per cui ho sottolineato che le vie tommasiane (aggiungo adesso: nella Summa Theologiae) sono 5 (lungi da me l'aver minimamente pensato di fugare a chicchessia dubbi sulla mia conoscenza delle dottrine tomiste) è questo:
Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
perchè tanti sono i "segni di contingenza" che Tommaso scorge nell'essere di cui ha esperienza e conoscenza
quindi, il mio dire aveva lo scopo di far emergere l'idea che la contingenza (poichè non è un dato immediato) può essere inferita da alcuni "segni"; e infatti, poco prima scrivevo queste parole:
Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
non ho mai parlato (come dici tu) di un solo "fatto a partire dal quale dovrebbe essere dedotta la necessaria esistenza" di Dio
Alla luce di quanto detto e rimarcato, credo che per comprendere meglio ciò che intendevo dire con "il fatto" della contingenza (genitivo epesegetico), possa prendersi in considerazione -a mo' di esempio- il parlare, che comprende in sè un insieme di altri "fatti" (respirazione, movimento della lingua, delle labbra, delle corde vocali...).

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
Il peso della zavorra tomista si rivela anche qui nella sua potenza: Ciò che “permise” all’aquinate di parlare di prove dell’esistenza di Dio è il principio a sua volta non dimostrato della creaturalità dell’ente di cui abbiamo esperienza e conoscenza (Mondo, Natura etc.).
Se posso permettermi un consiglio del tutto disinteressato: forse è meglio (molto meglio!) che lei vada a ripassare la pagina di storia della filosofia che riguarda Tommaso d'Aquino, ed in particolare la parte inerente le 5 vie.
E' del tutto errato, ideologico e falso, ciò che ho appena quotato del suo intervento; ciò che "permise" all'aquinate di parlare di prove (per la precisione di "vie") dell'esistenza di Dio è il principo di non contraddizione (su questo argomento può con frutto leggere, tra la miriade di scritti sull'argomento, un pregevole e piacevole studio di Sofia Vanni Rovighi: "Perenne validità delle cinque vie di S. Tommaso", in "Studi di filosofia medioevale", vol. II, pp. 88-106).

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
- Che tu ti muova pienamente nel Tomismo è evidente. Ancor più evidente se si pensa che il metodo dimostrativo da te proposto è sostanzialmente quello di cui Tommaso d’Aquino si avvalse - anche contrapponendosi al celeberrimo argomento di Anselmo di Canterbury - in ciò che può essere considerato il nucleo della sua teologia filosofica, vale a dire la dottrina delle cinque “prove dell’esistenza di Dio”: il metodo del partire dal finito per giungere alla prova dell’infinito, dal creato per pervenire alla dimostrazione della trascendenza, dal mondo per dimostrare l’esistenza di Dio come creatore del mondo. Come Tommaso, Leporello vorrebbe partire dal concetto del mondo di cui si fa esperienza e conoscenza per giungere alla dimostrazione che “Dio” “c’è”. Come Tommaso, Leporello vorrebbe partire dall’essenza del mondo e dell’uomo come enti creati per pervenire alla dimostrazione dell’esistenza dell’essenza divina.

Mi chiedo quale-i altra-e strada-e potrebbe-ro esserci?
Se si esclude quella, così detta a-priori, che parte da una previa nozione di dio, non penso ci possa essere altra possibilità!

Continua...
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Vecchio 24-12-2009, 03.36.41   #165
Leporello
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Riferimento: Dio non esiste

... continua dal post precedente
Citazione:
Originalmente inviato da Franco
“2° - è per quanto ho appena ribadito che il mio era un argomentare che riguardava il metodo; ossia, la mia intenzione era sottolineare (con il Kant dello "Unico argomento...", e, prima di lui, con l'Anselmo del "Monologio") che ad una definizione di Dio semmai si arriva alla fine della ricerca, cioè quando già si intravede "qualcosa"... ecco, inoltre, perchè il mio può essere anche considerato un argomentare ipotetico: se non si comprende la contingenza della realtà, non si potrà giammai postulare/dimostrare/ect., l'esistenza di Dio. Dunque, per poter dire filosoficamente qualcosa di Dio si dovrebbe indagare l'essere, ossia bisognerebbe "aprire gli occhi" su quelli che ho chiamato i "segni di contingenza della realtà"; ma, ripeto, coloro che questi segni non li vedono, non faranno mai il passo per ammettere l'esistenza di Dio... sempre nel post precedente dicevo: "chi ha compreso la contingenza della realtà concluderà che deve esistere anche qualcos’altro oltre ciò di cui ha esperienza e conoscenza, poiché ciò che è contraddittorio è anche impossibile; per far sparire la contraddizione si deve postulare l’esistenza di ciò che dà sostanzialità, ossia intelligibilità alla realtà tutta (che è ciò che toglie la contraddizione stessa)"

Accetto ancor meno la tua posizione teorica. Cosa intendi con argomentare ipotetico? Ipotetico in che senso? Ed infatti affermi: “se non si comprende la contingenza della realtà, non si potrà giammai postulare/dimostrare/ect., l'esistenza di Dio.”
E poi quello che ha problemi con la lingua italiana sarei io...
Cmq., per argomentare ipotetico intendo quell'argomentazione che parte da una ipotesi (ed è chiaro che il mio, per ora, è un argomentare ipotetico, stante che son partito dicendo: "l'argomento potrebbe essere questo..." indicando come punto di partenza un fatto da dimostrare... e qualora lo si dimostrasse, etc.).

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
[...] dimostrazioni d’esistenza non possono dedursi da qualcosa come la contingenza della realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza (mondo, natura, ente creato, nel linguaggio di Tommaso) perché il concetto stesso di contingenza di tale realtà è un concetto speculativo, suscettibile esso stesso di una richiesta di dimostrazione e dimostrabilità. Il fatto, qui sì il fatto che tu affermi la contingenza della realtà e la conseguente esistenza di Dio, non significa che gli enunciati affermativi “la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza è contingente” e “Dio c’è” siano veri (reali). Non basta cioè semplicemente affermarlo, sicché ai tuoi enunciati è possibile concedere una mera validità formale.
Due rilievi.
1° - Ciò che lei dice all'inizio di ciò che ho appena quotato è davvero singolare; mi verrebbe da osservare che, posto come vero quanto da lei affermato, il II teorema di Euclide non avrebbe fondamento, perchè a sua volta fondato su un teorema (quello di Pitagora) "suscettibile esso stesso di una richiesta di dimostrazione e dimostrabilità" (un'osservazione a margine: la dimostrabilità è data dagli argomenti stessi della dimostrazione; non è che prima si dimostra la dimostrabilità e poi si dà la dimostrazione stessa).
2° - La dimostrazione mira (o mirerebbe) proprio a "far vedere" che i due enunciati “la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza è contingente” e “Dio c’è” sono necessariamente connessi e sono enunciati reali.
Ma -non so più quante volte l'ho ripetuto in mille salse- qui si sta facendo un processo ad un argomento che non c'è... ossia si stanno trattando questioni di principio come fossero questioni di fatto. A mio avviso sarebbe stato molto più onesto (di gran lunga molto più onesto) chiedere (magari a me, visto che allo stato attuale delle cose ne sono il fautore ed il corifeo):
"dacci
1) la tua dimostrazione della contingenza della realtà, e
2) a partire da essa [eventualemente ci fossi riuscito], una dimostrazione dell'esistenza di Dio
".

ed invece mi si dice che non si può (presunzione di diritto) dimostrare la contingenza della realtà, perchè questo sarebbe un dato speculativo (che significa "dato speculativo" bisognerebbe chiarirlo meglio), e men che meno, a partire da esso, si potrebbe dimostrare l'esistenza di dio (altro assunto ideologico, perchè parte da una precomprensione, ossia sembra un dato... "passato in giudicato")

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
Quello di “contingenza del mondo” costituisce un caposaldo della dottrina tomista, dottrina nell’ambito della quale in fin dei conti il sistema della teologia filosofica, ovvero della teoria della dimostrazione dell’esistenza di “Dio” e della definizione della sua essenza (quiddità nel linguaggio di leporello) ha nei confronti della teologia dedotta dalle “sacre scritture” una posizione ancillare. A fondare la teologia filosofica è la teologia della rivelazione e non viceversa. Il dato primo, il principio primo “è” quello della rivelazione di dio stesso nel tempo dell’uomo. Per l’aquinate era la fede a fondare il lumen naturale e non viceversa.
Queste sue considerazioni sono del tutto fuori luogo ed estranee a ciò che ho detto sino ad ora... è meglio, molto meglio, valutare ciò che ciascuno di noi dice, e non ciò che crediamo possa essere il pensiero nascosto, magari preso a prestito dalle nostre fonti di ispirazione.... in tal caso non ci sarebbe più alcun dialogo, ma prese di posizione su ciò che ciascuno crede che l'altro stia dicendo... ossia ci sarebbe una vera e propria interruzione di dialogo.
Ripeto, io non ho mai sostenuto in queste pagine ciò che il signor Franco ha scritto nel brano che ho appena quotato; e citare (malamente) Tommaso d'Aquino, solo perchè la mia formazione culturale deve a lui buona parte del suo essere, è poco bello (per usare un eufemismo).

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
E’ vero, il perno della tua posizione come dice Nikolaj Stavrogin è quello della contingenza del reale. Ma dal momento che esso è un concetto a sua volta necessitante una dimostrazione, ne consegue non solo che a partire da esso non è possibile procedere alla dimostrazione d’esistenza di alcunché, ma neanche qualcosa di necessitante ai fini della definizione di un ente nella sua essenza.
Traballante il punto di partenza, impossibile il punto d’arrivo.
Credo che anche qui ci sia un piccolo equivoco da chiarire.
Mi pare che stiamo parlano non dell'essenza divina, ma dell'esistenza di dio. Dicevo in un altro post precedente, che il concetto di dio si forma mentre se ne dimostra l'esistenza.
Cmq., qui torna di nuovo la solita solfa: "dal momento che esso è un concetto a sua volta necessitante una dimostrazione...", a cui credo di avere dato risposte esaurienti.

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
Sulla tua lunga digressione sorvolo fatta eccezione per quello che potrebbe essere un altro cosmico pregiudizio: Resta -si capisce- da esaminare il problema delle condizioni fisiche e fisiologiche di tale manifestazione; ma -ripeto- questo è un problema riguardante il mondo corporeo (ossia è un problema scientifico e non filosofico)

E’ tutto da dimostrare che quello del mondo corporeo sia un problema della scienza e non della filosofia perché è tutto da dimostrare che al di là del mondo corporeo si dia un mondo in-corporeo. Ma questo è un altro discorso…
A questo punto credo che lei debba andare a rileggere la mia "digressione".
Io, infatti, non ho detto che "quello del mondo corporeo sia un problema della scienza e non della filosofia"; ho scritto piuttosto: quanto piuttosto "il problema delle condizioni fisiche e fisiologiche di tale manifestazione; ma questo è un problema riguardante il mondo corporeo"; cioè, come è chiarissimo anche da una semplice lettura superficiale, il problema a cui mi riferivo è quello della manifestazione all'intelletto delle cose che sono "fuori di esso" (poco prima avevo scritto infatti: "poiché il conoscere è per sua stessa natura un aver presenti, un manifestare le cose")

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
Scrivevo:
Non pensi alla possibilità che la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza possa trovare limite e fondamento nella realtà di cui non abbiamo più o ancora esperienza e conoscenza?

Replichi con :
ma mi chiedo: 1) quale scienza dobbiamo "inventare" per avere risposta? 2) quanto dobbiamo aspettare ancora? 3) che tipo di risposta aspettiamo?
Si intende le domande appena poste sono provocatorie, ossia vogliono suscitare una riflessione.”


Il fatto di non avere una scienza per queste domande, nonché la consapevolezza della possibilità che l’uomo possa non giungere mai al possesso di una scienza per le stesse domande, non significa essere giustificati a porre entità ideali, immaginarie, facendole passare per reali.

1° - è da dimostrare che dio sia un'entità ideale, immaginaria (certo, potrebbe dimostrarsi tramite la confutazione degli argomenti a sostegno della dimostrazione dell'esistenza... ma sino a quando ciò non ci sarà, il suo, egregio signor Franco, sarà soltanto un "ipse dixit" cromato da qualche pennellata di superficiali motivazioni che mal si accordano con la filosofia).

Il resto è del discorso, a mio avviso, è solo un pretesto per polemizzare o per insultare (quando non si sa cosa replicare è facile che ci si innervosisca...)
Io chiederei che sia meglio lasciarci condurre dalla calma, dall'amore per il sapere; da quello che Locke chiama: "l'amore per la verità per se stessa"... omnia alia secundaria sunt.

Gaetano T.
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Vecchio 24-12-2009, 03.41.16   #166
Leporello
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Citazione:
Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
Il fatto che tutto ciò che è esistente può essere pensato "non-esistente" significa che non c'è contraddizione logica a negar alcun ente, tantomeno Dio.
Mi pare che qui ci sia una sorta di confusione, che è bene dissipare.
Infatti, per "tutto ciò che è esistente" cosa s'intende?
Se si intende tutto ciò che cade sotto la nostra esperienza, ossia tutto ciò di cui abbiamo esperienza e conoscenza; allora in questo caso dio non rientra nell'insieme "tutto ciò che esiste" (cioè, nell'insieme "tutto ciò che esiste come lo conosciamo noi": non dimentichiamo il presupposto da cui siamo partiti), poichè di dio non abbiamo esperienza (e se ne avessimo non ci sarebbe bisogno di dimostrarne l'esistenza).
Se si intende "ogni ente", in termini generali e assoluti, allora facciamo un salto epistemologicamente criticabile (cioè passibile della critica popperiana della falsificabilità, ossia del "fino a prova contraria").

Citazione:
Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
Dunque è l'idea stessa di "ente necessario" che non stà in piedi. Il voler chiamare le cose "contingenti", solo per poi metterci un "necessario" dietro (la cui idea dovresti spiegarla meglio, visto che accetti la critica kantiana ad essa), è un passaggio che fai tu. Io non vedo nessun motivo per cui dovrei dividere le cose in contingenti e necessarie, e dire "Ohibò! Ma tutto è contingente, mettiamoci dietro il necessario, sennò mi contraddico da solo!"
Anche qui, credo si debba fare un piccolo chiarimento.
Il discorso non è tanto di questo tipo: voglio chiamare le cose "contingenti" così poi posso metterci un ente "necessario"; quanto piuttosto andare a verificare se le cose stesse SONO contingenti e postulano un ente necessario.
Perchè se fosse come dici tu, allora l'idea di Dio sarebbe un mio modo di vedere le cose, una specie di imposizione dettata dalla mia volontà; invece, essa (metodologicamente) dovrebbe sorgere dalla cose stesse (Aristotele, tradotto in latino, dice che "entia manuducuntur", cioè: le cose ci prendono per mano, ci conducono passo passo).

Citazione:
Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
In pratica argomenti in un modo, ma vedi che non stà in piedi, e postuli Dio. Io non capisco questo modo di impostare gli argomenti. Se non stà in piedi lo si fa crollare, non si postula per forza qualcosa che lo sistemi. Se vedi che chiamando le cose "contingenti", devi (a detta tua) postulare un necessario che, però, a rigor di logica, non sussiste proprio, allora niente, lascia perdere.
Ma il discorso è proprio questo; a mio avviso, dio dovrebbe essere postulato (come dici tu) "a rigor di logica", e non da ideologie (lo stesso vale per il contrario: dio dovrebbe essere negato a rigor di logica e non per "partito preso": ed è a questo punto che vengono fuori gli argomenti, le chiarificazioni.... i lunghi post ^_^; parlare e/o peggio scrivere come se si sta inviando un messaggino telefonico, a mo' di slogan, non aiuta nè la filosofia nè le persone che amano la verità).

Per chiudere, così come mi hai richiesto, ti fornisco alcune definizioni di "necessario":
- ciò che «non può non essere» (Aristotele, Metafisica, Γ, 1006b, 30; ed anche Tommaso d’Aquino, cfr. Commento alla Metafisica di Aristotele, nel loco stesso);
- ciò «il cui opposto è in se stesso impossibile» (Kant, Unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, in ID., Scritti precritici, Laterza, Bari 2000, 123 - ossia, I, III, 1);
- ciò «il cui contraddittorio è contraddittorio» (Gustavo Bontadini).

Alla prox,
Gaetano T.
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Vecchio 24-12-2009, 09.46.35   #167
emmeci
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Riferimento: Dio non esiste

Ci aggrovigliamo nella rete di un interminabile e inutile razionalismo quando, davanti al concetto di Dio, cerchiamo o neghiamo le prove della sua esistenza. Un essere assoluto non può avere prove che sono sempre relative, se non altro alla nostra ragione. Invece non si può partire che da questa proposizione: che Dio, al di là di come lo si atteggi e lo si valuti, “è l’assoluto” – ossia quello che è perché è, dando per scontata la distinzione scolastica fra essere ed esistenza. Ogni altra interpretazione è conseguente a quella fondamentale asserzione “è perché è”, per esempio il sentire Dio come interno a sé stessi o disteso nel mondo, come fisica o metafisica, come principio o fine…. Forse la conseguenza più diretta di quella primordiale proposizione è che, se è l’assoluto, Dio può dare un senso a qualunque altro essere, da un universo ad ogni possibile storia. Per questo sorge in noi, irresistibile, il pensiero di Dio anche se possiamo renderci conto che una prova – empirica o razionale - non c’è: come si può dubitare di un Dio che non ha attributi, forme e nemmeno nomi? Se siamo, crediamo, o meglio in qualche modo noi siamo Dio. Qui è tutto.
Anche se è il principio, per noi, di un lungo e faticoso cammino, e l’essere non può che tradursi in una ricerca dell’essere, cioè in divenire, evoluzione e storia, giustificata da quell’unico e inarrivabile punto d’arrivo che è l’assoluta verità. Inarrivabile, perché la ricerca non può avere fine e l’assoluto diventa, per chi esiste e non è, l’infinito. Tutto questo non è un sillogismo, o forse è un sillogismo che si appoggia su qualcosa che è insieme arbitrio e ragione, ossia, se mi consentite, una logica-fede.
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Vecchio 27-12-2009, 17.51.56   #168
Franco
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Riferimento: Dio non esiste

Signor Leporello,

Desidero innanzitutto rilevare come Lei consideri polemico e addirittura offensivo un discorrere che con una certa fermezza ha inteso ed intende dimostrare l'infondatezza e la superficialità di certi Suoi enunciati. Se a procurarLe un certo disagio sono state espressioni quali "superficialità", completo fraintendimento e sofisma, allora lo confermo.

Mi sorprende alquanto constatare come Lei abbia inteso e percepito nelle mie parole qualcosa come un danno morale.

Con altrettanta pazienza e nuova energia, energia dettata dai "Suoi ultimi interventi” mi sforzerò di dimostrare come i Suoi “contro” -rilievi non siano efficaci.

Prima di tutto. Il tema di questo thread è stato proposto da Orabasta e suona come segue: Dio non esiste . Questo il nucleo della discussione, questo il problema.

A suo modo Orabasta ha tirato in ballo un certo numero di ragioni in base alle quali pervenire all'asserzione, dico all’asserzione che "Dio non esiste". Lo stesso si è preoccupato di definire "Dio" come "Entità cosciente e dotata di volontà, artefice diretto dell'intero universo", intendendo dunque inequivocabilmente negare l'esistenza a ciò che viene definito "Dio" nella tradizione ebraico-cristiana.

Ad un certo punto della discussione, è inter-venuto Leporello, il quale nello svolgimento di un discorso piuttosto articolato ha affermato:

Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
La dimostrazione dell’esistenza di Dio, però, non è frutto della ricerca di dio (come se, in qualche modo, percepissimo in anticipo l’oggetto della nostra ricerca, e ne volessimo approfondire gli aspetti), quanto piuttosto è la conclusione necessaria di una riflessione che parte dalla consapevolezza maturata di fronte ad un fatto: la realtà di cui abbiamo “esperienza e conoscenza” è contraddittoria (ossia impensabile), in quanto non ha in sé la ragione del proprio essere (questo dato, comunque, non è immediato, in quanto a sua volta esso è il risultato di uno studio e di un’analisi condotti su ciò di cui abbiamo esperienza; dunque, bisogna studiare l’essere-in-quanto-essere in profondità per sapere che dio c’è).
Or bene, chi ha compreso la contingenza della realtà concluderà che deve esistere anche qualcos’altro oltre ciò di cui ha esperienza e conoscenza, poiché ciò che è contraddittorio è anche impossibile; per far sparire la contraddizione si deve postulare l’esistenza di ciò che dà sostanzialità, ossia intelligibilità alla realtà tutta (che è ciò che toglie la contraddizione stessa).

Più d'una volta Lei ha invitato ad intendere il Suo ragionamento come avente una finalità metodologica, ma il punto è che se Lei fa uso di concetti altissimamente criticabili, anche il Suo metodo così come l'esito a cui con questo vorrebbe pervenire è suscettibile di essere fatto oggetto di critica.

Ed il concetto che lei vorrebbe far passare per buono, accettabile, fondato è proprio quello che io non posso e non devo far passare come buono, accettabile e vero. A me Signor Leporello interessa fino ad un certo punto la questione di ciò che potrebbe essere, dovrebbe essere, l'esito del Sua metodologia, vale a dire - spero di potere dire - la definizione dell'essenza di quel Dio. Ciò che massimamente mi interessa, viene prima. Senza ambagi le dico che sempre nella speranza Lei non percepisca un'offesa nelle mie parole, io non Le permetto di giungere a quell'esito perchè quello stesso esito si fonda su un sistema di nozioni, concetti, idee, che io reputo insostenibili.

Qui Lei fa affermazioni sul Dio al quale si è fatto riferimento sin dall’inizio del thread e rispetto al quale Orabasta ha formulato una dichiarazione d’ inesistenza. Il modo in cui Lei Signor Leporello ha cominciato a trattare l’argomento è per me inaccettabile. Le ripeto ancora una volta, senza che questo mi causi alcun genere di fastidio: Lei non può in nessun modo parlare di dimostrazione dell’esistenza (esser-reale) di “Dio”, nella maniera in cui esso è stato definito, facendo leva su concetti come quello di contingenza dell’essere di cui abbiamo esperienza e conoscenza. Il mio intento è proprio quello di impedirLe di fondare il primo sul secondo! E che il riconoscimento del “Suo” presunto fatto dipenda o meno da una “Sua” riflessione più o meno attenta, mi interessa fino ad un certo punto. Che con il concetto di contingenza del reale non si possa dimostrare un bel nulla nel senso di ciò che si intende con quel Dio è dato, come ho detto ormai più d’una volta, dalla constatazione che non si danno ragioni vincolanti per intendere lo stesso essere di cui abbiamo esperienza e conoscenza (reale) come contingente. Trattasi di operazione arbitraria.

Questione non leggermente differente sarebbe quella formulata nei termini seguenti: se si riuscisse a dimostrare la contingenza e dunque la contraddittorietà dell’essere di cui abbiamo esperienza conoscenza, avremmo una ragione forte, solida per affermare l’esistenza di “Dio”. Il problema assai grave è qui quello del modo verbale che nella lingua italiana è chiamato “condizionale “ e che differisce da quello usato da Lei Signor Leporello e che sempre nella lingua italiana si chiama modo indicativo.

Tenendone conto vado a riscrivere quanto di Lei ho citato alla luce del mio ultimo rilievo:

La (eventuale) dimostrazione dell’esistenza di Dio, però, non è (sarebbe) frutto della ricerca di dio (come se, in qualche modo, percepissimo in anticipo l’oggetto della nostra ricerca, e ne volessimo approfondire gli aspetti), quanto piuttosto è (sarebbe )la conclusione necessaria di una riflessione che parte dalla consapevolezza maturata di fronte ad un (possibile) fatto: la realtà di cui abbiamo “esperienza e conoscenza” è (potrebbe essere contraddittoria (ossia impensabile), in quanto non ha (avrebbe)in sé la ragione del proprio essere (questo dato, comunque, non è immediato, in quanto a sua volta esso è (sarebbe)il risultato di uno studio e di un’analisi condotti su ciò di cui abbiamo esperienza; dunque, bisogna (bisognerebbe) studiare l’essere-in-quanto-essere in profondità per sapere che dio c’è).

Or bene, chi ha ( avrebbe) compreso la contingenza della realtà concluderà ( concluderebbe) che deve esistere anche qualcos’altro oltre ciò di cui ha esperienza e conoscenza, poiché ciò che è contraddittorio è anche impossibile; per far sparire la contraddizione si deve postulare l’esistenza di ciò che dà sostanzialità, ossia intelligibilità alla realtà tutta (che è ciò che toglie la contraddizione stessa).

In sintesi: meglio sarebbe stato da parte Sua affermare che alla dimostrazione dell’essenza di quel dio si arriverebbe qualora si riuscisse a dimostrare la contingenza e contraddittorietà dell’essere di cui abbiamo esperienza e conoscenza. Al che Le avrei probabilmente detto che alla dimostrazione di quell’esistenza non si può giungere per più d’una ragione, una delle quali è l’arbitrarietà della posizione del concetto di contingenza (contraddittorietà) dell’essere di cui abbiamo esperienza. E ciò perché non è necessario ammettere, postulare etc. una sfera d’essere diversa da quella del medesimo reale di cui abbiamo conoscenza ed esperienza. Avrei potuto considerare diversamente un discorso nel quale qualcuno avesse posto il problema della contingenza non solo dell’essere di cui abbiamo esperienza e conoscenza ma anche di quello di cui non abbiamo ancora conoscenza ed esperienza. Una delle infondatezze nel suo discorso è la posizione di “Dio” appena subito dopo quella dell’essere esperito e conosciuto. Ma dopo questa forma di reale, non può non darsi quella del reale non ancora percepito e conosciuto, un reale che potrebbe essere a sua volta in-finito. Il valore delle conquiste determinate dalle scienze moderne è proprio quello dell’aver rotto il circolo vizioso che voleva il piano dell’essere percepito, esperibile, chiuso da quello dell’esser-divino; circolo vizioso che potrebbe essere tradotto secondo il linguaggio figurato della terra chiusa, serrata, definita dalla volta celeste sede della divinità. Ancor oggi e con una frequenza a seconda dei punti di vista, ora rassicurante ora angosciante, molti di coloro che credono in quel Dio volgono il naso all’insù…..


Continua.......
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Vecchio 27-12-2009, 18.13.14   #169
Franco
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Riferimento: Dio non esiste

Continuando.....

Con il linguaggio attraverso il quale Lei Signor Leporello ha esordito in questo thread non si può che imporre dogmi.

Non posso non tener conto del fatto che nella reazione ai miei ragionamenti e a quello di Nikolaj Stavrogin Lei abbia cercato di mutare quel linguaggio, ma e tengo a sottolinearlo, la mia critica è stata dettata dal Suo primo intervento.

Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
Non riesco a capire perchè i presupposti su cui poggia (o poggerebbe) la dimostrazione della contingenza della realtà "non posso godere" a loro volta di una "fondazione/dimostrazione".
Questa affermazione, ai miei occhi, è gratuita, ed andrebbe a sua volta dimostrata (ho scritto un'altra volta, che in filosofia non esistono questioni "passate in giudicato")

Spero che ora Le sia più chiaro ciò che intendo. Ciò che intendo è che è arbitrario partire dal concetto di contingenza della realtà, sia pur deducendola da “segni”, allo scopo di dimostrare l’esistenza di un ente trascendente.

Apprendo come Lei sia a conoscenza di alcune fondamentali dimostrazioni di tipo matematico. Ma in questa discussione, Signor Leporello, si tratta di dimostrare, di-mostrare, provare a cavallo tra l’empirico e lo speculativo (metafisico che dir si voglia) , tra il certamente reale e il possibilmente reale (possibilmente immaginario, meramente ideale), mondo e possibile meta-mondo, natura e possibile Trascendenza. In questa discussione si tratta di comprendere se quanto viene ancora designato con la parola Dio della tradizione ebraico-cristiana sia o meno un esse in re (esser-nella-realtà) e non meramente un esse in intellectu (esser-nell'-intelletto); di comprendere se quanto viene ancora designato con quella parola non sia un ente meramente ideale.

Risulta pertanto ancora assai problematico asserire:

Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
...quindi, il mio dire aveva lo scopo di far emergere l'idea che la contingenza (poichè non è un dato immediato) può essere inferita da alcuni "segni"

Cos’è da intendere qui con il verbo "potere" coniugato alla 3. persona dell’indicativo presente? Intende esprimere una possibilità d’essere? Si o no?

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
Il peso della zavorra tomista si rivela anche qui nella sua potenza: Ciò che “permise” all’Aquinate di parlare di prove dell’esistenza di Dio è il principio a sua volta non dimostrato della creaturalità dell’ente di cui abbiamo esperienza e conoscenza (Mondo, Natura etc.).

A ciò segue

Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
Se posso permettermi un consiglio del tutto disinteressato: forse è meglio (molto meglio!) che lei vada a ripassare la pagina di storia della filosofia che riguarda Tommaso d'Aquino, ed in particolare la parte inerente le 5 vie.
E' del tutto errato, ideologico e falso, ciò che ho appena quotato del suo intervento; ciò che "permise" all'Aquinate di parlare di prove (per la precisione di "vie") dell'esistenza di Dio è il principio di non contraddizione (su questo argomento può con frutto leggere, tra la miriade di scritti sull'argomento, un pregevole e piacevole studio di Sofia Vanni Rovighi: "Perenne validità delle cinque vie di S. Tommaso", in "Studi di filosofia medioevale", vol. II, pp. 88-106)

1° Lei trascura il virgolettato Signor leporello. Il verbo “permise” è stato usato in senso ampio allo scopo di evidenziare, così come è stato fatto più d’una volta, la tesi secondo la quale l’impianto dottrinale dell’Aquinate era ed è sostanzialmente apologetica cristiano-cattolica.

Ribadisco pertanto che ciò che “permise” a Tommaso d’Aquino di “parlare” di “vie” per la dimostrazione dell’esistenza di “Dio” fu la necessità di difendere i contenuti della fede cristiano-cattolica. 2° Sofia vanni Rovighi? E chi è? Non è solo una battuta. Spero lei non percepisca come offesa che io possa dichiarare di non essere interessato a dossografia cattolica.

3° quando odo o leggo cose come “perenne validità delle cinque vie di S.Tommaso” mi si rizzano i

Perenne validità. Quale perenne validità?! La non validità delle 5 vie dell’Aquinate è stata variamente dimostrata tanto da rappresentanti del mondo scientifico quanto da rappresentanti del mondo filosofico.

Per chiudere su questo punto, desidero porre all’attenzione del lettore/ della lettrice le seguenti parole di Bertrand Russell: “nell’Aquinate c’è ben poco del vero spirito filosofico. A differenza del Socrate platonico, egli non segue il ragionamento ovunque questo possa condurlo. Non è impegnato in una ricerca di cui è impossibile conoscere in anticipo il risultato. Prima di cominciare a filosofare, conosce già la verità, che è quella annunciata dalla fede cattolica. Se Tommaso può trovare argomenti apparentemente razionali in appoggio a qualche dogma della fede, tanto meglio; se non può, deve solo rifarsi alla rivelazione. Trovare argomenti in sostegno a una conclusione già data in anticipo non è filosofia, ma solo una forma di apologetica. Non posso quindi accettare che Tommaso meriti d’esser posto su uno stesso piano con i migliori filosofi della Grecia o dei tempi moderni.” Cfr. Bertrand Russell, Storia della filosofa occidentale, Longanesi, Milano, 1975, pag.445. La sottolineatura è mia.

Parere questo sì davvero illustre. Un parere che esprime quanto da me inteso con : Ciò che “permise” all’Aquinate di parlare di prove dell’esistenza di Dio, è il principio a sua volta non dimostrato della creaturalità dell’ente di cui abbiamo esperienza e conoscenza (Mondo, Natura etc.).E’ un parere che è dato ritrovare più volte nella letteratura filosofica occidentale.

Continua......

Ultima modifica di Franco : 27-12-2009 alle ore 23.26.11.
Franco is offline  
Vecchio 27-12-2009, 18.22.54   #170
Franco
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Riferimento: Dio non esiste

Continuando..........

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
Dimostrazioni d’esistenza non possono dedursi da qualcosa come la contingenza della realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza (mondo, natura, ente creato, nel linguaggio di Tommaso) perché il concetto stesso di contingenza di tale realtà è un concetto speculativo, suscettibile esso stesso di una richiesta di dimostrazione e dimostrabilità. Il fatto, qui sì il fatto che tu affermi la contingenza della realtà e la conseguente esistenza di Dio, non significa che gli enunciati affermativi “la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza è contingente” e “ Dio c’è” siano veri (reali). Non basta cioè semplicemente affermarlo, sicché ai tuoi enunciati è possibile concedere una mera validità formale.

Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
1° - Ciò che lei dice all'inizio di ciò che ho appena quotato è davvero singolare; mi verrebbe da osservare che, posto come vero quanto da lei affermato, il II teorema di Euclide non avrebbe fondamento, perchè a sua volta fondato su un teorema (quello di Pitagora) "suscettibile esso stesso di una richiesta di dimostrazione e dimostrabilità" (un'osservazione a margine: la dimostrabilità è data dagli argomenti stessi della dimostrazione; non è che prima si dimostra la dimostrabilità e poi si dà la dimostrazione stessa).
2° - La dimostrazione mira (o mirerebbe) proprio a "far vedere" che i due enunciati “la realtà di cui abbiamo esperienza e conoscenza è contingente” e “Dio c’è” sono necessariamente connessi e sono enunciati reali.
Ma -non so più quante volte l'ho ripetuto in mille salse- qui si sta facendo un processo ad un argomento che non c'è... ossia si stanno trattando questioni di principio come fossero questioni di fatto. A mio avviso sarebbe stato molto più onesto (di gran lunga molto più onesto) chiedere (magari a me, visto che allo stato attuale delle cose ne sono il fautore ed il corifeo):
"dacci
1) la tua dimostrazione della contingenza della realtà, e
2) a partire da essa [eventualemente ci fossi riuscito], una dimostrazione dell'esistenza di Dio".

ed invece mi si dice che non si può (presunzione di diritto) dimostrare la contingenza della realtà, perchè questo sarebbe un dato speculativo (che significa "dato speculativo" bisognerebbe chiarirlo meglio), e men che meno, a partire da esso, si potrebbe dimostrare l'esistenza di dio (altro assunto ideologico, perchè parte da una precomprensione, ossia sembra un dato... "passato in giudicato")

Non ci intendiamo. E lo ripeto con una salsa diversa, il concetto di contingenza della realtà, sia che per realtà si intenda come ha fatto Lei fino ad ora la realtà di cui si fa esperienza e conoscenza, sia che per essa s’intenda la realtà di cui non abbiamo fatto ancora esperienza
e conoscenza, non è un concetto in base al quale poter dimostrare, di-mostrare, provare alcunché in merito all’esistenza (esse in re) del dio della tradizione ebraico- cristiana. E ciò perché, come amo dire, il concetto (nozione, idea) di contingenza della realtà è esso stesso di tipo speculativo, ovvero inverificabile secondo metodi d’accertamento collettivo (oggettivo).

Citazione:
Originalmente inviato da Franco
Quello di “contingenza del mondo” costituisce un caposaldo della dottrina tomista, dottrina nell’ambito della quale, in fin dei conti, il sistema della teologia filosofica, ovvero della teoria della dimostrazione dell’esistenza di “Dio” e della definizione della sua essenza (quiddità nel linguaggio di leporello) ha nei confronti della teologia dedotta dalle “sacre scritture” una posizione ancillare. A fondare la teologia filosofica è la teologia della rivelazione e non viceversa. Il dato primo, il principio primo “è” quello della rivelazione di dio stesso nel tempo dell’uomo. Per l’aquinate era la fede a fondare il lumen naturale e non viceversa.

Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
Queste sue considerazioni sono del tutto fuori luogo ed estranee a ciò che ho detto sino ad ora... è meglio, molto meglio, valutare ciò che ciascuno di noi dice, e non ciò che crediamo possa essere il pensiero nascosto, magari preso a prestito dalle nostre fonti di ispirazione.... in tal caso non ci sarebbe più alcun dialogo, ma prese di posizione su ciò che ciascuno crede che l'altro stia dicendo... ossia ci sarebbe una vera e propria interruzione di dialogo

Mi chiedo come si possa aver dedotto con certezza che io abbia inteso attribuirLe quanto da me di me appena citato. L’unica cosa certa è quanto espresso tra parentesi. Null’altro.

Non solo, ma confermo questa idea della dottrina tomista, un’idea che trova anch'essa conferma nella letteratura filosofica dello spirito d'occidente.

Franco
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